Rassegna 07/01/2025
Eros Barone: Il fondamentale contributo di Mao al pensiero comunista
Il fondamentale contributo di Mao al pensiero comunista
di Eros Barone
1. Una carenza della cultura politica italiana
L’anno scorso ricorreva il centotrentesimo anniversario della nascita di Mao Zedong, noto alla mia generazione come Mao Tse-tung (1893-1976). Era facile prevedere che su quell’anniversario sarebbe calato, come infatti è calato, il totale silenzio non solo dei ‘mass media’ borghesi, ma anche, tranne poche eccezioni, delle stesse organizzazioni della sinistra comunista.
Sennonché, tralasciando i primi che, in quanto ‘armi di distrazione di massa’, si limitano a fare il loro mestiere, sarebbe invece opportuno interrogarsi sul comportamento delle seconde per capire le ragioni della debolezza manifestata dalla cultura politica italiana (e dalla cultura ‘tout court’) nei confronti dell’esponente di una delle maggiori esperienze, sia politiche che filosofiche, del Novecento.
In effetti, nonostante per alcuni versi la Cina sia ormai così vicina all’Italia da poter essere considerata (che si aderisca alla “Via della Seta” o che se ne esca) una delle componenti più rilevanti dell’economia del nostro paese, per altri versi, come dimostra la debolezza or ora menzionata, la Cina resta lontana.
Eppure, è difficile negare che se il pensiero di Mao non ha influito a sufficienza sulla cultura politica del nostro paese e non è stato a sufficienza assimilato e discusso dal fragile marxismo italiano, ciò si è risolto in un danno per quest’ultimo.
È infatti sorprendente che le pagine, pur verbalmente celebrate, del magistrale saggio di Mao Sulla contraddizione 1 non abbiano trovato l’attenzione e l’approfondimento che ancor oggi esse attendono.
Gli stessi comunisti di orientamento marxista avrebbero tutto l’interesse a condurre un’analisi delle classi della società italiana che fosse altrettanto rigorosa e perspicua quanto l’Analisi delle classi nella società cinese, che, quasi un secolo fa (e nello stesso anno in cui in Italia apparivano le Tesi di Lione del Partito comunista d’Italia), fu in grado di sviluppare Mao.2
Gianandrea Gaiani: L’Ucraina chiude i rubinetti del gas russo
L’Ucraina chiude i rubinetti del gas russo
di Gianandrea Gaiani
Prima che propaganda e disinformazione (la nostre, non quelle russe) impostino narrazioni “fantasiose” circa lo stop alle forniture di gas russo all’Europa attraverso i gasdotti ucraini e le conseguenze sul caro-energia, ci sono almeno tre punti che vanno evidenziati.
Il primo è che la decisione di non rinnovare il contratto con Gazprom per il transito del gas verso la UE (in media 42 milioni di metri cubi al giorno, 14/15 miliardi all’anno, transitati nonostante la guerra in corso) è stata presa dall’Ucraina (per ragioni di “sicurezza nazionale” ha detto il ministro dell’Energia di Kiev) che, in accordo con gli Stati Uniti e alcune nazioni europee, punta a tagliare ogni residua forma di legame politico, commerciale e soprattutto energetico tra Russia e UE.
Non sorprende che il presidente ucraino Volodymyr Zelenski lo abbia definito “una delle più grandi sconfitte di Mosca” ricordando che “quando Putin prese il potere in Russia più di 25 anni fa, il volume annuo di gas inviato attraverso l’Ucraina in Europa ammontava a più di 130 miliardi di metri cubi“.
Semmai l’aspetto sorprendente è che la decisione di Kiev non sia contestata né ostacolata dall’Unione Europea, innanzitutto perché, nonostante le dichiarazioni di Ursula von der Leyen e gli alti costi energetici patiti nel Vecchio Continente dal 2022, l’Unione non è riuscita a fare meno del gas russo come si era ripromessa.
