Rassegna 14/01/2025
Roberto Iannuzzi: 2025: un mondo senza legge
2025: un mondo senza legge
di Roberto Iannuzzi
La crescente delegittimazione della legalità internazionale lascia spazio a un mondo senza regole, dove vige un’unica legge: quella del più forte
L’anno appena trascorso ci ha mostrato una verità pericolosa. Ci ha confermato che l’Occidente, che a parole ha sempre sostenuto il rispetto del diritto internazionale, può violarlo a proprio piacimento, e lasciare che i propri alleati facciano altrettanto.
In questo senso, quella di Gaza non è soltanto una tragedia ma anche un monito, un precedente rischioso.
Una sentenza della Corte Internazionale di Giustizia (CIG) sulla plausibilità del rischio di genocidio nella Striscia, una risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU che chiede la fine dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi (occupazione giudicata illegale da un precedente verdetto della CIG), rapporti delle Nazioni Unite e di numerose organizzazioni internazionali sulla natura genocida dell’operazione in corso a Gaza, non hanno fermato il massacro.
L’amministrazione Biden ha manipolato e sminuito dati e informazioni in suo possesso per negare che Israele impiegasse le armi americane in violazione del diritto internazionale, e che bloccasse l’ingresso degli aiuti nella Striscia.
Esponenti del Congresso, e la stessa Casa Bianca, hanno minacciato di imporre sanzioni alla Corte Penale Internazionale se avesse emesso mandati di arresto nei confronti di esponenti del governo israeliano. Una legge appena approvata dalla Camera dei Rappresentanti può tradurre in realtà queste minacce.
I paesi europei hanno respinto un rapporto del rappresentante speciale dell’UE per i diritti umani che, evidenziando i crimini di guerra commessi dalle forze armate israeliane, invitava i membri dell’Unione a sospendere le esportazioni di armi verso Israele.
Questa imprudente delegittimazione della legalità internazionale avviene nel contesto di uno scontro serrato per la ridefinizione degli equilibri mondiali.
Dante Barontini – Guido Salerno Aletta: Trump non è “il caos”, ma l’impero in stile western
Trump non è “il caos”, ma l’impero in stile western
di Dante Barontini – Guido Salerno Aletta*
Passato il primo momento di sconcerto, sulle più recenti sparate di Donald Trump – Groenlandia, Panama, Canada, ecc – hanno affondato il bisturi analisti piuttosto seri. Mentre i più rimbambiti cantori dell’establishment bipartisan (non facciamo nomi, ma ve li ritrovate su tutti i giornali e soprattutto talk show, con bretelle o senza) stanno ancora lì a recitare giaculatorie scandalizzate per il modo in cui si esprime il miliardario indebitato, campione della reazione parafascista dell’Impero in crisi.
Si può capirli… vorrebbero poter conservare l’immaginario dell’America liberal, faro dei “diritti umani” ma disposta persino a fare “guerre umanitarie” senza giustificazione, o genocidi che non si devono chiamare col loro nome, tra un volto hollywoodiano e una serata da Grammy Awards mentre si cosparge il mondo di cadaveri.
E invece si ritrovano questo buzzurro che squaderna i peggiori tratti del colonialismo ottocentesco, quasi una generale Custer fuori tempo, trattando gli stessi Alleati come potenziali nemici da mettere a posto a suon di sganassoni.
Sotto il velo dell’apparente “pazzia”, però, il tycoon newyorkese sta soltanto indicando alcuni degli obiettivi che risultano “indispensabili” a realizzare l’altrettanto passatista programma del “make America great again”.
E allora, grattando nella storia neanche troppo recente, per esempio a proposito di Groenlandia, si può scoprire che durante la seconda guerra mondiale gli Usa l’avevano già occupata con reparti della Guardia Costiera “liberati dal servizio“, formalmente solo “volontari” senza legami con il governo statunitense.
Il governo danese tacque perché era tutto in esilio, visto che a Copenhagen campeggiavano le SS. L’accordo con gli Usa che legalizzava la presenza di militari sull’isola arrivò un po’ dopo, senza troppe trattative.
Nel 1951 venne poi firmato un altro accordo che consentiva agli USA di costruire ed equipaggiare basi militari statunitensi, diventate alla fine una cinquantina (quasi tutte stazioni di osservazione radar, tranne la più grande, Thule). Era iniziata la “guerra fredda” contro l’Unione Sovietica e dalla Groenlandia era molto più facile controllare le possibili rotte di eventuali missili sovietici verso l’America.
