Rassegna 26/01/2025
Paolo Di Marco: Marx e la Crisi della Fisica
Marx e la Crisi della Fisica
di Paolo Di Marco
a) Tecnica e lotta di classe
In una intervista/dibattito su YouTube con Varoufakis, David Wengrow, archeologo e uno dei due autori de ‘L’alba di tutto’ (v. 1), porta una critica radicale alla teoria dell’evoluzione umana basata sui salti della tecnologia (bronzo, ferro, agricoltura…) che non è compatibile, dice, coi dati che abbiamo accumulato negli ultimi vent’anni.
Le svolte vere sono state invece nelle forme di organizzazione sociale, da ventimila anni fa in poi; e la cosa interessante, sottolinea, è il fatto che non hanno seguito un percorso lineare (come nella vulgata sette-ottocentesca: dai cacciatori primitivi poveri e malaticci agli agricoltori col surplus e di qui a salire trionfalmente fino al capitalismo..) ma hanno seguito tanti rami diversi, spesso anche in modo ciclico (un ramo viene abbondanato da un parte e ripreso da un’altra).
Solo in epoca moderna questo va a coincidere con l’affermazione di Marx, ‘la storia è storia delle lotte di classe’, il che se da una parte è una conferma dall’altra mostra il depauperamento della storia stessa, il suo appiattimento in termini di gradi di libertà.
Ed è proprio la fase capitalistica che vede il più stretto legame tra rapporti sociali di produzione e scienza e tecnica: se la lunga fase dell’accumulazione primitiva crea la forza-lavoro libera per le fabbriche, è la macchina a vapore che crea il dominio dell’industria; anche se con un piccolo aiutino imperiale, dato che la concorrenza delle tessiture bengalesi viene eliminata non grazie alla ‘mano invisibile del mercato’ ma tagliando il pollice dei capifamiglia. Questo connubio forza tecnica-forza militare è carattere precipuo del capitalismo, seppure in dosi diverse in periodi diversi. Rispetto alla tecnica la scienza è insieme madre e figlia: le conoscenze scientifiche generano le tecniche, la tecnica propone le domande di cui la scienza si alimenta; anche se per tutto l’ottocento c’è un vortice continuo che mescola scienziati, inventori, artigiani arrivando solo a fine secolo ad una chiara distinzione dei ruoli e delle sedi.
Collettivo Le Gauche: Gianfranco La Grassa come teorico della transizione al comunismo
Gianfranco La Grassa come teorico della transizione al comunismo
di Collettivo Le Gauche
Il libro scritto da Gianfranco La Grassa e Maria Turchetto Dal capitalismo alla società di transizione è un buon esempio per indagare il La Grassa comunista che può ancora fornire degli spunti interessanti per ragionare sul problema della transizione a un altro modo di produzione. La Grassa e Turchetto prendono le mosse dal tentativo nei settori del movimento operaio di allora di mettere tra parentesi le esperienze di socialismo prodottesi nel mondo. Sembra che debba essere messa sotto il tappeto quella storia e che in ogni caso il movimento operaio occidentale non commetterà gli stessi errori. Si tratta di un atteggiamento da struzzo che si preclude la possibilità di analizzare gli insegnamenti provenienti dai paesi che hanno avviato la transizione socialista. Gli autori rifiutano categoricamente questo atteggiamento e cercano di dare il loro contributo al problema criticando le idee prevalenti in merito. L’obiettivo principale da colpire è l’economicismo che si basa sull’idea della centralità dello sviluppo delle forze produttive, provocato da un progresso tecnologico che in fondo è neutrale e può essere riadattato per costruire il socialismo. Questa tesi è affiancata dalla neutralità degli apparati statali il cui sviluppo può essere usato per la pianificazione economica orientata al massimo soddisfacimento dei bisogni delle masse. Le tecniche produttive capitalistiche e le tecniche del controllo statale, piegate al soddisfacimento dei bisogni della collettività, esprimerebbero tutte le loro potenzialità insite nella socializzazione della produzione che hanno generato portando a uno sviluppo senza precedenti delle forze produttive inizialmente ostacolato dalla proprietà privata dei mezzi di produzione. Lo sviluppo delle forze produttive così conseguito allieverebbe le fatiche dei lavoratori, riducendo l’orario di lavoro e creando le premesse di un’istruzione e di una cultura di massa sempre crescenti. Ciò porterà alla possibilità da parte della collettività di gestire gli affari dello Stato e alla formazione dell’uomo nuovo. Da simili tesi è facile giungere a conclusioni come lo Stato operaio degenerato a causa delle condizioni di arretratezza in cui si trova a dibattere il primo stato socialista.