Mosca è ancora oggi il nostro maggior fornitore di gas (insieme agli USA) ma a prezzi molto più elevati perché ci viene rivenduto da terzi o perché acquistato in forma liquida (GNL), quindi molto più costoso rispetto al gas trasferito via tubo.
Infatti nel 2024 le importazioni di GNL russo dell’Unione Europea hanno toccato un livello record, superando i 16,5 milioni di tonnellate, come ha ricordato recentemente il Financial Times, per un terzo acquisito tramite il “mercato spot”, che permette acquisti a breve termine a prezzi più bassi. La Germania importa GNL russo dalla Francia mentre Belgio e Paesi Bassi continuano a fungere da piattaforme logistiche per il gas russo.
Roswitha Scholz: Critica del Valore alla vecchia maniera: commenti sul conservatorismo di sinistra di Anselm Jappe
Critica del Valore alla vecchia maniera: commenti sul conservatorismo di sinistra di Anselm Jappe
di Roswitha Scholz
Anselm Jappe viene considerato un rappresentante della Critica del Valore, e ha fatto in modo che la Critica del Valore si diffondesse anche nei paesi non di lingua tedesca. Ha anche scritto quella che costituisce una “introduzione alla critica del valore” (“Le avventure della Merce” 2005). A volte viene persino considerato come se fosse stato il cofondatore della Critica del Valore, cosa che non è vera, dato che i principi fondamentali erano già stati formulati prima che Jappe, all’inizio degli anni Novanta, comparisse. Egli pertanto viene ritenuto un “esperto” – a livello internazionale – della Critica del Valore. Eppure, tuttavia, Jappe oggi rappresenta delle posizioni che costituiscono l’esatto opposto della Critica del Valore: mentre quest’ultima ha sempre criticato aspramente una concezione del capitalismo personalizzante, ecco che esso ora riappare improvvisamente proprio con Jappe, mostrando anche una certa vicinanza alle teorie del complotto (Jappe: Ha detto “dittatura sanitaria”?). Da allora ha incrociato altri critici del Valore che però non hanno partecipato a questa svolta. Da allora, lo vediamo accompagnato dalla sua passione per il romanticismo agrario, l’Ontologia e l’Antropologia, e dal suo “amore” per la Natura, e per quello verso una presunta natura umana che non si sottrae ai presupposti malthusiani. Su tutto questo, è ovviamente in linea con uno Zeitgeist autoritario che valorizza l’autenticità, la genuinità e simili. Anselm Jappe, nel suo testo “I vivi e i morti nella critica del valore”, sottopone la Critica del Valore a una revisione che, qui di seguito, costituirà l’argomento principale. Gli elementi essenziali della Critica del Valore, in questo suo articolo buttato giù troppo rapidamente, vengono travisati o distorti. Jappe tiene poco conto di quelli che sono stati gli ulteriori sviluppi successivi alla reazione di questa critica. Inoltre, molte delle obiezioni che solleva erano già state ampiamente discusse decenni fa. A tal proposito, gran parte di ciò che Jappe produce nel suo testo può essere affrontato con il metodo copia&incolla, che utilizzerò ampiamente anche in questa mia risposta. Jappe non risponde ad argomenti che sono stati avanzati da tempo, ma insiste dogmaticamente, alla vecchia maniera, su una critica del valore passata/morta.
Enrico Tomaselli: Putin l’africano
Putin l’africano
di Enrico Tomaselli
È interessante osservare gli sviluppi susseguenti alla repentina caduta del regime di Assad, e alla conseguente ascesa dei jihadisti moderati, che sembrano produrre effetti leggermente diversi da quelli auspicati e immaginati nelle cancellerie occidentali. Ancora oggi, la ministra degli esteri tedesca Annalena Baerbock, volata a Damasco insieme al collega francese Jean-Noël Barrot, ha ripetuto il mantra che “la Russia deve essere espulsa dalle basi di Hmeimim e Tartus”, manifestando ostinatamente l’infantilismo politico che caratterizza le leadership europee. Il nuovo regime siriano, infatti, su evidente input del suo main sponsor turco, ha già messo in chiaro che gli interessi strategici di Damasco escludono un simile evolversi della situazione.
