Rassegna 24/01/2025
Emiliano Gentili e Federico Giusti: Accordo Starlink. Giù la MUSKera
Accordo Starlink. Giù la MUSKera
di Emiliano Gentili e Federico Giusti
La polemica contro un eventuale investimento di Starlink in Italia muove da considerazioni di vario tipo. Ad esempio c’è chi evidenzia i rischi per la sicurezza nazionale, perché gli oligarchi come Musk – quelli cioè in grado di sfidare gli Stati su alcune delle loro prerogative fondamentali (come il servizio di accesso universale alle connessioni di rete per la cittadinanza) – agiscono oggettivamente come «veri e propri contropoteri» (Mattarella).
A ben vedere, tuttavia, tali rischi non riguardano solo lo Stato come istituzione integra e sovrana ma anche i cittadini e le loro vite private, i loro dati sensibili, nonché i dipendenti della Pubblica Amministrazione: l’affare Starlink va infatti collegato anche con il DdL Sicurezza, che obbligherà le Amministrazioni pubbliche a fornire informazioni e comunicazioni sui propri dipendenti e sul loro operato (comprendendo la ricerca e l’insegnamento), in un’ottica, evidente, di controllo e repressione dell’autonomia sul lavoro. In generale, poi, far dipendere l’erogazione di un servizio universale dalla disponibilità a fornirlo da parte di un colosso privato multinazionale vuol dire trovarsi perennemente sotto potenziale ricatto, tanto più se le tecnologie reperite privatamente avranno un ruolo importante e strutturale nella fornitura del servizio: sarà molto difficile riuscire a svincolarsene per poi, in un futuro, tornare a essere indipendenti.
D’altro canto è pur vero, come evidenziato dai sostenitori di Musk e Meloni, che investimenti privati di grandi dimensioni su asset fondamentali dell’economia nazionale sono, ahinoi, perfettamente “normali” e di frequente praticati: l’intero Rapporto Draghi, i Pnrr, gli Ipcei e i vari accordi transnazionali stretti nel corso del tempo fra governi di ogni colore dei Paesi dell’Ue si basano, tutti, su strategie per ottenere investimenti privati e la stipula di nuovi accordi.
Fosco Giannini: Costruire il partito comunista: è l’ora! Sabato 25 gennaio tutti a Roma!
Costruire il partito comunista: è l’ora! Sabato 25 gennaio tutti a Roma!
di Fosco Giannini*
L’appello lanciato alle compagne e ai compagni dal coordinatore nazionale del Movimento per la Rinascita Comunista e dirigente di Prospettiva Unitaria, per l’appuntamento che si terrà nella Capitale.
È l’ora!
Nessuno si tiri indietro!
È l’ora della costruzione del partito comunista!
Sabato 25 gennaio, a Roma, presso il Teatro Flavio, dalle ore 10.00, Prospettiva Unitaria, le comuniste e i comunisti del nostro Paese daranno vita a una grande Assemblea nazionale dalla quale partirà il percorso concreto per la costruzione del partito comunista!
Nessun comunista con la coscienza del tempo che vive, del nostro tempo terribile, può mancare all’appuntamento! Conosciamo i compagni e le compagne: i nostri stipendi sono magri, le nostre pensioni sono spesso da sopravvivenza, i treni ci falciano il salario, i lunghi viaggi in auto per noi costano tanto: ma quando viene l’ora che conta i comunisti ci sono, ci sono sempre stati e nessun’ora è giusta come quella che va scoccando, quella della costruzione del partito comunista! Nessun sacrificio è giusto, nessuno vale la pena di essere scelto come questo di essere protagonisti della messa in cantiere del nostro partito, il partito delle lavoratrici e dei lavoratori, il partito degli intellettuali e dei giovani: il partito comunista!
