La rivincita postuma di Bukharin o la versione anticomunista della storia del movimento comunista?

Forum Italiano dei Comunisti – 22/01/2025

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La rivincita postuma di Bukharin o la versione anticomunista della storia del movimento comunista?

 

L’articolo che segue è stato inviato a Marx XXI, dato che risponde a un intervento dal titolo “Questioni del socialismo: la rivincita postuma di Bukharin” apparso in precedenza su quel sito. Una risposta ci era sembrata doverosa data la funzione di orientamento che Marx XXI svolge su molte questioni importanti nell’area comunista. Purtroppo però la redazione di Marx XXI ha rifiutato la pubblicazione, adducendo non meglio precisate ‘questioni di metodo’. A noi è sembrato strano che Marx XXI non avesse problemi a ospitare tesi anticomuniste – che non destano scandalo probabilmente solo perché da troppi, anche nell’area comunista, sono considerate ovvie e scontate (e oltretutto, nel caso in questione, vengono contrabbandate come omaggio all’esperienza cinese). E ci è sembrato ancora più strano che le ‘questioni di metodo’ venissero invocate quando si cercava di controbattere a queste tesi, non agitando icone e santini, ma facendo riferimento all’attuale fioritura di seria ricerca storica, che getta finalmente un po’ di luce, dopo tanti decenni, sul torrente di menzogne riversato – da Trotsky, a Krusciov, a Gorbaciov, passando per la propaganda hitleriana e quella della guerra fredda, e fino al giorno d’oggi – sugli anni in cui Stalin ha diretto il partito e lo stato sovietico. Per questo motivo portiamo ora qui il testo all’attenzione dei compagni.

   Leggendo l’articolo di Sandro Valentini “Questioni del socialismo – la rivincita postuma di Bukharin”, pubblicato su Marx xxi sono rimasto sorpreso e mi sono chiesto, dopo Bukharin, a quando la rivincita postuma del “rinnegato Kautsky”. E’ ben noto infatti, con buona pace degli antistalinisti di sinistra, che alla demonizzazione di Stalin segue abbastanza rapidamente anche quella di Lenin.
Sorvolo sul termine “marxismo” che sarebbe “coniato da Stalin nell’am­bito di un corpo dottrinario e statico del suo marxismo-leninismo” e mi attengo alla figura di Bukharin.

 Valentini non entra nel merito delle sue cospirazioni e del processo culminato nella condanna a morte nel 1938, ma è del tutto evidente che lo ritiene, ça va sans dire, vittima innocente di persecuzione da parte del sanguinario dittatore. In questo modo si inserisce candidamente, come cosa ovvia e scontata, nel paradigma dominante sugli anni dal 1924 al 1953, che accomuna anticomunisti di varia estrazione, ma soprattutto è diventato ormai un vero e proprio luogo comune, almeno in occidente, con ripercussioni devastanti sul modo in cui viene raccontata e recepita la storia del novecento (si pensi, per rimanere all’attualità, alla propaganda sul­l’ho­lo­do­mor, la carestia che sarebbe stata deliberatamente scatenata da Stalin in Ucraina). Stalin del resto lo aveva detto, come riferisce Molotov, in una conversazione del 1943: “So che dopo la mia morte sulla mia tomba sarà deposta molta immondizia. Ma il vento della storia la disperderà senza pietà.”
Su questo paradigma o luogo comune – che abbraccia la ricerca accademica al pari della scuola, dei grandi mezzi di comunicazione e della politica – si è concentrato in molte opere il lavoro tra gli altri degli storici Grover Furr e Vladimir Bobrov, e uno dei loro scritti riguarda in particolare proprio Bukharin [1]. Su questo scritto riporto di seguito le parole degli autori che aiutano a inquadrare due punti importanti:

   1. Le caratteristiche e le maggiori espressioni di quello che Furr e Bobrov chiamano in forma abbreviata “paradigma anti-Stalin”.
2. Il picco nell’interesse per la riabilitazione giuridica e politica di Bukharin che ha segnato in particolare, non a caso, gli anni di Gorbaciov che hanno portato al crollo dell’URSS, con tutte le ben note drammatiche conseguenze a livello interno in Russia, nelle altre repubbliche ex sovietiche, e a livello internazionale.