Benché immediatamente festeggiata in occidente come un duro colpo per Mosca e Teheran, la caduta di Assad si sta piuttosto rivelando come un evento capace di scuotere gli equilibri regionali, ma non necessariamente nel senso desiderato a Washington e Bruxelles. Per un verso, infatti, la situazione interna siriana rimane estremamente instabile, con il Syrian National Army – di stretta osservanza turca – chiaramente assai più impegnato ad affrontare la questione curda che non in un processo di nation building, l’Hayat Tahrir al-Sham che si barcamena tra le spinte oltranziste delle sue frange più radicali e la costruzione di una credibilità internazionale, gli Stati Uniti (chiaramente poco disposti a cedere il controllo del petrolio siriano ad Ankara) sempre più schierati a sostegno delle SDF, mentre Israele continua a scorrazzare liberamente, occupando pezzi di territori e bombardando ovunque voglia.
Orly Noy: L’anno dopo, nulla sarà più come prima
L’anno dopo, nulla sarà più come prima
di Orly Noy
Orly Noy è redattrice di Local Call, attivista politica e traduttrice di poesia e prosa in Farsi. È presidente del comitato esecutivo di B’Tselem e attivista del partito politico nazional democratico palestinese Balad. I suoi scritti affrontano la sua identità di Mizrahi, di donna di sinistra, di donna, di migrante temporaneo che vive come un’immigrata perpetua, e il costante dialogo tra queste identità
Fame, Torture, Pulizia Etnica, Genocidio, indifferenza e persino gioia di fronte alle uccisioni, alla soppressione di ogni critica e all’oppressione dei cittadini palestinesi, il 2024 è stato l’anno in cui abbiamo tirato fuori il peggio di noi.
Il compito di riassumere l’anno che si è concluso sembra impossibile. I demoni mostruosi che ha liberato dall’abisso continuano ad aleggiare intorno a noi in preda alla follia, offuscando il nostro campo visivo e la nostra coscienza. Ma una cosa si può dire: è stato un anno dopo il quale niente sarebbe stato più lo stesso.
Un anno in cui un orrore più grande di ogni immaginazione è stato condensato in poche parole: Fame, Tortura, Pulizia Etnica, Genocidio. Una persona può comprendere, comprendere davvero, il pieno significato di queste parole che sono impresse in noi sotto forma di immagini orribili che giungono da Gaza giorno dopo giorno, ormai da un anno intero? È possibile digerire il fatto che l’Olocausto di Gaza non è una forza della natura, ma un lavoro ben ponderato portato avanti dalle persone che siamo noi, i nostri fratelli, padri, figli e vicini?
Paolo De Prai: La strategia del vampiro dei sionisti contro i palestinesi
La strategia del vampiro dei sionisti contro i palestinesi
di Paolo De Prai*
Sono in disaccordo su quanto motivato ultimamente da Bassam Saleh, ma nel rispondere non voglio polemizzare ma ragionare
Per capire cosa avviene in Medio Oriente bisogna partire da una visione a largo spettro.
C’è stata una evoluzione culturale tra i genocidi sionisti, che da visioni colonialiste/socialiste sono passati a visioni marcatamente razziste (Irgun, banda Stern), ma dopo la seconda guerra mondiale ha preso il sopravvento la componente sionista yankee (vedi il rabbino Meir Kahane), con drammatiche conseguenze.
I sionisti made in USA hanno un esempio storico per come è stata costituita quella nazione dall’inizio del XVII secolo, un continuo appropriarsi di terre dei nativi, prima relegandoli in aree ridotte nel New England, poi in riserve sempre più a est e infine sterminandoli con tutti i mezzi possibili (“l’unico pellirossa buono è quello morto”, per chi si fosse scordato di questo loro slogan), operando perché i nativi non costituissero loro entità statuali.
