[SinistraInRete] Enrico Tomaselli: L’urgenza di una politica anti-egemonica e proattiva

Rassegna 01/01/2024

 

Enrico Tomaselli: L’urgenza di una politica anti-egemonica e proattiva

metis

L’urgenza di una politica anti-egemonica e proattiva

di Enrico Tomaselli

4 1 cose la carta geopolitica
1280x720.jpgIl 2024 sembra chiudersi in una condizione generalmente sfavorevole alle forze ad ai paesi che si oppongono all’egemonismo occidentale, che a sua volta sembra preludere a un 2025 all’insegna di una rinnovata offensiva globale dell’egemone. Il tracollo della Siria, l’ostentata sicumera di Trump e di Netanyahu, la difficile situazione in Iran, il moltiplicarsi di situazioni in cui l’esercizio della democrazia viene sempre più ridotto a mero aut-aut (Georgia, Romania, Moldavia)… tutto insomma sembra indurre al pessimismo, almeno per chi auspica un passaggio verso un nuovo ordine mondiale basato sul multipolarismo.

Ma anche se molti elementi sono effettivamente negativi, si tratta però sostanzialmente di una distorsione percettiva, in larga misura indotta dalla propaganda occidentale – in cui del resto siamo pienamente immersi. Volendo quindi tracciare una sorta di bilancio, e soprattutto puntare lo sguardo sull’anno che verrà, è bene farlo a partire dai dati di fatto, piuttosto che dalle sensazioni.

Il 2025 vedrà con ogni probabilità la fine del conflitto cinetico in Ucraina – e questo, già di per sé, è un fatto positivo – e ciò rappresenterà un passaggio cardine, destinato a pesare pesantemente sugli anni successivi, perché quale che sia il modo in cui si concluderà non potrà mutare la sostanza di tale evento, ovvero la sconfitta politico-militare della NATO, e quindi dell’egemonismo occidentale. La portata di tale sconfitta, che è inevitabile, ancora non appare pienamente – e di sicuro saranno fatti sforzi enormi per occultarla – ma non solo una volta avvenuta risulterà evidente, i suoi effetti si propagheranno come onde sismiche, scuotendo l’intera architettura politica occidentale.

Nonostante quanto si possa pensare, difficilmente il conflitto si potrà chiudere in virtù dell’azione messa in campo dalla nuova amministrazione americana, e ciò per due fondamentali ragioni: innanzitutto, l’assoluta incapacità (e mancanza di volontà), da parte statunitense, di riconoscere e comprendere le ragioni e gli interessi della Russia, e poi (cosa forse ancor più significativa) perché a muovere il blocco di potere coagulato intorno alla figura di Trump è una rinnovata fiducia nell’egemonia degli Stati Uniti e nel loro diritto-dovere di esercitarla globalmente.

Leggi tutto

John Bellamy Foster: La sinistra occidentale e la nuova negazione dell’imperialismo

citystrike

La sinistra occidentale e la nuova negazione dell’imperialismo

di John Bellamy Foster

John Bellamy Foster torna alle pietre miliari del pensiero marxista antimperialista – presenti nelle opere di V. I. Lenin, Samir Amin e altri – per affrontare la crescente negazione dell’imperialismo da parte della sinistra. Questa visione del mondo e le sue conseguenze, scrive Foster, ha implicazioni preoccupanti non solo per i lavoratori supersfruttati delle periferie, ma per tutti i lavoratori del mondo e per il carattere internazionalista del marxismo contemporaneo

