[SinistraInRete] Luigi Basile: E’ iniziato il cammino per l’unità dei comunisti e la costruzione del Partito

Rassegna 01/02/2025

Luigi Basile: E’ iniziato il cammino per l’unità dei comunisti e la costruzione del Partito

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E’ iniziato il cammino per l’unità dei comunisti e la costruzione del Partito

di Luigi Basile

Il resoconto della partecipata e riuscita assemblea che si è svolta nella Capitale

foto roma palco plateaIl cantiere per la costruzione del Partito comunista si è ufficialmente aperto con l’assemblea nazionale tenuta a Roma, presso il Teatro Flavio.

L’iniziativa, che ha visto la luce dopo mesi di lavoro preparatorio, con l’allestimento di convegni tematici nelle diverse aree del Paese, ha determinato un primo visibile risultato, in controtendenza rispetto agli avvenimenti degli ultimi dieci, quindici anni e più: la convergenza nel progetto di Prospettiva Unitaria di quattro organizzazioni (Costituente Comunista, Movimento per la Rinascita Comunista, Patria Socialista, Resistenza Popolare), che meno di un anno addietro avevano avviato, attraverso un tavolo operativo, un percorso di condivisione dell’azione politica.

La sfida che adesso viene lanciata, dunque, è ancora più ambiziosa: dare forma, forza e contenuto a un partito comunista unitario, con il coinvolgimento – a partire dai territori, dove si concentreranno gli sforzi – di compagne e compagni, lavoratori, disoccupati, pensionati e studenti, il confronto con comitati, associazioni e movimenti di lotta sociale e la mobilitazione sul campo, ma anche con il contributo di altri gruppi e organizzazioni politiche che ritengono una priorità la riaggregazione delle forze comuniste.

Un nodo particolarmente avvertito dalle centinaia di militanti e simpatizzanti presenti all’appuntamento nella Capitale e dagli autorevoli ospiti che hanno deciso di portare il proprio saluto, manifestando apprezzamento per quanto si sta realizzando.

Significativi i messaggi inviati dai partititi comunisti di tutto il mondo, che seguono con attenzione l’evoluzione del percorso.

“Non cessano i tentativi delle forze dell’imperialismo – si legge nella nota del Presidium del Comitato Centrale del Partito Comunista della Federazione Russa – di dividere il movimento comunista mondiale, di disunire le sue fila e di distruggerlo come forza politica. Pertanto, oggi, nelle condizioni economiche e politiche più difficili, sono importanti come non mai l’unità e l’azione congiunta dei comunisti di tutti i Paesi nella lotta per il nostro futuro comune.

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The Cradle: La sopravvivenza strategica di Hamas fa impazzire Israele

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La sopravvivenza strategica di Hamas fa impazzire Israele

di The Cradle

Sfruttando la sua forza istituzionale, l’adattabilità sul campo e le tattiche psicologiche, Hamas ha magistralmente trasformato la distruzione di Gaza in una dimostrazione di Resilienza, ottenendo avanzamenti sia simbolici che tattici e impedendo a Israele di rivendicare una qualsiasi vittoria politica

 hamas20 1.jpg23 gennaio 2025. Il rilascio di tre donne prigioniere israeliane a Gaza da parte dell’ala militare di Hamas, le Brigate Qassam, in cambio di 90 detenuti palestinesi, ha innescato una frenesia mediatica nello Stato di Occupazione.

La “scena” drammatica, combattenti che spuntano tra le rovine della guerra, circondati da una folla esultante, ha minato le narrazioni ufficiali israeliane sulla guerra, i suoi obiettivi e il trattamento dei prigionieri israeliani. Ha sollevato una domanda che fa riflettere gli israeliani: cosa stavamo facendo a Gaza per 15 mesi?

Le Brigate Qassam hanno organizzato ogni dettaglio dell’evento per massimizzare l’impatto. Dalle borse regalo griffate alle uniformi lucide dei combattenti, l’esibizione trasudava una precisione calcolata. Si è persino tenuta una sfilata militare in Piazza Saraya, un’area fortemente assediata dalle Forze di Occupazione Israeliane. La scelta del sito è stata voluta, a dimostrazione della continua Resilienza in un luogo destinato a simboleggiare la sconfitta di Tel Aviv nella sua più lunga campagna militare di sempre.