La prospettiva da cui partono i sionisti yankee è perciò una visione di lunga durata, dove i palestinesi (ma anche gli arabi/mussulmani) vanno marginalizzati per poi essere sterminati, i mezzi truculenti o dissimulati sono solo un approccio all’obiettivo finale, la pulizia etnica.
Se c’è tanta affinità tra classe dirigente yankee e i sionisti il motivo va cercato anche in quello che ho appena detto, anche perché gli obiettivi strategici sono comuni seppure i sionisti mantengono una loro autonomia.
Alessandro Scassellati: Il ritorno delle classi sociali nel dibattito sulla composizione sociale in Italia
Il ritorno delle classi sociali nel dibattito sulla composizione sociale in Italia
di Alessandro Scassellati
Dopo decenni in cui il dibattito pubblico e la ricerca sociologica in Italia e a livello internazionale è stato permeato dalla famosa frase di Margaret Thatcher che la società non esiste mentre “ci sono singoli uomini e donne e ci sono famiglie”, si torna a ragionare sul concetto e sul ruolo delle classi sociali nella strutturazione delle società contemporanee. Pier Giorgio Ardeni, professore di Economia politica e dello sviluppo all’Università di Bologna, ha scritto un libro importante (Le classi sociali in Italia oggi, Laterza, Roma-Bari 2024) che fa il punto su ricerche e dibattito nazionale e internazionale sulla composizione sociale con l’approccio dell’economia politica, una disciplina che a partire dai suoi fondatori (Smith, Ricardo e Marx) ha sempre studiato la relazione tra economia e società, indagando in modo particolare il tipo di ordine sociale che storicamente emerge e si struttura di fatto in relazione al mutare dell’economia capitalistica.
Di classi sociali si era praticamente smesso di parlare in Europa a partire dagli anni ’90, sia nel discorso politico sia nella percezione comune. Nel 1999, Tony Blair, uno degli alfieri della “terza via”, aveva affermato che “la lotta di classe è finita” perché “ora siamo tutti classe media” negli stili di vita e nelle aspirazioni. Nell’ambito di un capitalismo “democratico”, lo Stato doveva garantire uguali possibilità a tutti, intervenendo e contribuendo affinché tali aspirazioni degli individui si potessero realizzare sulla base del “merito” (attraverso un rafforzamento del legame tra credenziali educative, lavoro e reddito). In quei decenni, con l’avanzare dei processi di deindustrializzazione e di terziarizzazione dell’economia, i sociologi (e anche i politici) hanno sostituito le classi sociali con termini più neutri come quelli di “ceti, gruppi e fasce sociali”, legati alla distribuzione del reddito, alle professioni e alle disparità di ceto (stili di vita), genere, età, zona di origine ed etnia/nazionalità. Giuseppe De Rita e il Censis hanno cantato la “cetomedizzazione” come contraltare della terziarizzazione.
Il Pungolo Rosso: Bambini morti di freddo o divorati dai cani randagi: questa è la “normalità” a Gaza, oggi
Bambini morti di freddo o divorati dai cani randagi: questa è la “normalità” a Gaza, oggi
di Il Pungolo Rosso
Dal blog di Alain Marshal sul sito “Mediapart” riprendiamo questo pezzo che è costruito con due articoli della CNN: una fonte più insospettabile di questa, implicata com’è in tutta la propaganda di guerra yankee, è impossibile. L’attuale situazione a Gaza è al di là di ogni parola, un orrore al di là di ogni orrore immaginabile – come solo può esserlo una guerra che ha i bambini, i bambini palestinesi come uno dei primissimi bersagli, sparando alla loro testa (come abbiamo documentato), facendoli morire di fame (**), di freddo, di malattie, spezzandogli braccia e gambe, o arrestandoli e facendoli marcire nelle carceri (*).