1642162478215 Paesaggio urbano 1925 2872 268x300È dall’inizio della Prima Guerra mondiale – durante la quale quasi tutti i partiti socialdemocratici europei parteciparono alla guerra interimperialista a fianco dei rispettivi Stati nazionali – e dalla dissoluzione della Seconda Internazionale, che la divisione sulla questione dell’imperialismo non assumeva, a sinistra, dimensioni così serie, manifestandosi come un segno della profondità della crisi strutturale del capitale nel nostro tempo.[1] Sebbene le sezioni più eurocentriche del marxismo occidentale abbiano cercato a lungo, in vari modi, di attenuare la teoria dell’imperialismo, l’opera classica di V. I. Lenin, Imperialismo, fase suprema del capitalismo (scritta nel gennaio-giugno 1916), ha mantenuto per oltre un secolo la sua posizione centrale all’interno di tutte le discussioni sull’imperialismo, non solo per la sua accuratezza nel rendere conto della Prima e della Seconda Guerra Mondiale, ma anche per la sua utilità nello spiegare l’ordine imperiale del secondo dopoguerra.[2] Tuttavia, lungi dall’essere isolata, l’analisi complessiva di Lenin è stata integrata e aggiornata in vari momenti dalla teoria della dipendenza, dalla teoria dello scambio ineguale, dalla teoria dei sistemi-mondo e dall’analisi della catena del valore globale, tenendo conto dei nuovi sviluppi storici. In tutto questo, la teoria marxista dell’imperialismo ha mantenuto un’unità di base che ha ispirato le lotte rivoluzionarie globali.

Oggi, tuttavia, questa teoria marxista dell’imperialismo viene comunemente rifiutata in gran parte, se non nella sua interezza, da sedicenti socialisti occidentali con baricentro eurocentrico. Di conseguenza, il divario tra la visione dell’imperialismo della sinistra occidentale e quella dei movimenti rivoluzionari del Sud globale è più ampio che in qualsiasi altro momento del secolo scorso. Le basi storiche di questa frattura risiedono nel declino dell’egemonia statunitense e nel relativo indebolimento dell’intero ordine imperialista mondiale, incentrato sulla triade Stati Uniti, Europa e Giappone, di fronte all’ascesa economica delle ex colonie e semicolonie del Sud globale. Il tramonto dell’egemonia statunitense, dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica nel 1991, è stato accompagnato dal tentativo degli Stati Uniti/NATO, di creare un ordine mondiale unipolare dominato da Washington.

Leggi tutto

Alfonso Gianni: Crisi dell’auto: un problema europeo

crs

Crisi dell’auto: un problema europeo

di Alfonso Gianni

Le difficoltà di Stellantis si iscrivono in un quadro europeo dove le industrie automobilistiche perdono terreno commerciale a favore della Cina e rimangono indietro nello sviluppo tecnologico anche rispetto agli USA. È indispensabile maggiore lungimiranza circa i temi ambientali e il rapporto col Sud globale

auto 11 2048x1365.jpgChi si aspettava dall’incontro del 17 dicembre fra Stellantis e il Governo una vera svolta, la può trovare solo nei titoli di qualche giornale compiacente. Si può certamente dire che l’occasione sia servita per togliere qualche ruggine accumulatasi nelle relazioni tra il Ministero del Made in Italy (una denominazione quanto mai insincera) e i manager dell’industria automobilistica, approfittando anche della dipartita di Tavares, ma nulla più di questo. D’altro canto le tradizioni non si smentiscono. Gianni Agnelli, parlando del gruppo Fiat, diceva “Noi siamo governativi per definizione”1. La Fiat non c’è più, ma quello che resta si aggrappa a una postura che in qualche modo vuole riattivare. Non stupisce perciò l’entusiasmo del ministro Adolfo Urso, che si è permesso persino di nascondere sotto il tappeto il definanziamento di 4,6 miliardi dal Fondo automotive operato dalla manovra economica e di sbandierare l’inserimento nella medesima, tramite emendamento alla Camera, di soli 400 milioni come un atto di generosa riparazione. Urso ha parlato anche di 1,6 miliardi di euro disponibili per la filiera auto. Ma a tale cifra si arriva sommando diverse voci, che riguardano una pluralità di settori, quindi non tutte facenti riferimento all’automotive, fra cui, oltre ai già citati milioni di euro tra nuovi e residui del Fondo specifico, vi sarebbero quelli per i contratti di sviluppo (500 milioni) già esistenti, perché stanziati dal PNRR e destinati a più filiere strategiche, di cui l’auto è solo una di queste. Sommando queste cifre più altre frattaglie, il Governo promette di giungere alla poco mirabile quota di 1,6 miliardi nel triennio, subito giudicata del tutto insufficiente da Anfia (l’Associazione nazionale della filiera industria automobilistica).

