Forum Italiano dei Comunisti – 13/01/2025
COME LAVORARE DA COMUNISTI SULLA QUESTIONE SINDACALE
Una risposta alla compagna Maria Carla Baroni della segreteria nazionale del PCI
Nella lettera che alleghiamo, scritta dalla compagna Maria Carla Baroni membro della segreteria nazionale del PCI, c’è un appello conclusivo in cui si dice che i comunisti e le comuniste dei sindacati devono lavorare congiuntamente e anche che la situazione sindacale è cambiata e che CGIL e UIL si sono svegliate, mentre il sindacalismo di base è frammentato e ininfluente sul piano generale.
Partiamo dalla prima questione che peraltro abbiamo affrontato ultimamente in questo sito sia contestando il fatto che i comunisti, indipendentemente dalle collocazioni organizzative, non avessero in questi decenni preso parte a lotte e movimenti sindacali, sia ritornando sul tema del ruolo centrale dei comunisti proprio sul terreno di classe e dell’organizzazione dei lavoratori.
Parlare di comunisti infatti senza mettere in conto uno stretto rapporto col lavoro dipendente, cioè con i salariati, è un non senso. Perciò ogni comunista, singolarmente o in gruppi organizzati, deve fare i conti con questa realtà anche perché, se vogliamo usare un termine leninista, i comunisti dovrebbero rappresentare l’avanguardia dei lavoratori e svolgere un ruolo di orientamento politico nelle esperienze di lotta. Siamo perciò dell’opinione, e cogliamo l’occasione per ripeterlo, che un movimento sindacale senza un’ossatura comunista si presenta indebolito sulla scena della lotta di classe, perché ogni lotta che i lavoratori intraprendono ha bisogno di una visione d’insieme delle questioni che sono alla base dello scontro: rapporti di forza, condizionamenti del potere economico e delle istituzioni ecc.
E’ partendo da queste considerazioni generali che bisogna arrivare ai nodi specifici della situazione italiana. Quali problemi si presentano ai comunisti e in che modo va impostato il loro lavoro? Non basta dire che nell’attività sindacale bisogna puntare a un lavoro unitario dei comunisti, cosa senz’altro necessaria e auspicabile. Bisogna indicare in concreto quali sono gli obiettivi a cui deve tendere la loro azione.
Il primo problema che si pone per chi ha una visione di classe del conflitto capitale-lavoro è il recupero dell’autonomia contrattuale dei lavoratori contro il consociativismo e la subalternità alle esigenze salariali, normative e occupazionali dei datori di lavoro. Il ruolo negativo svolto da decenni, a partire dalla famigerata ‘linea dell’Eur’ all’epoca di Luciano Lama, dalle confederazioni CGIL, CISL e UIL ha condizionato pesantemente il lavoro dipendente, nella normativa, nel salario, nella collocazione organizzativa e nei rapporti giuridici. E’ superata questa condizione? Dire questo significherebbe ignorare come stanno le cose, sia nel settore pubblico che in quello privato. Facciamo alcuni esempi: la sanità in particolare. Si è consapevoli del fatto che gli ospedali funzionano oggi con tre stratificazioni professionali, una delle quali, quella dei servizi interni, è affidata alle cooperative e quindi sottoposta alla discrezionalità di chi le gestisce? Chi ha permesso l’introduzione di questa normativa, che peraltro ha distrutto il concetto di una sindacalizzazione unitaria della categoria? Facciamo un secondo esempio, le ferrovie dello Stato dove la mannaia delle privatizzazioni ha creato una frammentazione che ora sta producendo lotte ‘autonome’ su larga scala che dimostrano che lo scontento è arrivato al massimo. E che dire dell’ex FIAT che ha portato le fabbriche in Italia al limite della liquidazione, a cominciare da Mirafiori? E poi, come sono stati conclusi in questi giorni i contratti della logistica e del trasporto urbano? Con quale normativa e con quale recupero salariale?
Questi esempi dimostrano che l’impegno unitario, sottolineiamo unitario, dei comunisti ovunque collocati deve essere quello di rompere il consociativismo e ridare potere contrattuale ai lavoratori.
E a partire da questo bisogna analizzare come affrontare organizzativamente le questioni sul tappeto che non sono di facile soluzione. Intanto perché non esiste un sindacato unico che rappresenti tutti i lavoratori, con una CISL che sta dimostrando il suo collateralismo col governo Meloni, poi perché il protagonismo dei lavoratori viene mortificato da organizzazioni centralizzate che fiaccano le spinte alle lotte e bloccano il potere decisionale della base (quella vera). L’alternativa sta nel sindacalismo di base? Diciamo sostanzialmente che il neoconfederalismo che esso ha imboccato sta portando ad un avanguardismo rivendicativo che non risolve le contraddizioni. Da comunisti, e possiamo ben dire da comunisti italiani basandoci sulla nostra esperienza storica, pensiamo che senza un processo di ricomposizione unitaria basato sulla rivendicazione anche istituzionale della rappresentatività e del ruolo dei lavoratori in quanto tali e non per le tessere d’appartenenza, la situazione rimarrà bloccata. Da una parte il confederalismo, dall’altra il sindacalismo di protesta. Quindi tra comunisti bisognerebbe discutere come sciogliere questi nodi.
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Lettera della compagna Baroni
Cari compagni,
concordo assolutamente sulla indispensabilità di costruire l’unità tra TUTTI i sindacati di lavoratori e lavoratrici ed ex tali, ma ci sono due fatti che tu non consideri: che CGIL e UIL si sono svegliate e che il sindacalismo di base è frammentato e quasi ininfluente sul piano generale, al di là di alcune singole lotte. E’ stato importante lo sciopero generale del 29 novembre proclamato da CGIL UIL e sindacalismo di base esclusa però l’USB, che mi risulta non abbia aderito. PERCHE’?
Bisognerebbe lavorare congiuntamente con i comunisti e con le comuniste dei sindacati
Maria Carla Baroni
Segreteria nazionale del PCI