  “In questo studio – scrivono Bobrov e Furr [2] – sosteniamo che il paradigma dominante della storia politica dell’Unione Sovietica negli anni ’30 è falso. I documenti degli archivi sovietici, in precedenza segreti, che dalla fine dell’URSS sono stati resi pubblici, forniscono prove più che sufficienti per confutare la visione di questo periodo che dai tempi di Krusciov in poi ha incontrato un’accettazione quasi universale”. Questa tesi viene dimostrata “attraverso un attento esame di un testo rappresentativo: il decimo capitolo del libro di Stephen F. Cohen pubblicato nel 1973, Bukharin and the Bolshevik Revolution. A Political Biography, 1888-1938” [3]
“Per brevità definiamo questo paradigma storico, o versione ufficiale, il paradigma “anti-Stalin”. Un termine più corretto, ancorchè rozzo, sarebbe il paradigma ‘Trotsky-Krusciov-Guerra_fredda-Gorbaciov-postsovietico’. Dal momento dell’esi­lio nel gennaio 1929 fino al suo assassinio nell’agosto 1940, Trotsky attribuì alla personalità di Stalin la responsabilità di tutti quelli che considerava i difetti e i crimini del socialismo sovietico. Nel 1956 Krusciov riprese lo stesso schema e, nel periodo in cui governò l’URSS, fino alla sua destituzione nell’ottobre 1964, gli attacchi contro Stalin furono enormemente amplificati. A cominciare dal 1987, Gorbaciov patrocinò un assalto contro Stalin, e quelli a lui associati, che surclassò perfino il periodo di Krusciov. La figura di Stalin fu praticamente “demonizzata” e un trattamento analogo venne riservato ad altri bolscevichi del suo tempo e allo stesso Krusciov.
“In occidente questo modello è forse più spesso associato al libro del 1968 di Robert Conquest
, The Great Terror. Stalin’s Purge of the Thirties [4] e a Roy Medvedev, Let History Judge: the Origins and Consequences of Stalinism, 1971. Nelle opere di entrambi gli autori le ‘rivelazioni’ degli anni di Krusciov formano il nocciolo duro di quelle che vengono fatte passare per solide prove. Dopo la fine dell’URSS nel 1991 sono stati pubblicati moltissimi documenti originali degli archivi sovietici e, nel tentativo di rielaborare e rimaneggiare il paradigma anti-Stalin per conformarlo a parte di questa documentazione, sono stati scritti molti libri, ma nessuno si è proposto di confutare le posizioni divenute praticamente canoniche delle opere di quarant’anni fa di Conquest e Medvedev.
“… noi utilizzeremo il decimo capitolo del libro di Cohen che ben rappresenta l’interpretazione canonica della politica dell’élite sovietica degli anni ’30. Scrivendo pochi anni dopo Conquest e Medvedev, Cohen ha attinto a piene mani da entrambi e si è servito anche di altre opere usate dallo stesso Conquest, di autori come Boris Nikolaevsky e Alexander Orlov.
“Il libro di Cohen è importante anche per un altro motivo: Mikhail Gorbaciov ne fece la prima opera di un sovietologo occidentale pubblicata da una casa editrice sovietica. … Alla fine del 1987 a Mosca si tenne una conferenza su Bukharin, ispirata in parte dall’opera di Cohen, e Cohen fu invitato tra i relatori, non solo, ma Gorbaciov tenne insieme a lui una conferenza stampa. Questo episodio e la pubblicazione, alla fine del 1988, della traduzione russa da parte della casa editrice governativa Progress inaugurò il “Boom di Bukharin”, col regime di Gorbaciov che promuoveva l’entusiasmo per Bukharin come “vero” erede di Lenin.
 [5]