Tutto ciò in cambio di che? Il nuovo numero uno di Stellantis in Europa, Jean Philippe Imparato, ha chiarito che il target di un milione di veicoli prodotti in Italia, vagheggiato solo un anno e mezzo fa, resta un sogno – per usare un eufemismo – dal momento che il volume del prodotto si è ridotto rispetto al 2023 d quasi il 30% e che si prevede che tra veicoli industriali leggeri e vetture auto il bilancio del 2024 raggiungerà a stento le 500.000 unità.

Leggi tutto

Davide Miccione: Per un luddismo ben temperato

aldous

Per un luddismo ben temperato

di Davide Miccione

Riflettere su tutte quelle parole diffusesi durante il quadriennio pandemico-bellico è fondamentale, proprio quelle che fingono di essere descrittive ma sono schiettamente valutative: negazionista climatico, no vax, filorusso, omofobo, patriarcale, populista, eccetera. Sono parole molto importanti per formare gli abitanti del nostro mondo nuovo in costruzione. Il loro uso è una sorta di cicalino d’avvertimento: ti dice che ti sei spinto oltre le colonne d’Ercole di ciò che deve essere detto o persino pensato. Il rapporto sociale mediato dai giudizi morali si potrebbe dire, parafrasando Debord.

Nella mente di chi ascolta mentre qualcuno viene così appellato appaiono e si solidificano divieti di accesso e direzioni obbligate. Si capisce che “là” non si deve mai andare. In tal senso, nei talk show i rituali accerchiamenti e le aggressioni verbali in molti contro uno di chi veramente dice l’indicibile (che non è mai la destra per la sinistra e la sinistra per la destra che simul stabunt con ciò che ne consegue) servono proprio a questo indispensabile imperativo amorale: “resta nel recinto di ciò che è opportuno dire”. In caso contrario, qualunque sia la tua statura scientifica o professionale, verrai considerato persona non grata da ogni agenzia culturale. Così si formano individui addestrati a non “esagerare”.

Ciò che mi sembra estremamente preoccupante è però l’assenza di “luddista” tra le “parole che squadrino da ogni lato”, le parole che ci dicono ciò che mai dobbiamo essere. Capita di rado di essere apostrofati così, non lo si usa e si conosce poco questo termine e ciò merita una riflessione.

Leggi tutto

Leonardo Mazzei: La fiera delle illusioni

sollevazione2

La fiera delle illusioni

di Leonardo Mazzei

Fine anno un po’ insolita. Altro che feste natalizie, qui siamo ormai alla fiera dell’irrealtà. Volessimo prendere sul serio i giornali, finiremmo per non capirci più nulla. Ma stavolta la colpa non è solo del circo mediatico. E’ che un’intera società vive ormai di illusioni e fantasie. Il che non sposta di un millimetro la realtà, ma la cela, la confonde, la inquina fino a renderla inintelligibile.

Il fenomeno è generalizzato, rilevabile e sempre più manifesto in ogni ambito della vita sociale. Ma c’è un caso che dovrebbe esser visibile anche ai ciechi: la guerra d’Ucraina.

Qui siamo di fronte al tentativo, maldestro quanto ossessivo, di mettere il carro davanti ai buoi. Senza dire come provare a fare la pace, si discute di come gestire il “dopoguerra”. E lo si fa a senso unico. Autisticamente, parlando solo con e per sé stessi. Un lusso che, al massimo, possono concedersi i vincitori quando sono davvero tali. Questa volta, però, l’Occidente non si troverà da quella parte del tavolo…

Da quel che si dice i governanti europei starebbero dibattendo su quanti soldati mandare in Ucraina. Ma a differenza della primavera scorsa, quando Macron aprì la discussione sull’invio delle truppe per combattere a fianco di Zelensky, adesso il tema è quello dell’invio dei cosiddetti “peacekeeper”. Quanti non si sa, ma le cifre vanno da 50 a 200mila. Ed è su quest’ultima cifra che insistono i più.

