Forum Italiano dei Comunisti – 03/01/2025
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LA DISCUSSIONE E’ APPENA INIZIATA
A proposito delle puntualizzazioni del compagno Giusti
In questa fase non possiamo certo considerare esaustive le cose che andiamo dicendo e scrivendo. Dobbiamo considerarle un’apertura di dibattito. Questo vale anche per le cose che ci siamo detti con il compagno Federico Giusti. Le puntualizzazioni che seguono servono quindi a fissare i termini di un dibattito che speriamo possa coinvolgere un buon numero di compagni e compagne.
1 – La questione comunista.
Non si tratta di fare l’analisi del sangue per stabilire chi è comunista. Nè si può essere comunisti ‘a prescindere’ come è accaduto per quelli che usiamo definire identitaristi. Molta acqua è passata sotto i ponti dalla fondazione dell’Internazionale di Lenin e dalla crisi del movimento comunista e necessariamente riparlare di comunismo e di comunisti significa stabilire punti di riferimento obiettivi. Fino ad oggi non abbiamo avuto grandi dibattiti al riguardo. Si è avuta una conferma di un’astratta posizione marxista-leninista da parte di un certo numero di partiti che si definiscono comunisti e, soprattutto, c’è stata una adesione maggioritaria di organizzazioni comuniste che hanno individuato la svolta del marxismo nel mondo dopo l’esperienza sovietica nei teorici del socialismo con caratteristiche cinesi.
Per quanto ci riguarda e per essere chiari, noi ci siamo permessi di scrivere un testo che uscirà stampato a gennaio e si intitola “Il socialismo nel XXI secolo alla luce di una lettura materialista della storia del movimento comunista”, nel quale sostanzialmente diciamo che la storia dei comunisti ha avuto diverse configurazioni in rapporto alle condizioni storiche e ciò che li distingue, da un’epoca all’altra, è in rapporto dialettico con la realtà che ne ha confermato il ruolo nel processo di trasformazione del sistema capitalistico. Al di fuori di questa dialettica e di questo ruolo, parlare di comunisti è illogico e puramente ideologico, al limite del romanticismo.
Per riportare la questione ai nostri giorni – e in Italia – essere comunisti significa aver individuato una strategia concreta di trasformazione della società e verificarne i risultati, rimettendo, in altri termini, coi piedi per terra la definizione di comunisti, come è stato nella loro storia passata quando sono stati capaci di sfide epocali.
In Italia stiamo ancora aspettando che questi nodi si sciolgano, ma questo non vuol dire che non bisogna parlare di comunismo, ma semmai dargli un senso concreto e politicamente efficace.
2 – La questione sindacale.
La questione sindacale, intesa non come insieme di atti burocratici contrattuali, ma legata al conflitto capitale-lavoro, che ha quindi una dinamica necessariamente politica (non direttamente partitica però), non può essere considerata in maniera spontaneistica. In tutte le situazioni in cui i comunisti hanno avuto un peso determinante nel conflitto di classe, il legame tra politica e lotte ha avuto uno sviluppo correlato. Marx nel Manifesto aveva affermato, al suo tempo, che con le lotte il proletariato poteva ottenere dei risultati, ma la cosa più importante era lo sviluppo dell’organizzazione dei lavoratori e quindi ogni sconfitta, aggiungiamo noi, pesa su questa prospettiva oltre che sul loro potere contrattuale. Per questo le lotte e la valutazione di tutti gli elementi che concorrono al loro risultato sono un compito eminentemente politico e in questo senso si è sempre detto che i comunisti sono (o dovrebbero essere) l’avanguardia della classe.
Andando al concreto della situazione italiana, aldilà delle articolazioni produttive, ci sono 24 milioni di lavoratori dipendenti che aspettano di essere difesi. Sappiamo che cos’è stato il consociativismo, sappiamo che è stata introdotta una normativa per bloccare i conflitti, sappiamo anche che si impone il monopolio della contrattazione a beneficio dei confederali. Il terreno da scegliere deve perciò tener conto di tutto questo e bisogna capire come superare gli ostacoli. Il sindacalismo di base è riuscito a sostenere lotte autonome significative e a riaffermare il principio costituzionale di libertà di associazione. Pensare che tutto questo basti per risalire la china fa parte però della interpretazione ideologica dei fatti, che devono tener conto invece del protagonismo effettivo dei lavoratori e dello sviluppo della loro autonomia di classe come elementi essenziali della ripresa. Il movimento di lotta non può essere avanguardismo né ridotto a proporzioni insignificanti. Da qui bisogna partire, in un dibattito aperto, per vedere come andare avanti.