Le compagne e i compagni del Movimento per la Rinascita Comunista lavorano da tempo per l’unità dei comunisti e per la costruzione del partito comunista. Hanno già investito in questi due grandi e nobili progetti tanta parte della loro vita, si sono sacrificati e sanno cos’è il sacrificio. A testa alta faranno anche questo nuovo pezzo di strada che ci porterà a Roma il prossimo 25 gennaio!
Queste compagne e questi compagni, l’intero MpRC, hanno fornito un contributo determinante all’unità dei comunisti e al progetto di costruzione del partito comunista.
Michael Hudson: La militarizzazione del dollaro USA. Potrà funzionare?
La militarizzazione del dollaro USA. Potrà funzionare?
di Michael Hudson – unz.com
Trump ha promosso una serie di piani per rendere l’America forte – a spese di altri Paesi. Dato il suo motto “noi vinciamo, voi perdete”, alcuni dei suoi piani produrrebbero l’effetto opposto a quello da lui immaginato.
Non sarebbe un gran cambiamento nella politica degli Stati Uniti. Ma, secondo me, la Legge di Hudson potrebbe raggiungere il suo apice sotto Trump: ogni azione degli Stati Uniti, quando attaccano gli altri Paesi, tende a ritorcersi contro di loro e finisce per costare alla politica americana almeno il doppio.
Abbiamo visto che è diventato normale per i Paesi stranieri essere l’oggetto dell’aggressione politica degli Stati Uniti. Il più evidente è il caso delle sanzioni commerciali americane contro la Russia. Se non sono gli Stati Uniti a perdere (come nel caso del sabotaggio al gasdotto Nord Stream che ha portato all’impennata delle esportazioni statunitensi di GNL), saranno i loro alleati a farne le spese. Tra qualche anno, gli Stati Uniti potrebbero perdere l’Europa e la NATO a causa delle pressioni esercitate dai Paesi europei per dichiarare la propria indipendenza dalla politica statunitense.
Per accelerare il distacco dall’Europa, i leader della NATO chiedono sanzioni contro la Russia e la Cina, affermando che “le importazioni equivalgono alla dipendenza”. Seguiranno controsanzioni russe e cinesi che bloccheranno la vendita di altre materie prime all’UE.
In passato abbiamo discusso del piano di Trump di aumentare le tariffe doganali statunitensi e di usarle in modo simile all’imposizione di dazi contro i Paesi che non si allineano alla politica estera degli Stati Uniti. Questa proposta è molto contrastata da interessi repubblicani consolidati e, in ultima analisi, è il Congresso che deve approvare le sue proposte. Quindi Trump probabilmente minaccia troppi interessi acquisiti per fare di questa proposta una grande battaglia all’inizio della sua amministrazione. Sarà impegnato a fare piazza pulita [di quei settori] dell’FBI, della CIA e delle forze armate che, fin dal 2016, sono sempre state contro di lui.
Sonja van den Ende: L’insabbiamento dei crimini occidentali in Siria
L’insabbiamento dei crimini occidentali in Siria
di Sonja van den Ende* – StrategicCulture
Il congelamento del conflitto in Siria è stato il più grande errore di Assad e del precedente governo, che ha assunto una posizione troppo morbida nei confronti dei terroristi.
Dopo la caduta della Siria e il parziale collasso dell’Asse della Resistenza, nei media occidentali è stata lanciata una prevedibile campagna diffamatoria che, come per la Russia, si basa su distorsioni e bugie.
Si tratta di una campagna psicologica occidentale ben oliata per far credere al grande pubblico che, dopo Hitler, Bashar al-Assad fosse un dittatore temuto, proprio come fanno con Putin e, prima ancora, con Gheddafi e Saddam Hussein.
Il mondo è rimasto sorpreso quando, l’8 dicembre 2024, i terroristi più temuti hanno preso il controllo della vecchia Siria, una forma di Stato semi-secolare, e l’hanno immediatamente trasformata in un califfato.