Leggi tutto

Fabrizio Poggi: Kiev punta a una nuova escalation prima dell’arrivo di Trump

contropiano2

Kiev punta a una nuova escalation prima dell’arrivo di Trump

di Fabrizio Poggi*

Mentre gli eredi di quei pennivendoli che nel 1940, con la dichiarazione di guerra a Francia e Gran Bretagna, inneggiavano al “Folgorante annunzio del duce” (Corriere della sera), oggi ghignano col ritornello dei fantomatici «12mila fantaccini mandati allo sbaraglio», di cui «almeno 1.100 soldati di Pyongyang» morti, coi «volti bruciati per evitarne il riconoscimento», il tutto rigorosamente “testimoniato” da fonti “attendibilissime” quali Seoul e Kiev, a Mosca si bada piuttosto ai fatti concreti.

E questi indicano una quasi sicura riattivazione delle azioni belliche a breve scadenza, sia con attacchi terroristici lontani dal fronte guerreggiato (la mano che ha minato e affondato la “Ursa Major” è la stessa dell’attentato al North stream?), sia con la preparazione di attentati (finora sventati dal FSB) contro funzionari del Ministero della difesa russo direttamente a Mosca, sia ancora con Kiev che accumula riserve da spedire al fronte, per cercare di guadagnare un po’ di terreno in coincidenza con l’insediamento di Donald Trump e l’ormai quasi inevitabile monito della Casa Bianca a Zelenskij a sedersi al tavolo negoziale.

Pare anzi che i reparti ucraini al fronte siano stati avvertiti sul prossimo arrivo di discrete quantità di reclute e si ipotizza che ciò possa esser collegato al passaggio da 25 a 18 anni dell’età di richiamo, come ormai da mesi i padrini occidentali stanno chiedendo alla junta nazigolpista di Kiev: il progetto di legge sull’età di arruolamento è già tra le carte della Rada e potrebbe entrare all’OdG del parlamento agli inizi del nuovo anno, mentre Kiev insiste coi paesi UE perché riducano aiuti e sussidi ai rifugiati ucraini in età di leva per convincerli a tornare in patria.

Leggi tutto

comidad: Da Monti a Milei. Cambia lo spot pubblicitario ma ci vendono sempre l’austerità

comidad

Da Monti a Milei. Cambia lo spot pubblicitario ma ci vendono sempre l’austerità

di comidad

La tendenza a etichettare come teoria del complotto qualsiasi perplessità venga espressa nei confronti delle versioni ufficiali non è l’effetto di superficialità o di casuali fraintendimenti, bensì rappresenta l’esigenza di difendere a oltranza il mito secondo cui gli apparati del cosiddetto Stato potrebbero derogare dalla legalità soltanto attraverso preventive quanto complesse cospirazioni. In realtà la stessa nozione di Stato è molto labile e incerta, dato che nei fatti il potere scavalca le distinzioni giuridiche e risulta trasversale tra il pubblico e il privato, e soprattutto tra la legalità e l’illegalità. La mistificazione è talmente strutturale al sistema che non c’è nulla di necessariamente pianificato nel fatto che un potere in difficoltà ricorra pretestuosamente alle emergenze in generale e all’emergenza terrorismo in particolare, poiché quest’ultima è la più facile da attuare e gestire. Il terrorismo è così salutare per il potere in ogni suo grado e in ciascuna sua articolazione, che gli attentati possono essere il risultato di iniziative di singoli funzionari, perciò tutto può procedere per fatti compiuti e successivi adattamenti degli apparati a un familiare e rassicurante meccanismo emergenziale.

Nel finale di questo 2024 il governo tedesco ha dovuto ammettere ufficialmente che l’economia è in recessione, e per un paese come la Germania ciò comporta effetti traumatici sul piano del prestigio interno e internazionale. Era meglio evitare di parlare di fallimenti industriali e dare invece al governo altri argomenti su cui creare pathos.