  “Gorbaciov e i suoi seguaci all’interno della direzione sovietica erano interessati soprattutto a utilizzare le posizioni di Bukharin favorevoli ai meccanismi di mercato negli anni ’20 per giustificare in nome del “leninismo” il massiccio ricorso ai mercati alla fine degli anni ’80. Ma questo adesso non ci interessa. Il decimo capitolo del libro di Cohen non riguarda le idee economiche di Bukharin ma la sua vita dal 1930 fino al processo e all’esecuzione nel marzo del 1938. Tuttavia gli ultimi otto anni della carriera di Bukharin rivestivano un’importanza fondamentale per l’obiettivo di Gorbaciov di riabilitare le idee economiche di Bukharin per la sua perestroika. Dimostrare l’innocenza di Bukharin rispetto ai reati che gli erano stati addebitati nel processo del 1938 era fondamentale per affermare la pretesa legittimità leninista delle sue idee economiche. Se fosse stata opinione comune che Bukharin si era realmente macchiato anche solo di una delle principali imputazioni di cui si era confessato colpevole… non avrebbe potuto essere di alcuna utilità per Gorbaciov. E poi Bukharin stesso al processo aveva ammesso che la politica che propugnava negli anni ’30 comportava “la restaurazione del capitalismo” e questo Gorbaciov non poteva certo ammetterlo – almeno non nel 1988.
“Riconoscere la colpevolezza di Bukharin significava ammettere che il governo sovietico – “Stalin” nella riduttiva sineddoche del gergo anticomunista – aveva tutte le ragioni per condannarlo a morte. Ma c’è di più, perchè Bukharin aveva coinvolto praticamente tutti gli altri imputati nei tre processi di Mosca nonchè quelli del processo militare segreto del Maresciallo Tukacevsky e dunque ammettere la colpevolezza di Bukharin significava giustificare la repressione del governo sovietico contro tutti costoro. Per far accettare la politica economica di Gorbaciov era indispensabile dipingere le politiche di Stalin come errate, immorali e contrarie al leninismo e dunque l’innocenza di Bukharin era la chiave di volta della “riabilitazione” tanto del suo nome quanto delle politiche economiche ad esso associate.
“Dal “Boom di Bukharin” degli ultimi anni ’80 si è sempre dato per scontato e sostenuto che Bukharin fosse stato costretto a confessare crimini che non aveva commesso. Questa è la tesi irremovibile che sta a fondamento di qualsiasi discussione canonica sulla vita di Bukharin, i processi di Mosca e l’Unione Sovietica degli anni ’30 in generale e che viene ribadita a ogni piè sospinto fino ad essere considerata assolutamente ovvia. Sono poche le voci – e nessuna nella sfera pubblica o nell’ambito accademico dominante – che abbiano sottoposto questa tesi a un serio esame”. Eppure – proseguono i due storici – “l’innocenza di Bukharin non è suffragata da nessun elemento. Al contrario, tutte le indicazioni in nostro possesso sono coerenti con la colpevolezza di Bukharin per i reati da lui confessati.
“Per il “Boom di Bukharin” sponsorizzato da Gorbaciov emerse presto un problema, di cui però venimmo a conoscenza solo nel 2004. La commissione del Comitato Centrale, istituita per studiare e in sostanza per trovare le prove che Bukharin era stato condannato ingiustamente, non era riuscita a trovare la minima prova. I verbali della commissione pubblicati nel 2004 evidenziano la costernazione dei commissari per questo fallimento. Il risultato fu che il decreto del Plenum della Corte Suprema Sovietica emesso il 4 febbraio 1988, in cui si dichiarava che Bukharin fu costretto a rendere una falsa confessione, non è mai stato pubblicato e rimane segreto ancor oggi. Il suo testo, solo recentemente scoperto, permette di vedere che la prova chiave che vi si cita a sostegno dell’innocenza di Bukharin è in realtà una deliberata falsificazione. La confessione-dichiarazione di Mikhail Frinovsky, un documento che ha costituito una prova importante della colpevolezza di Bukharin, viene citata falsandola deliberatamente in modo da poter essere utilizzata come prova della sua innocenza. In realtà gli esperti di Gorbaciov non sono riusciti a trovare nessun appiglio a sostegno della loro teoria innocentista.