Piero Pagliani: Lo stato del mondo all’atto dell’insediamento di Trump
Lo stato del mondo all’atto dell’insediamento di Trump
di Piero Pagliani
Ricevo dall’amico Piero Pagliani questa fotografia della situazione geopolitica mondiale nel momento del cambiamento di leadership al vertice Usa [Carlo Formenti]
«Tu sei la prima ragione, tutti i tuoi sogni sono la seconda»
Alla presenza dei personaggi istituzionali, di Giorgia Meloni come unico leader europeo invitato, e del gotha del Big Tech al completo (che aveva sempre sostenuto i Dem), con l’assenza di Zelensky, Netanyahu e von der Leyen e delle rinunciatarie Nancy Pelosi e Michelle Obama, Donald Trump si è insediato alla Casa Bianca.
Il suo discorso inaugurale è stato reazionario-libertarian. Un discorso ultranazionalista (normale per i presidenti statunitensi), che ha toccato vari punti. La sicurezza/immigrazione (con punte estremiste a lui consone: gli irregolari sono tout court criminali), dazi e protezionismo contro chiunque, il ritorno deciso e aggressivo al fossile (con ringraziamento ai lavoratori dell’industria dell’auto) senza la minima preoccupazione ecologica (ma con il “verde” Biden l’estrazione di gas e di petrolio ha già raggiunto punte non superabili), la fine delle censure (woke) e il ritorno alla “piena libertà d’espressione”, il ritorno al primato militare ma anche la pace e il rifiuto a farsi invischiare in guerre (ha giustamente rivendicato la tregua a Gaza, la fine, per ora, di quel genocidio che Biden ha sostenuto ed è stato una delle cause della sconfitta Dem).
Sergio Cararo: Il trattamento delle prigioniere svela le differenze tra palestinesi e Israele
Il trattamento delle prigioniere svela le differenze tra palestinesi e Israele
di Sergio Cararo
E’ balzata agli occhi persino di alcuni media mainstream la differenza di condizioni al momento del rilascio tra le tre donne israeliane in ostaggio a Gaza e quella di molte prigioniere palestinesi liberate domenica sera dalle carceri israeliane.
In particolare le immagini della dirigente palestinese Khalida Jarrar – sulla cui condizione avevamo pubblicato diverse denunce nei mesi scorsi – testimoniano la brutalità delle condizioni di detenzione alle quali gli israeliani sottopongono i e le prigioniere palestinesi. Una immagine decisamente in contrasto con quella dei tre ostaggi che pure uscivano da un periodo di coercizione/detenzione nelle mani dei palestinesi a Gaza.
Le tre israeliane erano state catturate il 7 ottobre 2023, Khalida Jarrar il 26 dicembre 2023, cioè due mesi e mezzo dopo, anche se il suo era solo l’ultimo di ripetuti arresti in condizione di detenzione amministrativa, ovvero senza limiti di tempo e senza accuse formulate o formalizzate. Un periodo di coercizione simile – chi nei tunnel di Gaza e chi in un carcere “ufficiale” – hanno restituito però prigioniere in condizioni molto diverse, indicando un trattamento dei prigionieri ben diverso e che rivela come “una democrazia” come Israele possa essere più brutale di una organizzazione non statale e definita “terrorista”.
Paolo Ferrero: Autonomia differenziata, in Italia come in Romania la Corte Costituzionale impedisce al popolo di votare
Autonomia differenziata, in Italia come in Romania la Corte Costituzionale impedisce al popolo di votare
di Paolo Ferrero
Un paio di giorni fa la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum contro la Legge sull’autonomia differenziata fortemente voluta dal ministro Calderoli. Si tratta di una decisione gravissima, che a io parere non ha nulla a che vedere con la giurisprudenza e con la legalità, come si evince dalle motivazioni con cui la Corte ha detto che il referendum non era ammissibile.