Leggi tutto

Leonardo Sinigaglia: Trump e la “Dottrina Monroe”

lantidiplomatico

Trump e la “Dottrina Monroe”

di Leonardo Sinigaglia*

Quasi esattamente un secolo fa gli Stati Uniti, consolidata la propria sovranità sui territori strappati al controllo dell’impero britannico, annunciavano al mondo che la totalità del continente americano sarebbe stata considerata da quel momento in avanti una zona d’esclusiva competenza di Washington. Ciò inizialmente si manifestò nel sostegno dato ai paesi latinoamericani nelle loro lotte d’indipendenza, ma l’apparenza “libertaria” dell’azione statunitense cedette presto il passo a un chiaro disegno egemonico. Quella che è passata alla Storia come “Dottrina Monroe” venne in realtà codificata più di due decenni dopo la presidenza dell’omonimo statista, esponente del Partito Democratico-Repubblicano, antenato dell’attuale GOP, che ne pose materialmente le basi. Fu durante la presidenza di James Knox Polk, democratico, che essa venne sistematizzata per mano dell’allora Segretario di Stato John Quincy Adams. Il discorso inaugurale della presidenza Polk del 1845 ben rappresenta la nuova ottica egemonica con cui la giovanissima federazione si approcciava a quello che riteneva essere di diritto il “suo” emisfero: “L’occasione è stata ritenuta opportuna per affermare, come principio in cui sono coinvolti i diritti e gli interessi degli Stati Uniti, che i continenti americani, per la condizione di libertà e indipendenza che hanno assunto e mantengono, d’ora in poi non devono essere considerati come soggetti per una futura colonizzazione da parte di alcuna potenza europea. […].

Leggi tutto

Eros Barone: Quando l’unica giustizia è la vendetta

sinistra

Quando l’unica giustizia è la vendetta

di Eros Barone

v per vendetta 1.jpgLe vostre concezioni borghesi della libertà, della cultura, del diritto ecc., sono anch’esse un prodotto dei rapporti borghesi di produzione e di proprietà, così come il vostro diritto non è che la volontà della vostra classe innalzata a legge.

K. Marx – F. Engels, Manifesto del partito comunista.

Negare, ritardare, difendere”

Il 4 dicembre scorso, il cinquantenne Brian Thompson, amministratore delegato della compagnia di assicurazioni UnitedHealthcare, è stato ucciso a colpi di pistola fuori dall’hotel Hilton Midtown di New York, dove alloggiava per partecipare alla riunione annuale degli investitori. L’uomo, che già in passato aveva ricevuto minacce di morte, è stato ucciso da un’arma da fuoco e sui proiettili utilizzati per l’agguato sono state scritte con un pennarello le parole “Negare, Ritardare, Difendere”, un chiaro riferimento alla strategia operativa delle compagnie di assicurazioni che mirano a ritardare i pagamenti, a negare i rimborsi dovuti e a difendere queste azioni dando inizio a lunghe battaglie legali. Un uomo è stato arrestato per aver presumibilmente ucciso il suddetto dirigente della multinazionale statunitense UnitedHealthcare.

Il sospettato, Luigi Mangione, è stato arrestato il 9 dicembre in Pennsylvania e la polizia ritiene che si sia trattato di un omicidio premeditato. Al momento dell’arresto, Mangione aveva con sé un “manifesto” in cui l’impresa assicurativa sanitaria viene condannata per aver ricavato i suoi enormi profitti speculando in vario modo sulle malattie dei pazienti. Nel “manifesto” si afferma a chiare lettere che «questi parassiti se l’erano cercata». 1

Sono molte le persone che, negli Stati Uniti e in altri paesi del mondo, hanno espresso comprensione per la rabbia di Luigi Mangione nei confronti di questa multinazionale della sanità privata. Il consenso di vaste masse di cittadini, che sulla Rete hanno approvato l’omicidio, ha rivelato una verità scomoda, e cioè che nel loro intimo milioni di Americani hanno sognato una simile vendetta. Fra tutte le anonime e incontrollabili forze che governano la vita quotidiana dei cittadini, la sanità commerciale è infatti quella che infligge le maggiori sofferenze e le più crudeli ingiustizie ai cittadini inermi.

Leggi tutto

Francesco Piccioni – Matthew Karnitschnig: L’apocalisse economica dell’Europa è ora

contropiano2

L’apocalisse economica dell’Europa è ora

di Francesco Piccioni – Matthew Karnitschnig*

apocalisse europa.jpgIl 2025 non sarà un buon anno. I tanti segnali di crisi non hanno fin qui spaventato decisori politici e aziende europee al punto da definire con chiarezza l’entità dei problemi, le loro cause e quindi – tanto meno – le possibili soluzioni.