Ma per i pianificatori imperiali americani, i loro alleati europei e i loro proxy terroristi, compresi quelli in Ucraina, non c’è stata alcuna sorpresa. Lo sapevano. La milizia terroristica sponsorizzata dalla NATO è stata addestrata dalla CIA a Idlib e dotata di droni dall’Ucraina, che sono prodotti in Ucraina, a partire da prodotti semilavorati di un’azienda olandese chiamata Metinvest B.V.
Gran parte dell’esercito siriano non ha disertato, come sostengono i media occidentali e i cosiddetti esperti. Circa 9.000 soldati sono ancora prigionieri nel deserto siriano o nella prigione di Sednaya, detenuta dai terroristi.
Michele Berti: Allacciate le cinture
Allacciate le cinture
di Michele Berti
Allacciare le cinture, sarà un atterraggio problematico. La politica estera vincolata e priva di buon senso delle classi dirigenti europee si sta concretizzando con effetti devastanti sulle spese energetiche di imprese e famiglie, innescando ancora una volta un’inevitabile e tutt’altro che imprevedibile spirale inflazionistica da offerta. I dati che arrivano dalla Germania sono inequivocabili, calo degli ordinativi, aumento della povertà, recessione, crisi profonda del comparto automotive. 364 grandi aziende tedesche sono fallite nel 2024. Si tratta del 30% in più rispetto a un anno prima. Quest’anno, il numero di tali fallimenti si stima in aumento di un altro 25-30% e raggiungerà livelli mai visti dal picco della crisi finanziaria globale nel 2009[1].
I fornitori di componenti automobilistici, le società di ingegneria e di costruzione, nonché il settore sanitario si trovano nella situazione più difficile. Nel settore edile si è verificato un aumento del numero di fallimenti del 53%. L’aumento dei costi e dei tassi di interesse ha creato una tempesta perfetta che ha portato a un forte calo anche nella costruzione di abitazioni che continuerà nel nuovo anno.
La CGIA di Mestre in una nota datata 11 gennaio[2] espone dati drammatici sui futuri costi energetici. Le imprese italiane dovranno sostenere 13,7 mld di spese in più nel 2025 per un conto complessivo che si aggirerà sugli 85 mld, divisi in circa 65 per la fornitura di energia elettrica e 20 per la fornitura di gas. Una marea di soldi finiranno in fumo.
Jack Orlando:La politica al tramonto (d’Occidente)
La politica al tramonto (d’Occidente)
di Jack Orlando
Anton Jager; Iperpolitica. Politicizzazione senza politica; Nero Edizioni; Roma 2024; 15€ 158 pp.
Tre proiettili alle spalle e Brian Thompson, il CEO della United Healthcare, cade freddato a terra.
Non si fa in tempo ad avere l’identità dell’attentatore che già inizia il vociare di internet.
Sui social si brinda alla morte del capo dell’assicurazione sanitaria, si moltiplicano le testimonianze di cure rifiutate per le politiche aziendali dell’assicurazione guidata da Thompson; rifiuti che hanno determinato morti evitabili e dolori inutili, che hanno stabilito il valore della vita di ciascuno sulla base della sua affidabilità economica.
L’empatia è un ingrediente che manca totalmente nella reazione generale e questo nonostante i canali mainstream si prodighino in avvisi allarmati e condoglianze contrite, nonostante soprattutto i megainfluencer politici, Musk tra tutti, che improvvisamente cambiano registro: da commentatori spietati e virulenti, aizzatori di folle, si riscoprono moderati e ragionevoli “epperò signora mia… uccidere qualcuno non è mica una bella cosa”. Rapidamente si allarga uno spazio dove le posizioni sono molto nette, al di là di qualsiasi posizionamento ideologico.
Spazio che si fa rapidamente abisso quando diventa pubblica l’identità dell’attentatore, Luigi Mangione: italoamericano, studente brillante di buona famiglia, fisico atletico e bel viso.