L’autore collettivo responsabile di questi immondi crimini non è solo lo stato coloniale sionista; sono l’Italia di Meloni-Mattarella & Schlein, l’Unione europea, gli Stati Uniti senza il cui sostegno militare, economico, propagandistico, Israele crollerebbe in pochi giorni.
Rilanciamo con tutte le nostre forze la denuncia di questo genocidio pianificato portato avanti dall’intero campo occidentale, le azioni concrete per spezzare alla fonte i legami che lo alimentano, la solidarietà al popolo palestinese e alla resistenza palestinese. (Red.)
Con le solite contorsioni linguistiche, questi due articoli della CNN toccano la serie di orrori inflitti a Gaza da oltre un anno dall’esercito genocida israeliano, che gode del pieno sostegno militare, diplomatico e mediatico del “civile Occidente”. Dato che non riguardano degli ucraini, ma “solo” una popolazione arabo-musulmana, questi abomini suscitano in noi solo indifferenza, se non addirittura stanchezza. Opponiamoci a questa disumanizzazione!
Quattro bambini muoiono di ipotermia a Gaza mentre la guerra di Israele costringe i palestinesi nelle tendopoli
Francesco Marabotti: Idee per una Insurrezione politica ed esistenziale
Idee per una Insurrezione politica ed esistenziale
di Francesco Marabotti e L’Indispensabile
I. “La Nuova Società”
“La società futura sarà organizzata da un nuovo elemento, l’industria, e gli industriels assumeranno la direzione della vita pubblica, in virtù del potere fondato non sulla costrizione ma sul consenso.
Per sua stessa costituzione, la scienza è universale e pacifica, perciò anche la nuova società scientifico-industriale avrà carattere di universalità: essa si estenderà all’umanità intera e sarà contrassegnata dalla coesistenza di ordine e progresso, senza violente fratture rivoluzionarie.
La scienza e l’industria sono destinate a diventare depositarie del potere temporale e spirituale”[1].
In un testo del 1825, intitolato Nuovo Cristianesimo, il filosofo francese Saint-Simon esprimeva queste idee a mio avviso profetiche. Mi sembra che descrivano bene il mondo in cui ci troviamo.
Il sistema di potere neo-totalitario, per dirla con Pasolini, non domina più attraverso la coercizione, sebbene questa si possa presentare come estrema ratio in determinate situazioni, come abbiamo visto durante gli anni della pandemia, ma mediante il consenso, o cosiddetta “spinta gentile”.
La società dello spettacolo e dei consumi, o sistema di potere neoliberale, è cioè capace da un lato di svuotare lo stato sociale e la democrazia di sostanza, pur lasciandone intatta la forma, ma dall’altro di operare una forma di indottrinamento sottile e inconscio sulla mente degli individui.
comidad: Il feticismo delle percentuali delle euro-caste sacerdotali
Il feticismo delle percentuali delle euro-caste sacerdotali
di comidad
Dall’alto della sua saggezza il ministro dell’Economia Giorgetti ci ha fatto sapere che arrivare al 2% del PIL di spesa militare sarebbe un obbiettivo troppo ambizioso. In realtà tutta la questione della spesa militare è posta in termini piuttosto confusi, dato che il PIL non è un numero assoluto, cioè può crescere ma anche decrescere in caso di recessione economica; per cui fissare una percentuale non è di per se stesso indicativo di una precisa quantità di spesa.
Anche il segretario della NATO Rutte accentra il discorso sulle percentuali di spesa militare rispetto al PIL, da aumentare senza ritegno; magari ammiccando alla possibilità di sottrarre qualcosa al welfare. Ancora una volta si tratta di puro feticismo dei numeri, cioè di affermazioni vaghe che non hanno nessun valore programmatico. In termini di strategia militare occorrerebbe infatti stabilire preliminarmente quali sistemi d’arma servirebbero e in quali quantità, ciò in rapporto alle dimensioni delle forze armate. Una strategia militare realistica inoltre non potrebbe permettersi di ignorare la questione della sostenibilità dei costi a lungo termine. Se i costi sfuggono al controllo, sarà la stessa strategia a sfuggire al controllo.