Ma unendo i punti delle diverse crisi viene fuori un’immagine con poche speranze di allegria.

Consigliamo la lettura dell’analisi fatta in questi giorni da Matthew Karnitschnig – giornalista austro-americano, su Politico – proprio perché riassume bene l’interconnessione tra le diverse crisi europee.

Naturalmente non condividiamo affatto la sua visione d’insieme, classicamente neoliberista, né quindi le “soluzioni” che lascia trapelare (“gli europei lavorano troppo poco“, ad esempio), ma questa analisi resta importante per capire cosa sta finendo di distruggere il Vecchio Continente e quanto sia praticamente impossibile che questo declino si inverta prima di arrivare alla logica conclusione.

Sotto accusa, senza neanche nominarlo esplicitamente, è il modello di sviluppo adottato dalla Germania e poi imposto a tutta l’Unione Europea: il mercantilismo, ossia l’adozione del modello di crescita fondato sulle esportazioni.

I nostri lettori più attenti conoscono bene le nostre critiche sociali ed economiche in merito – salari fermi o in regresso, ridisegno delle filiere produttive continentali a esclusivo vantaggio di quelle tedesche, politiche di austerità che hanno bloccato l’intervento pubblico nella produzione (mentre le aziende preferivano massimizzare con poco sforzo di innovazione tecnologica i vantaggi del modello export oriented), svalutazione dei percorsi formativi di qualsiasi livello e delle università (i “diplomifici” online sono solo l’ultima vergogna di questo processo) e quindi anche un rallentamento drastico della ricerca scientifica (peraltro sistematicamente de-finanziata anche nel settore pubblico).

Leggi tutto

Marcello Musto: Marx: la sua critica al colonialismo è più attuale che mai

blackblog

Marx: la sua critica al colonialismo è più attuale che mai

C.J. Polychroniou intervista Marcello Musto

Contrariamente alle errate interpretazioni liberali, Marx era un feroce critico del colonialismo, afferma lo studioso marxista Marcello Musto

2023 1214 karl marx 1200x778.jpgC.J. Polychroniou – Nell’ultimo decennio, tra gli intellettuali di sinistra, c’è stato un rinnovato interesse per la critica di Karl Marx al capitalismo.Tuttavia, il capitalismo è cambiato drasticamente dai tempi di Marx, e l’idea che sia condannato all’autodistruzione a causa delle contraddizioni che sorgono dal funzionamento della sua stessa logica non sembra più meritare credibilità intellettuale. La classe operaia di oggi è molto più complessa e diversificata di quella dei tempi della rivoluzione industriale. Inoltre, la classe operaia non ha adempiuto alla missione storica mondiale immaginata da Marx. Infatti, sono state proprio simili considerazioni a dare origine al post-marxismo; una posizione intellettuale in voga tra gli anni ’70 e ’90, che attacca la nozione marxista di analisi di classe e sottovaluta le cause materiali dell’azione politica radicale. Ma ora, a quanto pare, sembra che ci sia ancora una volta un ritorno alle idee fondamentali di Marx. Come spiegarlo? In effetti, Marx è ancora attuale oggi?

Marcello Musto: «La caduta del muro di Berlino è stata seguita da due decenni di omertà sull’opera di Marx. Negli anni ’90 e 2000, l’attenzione rivolta a Marx era estremamente scarsa e lo stesso si può dire della pubblicazione, e della discussione, dei suoi scritti. L’opera di Marx – non più identificata con l’odiosa funzione svolta  dall’Unione Sovietica in quanto instrumentum regni – si è ritrovata al centro di un rinnovato interesse globale, nel 2008, dopo una delle più grandi crisi economiche nella storia del capitalismo. Giornali prestigiosi, così come periodici con un vasto pubblico, hanno descritto l’autore del Capitale come un teorico lungimirante, la cui rilevanza è stata ancora una volta confermata. Marx è diventato quasi ovunque oggetto di corsi universitari e conferenze internazionali. I suoi scritti allora riapparvero sugli scaffali delle librerie e la sua interpretazione del capitalismo acquisì un rinnovato slancio. Negli ultimi anni c’è stata anche una riconsiderazione di Marx come teorico politico, inducendo molti autori con una visione progressista a sostenere che le sue idee continuano a essere indispensabili per coloro che credono sia necessario costruire un’alternativa alla società in cui viviamo.