Andrea Daniele Signorelli: Tutti i guai di OpenAI
Tutti i guai di OpenAI
di Andrea Daniele Signorelli*
Che cosa pensereste di una start up da cui se ne sono andati quasi tutti i principali dirigenti e cofondatori, che ha chiuso il 2024 con un rosso di 5 miliardi di dollari e che deve fare fronte a una marea di cause legali? La stessa start up i cui costi operativi hanno raggiunto cifre colossali non ha ancora dimostrato di avere un modello di business sostenibile e i cui progressi tecnologici stanno già dando segnali di rallentamento?
Probabilmente, pensereste che la start up in questione è una delle tante (circa due terzi, secondo la Harvard Business Review) che non riescono a ripagare gli investitori e chiudono bottega, nella maggior parte dei casi entro i cinque anni di vita. E avreste ragione a pensarla così, a meno che la start up in questione non sia OpenAI: la società che sviluppa ChatGPT, DALL-E e altri strumenti basati su intelligenza artificiale generativa.
La fiducia degli investitori
Pur se afflitta da tutti i problemi descritti in apertura, OpenAI continua infatti a godere di un’enorme fiducia, le sue prospettive future non vengono mai messe in discussione ed è stata perfino in grado di imporre le sue condizioni agli investitori, decidendo per esempio quali finanziamenti accettare, a partire da quale cifra e chiedendo che i partner non investissero nelle principali cinque società rivali (Anthropic, xAI, Superintelligence, Perplexity e Glean).
Nonostante questa – e altre – particolarità dell’ultimo round di finanziamento, OpenAI è riuscita lo scorso ottobre a raccogliere 6,6 miliardi di dollari da investitori come Thrive Capital, Nvidia, Microsoft, SoftBank e altri, per una valutazione da 157 miliardi di dollari. Partiamo proprio da questo aspetto: i finanziamenti. Per quanto i vari round in cui le startup riescono a raccogliere enormi quantità di denaro da investitori privati vengano solitamente celebrati – soprattutto a livello mediatico – come un segno delle loro enormi potenzialità, in alcuni casi è anche utile porsi una domanda: perché la start up in questione, ovvero OpenAI, ha bisogno di raccogliere una tale mole di denaro?
Pierluigi Fagan: 2025, la storia curva e accelera
2025, la storia curva e accelera
di Pierluigi Fagan
Sembrerebbe che Trump, prendendo realisticamente atto dello stato multipolare del mondo, abbia pensato di trasferire il modulo della stagione finanziaria dei “merger&acquisition” in politica statale-geopolitica. Dalle uscite sull’acquisto della Groenlandia alla annessione più o meno spontanea del Canada fino agli avvisi al governo panamense sulla gestione del Canale e l’idea di rinominare il Golfo del Messico, Golfo d’America, siamo davanti a una Dottrina Monroe 2.0 che presto si aprirà anche al Centro e Sud America.
Il nuovo polo americano si baserebbe su una chiara e solida sovranità allargata ed egemonia stretta su tutto il continente americano. Tra Groenlandia e Canada, immense riserve di nuove terre liberate dai ghiacci, abbondante acqua dolce, legno, risorse minerarie, sabbie bituminose e riserve di energia fossile attestate (gas e petrolio), per non parlare della strategica posizione geografica in grado di presentarsi in forze nella nuova scacchiera polare anche per contrastare la temuta rotta artica russo-cinese. Decisamente un soggetto pieno di potenza e potenzialità.
Bilanciando premi ovvero investimenti e partnership allettanti ai governi “amici” e punizioni ovvero dazi, sanzioni -ma non si può escludere anche l’intervento armato in alcuni casi- verso i “nemici” (Messico, Venezuela, Cuba, Bolivia, da vedere in prospettiva Brasile), crearsi una area interna su base di poco meno di un miliardo di persone di co-sviluppo, delocalizzazioni, prelievo di materie prime, ostracismo totale a insidiose penetrazioni russe o più che altro cinesi.
James Ray: Israele non può perdere un’umanità che non ha mai avuto
Israele non può perdere un’umanità che non ha mai avuto
di James Ray*
Il 22 dicembre, pochi giorni prima di Natale, il comitato editoriale di Haaretz ha pubblicato un editoriale intitolato “Israele sta perdendo la sua umanità a Gaza”.