Fin qui Bobrov e Furr. Non Bukharin dunque, ma Stalin ha bisogno, anche se non è stato fucilato, di una rivincita postuma e per molti aspetti la sta anche ottenendo.
Quanto a Bukharin, quello che viene processato non è solo un teorico. E’ un uomo di azione. Lenin in una lettera al CC del partito lo descrive così:

  «Tra i giovani membri del Comitato centrale, voglio dire qualche parola su Bukharin e Pjatakov. Essi, secondo me, sono (tra i più giovani) le forze che spiccano di più e nei loro riguardi bisognerebbe tener presente quanto segue: Bukharin non è solo il teorico più stimato e più forte del partito, ma è pure considerato legittimamente come il beniamino di tutto il partito; però è molto dubbio che le sue concezioni teoriche possano essere considerate interamente marxiste, dato che in lui c’è qualcosa di scolastico (egli non ha mai studiato e, credo, non ha mai compreso interamente la dialettica)» [6].

  Forse i dubbi di Lenin sulla sua comprensione della dialettica sono sorti o si sono rafforzati in rapporto al suo comportamento rispetto alla necessità di concludere la pace con i tedeschi nei mesi successivi alla presa del potere. In quella fase drammatica Bukharin è schierato con Trotsky e con i socialisti rivoluzionari. Lenin stesso ne parla in in questi termini:

  “Nel 1918 non si è giunti fino alla scissione. I comunisti «di si­nistra» allora hanno formato solo un gruppo a parte o «frazione» in seno al nostro partito, e d’altronde non per molto tempo. Nello stesso anno, i più noti rappresentanti del «comunismo di sinistra», per esem­pio i compagni Radek e Bukharin, hanno riconosciuto apertamente il loro errore. Essi avevano ritenuto che la pace di Brest fosse inammis­sibile in linea di principio e costituisse un compromesso con gli impe­rialisti, dannoso al partito del proletariato rivoluzionario. E in realtà quello era un compromesso con gli imperialisti, ma un tale compromesso, in tali circostanze, era indispensabile [7].

  Ma non era solo un grave dissenso politico determinato da superficialità nell’analisi concreta della situazione. Bukharin era anche in combutta con i socialisti rivoluzionari che progettavano di arrestare Lenin, Stalin e Sverdlov. ma per carità, senza torcere loro un capello, come afferma nella sua ultima dichiarazione al processo.
Sulla successiva attività di cospirazione contro il governo sovietico, c’è anche, da cinquant’anni, la testimonianza, sicuramente non estorta, di Humbert-Droz, membro (antistalinista) del Partito comunista svizzero e rappresentante dell’Internazionale [8] che nel 1929 incontrò Bukharin, che ne era il presidente dal 1926.

  “Prima di partire, andai a vedere un’ultima volta Bukharin, non sapendo se l’avrei rivisto al mio ritorno. Avemmo una lunga e franca conversazione. Mi mise al corrente dei contatti presi dal suo gruppo con la frazione Zinov’ev-Kamenev per coordinare la lotta contro il potere di Stalin. Non gli nascosi che non approvavo questo legame delle opposizioni: “La lotta contro Stalin non è un programma politico. Abbiamo combattuto con ragione il programma dei trotzkisti sui problemi fondamentali, il pericolo dei kulak in Russia, la lotta contro il fronte unico con i socialdemocratici, i problemi cinesi, la prospettiva rivoluzionaria a breve scadenza, ecc. All’indomani di una vittoria comune contro Stalin, questi problemi politici ci divideranno. Questo blocco è un blocco senza principi, che si disgregherà ancor prima di ottenere alcun risultato.
“Bukharin mi disse anche che avevano deciso di usare il terrorismo individuale per liberarsi di Stalin. Anche su questo punto feci delle precise riserve: l’introduzione del terrorismo individuale nelle lotte politiche nate dalla rivoluzione russa rischiava molto di volgersi contro coloro che l’avessero usato. Esso non è mai stato un’arma rivoluzionaria. “La mia opinione è che noi dobbiamo continuare la lotta ideologica e politica contro Stalin. La sua linea porterà, in un avvenire vicino, a una catastrofe che aprirà gli occhi dei comunisti e sfocerà in un cambia­mento di orientamento. Il fascismo minaccia la Germania e il nostro partito di chiacchieroni sarà incapace di resistergli. Di fronte alla disfatta del Partito comunista tedesco e all’estensione del fascismo alla Polonia, alla Francia, l’Internazionale dovrà cambiare politica. Quello sarà il nostro momento. È quindi necessario rimanere disciplinati, applicare le decisioni della nostra frazione dopo aver combattuto ed essersi opposti agli errori e alle misure della sinistra, ma continuare la lotta sul terreno strettamente politico”.
“Bukharin ha indubbiamente capito che non mi legavo strettamente alla sua frazione, il cui solo programma era eliminare Stalin. È stato questo il nostro ultimo incontro. Chiaramente, non aveva fiducia nella tattica che proponevo. Naturalmente, sapeva anche, meglio di me, di quali delitti fosse capace Stalin. Insomma, coloro che dopo la morte di Lenin avrebbero potuto, sulla base del suo testamento, liquidare Stalin politicamente, cercavano di eliminarlo fisicamente, quando egli deteneva fermamente in mano il partito e l’apparato poliziesco dello stato”