Patrizio Paolinelli: Una buona società è possibile
Una buona società è possibile
di Patrizio Paolinelli
La filosofa della politica Giorgia Serughetti ha dato alle stampe un libro controcorrente intitolato La società esiste (Laterza, Bari-Roma 2023, pag. 174, 18,00 euro). Il volume costituisce una critica al neoliberismo e pone il problema del suo superamento. Ma andiamo con ordine.
Serughetti interpreta la pandemia da Covid 19 (2020-2023) come l’evento che ha inflitto all’ideologia neoliberista un duro colpo perché ha dimostrato l’importanza delle strutture pubbliche e persino l’allora premier britannico, Boris Johnson, fu costretto ad ammettere l’esistenza della società altrimenti gli inglesi non sarebbero usciti dall’emergenza sanitaria.
Nella storia, si sa, i processi sociali hanno bisogno di tempo per maturare e il peso della celeberrima battuta della Thatcher, “La società non esiste”, aveva alle spalle trent’anni di concrete applicazioni finalizzate a ridurre la spesa pubblica volta a sostenere i salari e il benessere dei cittadini. Perciò non è bastata la pandemia per invertire la rotta delle politiche economiche neoliberiste. Le quali continuano ancora oggi a demolire il Welfare state e a permettere all’imprenditoria privata di appropriarsi delle risorse dello Stato.
Gran parte del libro della Serughetti è dedicato ad analizzare gli effetti sociali del neoliberismo. E bisogna dire che le sue riflessioni sono molto ben articolate, convincenti e irrobustite dalla padronanza di una notevole bibliografia.
Enrico Tomaselli: La guerra ibrida di Trump
La guerra ibrida di Trump
di Enrico Tomaselli
Nonostante le grandi aspettative di cui è riuscito a circondare il suo secondo mandato presidenziale, è assai improbabile che Trump possa e voglia imprimere una svolta radicale alla politica internazionale degli Stati Uniti. E ciò per la semplice quanto evidente ragione che le linee strategiche di una grande potenza non possono essere soggette a continui cambiamenti, se non sul piano tattico e per gli aggiustamenti resi necessari dall’evoluzione delle situazioni, e che pertanto non è una Presidenza che imprime la direzione, ma è questa a determinare il Presidente.
Fermo restando, quindi, che la presidenza Trump (cosa del resto chiaramente rivendicata) avrà come obiettivo la riaffermazione dell’egemonia americana, e non certo una qualsiasi apertura al multipolarismo, resta da capire come concretamente svilupperà questa linea strategica, soprattutto relativamente alle maggiori aree di crisi, ma non solo.
Se guardiamo ad esempio alla crisi ucraina, sulla quale del resto si è accentrata l’attenzione, possiamo notare come la posizione statunitense – quale si va sempre più delineando – è caratterizzata innanzitutto da un approccio riduttivo, che cioè considera il conflitto come una questione circoscritta, che va mantenuta e risolta in un ambito limitato, senza quindi affrontare i temi di fondo che invece lo sottendono, quali non solo l’appartenenza o meno dell’Ucraina alla NATO ma la sua neutralità/smilitarizzazione e, ancora più importante, una nuova architettura di sicurezza reciproca in Europa e globale. Temi questi che, per loro natura, richiederebbero appunto la disponibilità a mettere in discussione la supremazia statunitense, cosa che la nuova amministrazione non vuole e non può fare.
Ugualmente, si vede come Washington intenda conseguire il solo risultato che gli sta a cuore – ovvero la fine dei combattimenti – attraverso una politica del bastone e della carota; da un lato offrendo la prospettiva di un progressivo allentamento delle sanzioni e il riconoscimento de facto delle annessioni territoriali, accompagnati da un rinvio sine die dell’adesione di Kiev alla NATO, e dall’altro la minaccia di inasprirle e di mantenere il sostegno militare all’Ucraina, magari allargandone la facoltà di utilizzo.