Leggi tutto

Pino Arlacchi: Così l’Occidente ha perso Ankara

lantidiplomatico

Così l’Occidente ha perso Ankara

di Pino Arlacchi*

I colossi economici Usa hanno complottato per impoverire il regime di Erdogan. Così il “Sultano” ha deciso di mischiare le carte e cambiare le alleanze: ne vediamo gli effetti in Siria

La grandezza di una civiltà si misura dalla sua capacità egemonica, dall’attrazione che esercita in primo luogo sulle entità politiche più vicine.

Queste finiscono con l’entrare nella sua orbita fino al punto di esserne, in certi casi, assorbite. La perdita di egemonia, al contrario, innesca prese di distanza che possono sfociare in avversione, ostilità e guerre.

Questo è quanto accaduto negli ultimi anni nei rapporti tra la Turchia e l’Occidente. A una fase di ravvicinamento e di intesa così ampi da arrivare fino alla soglia dell’inclusione del maggiore paese del Medioriente nell’Unione europea, è seguito un rapido distacco che ha portato Ankara, nell’ultimo decennio, a diventare una vera e propria alterità rispetto a Bruxelles e a Washington. I due principali legami rimasti sembrano ancora consistenti, ma il cuore della Turchia batte ormai verso l’altra parte del continente eurasiatico.

I rapporti commerciali con l’Europa e l’appartenenza alla Nato contano ancora molto per Ankara, ma la sua politica estera si dirige sempre più verso i lidi non occidentali: Brics, Cina e Russia per intenderci.

Leggi tutto

Infoaut: Autonomia differenziata: rompere la solidarietà per liberare ancora la ferocia del mercato

infoaut2

Autonomia differenziata: rompere la solidarietà per liberare ancora la ferocia del mercato

di Infoaut

Quando si parla di Autonomia Differenziata il rischio è quello di credere che dietro questa formulazione si nasconda nient’altro che il secessionismo leghista della prima ora agghindato in chiave “riformista”. In realtà quanto abbiamo di fronte è ben più complesso e attuale.

Ancora una volta se ci si ferma alla discussione sui concetti astratti, come federalismo, autonomia, patria e stato non si può capire come possano stare insieme nel disegno del governo due riforme apparentemente in contraddizione come il presidenzialismo e l’autonomia differenziata. L’una in termini ideali dovrebbe portare a un maggiore centralismo, l’altra invece in un decentramento dei poteri. A prima vista questo può sembrare uno strano pasticcio, ma se si inserisce la questione dello Stato nel quadro del capitalismo contemporaneo tutto diventa più nitido.

Ciò che sottolineano tutti giustamente è che questa riforma genererà ulteriore disuguaglianza su base geografica nel campo delle cure, dell’istruzione, del reddito più in generale, ma la riflessione spesso si ferma ai sintomi di qualcosa di più profondo.

Proviamo a entrare nel merito. Il nodo della questione, aggirando le retoriche che si sono formate sul tema dell’autonomia differenziata, è che le regioni del Nord agganciate maggiormente alle catene del valore internazionali vogliono trattenere più risorse per investimenti senza dover disperdere questa concentrazione a favore della solidarietà nazionale.

Leggi tutto

Clara Statello: L’Europa ha perso la guerra in Ucraina (ma potrebbe finire anche peggio)

lantidiplomatico

L’Europa ha perso la guerra in Ucraina (ma potrebbe finire anche peggio)

di Clara Statello

L’Unione Europea è stata sconfitta nella guerra in Ucraina. Lo ha detto domenica sera il premier ungherese Victor Orban parlando al canale televisivo M1. “Nonostante i tentativi di negarlo” la situazione è chiara: la Russia avanza in prima linea e l’UE dovrà adeguarsi alla nuova realtà.

Orban fa l’adulto nella stanza. Se gli europei entrassero in guerra, la sconfitta sarebbe ancora maggiore. “E’ necessario che il conflitto resti circoscritto”. È necessario che l’UE stabilisca degli “obiettivi realistici”.