  Stranamente né Conquest né altri hanno mai preso in considerazione questa testimonianza.
Lasciamo ora agli specialisti il compito di smascherare le ricostruzioni faziose a supporto della controrivoluzione interna e dell’anticomunismo (dopotutto Conquest era un agente di Sua Maestà britannica) e facciamo parlare i protagonisti: Bukharin e anche Stalin con tre testi che si possono leggere nel volume “Stalin, materiali per la discussione” [9] oppure dal sito associazionestalin.it agli indirizzi sotto indicati.
– Il primo è dell’aprile 1929 ed è il resoconto del lungo e articolato discorso tenuto da Stalin all’assemblea plenaria del CC del partito. Stalin fa un’analisi dettagliata delle divergenze con le posizioni e la condotta di Bukharin come dirigente dell’Internazionale e sulle forme e i tempi della costruzione del socialismo nell’URSS [qui].
– Il secondo è il discorso tenuto da Bukharin al XVII congresso del partito nel febbraio 1934. Bukharin fa una spietata autocritica delle posizioni da lui stesso precedentemente sostenute ed esalta i risultati ottenuti dal partito e la figura stessa di Stalin [qui].
– Il terzo è l’ultima dichiarazione già menzionata di Bukharin al processo in cui sarà condannato alla pena capitale [qui]. A questo proposito, di fronte al solito argomento per cui ai processi di Mosca degli anni 1937-38 le accuse sarebbero false e prefabbricate, gli imputati innocenti e le confessioni estorte, non è inutile ricordare che questa non era affatto l’immagine che ne avevano gli osservatori contemporanei, anche anticomunisti [10].

Per concludere

Non è davvero facile, leggendo questi testi, difendere l’operato di Bukharin cospiratore e la effettiva praticabilità delle sue idee per lo sviluppo della società sovietica in quella fase. Non solo, ma Bukharin è smentito clamorosamente dai risultati ottenuti dall’URSS in pochi anni sotto la direzione di Stalin. Sulla scorta delle precise e articolate argomentazioni di Stalin nel testo del 1929 possiamo solo immaginare i danni, anche irreparabili, come per le vicende della pace di Brest, che le ricette di Bukharin avrebbero procurato (e sulla necessità di sviluppo rapido dell’industria di fronte alla minaccia di guerra anche Valentini è costretto a concedere che il problema esisteva; poi però continua il suo viaggio nel mondo autonomo delle idee, slegato dalla necessità di tener conto delle contingenze storiche).
Non è nemmeno facile vedere Stalin e Pol Pot , come fa en passant Valentini, infilati nella stessa categoria di estremisti fautori di un ‘comunismo di guerra’, assimilando il Pol Pot sostenuto dagli americani in funzione anti-Vietnam con il comunismo di guerra impostosi come necessità di sopravvivenza negli anni della guerra diretta e indiretta sostenuta dalle potenze dell’Intesa per soffocare nella culla il potere sovietico. Del resto leggendo Valentini tra le righe e anche in base ad altri suoi scritti, non si sfugge all’impressione che secondo lui la presa del potere in Russia sia stata più un incidente della storia che un passaggio importante nel cammino secolare della trasforma­zione del modo di produzione capitalistico.
Ma la cosa per me più irritante nel suo articolo è un’altra. Non il servizio che rende a una visione che richiama quella degli ‘errori ed orrori’ di cui amava parlare Bertinotti, quanto piuttosto la pretesa di aver finalmente trovato la chiave che apre ogni porta e risolve ogni problema: la coesistenza virtuosa di pianificazione e mercato, controllo dello stato e libera impresa.
Lungi da me l’idea di sminuire l’importanza dell’esperienza cinese e la grandiosità ed estrema rilevanza per i comunisti dei risultati raggiunti, ma trascurare contraddizioni e difficoltà e i passaggi irti di difficoltà della storia reale non rende un buon servizio neanche ai cinesi.
C’è inoltre da chiedersi come mai generazioni di comunisti non abbiano capito una cosa così semplice. Bukharin sarebbe stato l’unico a capirlo? Ovvero, come si sente frequentemente argomentare, davvero la NEP, se non fosse stata abbandonata a tempo debito da Stalin, avrebbe assicurato all’economia sovietica in quegli anni una crescita magari lenta ma senza intoppi e senza laceranti contrasti di classe? E gli imperialisti, scottati dalla sconfitta del loro primo intervento, sarebbero rimasti a guardare con occhio benigno i progressi dell’URSS?
E’ chiaro che i ragionamenti di questo tipo, fatti per di più a distanza di un secolo, prescindono dai dati oggettivi e dal processo storico in atto e sono pertanto pura ideologia, trascurano del tutto le contraddizioni reali e i passaggi e i processi di apprendimento necessari per affrontarle.