Se questi obbiettivi di spesa militare non hanno senso dal punto di vista strategico, ce l’hanno invece dal punto di vista del lobbying delle armi. Non c’entra la strategia militare ma la strategia di vendita: compra più armi e sarai felice.
Fabrizio Marchi: Iran, il prossimo obiettivo
Iran, il prossimo obiettivo
di Fabrizio Marchi
Il prossimo obiettivo strategico degli USA e di Israele è la destabilizzazione dell’Iran, su questo non c’è alcun dubbio. Del resto ci stanno lavorando da sempre sia sotto il profilo militare, con il lancio di droni e missili sul territorio iraniano e con la prassi delle “esecuzioni mirate” (ricordiamo l’assassinio del generale Soleimani e il più che sospetto ”incidente” in cui ha trovato la morte l’ex Presidente della Repubblica Islamica, Ebrahim Raisi precipitato con l’elicottero su cui viaggiava), sia su quello ideologico-mediatico. Quest’ultimo fa leva sulle contraddizioni e le divisioni presenti sia all’interno dei vari apparati dello stato che, soprattutto, all’interno della società civile iraniana che potremmo molto, sottolineo, molto sommariamente dividere in conservatori (clero tradizionalista e ceti popolari delle campagne) e in “riformisti” (la borghesia delle città favorevole a un processo di avvicinamento del paese all’Occidente). Che tale obiettivo possa essere raggiunto attraverso una cosiddetta “rivoluzione colorata” o un sovvertimento del regime a opera di alcuni settori militari e politici o con un combinato disposto fra i due, è del tutto indifferente perché ciò che importa è raggiungere lo scopo. In buona sostanza sia in un caso che nell’altro si tratta di facce della stessa strategia.
Una volta destabilizzata la Repubblica Islamica dell’Iran, gli Stati Uniti, Israele e il blocco occidentale tornerebbero a essere completamente egemoni in tutto il Medioriente, anche se in coabitazione con la Turchia che comunque è pur sempre un membro autorevolissimo della NATO e ha oggettivamente da guadagna re dall’eventuale crollo dell’attuale stato iraniano, perché si sbarazzerebbe del suo principale competitor in quanto potenza regionale (Israele a parte ma contro questo non può nulla).
Clara Statello: Ucraina: la vera posta in gioco di Mosca nei colloqui con Trump
Ucraina: la vera posta in gioco di Mosca nei colloqui con Trump
di Clara Statello
La guerra per procura che gli Stati Uniti combattono in Ucraina contro la Russia non si fermerà con un accordo per il cessate il fuoco tra Mosca e la proxy di Washington, ma dovrà essere conclusa con uno storico trattato di pace tra le due grandi potenze, per porre fine una volta per tutte alle rivalità sorte in conseguenza alla creazione dell’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico.
È questa la posizione che emerge dalle dichiarazioni del Cremlino e dei suoi più alti funzionari, ultimo in ordine cronologico il ministro degli Esteri Sergey Lavrov, in merito alla possibilità di imminenti colloqui, dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca il prossimo 20 gennaio.
Prove generali per il tavolo dei negoziati
“La Russia è impegnata a porre fine al conflitto”. Nei giorni scorsi questa affermazione di Putin al summit del CSI ha fatto scalpore sui nostri media, come se si trattasse di un elemento di novità nello scenario ucraino. In realtà il Cremlino non ha mai respinto ufficialmente la possibilità di una soluzione politica alla guerra in Ucraina.
Vale la pena ricordare che Mosca si sedette al tavolo dei negoziati immediatamente dopo l’avvio dell’operazione speciale militare. La pace venne sabotata prima con l’assassinio per mano dell’SBU del negoziatore Denis Kireev, uomo di fiducia del capo del GUR.