Vincenzo Comito: Cina e India, fratelli rivali
Cina e India, fratelli rivali
di Vincenzo Comito
Le statistiche disponibili indicano che il pil di Cina ed India ha rappresentato circa il 50% del totale mondiale per moltissimi secoli, almeno dall’anno mille (Maddison, 2007) in poi e ancora sino al 1820, con la rivoluzione industriale inglese ormai matura. Poi la stanchezza delle due grandi civiltà asiatiche (incidentalmente, gli storici hanno analizzato a lungo, ad esempio, le ragioni dello strano caso della mancata rivoluzione industriale in Cina prima che in Inghilterra), gli sviluppi del colonialismo uniti al progressivo decollo dell’economia del Nord del mondo, hanno fatto sì che il loro peso arrivasse a stabilirsi in una frazione ridotta del totale mondiale. Così nel 1973, sempre secondo le analisi di Maddison, il valore del pil dei due paesi era sceso al 7,7%. Per moltissimi secoli l’area asiatica si è collocata al centro dell’economia mondiale e si è caratterizzata tra l’altro per i rapporti, a volte sereni, a volte tempestosi, tra le due grandi civiltà delle pianure alluvionali da una parte e quella dei popoli nomadi dell’Asia Centrale dall’altra. La via della seta, che collegava tra di loro i due paesi con quelli asiatici e poi con l’Europa, costituiva nella sostanza il sistema nervoso del mondo, come ha scritto un grande storico, Peter Frankopan, facendo da trait d’union lungo i paesi attraversati per la diffusione di culture, religioni, tecnologie, informazioni. Inoltre i due paesi partecipavano a un intenso e fittissimo sistema di scambi commerciali marittimi con gli altri paesi asiatici.
Facciamo a questo punto un salto nel tempo. A partire dalla fine degli anni quaranta del Novecento, dopo l’indipendenza indiana e l’arrivo di Mao a Pechino, sul piano economico le cose hanno cominciato a cambiare di nuovo, con un processo che, prima abbastanza lento, è andato accelerando nel tempo, prima in Cina e ora in India. Così ormai nel 2024, secondo le cifre del Fondo Monetario, il PIL cinese, se calcolato con il criterio della parità dei poteri di acquisto, rappresenta il 19% del totale mondiale, contro il 15% circa di quello Usa, mentre da qualche anno quello indiano cresce a ritmi anche più elevati di quello dell’altro paese asiatico.
Eros Barone: Le forme della contraddizione
Le forme della contraddizione
di Eros Barone
1. Il principio logico di non-contraddizione e il principio ontologico di contraddizione secondo Hegel
Parecchi importanti pensatori contemporanei, di orientamento analitico ma anche trascendentale, hanno preteso di confutare il sistema hegeliano appellandosi semplicemente al fatto che il metodo di Hegel, ossia la dialettica, negherebbe il principio di non-contraddizione. Tale negazione, secondo questi pensatori, tra i quali occupa un posto di primo piano Popper, vanificherebbe ogni possibilità di critica, in quanto, in base al punto di vista dell’autentico dialettico, la reductio ad absurdum non può mai essere assunta come procedimento valido. Questo modo di vedere si ritorcerebbe, comunque, contro lo stesso dialettico, poiché anch’egli non potrebbe confutare chi asserisse idee opposte alle sue, ma parimenti contraddittorie. Il principio di non-contraddizione, però, deve conservare la sua validità, anche perché dalla sua negazione può conseguire qualsiasi proposizione e in tal modo si potrebbe dimostrare tutto.1 Orbene, Popper e chi la pensa come lui hanno certamente ragione nel sostenere che una teoria che non si consideri confutata allorché se ne dimostri il carattere autocontraddittorio vanifica ogni possibilità di critica immanente. Teorie del genere vanno quindi respinte a priori come non scientifiche e bisogna considerare con la massima diffidenza quelle difese della dialettica che non lo ammettono.2
La verità è che Hegel non ha mai contestato il principio di non-contraddizione. Sennonché si potrebbe obiettare che Hegel ha addirittura incluso la contraddizione in quanto categoria nella logica e che ha sostenuto in vari passi che ogni ente si contraddice. Questo è vero, ma ciò non significa ancora violare il principio di non-contraddizione, che è la condizione di possibilità di qualsiasi critica dotata di senso. Per convincersene occorre, innanzitutto, stabilire che il principio di non-contraddizione, in quanto presiede alla consistenza e coerenza di qualsiasi argomentazione logica, deve essere così formulato: una teoria è sicuramente falsa, se incorre in contraddizioni. E ci si trova in presenza di tali contraddizioni, se una teoria asserisce qualcosa come vero, ma nel contempo dai suoi presupposti consegue che tale asserzione è necessariamente falsa.