La prima sarebbe che “l’oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari”. Ora, visto che il quesito richiedeva l’abrogazione completa di quello che rimane della legge Calderoli dopo la precedente sentenza della Corte Costituzionale – come si faccia a dire che il quesito non era chiaro risulta difficile da capire. La legge in oggetto, modificata dalla Corte, è funzionale alla realizzare l’autonomia differenziata nei limiti della Costituzione e cioè ha una finalità assolutamente chiara. Il quesito referendario, proponendo di abrogare questa norma, si poneva un obiettivo altrettanto chiaro: di non realizzare l’autonomia differenziata. I cittadini che erano favorevoli all’autonomia differenziata – sia pure in una forma più light di quella perorata da Calderoli – avrebbero votato NO e invece i cittadini che erano contrari a ogni autonomia differenziata avrebbero votato SI. Dire che vi era un quesito poco chiaro oltre alla coscienza democratica del paese offende la logica.
Eros Barone: Ricordando Franco Piperno
Ricordando Franco Piperno
di Eros Barone
Così anche Franco Piperno, quel signore ironico e sorridente con un cappello a larghe falde e una sciarpa rossa, ebreo calabrese e rivoluzionario comunista, ci ha lasciati. Per me, che ho sempre seguito con vivo interesse le sue lezioni politiche, intellettuali e umane, forse non è stato un maestro, ma un fratello maggiore degno del massimo rispetto e della massima attenzione, sì.
Vorrei ricordarlo con due miei scritti del 2008, entrambi pubblicati dal quotidiano «La Prealpina», che documentano lo scambio polemico che ebbi con un esponente politico del Pd a partire da un articolo in cui, prendendo spunto da un significativo episodio che Piperno racconta nel suo libro “’68. L’anno che ritorna”, ponevo in luce la natura, la politica e lo stile non proletari di un famoso dirigente della Cgil.
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“Ma Trentin, quale mestiere fa?”
Nel bel libro di Franco Piperno sul “’68. L’anno che ritorna”,1 di cui consiglio vivamente la lettura a chi intenda comprendere “l’eredità di una stagione di protesta nelle parole di un protagonista” (come sta scritto nella quarta di copertina), è raccontato un incontro tra la “Commissione Fabbriche” del movimento studentesco romano e i dirigenti della Fiom nazionale.
Gianandrea Gaiani: UE e NATO terrorizzati dall’idea che Trump negozi la pace in Ucraina
UE e NATO terrorizzati dall’idea che Trump negozi la pace in Ucraina
di Gianandrea Gaiani
La schizofrenia di NATO e UE, le cui dirigenze parlano ormai in fotocopia circa la guerra in Ucraina al netto del fatto che i due organismi sono composti in buona parte dagli stessi stati membri, sta raggiungendo il culmine in questi ultimi sgoccioli dell’Amministrazione Biden.
Lo si avverte da numerosi indicatori, inclusa l’evidente irritazione avvertibile in molte cancellerie europee per la possibilità che Donald Trump possa aprire un negoziato che concluda il conflitto in Ucraina.
Una “paura della pace” (o di una “pace non giusta” per citare un’espressione spesso utilizzata dalla politica europea), che tradisce il timore fondato che l’Europa venga ancora una volta tagliata fuori da un negoziato USA – Russia e relegata al solito ruolo di comparsa.
Un timore che colpisce anche l’Amministrazione Biden uscente che nell’aprile 2022 impedì a Kiev di accettare l’accordo con Mosca mediato dalla Turchia e che pochi mesi più tardi, come ha rivelato oggi il New York Times, scoraggiò gli ucraini ad aprire trattative con i russi sull’onda dei successi appena conseguito con le controffensive nelle regioni di Kharkiv e Kherson. All’epoca fu il capo degli stati maggiori riuniti, generale Mark A. Milley, a suggerire tale iniziativa agli ucraini ma il segretario di Stato Antony Blinken (peraltro di origini ucraine) la cassò, convinto che la guerra dovesse continuare.