Paolo Pioppi

Note

[1] Grover Furr – Vladimir Bobrov, La biografia di Bukharin di Stephen Cohen. Uno studio sulle falsità delle “rivelazioni” dell’era Krusciov, saggio contenuto nel libro pubblicato nel 2010 dagli stessi autori, dal titolo: 1937. Pravosudie Stalina. Obzhalovaniiu ne podlezhit! (1937. La giustizia di Stalin non è soggetta ad appello), Mosca, EKSMO, pp. 195-333. In italiano [qui], traduzione di Davide Spagnoli per “Noi comunisti”.
[2] Vedi [qui]
[3] In italiano Bukharin e la Rivoluzione bolscevica. Una biografia politica 1888-1938, Feltrinelli, 1975.
[4] In italiano, Il grande terrore: gli anni in cui lo stalinismo sterminò milioni di persone, BUR 1999.
[5] Al “boom” partecipò naturalmente, alla vigilia dell’autoliquidazione, anche il PCI (vedi L’Unità del 1988).
[6] Dal resoconto stenografico dell’Assemblea plenaria del CC del luglio 1926.
[7] Lenin, L’estremismo malattia infantile del comunismo, Pietrogrado, giugno 1920.
[8] Jules Humbert Droz, L’Internazionale comunista tra Lenin e Stalin, Memorie di un protagonista 1891/1941, 1974, Milano, Giangiacomo Feltrinelli Editore, pp. 263-264
[9] Prima edizione, 656 pagine, aprile 1921, Roma, Edizioni Aginform (copie scontate a €10,00 inclusa la spedizione possono essere richieste a pasti@mclink.it). Seconda edizione, dicembre 2022, Lecce, Youcanprint, [qui] o dai principali circuiti librari commerciali.
[10] Queste le parole dell’ambasciatore USA a Mosca: “… Una ragione oggettiva (…) mi ha fatto concludere – a malincuore – che lo Stato ha realmente provato le accuse. Non esiste alcun dubbio sull’esistenza di una cospirazione assai grave fra i dirigenti contro il governo sovietico, e sul fatto che le violazioni della legge indicate nei capi d’accusa siano realmente state commesse, e siano dunque punibili. Ho parlato con praticamente tutti i membri del corpo diplomatico qui presenti, e tranne, forse, una sola ecce­zione, tutti sono dell’avviso che i dibattiti abbiano stabilito l’effettiva esistenza di un piano segreto e di una cospirazione miranti ad eliminare il governo.&8221; J.E.Davies “Ambasciatore degli Stati Uniti a Mosca. Relazioni autentiche e confidenziali sull’Unione Sovietica fino all’ottobre 1941”, Zurigo, 1943.