Il breve articolo delinea un timore che per anni è stato pervasivo tra i sionisti liberali: che i crimini perpetrati a Gaza stiano tradendo i valori di una colonia di coloni altrimenti onesta e morale. Il progetto sionista, per loro, è una sorta di Stato legittimo che solo ora non riesce a essere all’altezza degli standard di condotta che ci si aspetta da lui.
Un’opera che voleva essere sia un’ammissione di colpa che un invito a fare meglio, alla fine non era altro che un resoconto fittizio della storia della colonia, che faceva appello a un’epoca migliore e più morale.
Togliendo di mezzo la storia della violenza derivante dalla colonia e dipingendo un quadro revisionista di un progetto moralmente onesto (anche se a volte problematico) e in definitiva legittimo, forse persino riformabile, hanno fatto ciò che molti sionisti liberali hanno tentato di fare per decenni: evitare una verità scomoda e ineludibile sul progetto a cui si aggrappano e che sostengono così disperatamente.
Non è mai esistito un Israele “buono”.
comidad: La scuola della cleptocrazia
La scuola della cleptocrazia
di comidad
In innumerevoli occasioni Matteo Salvini ha dimostrato di essere un improvvisato e uno sprovveduto. L’ulteriore conferma la si è avuta in queste ultime settimane, allorché Salvini si è ingenuamente intestato la paternità di un nuovo Codice della Strada che probabilmente non ha neanche letto. Quando “assumono la responsabilità di un dicastero” i cosiddetti ministri trovano l’agenda già tracciata dai lobbisti, che sono quelli che scrivono materialmente le leggi. Si può stare certi che anche l’ennesima finta resurrezione del progetto del Ponte sullo Stretto di Messina non sia farina del sacco di Salvini ma la pluridecennale operazione fraudolenta per spillare al contribuente soldi col pretesto di un ponte che non si ha neppure voglia di fare.
La cleptocrazia imperante si narra al pubblico e a se stessa come tecnocrazia, ma è costretta a confondere le acque con la fintocrazia, per cui spetta ai politici di turno esporsi e prendersi gli sberleffi per gli apparenti nonsensi. Con i suoi eccessi di enfasi Salvini ha però esagerato, attirando troppa attenzione; per cui si è notato immediatamente che il nuovo Codice della Strada ha due effetti pratici molto evidenti. Il primo effetto è quello di aumentare il potere e la discrezionalità delle cosiddette “forze dell’ordine” offrendo loro altri margini di abuso e corruzione. Rendere così incerto e aleatorio il risultato dei controlli tossicologici ai posti di blocco indurrà anche gli automobilisti più sobri a cercare di evitarli versando un “pedaggio” agli agenti.
Andrea Ventura: Il neoliberismo globale, che fallimento: solo nuovi conflitti
Il neoliberismo globale, che fallimento: solo nuovi conflitti
di Andrea Ventura
Sulla scena mondiale si stanno delineando due centri di potere: Stati Uniti e loro alleati da un lato; Cina e Russia dall’altro. Invece di superare i conflitti, ne sono stati generati di nuovi e di più pericolosi. È fallita la politica economica, ma è fallita soprattutto un’idea di uguaglianza. Che va recuperata con un salto di paradigma
Gli anni Novanta del secolo videro la piena affermazione dell’ideologia neoliberale. L’Unione Sovietica si era dissolta e i governi di ogni colore, dall’Europa agli Stati Uniti ai paesi in via di sviluppo, liberalizzavano, privatizzavano e riducevano le protezioni sociali. In questa ideologia non vi era solo una concezione dell’efficienza economica, ma anche un’idea di socializzazione: contrapposto al potere dei governi e delle istituzioni, il mercato era visto come il terreno privilegiato per lo sviluppo delle libertà individuali, peraltro in linea con un’antropologia, priva di riscontri oggettivi, che fa risalire al “selvaggio barattante” dell’alba dell’umanità il comportamento finalizzato all’utile economico. Realizzando l’uguaglianza tra tutti gli esseri umani nella democrazia e nell’ordine di mercato, si sarebbe raggiunta nientedimeno che la “fine della storia”. Ciò non significa, sottolineava Fukuyama nel suo saggio del 1989, che non ci sarebbero più stati fatti storici, ma non ci sarebbe più stata contrapposizione tra diverse forme di convivenza umana. All’insegna dei valori dell’Occidente, la mercificazione delle relazioni umane avrebbe avuto una valenza universale, scongiurando così il rischio di conflitti su larga scala tra le nazioni.