Fulvio Grimaldi: Gaza o morte. Fatto.— Cisgiordania o morte. Da fare. — Grande Israele o morte. — Tempo al tempo
Gaza o morte. Fatto. — Cisgiordania o morte. Da fare. — Grande Israele o morte. — Tempo al tempo
di Fulvio Grimaldi
Un mese dopo lo scatto della foto in fondo, Marwan Barghuti è stato arrestato a Ramallah dall’IDF, violando la sua immunità di deputato del parlamento palestinese. Nel 2004 è stato condannato a cinque ergastoli e a ulteriori 40 anni di prigione, per colpe a lui attribuite: attacchi suicidi della Resistenza a obiettivi militari. Dato che in nessuna di queste azioni è stato direttamente coinvolto, è stato violato il principio giuridico fondamentale secondo cui la responsabilità penale è personale.
Oggi Barghuti ha 65 anni, è in carcere da 2004, non si è difeso in tribunale perchè non gli ha riconosciuto legittimità. In ogni sondaggio in vista delle prime elezioni da tenersi nei territori occupati dal 2006, vinte da Hamas, risulta primo nelle preferenze della popolazione palestinese. In tutte le liste di prigionieri che, nei vari scambi considerati nel corso dei negoziati tra il 2023 e oggi, Hamas ha collocato Barghuti al primo posto. All’atteggiamento di apertura e di laicismo e al rispetto per la volontà degli elettori, così manifestato da Hamas, il governo dello Stato sionista ha sistematicamente opposto un rifiuto netto.
Oggi, nelle fasi successive a quella della cessazione del fuoco e del primo scambio di prigionieri, fasi 2 e 3 già valutate improbabili dal regime di Tel Aviv, il quasi novantenne presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas (Abu Mazen) si è candidato, ed è stato candidato dagli sponsor esterni della tregua, all’amministrazione, in congiunzione con altri paesi, della Striscia di Gaza “liberata” dalla presenza di Hamas e delle altre forze della Resistenza.
Fabrizio Poggi: Diserzioni e fughe dai reparti: l’incubo crescente della junta nazigolpista di Kiev
Diserzioni e fughe dai reparti: l’incubo crescente della junta nazigolpista di Kiev
di Fabrizio Poggi
Hanno un bel sollevare baccano, a Londra, per il cosiddetto accordo che, a parole, dovrebbe garantire un “partenariato centenario” con l’Ucraina golpista: il problema principale per la junta nazista, quello della carenza di carne umana da mandare al macello rimane e anzi si fa sempre più critico.
Il documento sottoscritto a Kiev dal premier britannico Keir Starmer e Vladimir Zelenskij, mentre Londra, parallelamente, sta discutendo con Parigi l’invio di un “contingente di pace” in Ucraina, ha appena appena un aleatorio valore simbolico, mettendo nero su bianco che il sostegno inglese (d’altronde, Londra ha finora destinato appena il 3% di tutte le somme ricevute da Kiev per la guerra) non ha nulla da invidiare al cosiddetto “impegno” franco-britannico sulla Polonia nel 1939: in sostanza, che se la sbrighino da soli e, in ogni caso, è scritto che solo l’adesione «alla NATO rappresenta la migliore garanzia per la sua sicurezza».
