Lo spettro di Trump e la lotta contro l’imperialismo

Forum Italiano dei Comunisti – 27/01/2025

 

LO SPETTRO DI TRUMP 
E LA LOTTA  CONTRO L’IMPERIALISMO

 

Dal vecchio sistema putrescente dell’occidente imperialista a guida Biden e UE stiamo passando a uno scenario assai differente di cui bisogna individuare le caratteristiche e i rapporti di forza facendo in particolare un bilancio delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente.

Non vi è dubbio che l’ascesa di Trump alla presidenza degli USA rappresenta una minaccia in più rispetto a ciò che abbiamo visto con la gestione dell’impero in decadenza da parte dei democratici. La vittoria elettorale di Trump rappresenta infatti il tentativo di reagire a una decadenza ormai manifesta e, analizzando la sua strategia, possiamo capire la natura del nuovo sistema imperiale, quali sono le novità e come fronteggiarle.

Partendo dall’idea che si tratta di reazione alla crisi di egemonia, dobbiamo innanzi­tut­to considerare lo stato dell’opera, chiedendoci se il nuovo presidente americano erediti qualcosa di diverso da ciò che Biden aveva a disposizione prima della sconfitta. In altri termini si tratta di capire se le sue intenzioni corrispondono o meno alle possibilità reali.

Se partiamo dalle due guerre, una delle quali si trova ora in uno status di congelamento, le possibilità che le cose cambino in meglio per gli americani non sono affatto scontate. In Ucraina l’iniziativa resta in mano alla Russia e per quanto foraggiato senza risparmio di mezzi in armi e finanziamenti, il regime di Kiev deve misurarsi con un paese di prima grandezza e politicamente determinato. Quanto al Medio Oriente, seppure la situazione è più complessa, emergono elementi che dimostrano che la pausa a Gaza e i cambiamenti intervenuti a livello militare e geopolitico non mutano lo scenario complessivo anche se lo configurano diversamente.

In effetti, come valutare oggi la situazione di Israele? E’ vero che l’offensiva condotta in Libano e a Gaza e gli avvenimenti che hanno portato al rovesciamento di Assad in Siria danno l’idea che le possibilità di manovra dell’imperialismo occiden­ta­le siano ancora ampie ma, se andiamo a vedere che cosa è successo veramente dopo il 7 ottobre, possiamo facilmente constatare che, nonostante gli effetti devastanti prodotti dalla potenza di fuoco sionista, sul piano politico e della strategia le condizioni dello stato d’Israele non fanno presagire nulla di buono per il suo futuro. Il fronte della Resistenza, seppure è dovuto passare a una fase difensiva, ha mantenuto sostanzialmente le sue forze, in Libano, in Iran, nello Yemen, e nella stessa Gaza le milizie di Hamas sono ancora organizzate e attive. In Siria gli esiti del colpo di stato hanno messo in posizione di controllo la Turchia, che non ha gli stessi obiettivi israeliano-americani, per cui il gioco è complesso. La potenza di Israele è dunque ancora circondata dai suoi nemici dichiarati in attesa di una nuova fase che dipenderà dai tempi politici di sviluppo della crisi. Tempi che riguardano la stessa società israeliana: domandiamoci infatti come è combinato oggi un paese che a livello mondiale è circondato dall’odio di centinaia di milioni di persone che hanno denunciato il genocidio di Gaza, condannato anche dall’Onu e dal tribunale internazionale? Come reagirà la popolazione d’ Israele che ha partecipato per necessità alla guerra, pur mantenendo una grossa opposizione per la liberazione degli ostaggi, di fronte a un futuro di precarietà e di ostilità? La cifra di 600.000 ebrei che hanno lasciato Israele come va interpretata?

Per Trump dunque i punti principali delle crisi aperte sotto la precedente amministrazione americana rimangono immutati.

Da quello che si può capire finora però, il nuovo presidente vuole inaugurare una nuova fase della vita americana. Non più governare il mondo con la logica globalista dei democratici, ma rilanciare una visione muscolare del peso militare, economico e tecnologico con cui fronteggiare gli avversari. In questo modo saltano i legami stretti tra gli USA e un’Europa che, dopo essersi autodistrutta per seguire gli americani nella guerra in Ucraina, è assolutamente incapace di tenere il passo mentre la chiamata alle armi di Trump si rivolge alla destra internazionale che si sta agganciando al suo carro, come la Meloni e Milei.

Per noi questo è un pericolo non indifferente. Non perché mette in crisi il marciu­me della cosiddetta democrazia globalista, ma perché fa crescere il clima autoritario e ultraliberista contro cui siamo chiamati a combattere. Non dobbiamo essere né ottimisti né pessimisti sul futuro, ma dobbiamo capire che una belva ferita può diventare ancora più pericolosa e tenerne conto.

 

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