La preoccupazione che Trump possa trovare una soluzione negoziata al conflitto traspare anche dalla nuova narrazione con cui UE e NATO cercano in ogni modo di nascondere quanto sta avvenendo sui campi di battaglia da cui, ci avrete fatto caso, giungono dai media notizie sempre più scarse mano a mano che la situazione per gli ucraini si aggrava.
Occultate o messe al bando le quotidiane evoluzioni belliche a vantaggio dei russi che giungono dai fronti di Kursk, Pokrovsk, Toretsk, Chasov Yar e dalla regione di Kharkiv (di cui ci occupiamo con qualche dettaglio in un altro articolo), dai vertici occidentali emergono dichiarazioni che suscitano perplessità, poiché del tutto prive di pragmatismo e realismo.
Elisabetta Teghil: Narrazioni di potere, narrazioni di classe
Narrazioni di potere, narrazioni di classe
<Imbarbarimento di una società sempre più violenta?>
di Elisabetta Teghil
Che lo sperpero del proferire non sia pretesto al / tacere/ Che la rapina del significare/ non sia la tomba di ogni giudizio.
Haiku senza Haiku* Progetto ispirato da Juan Sorroche-AS2 c.c. Terni
Vengono fatte con continuità puntuali ricerche storiche, lucide analisi politiche, dotte disquisizioni sul sesso degli angeli, ma quasi nessuno/a si occupa di analizzare la quotidianità in termini di classe. Quei pochi/e che lo fanno sono avvolti nel silenzio se non demonizzati e stigmatizzati anche nella così detta sinistra. E questo già la dice lunga. Invece dovrebbe essere un esercizio di cui ci dovremmo far carico con urgenza per evitare che lo scollamento tra teoria e prassi ci faccia perdere di vista che è sulla lettura di quello che accade nel quotidiano che si costruisce il comune sentire. E’ un compito che ci dobbiamo assumere per evitare di dare sponda alla costruzione del nemico interno che sta operando con sistematicità e da molto tempo il capitalismo neoliberista attraverso tutto l’arco partitico compresi annessi, connessi e collaterali, media in prima linea.
Il modello di destra, che è fondamentalmente fascista, punisce e reprime i subalterni che non stanno al loro posto, il modello socialdemocratico, politicamente corretto e decorosamente reazionario, li annichilisce fisicamente e psicologicamente. I subalterni devono essere sempre grati.
Qualche tempo fa, il ministro Giuseppe Valditara ha dichiarato in seguito all’aggressione da parte di un gruppo di genitori a una professoressa di sostegno in una scuola in provincia di Napoli, nel plesso di Scansano, che siamo di fronte ad un “imbarbarimento di una società sempre più violenta”.
Sui giornali, nei media, sui social, nei telegiornali di ogni ordine e tipo rimbalzano tutti i giorni notizie sulla violenza della società: ragazzi, addirittura minorenni, si affrontano durante la movida con coltelli, armi da fuoco, qualche volta qualcuno rimane ucciso senza un motivo reale, dicono i media, oppure per un pestone su un costoso paio di scarpe.
Algamica: Arretra l’Occidente e Israele subisce dopo 77 anni la prima dura sconfitta dalla Resistenza palestinese
Arretra l’Occidente e Israele subisce dopo 77 anni la prima dura sconfitta dalla Resistenza palestinese
di Algamica*
Abbiamo aspettato una manciata di giorni per non farci trascinare dall’euforia e tirare un filo a piombo sui fatti eccezionali che si sono realizzati in Palestina. L’uscita dalla crisi di Israele e dell’Occidente nel dominare il Medio Oriente richiederebbe la soluzione finale della questione palestinese attraverso la distruzione totale di Gaza come elemento storico necessario oggi come lo fu per il liberismo la distruzione di Dresda nel 1945 a Germania già sconfitta, la deportazione totale dei palestinesi e l’eliminazione di Hamas come condizione sine qua non a definire la vittoria di Israele e di riflesso di rilanciare il peso dell’Occidente. Nonostante un genocidio il popolo palestinese non si ritiene sconfitto e lo Stato di Israele, e indirettamente gli Stati Uniti, è stato costretto a trattare con la Resistenza palestinese rappresentata da Hamas. Pertanto tutti quelli che suonavano le campane a morte e consigliavano ai palestinesi di arrendersi sono chiamati a rivedere il proprio orientamento teorico e politico: quello che si profila è una prima sconfitta storica dello Stato di Israele in 77 anni dalla sua fondazione da parte della Resistenza palestinese.