***

A proposito di Bukharin e della NEP

di Giuseppe Amata

  Caro Paolo,
  cari compagni del Forum dei Comunisti,
  io non condivido minimamente l’articolo di Valentini su Marx XXI e sostengo che su certi argomenti anziché fare discussioni per slogan (come nel suo articolo) o, anche se serie, mettendo come aspetto principale quello ideologico rispetto alle contraddizioni del passato, occorra invece fare un’analisi storica della contraddizione di quel momento in riferimento allo sviluppo economico dell’URSS e risolverla con gli occhi del presente, in quanto la nostra azione politica non si svolge in quel contesto ma in quello attuale.
  Questo ovviamente non esclude che i compagni che hanno un’ampia documentazione storica non si possano pronunciare su quelle questioni, ma tutti i problemi tramandati dalla storia devono essere affrontati principalmente utilizzando il metodo storico, cioè la ricerca di molte fonti (documenti, verbali del CC, atti processuali,ecc.) dopodiché ognuno può fare tutte le sue considerazioni ideologiche retrospettive. Quindi poiché non sono molto documentato su tutta la vicenda Bukharin non sono nelle migliori condizioni per esprimere un giudizio sulla sua personalità.
  In quanto invece alla questione della NEP sono pronto a discutere le posizioni di Bukharin dicendo sinteticamente che è sbagliato l’accostamento tra quelle posizioni e quelle della Cina della “Riforma e apertura”, come fanno alcuni compagni, in quanto le contraddizioni antagonistiche di quella fase storica (l’URSS unico Paese impegnato a costruire una società socialista circondato dall’imperialismo) sono diverse da quelle del momento in cui la Cina ha avviato la politica di “Riforma e apertura”, poiché l’accerchiamento americano e giapponese e il confronto duro con l’URSS di Breznev erano stati sconfitti a livello politico, economico, militare (la Cina lanciava missili balistici e satelliti e si era dotata di testate nucleari) e diplomatico (nel 1971 aveva ripreso il suo seggio alle Nazioni Unite ed usufruiva del diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza). Concludo dicendo che così come in Cina non era possibile fare la politica di “Riforma e apertura” negli anni Cinquanta e Sessanta (ed erano già trascorsi venti anni dalla rivoluzione vittoriosa del 1° ottobre 1949), in URSS non era possibile attuare la linea di Bukharin perché dopo pochi anni dal trionfo della Rivoluzione non c’erano capitalisti pronti ad investire i loro capitali, così come hanno fatto nella Cina di Deng, perché l’imperialismo aveva messo in calcolo di impedire la costruzione del socialismo sebbene in un solo Paese. Quindi la linea di Stalin dell’industrializzazione forzata e della collettivizzazione delle campagne era la più fattibile e vincente, come ha dimostrato la vittoriosa guerra patriottica.
  Dire questo, però, non significa giustificare la nazionalizzazione di tutta l’attività della piccola produzione mercantile e dell’artigianato. Inoltre a partire dalla fine degli anni Quaranta l’URSS aveva bisogno di profonde riforme in quanto la base sociale era diversa dal 1917, cioè non c’erano soltanto operai e contadini, bensì ingegneri, medici, economisti, agronomi e tecnici in generale che dovevano avere un ruolo attivo nella partecipazione agli affari di Stato, non riservandola soltanto alla burocrazia di Partito e dello Stato (dirigenti e direttori di fabbrica) che si è trasformata da ceto privilegiato in classe vera e propria portando l’URSS alla dissoluzione. Sul processo a Bukharin, dopo quello che ho letto nel libro di Furr e nelle pubblicazioni di Aginform di qualche anno addietro, mi sono fatto il convincimento che, dal momento in cui Bukharin si dichiara colpevole di quanto viene accusato (e tra l’altro traspare da quello che ho letto che sia stato sollecitato ad autocriticarsi) la pena di morte è stata una forzatura. Ma su questi problemi devono essere i comunisti russi a esprimere l’ultima parola. Cari saluti e se lo ritenete opportuno potete pubblicare queste osservazioni sul sito del Forum.

 

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