Alessandro Scassellati: Se Marx è rosso, ma anche verde, è possibile puntare sul “comunismo della decrescita”?
Se Marx è rosso, ma anche verde, è possibile puntare sul “comunismo della decrescita”?
di Alessandro Scassellati
In un momento in cui l’economia della decrescita è oggetto di accesi dibattiti all’interno e all’esterno del movimento ambientalista, l’obiettivo di Saito Kohei, spiega in “Il Capitale nell’Antropocene” (Einaudi, Torino 2024), è quello di “superare il divario tra marxismo e decrescita”, riunendo il rosso e il verde in un “comunismo della decrescita”. Molti nel movimento ambientalista sostengono che il capitalismo e la sua “accumulazione infinita su un pianeta finito … sono la causa principale del crollo climatico”, scrive Saito. Ma poiché gli scritti di Marx sull’ecologia sono stati spesso marginalizzati, c’è una visione secondo cui il suo socialismo è pro-tecnologico e anti-ecologico, sostenendo lo sviluppo di tecnologie per gettare le basi per una società post-capitalista e ignorando i limiti della natura, credendo che possa essere dominata dagli esseri umani. Secondo Saito, è possibile e necessario ricostruire Marx in modo da poter vedere come ha analizzato la crisi economica ed ecologica. A Saito va l’indubbio merito d’essere riuscito a portare all’attenzione di un pubblico ampio il tema dell’ecologia in una prospettiva di trasformazione sociale e di aver contribuito alla diffusione di una corrente di pensiero che vuole riscoprire la fecondità delle idee di Marx in relazione a problemi che ci riguardano molto da vicino nell’epoca attuale nel contesto del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici.
* * * *
Grande è il disordine sotto il cielo. La situazione è dunque eccellente – Mao Zedong
Carla Filosa: Essere “umani”?
Essere “umani”?
di Carla Filosa
La continuità senza tregua delle guerre imperialiste si correda di sempre nuovi fronti di: accaparramenti territoriali e relative spartizioni (ultima in ordine di tempo la Siria), risorse, spopolamenti, disumanizzazioni a ogni livello. Soffermandoci su quest’ultimo punto, abbiamo provato a riflettere su cosa sia e quanto conti l’“umano”, o più precisamente gli esseri umani, le loro sofferenze, mutilazioni, morti, patologie irreversibili, ecc., a fronte dell’utile strappato dalla rapina bellica.
Dal febbraio del 2022 si contano circa 1 milione di morti tra ucraini e russi, più 11 milioni di sfollati, e la guerra è una pratica assolutamente “umana”. Distrutte scuole, strutture sanitarie, prodotti inquinamenti dell’aria per aumento di gas serra, quali ammoniaca, monossido di carbonio, anidride solforosa, ossidi di azoto, nonché aumenti dei prezzi alimentari, dell’inflazione, ecc. Aumentano in tal modo i costi della ricostruzione – quando sarà – a vantaggio degli sparvieri umani che attendono solo il momento pacificato per trarne zona di sfruttamento e ulteriori profitti.
In Palestina si contano poi ormai per difetto 45.000 morti e circa 1 milione e 900.000 sfollati; in Libano più di 3.000 morti e quasi 14.000 feriti contati solo alla fine del 2024. Senza considerare le altre 200 guerre sparse sul pianeta, ma troppo lontane dall’Europa per coinvolgere l’interesse alla “sicurezza” dei confini, perennemente prioritaria per i nostri governi.
Tempo fa, inoltre, nei tg ufficiali della TV italiana, Zelensky ha avuto modo di affermare che la “crudeltà” di Putin si è mostrata nell’attacco bellico effettuato il giorno di Natale. Nessun commento televisivo però per la parallela analoga aggressione israeliana a Gaza la notte di Natale, con almeno 11 morti tra cui 5 giornalisti di un’emittente palestinese, deliberatamente colpiti, e 4 neonati deceduti per ipotermia. I raid missilistici sono poi continuati in tutti i giorni a seguire, senza alcuna sosta di un cessate il fuoco sulla striscia. A ciò si è aggiunto il maltempo che ha contribuito ad allagare almeno 1500 tende con circa 30 cm di acqua, e molti altri neonati sono morti di freddo.