In questi giorni abbiamo seguito in uno stato di fibrillazione il susseguirsi dei colpi di scena intorno al decisivo conflitto in Medio Oriente e in Palestina, che vede da una parte l’Occidente schierato a sostegno del genocidio del popolo palestinese da parte di Israele e la tenacia delle forze della resistenza del popolo palestinese e di Hamas che incarnano le necessità e la forza della disperazione di un popolo oppresso e martoriato.
L’annuncio da parte dei mediatori degli Stati del Golfo e poi anche da parte degli Stati Uniti sul raggiungimento dell’accordo per il “cessate il fuoco” tra Israele e Hamas, dunque dell’inizio della tregua dell’assedio di Gaza e dei massacri indiscriminati contro le masse della Striscia, aveva colto il mondo di sorpresa. Anche se il governo israeliano non si era ancora espresso ufficialmente, a Gaza la gente in massa ha immediatamente celebrato la notizia.
Filippo Dellepiane: Rednote, il ritorno del libretto rosso
Rednote, il ritorno del libretto rosso
di Filippo Dellepiane
Negli ultimi giorni, mentre si prepara la successione di Trump a Biden, la vicenda di Tiktok si è guadagnata uno spazio nelle notizie della politica internazionale. L’amministrazione trumpiana promette di trovare una soluzione e, da questa notte, l’app è tornata sugli store americani. Nel frattempo, in Occidente e in particolare negli Stati Uniti, l’applicazione Rednote, una sorta di Instagram cinese, si è diffusa moltissimo. Il nome originale dell’app è Xiaohongshu, la cui traduzione, libro/libretto rosso, rende la vicenda ancora più intrigante.
Popolarissima in Cina, usata principalmente dalla Generazione Z (al 70%) e dalle donne (80%), è approdata anche sul mercato americano, registrando fin da subito moltissimi iscritti e dando vita, così, a un inaspettato scambio culturale fra utenti. Quello che ne è venuto fuori ha veramente dell’incredibile: per la prima volta una parte della società americana si è confrontata con i miti propagandati in Occidente sulla Cina, spesso rappresentata come una patria di schiavi incapaci di esprimere giudizi sul mondo e automi completamente alienati. Un quadro che risulta essere il frutto di una propaganda esasperata e sinofoba che, invece, non si interessa realmente delle vere criticità di quel sistema. Così, in questo processo di scoperta della vita dei cinesi, per moltissimi statunitensi è stato uno shock scoprire che nel paese del dragone le persone hanno amici, famiglie, diritti, interessi e che non sono, come dice un utente, dei “mostri non umani” ma che, al contrario, si possono persino sviluppare amicizie virtuali con persone che abitano in Cina.
Thomas Fazi: Benvenuti nel futuro tecno-militare dell’America
Benvenuti nel futuro tecno-militare dell’America
L’intelligenza artificiale sarà sfruttata per affermare il dominio globale
di Thomas Fazi
I 4 fratelli si schierano per Trump: Mark Zuckerberg, Jeff Bezos, Sundar Pichai ed Elon Musk… I fratelli tecno-guerrieri dell’apocalisse
E’ chiaro che il complesso tecno-militare plasmerà non solo la nuova amministrazione, ma anche la società americana, esacerbando la crescente interdipendenza tra potere statale e interessi aziendali. Forse la cosa più sorprendente di tutte, però, è ciò che il complesso tecno-militare dice della piattaforma politica di Trump. Il nuovo presidente si è presentato come un anti-interventista e come un candidato di pace, eppure la sua amministrazione è strettamente allineata con le aziende che contano sul perpetuare il militarismo statunitense. La fissazione dei tecno-guerrieri per la Cina esemplifica questa dinamica, poiché la tensione con la Repubblica Popolare offre ampie opportunità alle aziende di difesa ad alta tecnologia. Finché le aziende che prosperano sulla guerra continueranno a esercitare influenza sulla politica estera americana, è improbabile che il paese sarà mai in grado di liberarsi dalle sue tendenze affamate di guerra.