 

La sconfitta dell’Europa

A poche ore dal suo insediamento come Alto Rappresentante per gli Affari esteri, Kaja Kallas ribadiva ai giornalisti dell’ANSA che l’UE sostiene una vittoria dell’Ucraina e lavora per ottenerla. La questione è cosa si debba intendere per “vittoria”.

Kiev sembra essersi rassegnata alla rinuncia dei territori sotto controllo russo. Dopo l’apertura a temporanee concessioni territoriali, adesso Zelensky (che Mosca reputa illegittimo come presidente) ammette che l’Ucraina non ha la forza per riconquistare Donbass e Crimea. E naturalmente chiede ai suoi partner di avere più armi, più soldi e un invito alla NATO per poter sedersi al tavolo di futuri negoziati “da una posizione di forza”, sperando di riottenerli via diplomatica.

Leggi tutto

Giorgio Agamben: Il lavoro e la vita

quodlibet

Il lavoro e la vita

di Giorgio Agamben

Si sente spesso elogiare la Costituzione italiana perché ha posto a suo fondamento il lavoro. Eppure non soltanto l’etimologia del termine (labor designa in latino una pena angosciosa e una sofferenza), ma anche la sua assunzione a insegna dei campi di concentramento («Il lavoro rende liberi» era scritto sul cancello di Auschwitz) avrebbero dovuto mettere in guardia contro una sua accezione così incautamente positiva. Dalle pagine della Genesi, che presentano il lavoro come una punizione per il peccato di Adamo, al brano tanto spesso citato dell’Ideologia tedesca in cui Marx annunciava che nella società comunista sarebbe stato possibile, invece di lavorare, «fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come ne viene voglia», una sana diffidenza verso il lavoro è parte integrante della nostra tradizione culturale.

C’è, però, una ragione più seria e profonda, che dovrebbe sconsigliare di mettere il lavoro a fondamento di una società. Essa proviene dalla scienza, e in particolare dalla fisica, che definisce il lavoro attraverso la forza che occorre applicare a un corpo per spostarlo. Al lavoro così definito si applica necessariamente il secondo principio della termodinamica. Secondo questo principio, che è forse l’espressione suprema del sublime pessimismo cui giunge la vera scienza, l’energia tende fatalmente a degradarsi e l’entropia, che esprime il disordine di un sistema energetico, altrettanto fatalmente ad aumentare. Quanto più produciamo lavoro, tanto più disordine ed entropia cresceranno irreversibilmente nell’universo.

Leggi tutto

Paolo Bartolini: Punti d’incontro e priorità

sinistra

Punti d’incontro e priorità

di Paolo Bartolini

Se il libro di Mimmo Cangiano (“Guerre culturali e neoliberismo”, nottetempo) è prezioso – e lo è sicuramente – lo dobbiamo all’equilibrio e alla fermezza della tesi centrale. Parlare di woke culture e di battaglie identitarie implica una riflessione preliminare sull’uso che il potere capitalista può fare di esse. L’errore più grande è separare oppressione e sfruttamento, senza riconoscere che il tecno-capitalismo gioca su più tavoli. In alcune parti del mondo si avvale del patriarcato più retrivo, in altre flirta felicemente con la retorica del “fluido”, con il nomadismo identitario e altri concetti strappati alla cosiddetta French Theory (in auge nelle università americane). In sintesi possiamo dire questo: per una certa corrente di pensiero affermatasi negli ultimi decenni del Novecento, il conflitto principale non sarebbe tra capitale e lavoro, ma tra l’universalismo occidentale, eteronormativo e coloniale, e tutti coloro che recalcitrano a essere assorbiti in seno all’Uno dei moderni. Ne consegue che, in linea di massima, ci si illuda di mettere in crisi il potere semplicemente rivendicando un’identità non conforme a quelle maggioritarie. Sfuggire ai binarismi, moltiplicare la richiesta di diritti civili, elogiare le identità fluide che non si fanno catturare dal discorso dominante (sessista, maschio ed euro-centrico) sarebbe già l’inizio della rivoluzione. Chi rifiuta la reductio ad unum, insomma, si ritiene in quanto tale un pericolo per il potere.

Leggi tutto

 

Sharing - Condividi