Gioacchino Toni: We are not robots – Cambiamento tecnologico e conflittualità
We are not robots – Cambiamento tecnologico e conflittualità
di Gioacchino Toni
Rage against the machine? Automazione, lavoro, resistenze, “Zapruder” n. 65, sett.-dic. 2024
«Dalla miniera a cielo aperto di Lützerath in Germania alla “Zone à defendre” di Notre Dame des Landes passando per la lotta no tav in Val di Susa, negli anni a noi più vicini la battaglia contro lo strapotere della tecno-industria non ha né la fabbrica come epicentro, né la classe operaia come protagonista. Spesso frutto dell’alleanza tra frazioni illuminate di piccoli proprietari agricoli e settori radicali del movimento ecologista, la “rabbia contro le macchine” non sembra più essere alimentata dal potere dispotico del capitale sul lavoro». Così l’editoriale del numero 65 della rivista “Zapruder” introduce il fascicolo dedicato alle resistenze al cambiamento tecnologico che hanno attraversato la storia a partire dalla Rivoluzione industriale focalizzandosi su alcuni casi di studio al fine di «alimentare una riflessione sull’oggi per provare a riorientare la tecnica verso un fine diametralmente opposto, quello del benessere sociale per tutte e tutti».
Mentre negli ultimi decenni sui territori si danno forme di resistenza e antagonismo come quelle sopra tratteggiate, da qualche tempo un’insistente narrazione a canali e media unificati si è preoccupata di esaltare le magnifiche sorti del progresso permesse dall’intelligenza artificiale generativa bollando come patetici luddisti passatisti antitecnologici per partito preso tutti coloro che osano evidenziare gli aspetti più inquietanti che l’accompagnano: la disumanizzazione decisionale riguardante l’organizzazione del lavoro; il ricorso a pratiche di ludicizzazione digitale al fine di incrementare le performance lavorative e la competizione con i colleghi; la proliferazione degli armamenti autonomi, dunque di modalità, se possibile, ancora più ciniche e spietate di gestione delle guerre; la ricaduta omologante sul mondo dell’informazione, dell’intrattenimento, dell’educazione e della cultura; lo sfruttamento delle risorse naturali e delle popolazioni del Sud del mondo; l’oscurità degli algoritmi che regolano i sistemi decisionali tecnologici; l’esponenziale incremento della sorveglianza che comporta; l’incidenza esercitata sull’immaginario collettivo ecc.
Pino Arlacchi: La matrice tutta atlantista dell’omicidio Mattarella
La matrice tutta atlantista dell’omicidio Mattarella
di Pino Arlacchi
La storia è sempre storia del presente. Purtroppo, mi è venuto di pensare osservando le reazioni al docu-film Magma che ricostruisce il delitto Mattarella del 1980. Il filo conduttore dell’opera è la ferma convinzione di Giovanni Falcone che si fosse trattato di un assassinio politico di matrice “atlantica”. Un caso Moro bis a meno di due anni distanza. Perché siamo nel presente? Lo siamo perché siamo in mezzo a una guerra in Ucraina la cui lampante matrice è, appunto, “atlantica”.
Matrice atlantica significa né più né meno che un’origine imperiale, radicata negli interessi e nella volontà superiori dell’impero americano. Matrice atlantica significa violazioni del diritto internazionale nel caso dell’Ucraina, e violazioni del diritto penale e della sovranità nazionale nei casi Moro, Mattarella e La Torre. Significa mettere in atto ingiustizie e degenerazioni delle istituzioni democratiche da negare e nascondere con ogni mezzo soprattutto nei campi di battaglia dei satelliti, cioè nei luoghi della sovranità limitata. Il delitto Mattarella fu un caso Moro bis perché fu uno degli ultimi capitoli italiani della Guerra fredda, avvenuta in Italia anche sotto forma della cosiddetta “Strategia della tensione”. Dico uno degli ultimi perché l’ultimo fu la strage di Capaci, accaduta dodici anni dopo ma come uno strascico della stessa Guerra fredda.