Poco prima di lasciare la Casa Bianca, nel gennaio 1961, il presidente Eisenhower mise in guardia contro il “complesso militare-industriale”, descrivendo come le aziende della difesa e i funzionari militari cospirassero per plasmare indebitamente la politica pubblica. Joe Biden, 64 anni dopo, dedicò il suo messaggio di commiato a temi simili. Evocò una nuova oligarchia, un complesso “tecno-industriale” che risucchia il potere nella Silicon Valley a spese del popolo americano.
Tomaso Montanari: Gli atenei vanno a braccetto con i Servizi: Orwell è servito
Gli atenei vanno a braccetto con i Servizi: Orwell è servito
di Tomaso Montanari
L’ART. 31 DEL DDL SICUREZZA – Postdemocrazia. Il testo apre alla possibilità che le università consegnino informazioni su docenti e studenti e anche i risultati delle ricerche svolte
Postdemocrazia: il neologismo di Colin Crouch sembrava una categoria astratta per politologi, un’etichetta catastrofista. E invece ora l’abbiamo vista: con il capo (rigorosamente al maschile) di un importante governo occidentale ammesso al bacio della pantofola alla corte privata di Mar-a-Lago, a mostrare ‘rispetto’ al padrone del mondo nella sua villa da miliardario pazzo uscita dal Satyricon di Fellini. Eccola la postdemocrazia: niente più spazio pubblico, niente decisioni prese in pubblico, niente parlamenti e nemmeno governi. Somiglia a qualcosa che conosciamo bene: l’oligarchia, il governo dei più ricchi. Il potere militare di quella che è ancora la superpotenza mondiale, il capitale dell’uomo più ricco del mondo, il controllo dei media e dei social media: contro questo buco nero della democrazia ci sarebbe solo un rimedio, il pensiero critico. Sarà per questo che il vicepresidente eletto David Vance ha detto, per tempo, che “le università sono il nemico”: “Penso che il modo di fare di [Orbán] debba essere un modello per noi: non eliminare le università, ma dare loro la possibilità di scegliere tra la sopravvivenza e l’adozione di un approccio all’insegnamento molto meno parziale”. La cortigiana di Mar-a-Lago è veloce a imparare le lezioni, specie quando le sono congeniali: e dunque anche da noi l’università è diventata un nemico.
Giorgio Agamben: Il bene e il male
Il bene e il male
di Giorgio Agamben
L’antica dottrina secondo cui il male non è che la privazione del bene e pertanto in sé non esiste, va corretta e integrata nel senso che esso non è tanto la privazione, quanto piuttosto il pervertimento del bene (con il codicillo, formulato da Ivan Illich, corruptio optimi pexima, «non vi è nulla di peggio di un bene corrotto»). Il nesso ontologico col bene in questo modo permane, ma resta da pensare come e in che senso un bene può pervertirsi e corrompersi. Se il male è un bene pervertito, se in esso riconosciamo ancora una figura guasta e stravolta del bene, come possiamo combatterlo quando ce lo troviamo oggi di fronte in tutte le sfere del vivere umano?
Una corruzione del bene era familiare al pensiero classico nella dottrina politica secondo cui ciascuna delle tre forme rette di governo – la monarchia, l’aristocrazia e la democrazia (il governo di uno, dei pochi o dei molti) – degenerava fatalmente in tirannide, oligarchia e oclocrazia. Aristotele (che considera la stessa democrazia una corruzione del governo dei molti) si serve del termine parekbasis, deviazione (da parabaino, spostarsi a fianco, parà). Se chiediamo ora verso dove esse hanno deviato, scopriamo che hanno per così dire deviato verso sé stesse. Le forme di costituzione corrotte somigliano, infatti, a quelle sane, ma il bene che in esse era presente (l’interesse comune, il koinon) si è ora rivolto al proprio e al particolare (idion). Il male è, cioè, un certo uso del bene e la possibilità di quest’uso perverso è iscritto nello stesso bene, che in questo modo esce fuori di sé, si sposta per così dire a fianco di sé stesso.