Il breve documento, di soli 14 articoli, non prevede nemmeno obblighi specifici su alcunché e può essere annullato con una semplice notifica di una parte all’altra. Non paghi, gli inglesi, nella loro migliore tradizione coloniale, hanno incluso nell’ultimo articolo la dizione che «i due testi sono equivalenti. In caso insorgano divergenze di interpretazione, prevale il testo inglese». Che ne dite?
Leonardo Sinigaglia: Tik Tok e la (divertente) pena del contrappasso per gli oligarchi statunitensi
Tik Tok e la (divertente) pena del contrappasso per gli oligarchi statunitensi
di Leonardo Sinigaglia
La decisione da parte del governo statunitense di mettere al bando TikTok sta provocando effetti inaspettati assolutamente deleteri del regime di Washington. L’applicazione “cinese” è sempre stata oggetto d’attacchi da parte degli Stati Uniti, in particolare per la sua crescente popolarità, osteggiata da Meta e da Elon Musk, e per il ruolo che essa ha avuto nel diffondere le immagini del genocidio di Gaza occultate dal resto dei social-network, Facebook in primis.
TikTok è stata, a torto, accusata di essere uno strumento del governo cinese e di rappresentare una minaccia alla sicurezza nazionale, per cui l’amministrazione Biden, dopo aver offerto come unica soluzione la vendita a soggetti statunitense, ha deciso per il ritiro di essa dal mercato USA entro il 20 di gennaio. Gli utenti statunitensi di TikTok sono più di 150 milioni, superiori di un terzo a quelli di X e pari al 15% del totale mondiale. La notizia del probabile blocco dell’applicazione ha portato molti di questi a cercare alternative. Per uno strano scherzo del destino, l’alternativa è stata trovata in “RedNote”, meglio conosciuta come Xi?ohóngsh?, letteralmente “Libretto Rosso”, una piattaforma social squisitamente cinese la cui utenza, fino a pochi giorni fa, era composta per la stragrande maggioranza di cittadini della Repubblica Popolare.
In pochissimi giorni RedNote è diventata l’applicazione più scaricata negli Stati Uniti, con milioni di nuovi utenti, di cui 700.000 solo nei primi due giorni.
Glenn Diesen: Il prevedibile crollo della sicurezza paneuropea
Il prevedibile crollo della sicurezza paneuropea
di Glenn Diesen
Il sistema internazionale durante la Guerra Fredda era organizzato in condizioni estremamente a somma zero. C’erano due centri di potere con due ideologie incompatibili che si basavano sulle continue tensioni tra due alleanze militari rivali per preservare la disciplina di blocco e la dipendenza dalla sicurezza tra gli alleati. Senza altri centri di potere o una via di mezzo ideologica, la perdita per uno era un guadagno per l’altro. Tuttavia, di fronte alla possibilità di una guerra nucleare, c’erano anche incentivi per ridurre la rivalità e superare la politica dei blocchi a somma zero.
Le fondamenta di un’architettura di sicurezza paneuropea per mitigare la competizione in materia di sicurezza sono nate con gli accordi di Helsinki del 1975, che hanno stabilito regole del gioco comuni per l’Occidente capitalista e l’Oriente comunista in Europa. Il successivo sviluppo della fiducia ha ispirato il “nuovo pensiero” di Gorbaciov e la sua visione gollista di una casa comune europea per unificare il continente.
Nel suo famoso discorso alle Nazioni Unite del dicembre 1988, Gorbaciov annunciò che l’Unione Sovietica avrebbe ridotto le sue forze militari di 500.000 soldati e che 50.000 soldati sovietici sarebbero stati rimossi dal territorio degli alleati del Patto di Varsavia. Nel novembre 1989, Mosca ha permesso la caduta del Muro di Berlino senza intervenire. Nel dicembre 1989, Gorbaciov e Bush si incontrano a Malta e dichiarano la fine della guerra fredda.