Mattarella era un uomo coraggioso, deciso a proseguire lungo il sentiero proibito dell’accordo di governo con i comunisti che era costato la vita del suo maestro. I
Geminello Preterossi: La condizione amletica dell’Occidente
La condizione amletica dell’Occidente
di Geminello Preterossi
La modernità con le rivoluzioni (da quella francese a quella bolscevica) ha cercato la liberazione del soggetto. Ma ciò che ne è scaturito è stato catturato dal capitalismo. Finché libertà ed eguaglianza sono rimaste ancorate al collettivo, cioè finché hanno cercato di produrre una nuova forma di vincolo solidale, una messa in forma della libertà è stata possibile. Ciò è accaduto con difficoltà, perché la fratellanza è sempre stata il valore della triade rivoluzionaria più problematico da garantire nella società emancipata dall’auctoritas. Ma fintanto che la politica non è stata neutralizzata dalla tecnica, era ancora possibile un orizzonte di emancipazione collettiva, pur tra insidie e rischi, nichilistici da un lato, assolutistici dall’altro. La politica moderna ha infatti oscillato tra perdita di senso comunitario e ricerca violenta di purezza solidale, replicando la dialettica tra istituzione ed eresia propria della teologia politica sostanziale, cioè della religione come vincolo politico: la politica “religiosa” ha sostituito la teologia come fondazione dell’ordine. Così il potere costituente si è risolto, nei suoi esiti più radicali, o nella “furia del dileguare”, che distrugge ogni ordine, o in un nuovo potere “totale”, che satura l’intero spazio pubblico. Nella società di massa del Novecento tale paradosso si è dispiegato. Solo con il “trentennio glorioso”, a precise condizioni, è stato possibile lo spazio di una nuova mediazione, emancipativa e non distruttiva.
Piccole Note: Netanyahu e il sogno dell’Impero mediorientale
Netanyahu e il sogno dell’Impero mediorientale
di Piccole Note
Alle pulsioni messianiche per conquistare l’Israele biblica si sono sommate spinte espansioniste. Netanyahu vuole costruire il suo impero?
A fine dicembre le forze israeliane hanno devastato l’ultimo ospedale attivo nel Nord di Gaza, quello di Kamal Adwan, dopo aver arrestato il direttore e i medici e aver sfollato i pazienti, cacciati dalla struttura in mutande, al freddo e al gelo, sotto il tiro dei soldati.
Gaza: la guerra infinita produce orrori senza fine
“Un video mostra una fila di persone sprofondate nella sabbia, in mezzo alle macerie; uomini nudi con le braccia alzate, circondati dai carri armati israeliani, umiliati quanto è possibile che un essere umano possa essere umiliato”, annotava Gideon Levy.
Al suo scritto, Haaretz aggiungeva un editoriale di fuoco contro gli assalti agli ospedali della Striscia, presi di mira fin dall’inizio della guerra. “Secondo i dati delle Nazioni Unite – annotava il giornale – 1.057 operatori sanitari sono stati uccisi dall’inizio della guerra a Gaza. Il sistema sanitario è collassato a causa dell’elevato numero di vittime, della distruzione degli ospedali da parte dell’esercito e della carenza di medicinali, posti letto e personale”.
Alessandro Orsini: Italia schiava della Cia da Abu Omar ad Abedini
Italia schiava della Cia da Abu Omar ad Abedini
di Alessandro Orsini
Un accademico svizzero-iraniano, Mohammad Abedini Najafabadi, è stato arrestato in transito a Malpensa su mandato americano mentre si dirigeva a Istanbul con l’accusa di avere aiutato Teheran a costruire alcuni droni. Per ritorsione, l’Iran ha arrestato una giornalista italiana per uno scambio di detenuti. Sentiamo dire che l’Iran agisce in questo modo perché è l’incarnazione del Male universale. La realtà è diversa.
Per comprendere la mossa dell’Iran, occorre capire come il “caso Abedini” sia legato al “caso” dell’imam Abu Omar, rapito a Milano sotto il governo Berlusconi: uno dei casi più documentati di azione illegale condotta dai servizi segreti americani in un Paese straniero. Abu Omar fu rapito, il 17 febbraio 2003, da dieci agenti della Cia. L’imam fu portato nella base aerea di Aviano e poi condotto in Egitto, dove fu brutalmente torturato con la falsa accusa di essere un terrorista islamico. Dalle sentenze della magistratura milanese, emerge che i vertici dei servizi segreti italiani e, quindi, il governo Berlusconi, erano informati e coinvolti nell’operazione della Cia. Nel dicembre 2010, la Corte d’appello di Milano ha stabilito un risarcimento di un milione di euro per Abu Omar e di 500 mila euro per la moglie, a carico di ben 23 agenti della Cia, tutti cittadini americani. I vari governi italiani hanno sempre fornito protezione agli agenti americani, ricorrendo persino al segreto di Stato per ostacolare le indagini della magistratura.