Fonti di Hamas informano che la scelta della città di Gaza, posizionata a Nord della Valle di Gaza e del Corridoio Netzarim, un corridoio di separazione creata dall’esercito israeliano per dividere in due la Striscia, che presto si prevedeva sarebbe stato smantellato, è stata una decisione voluta e simbolica, scelta rispetto ad altre alternative per le sue implicazioni strategiche e politiche.

Naturalmente, Hamas aveva la possibilità di rilasciare le detenute in luoghi “più sicuri”, come il centro o il Sud di Gaza, ma ha scelto intenzionalmente la piazza.

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Roberto Iannuzzi: Quanto vale l’accordo di partnership strategica tra Russa e Iran?

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Quanto vale l’accordo di partnership strategica tra Russa e Iran?

di Roberto Iannuzzi

Le potenzialità di cooperazione fra Mosca e Teheran sono promettenti, se i due paesi riusciranno a escogitare sistemi comuni per sfuggire alle sanzioni. Resta l’incognita della stabilità regionale

61db4a8b f683 41d1 a06a
cbfeb6ca7dd1 940x580Appena tre giorni prima dell’inaugurazione della presidenza Trump, lo scorso 17 gennaio, Russia e Iran hanno firmato dopo lunghe trattative un atteso “accordo di partenariato strategico globale”.

La coincidenza è stata rilevata soprattutto dai commentatori occidentali, i quali hanno ricordato l’aiuto fornito da Teheran a Mosca sul teatro di guerra ucraino (in particolare attraverso l’invio di droni di fabbricazione iraniana).

Essi hanno anche menzionato il fatto che il nuovo presidente americano ha preannunciato un atteggiamento duro nei confronti dell’Iran, ed ha invece promesso di porre fine al conflitto in Ucraina, sebbene non sia assolutamente certo in qual modo, e (a detta dello stesso Trump)non sia escluso un inasprimento delle sanzioni contro Mosca.

Dal canto suo, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha negato che vi fosse qualche relazione tra la firma dell’accordo e l’insediamento di Trump, ma l’evento ha segnato senza dubbio un ulteriore rafforzamento delle relazioni fra due paesi che sono entrambi oggetto di un duro embargo occidentale ed hanno rapporti conflittuali con l’Occidente.

La firma del trattato è avvenuta al Cremlino, in occasione della visita a Mosca del presidente iraniano Masoud Pezeshkian a capo di una nutrita delegazione.

Questo evento lungamente atteso si inserisce in una fase in cui soprattutto l’Iran si sente minacciato “dall’amministrazione Trump, da Israele, dal crollo del regime siriano, dal collasso di Hezbollah”, ha affermato Nikita Smagin, analista che ha lavorato per i media governativi russi a Teheran prima dello scoppio del conflitto ucraino.

Tra gli osservatori, vi è chi ha descritto l’intesa come una “svolta epocale” e chi l’ha sminuita definendola vaga e inferiore alle aspettative.

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Davide Malacaria: Ucraina: i negoziati che ancora non ci sono

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Ucraina: i negoziati che ancora non ci sono

di Davide Malacaria

Trump apre a un incontro con Putin, Putin accetta, ma ancora non si vede nulla. Negoziati procrastinati, per motivi dicibili e indicibili

L’avanzata delle forze russe continua, giorno dopo giorno, inarrestabile. Di ieri la conquista di Velyka Novoselka, baluardo fortificato la cui caduta mette a repentaglio tutta l’area all’intorno, rimasta senza difese. Per i russi si aprono altre possibilità per aggirare parte del fronte meridionale e velocizzare l’avanzata verso Zaporozhye e il Dnepr, obiettivi strategici finali.

Allo stato delle cose, la situazione è impossibile da invertire o arrestare, eppure l’Ucraina, invece di aprire decisamente ai negoziati per chiudere la guerra persa e salvare il salvabile, continua nelle sue ambiguità e a combattere. Non eroismo, ma l’esatto contrario, perché la leadership ucraina sta mandando letteralmente al macello, senza alcuno scopo, i suoi cittadini.

 

Pace procrastinata

Da parte sua, l’amministrazione Trump, che aveva promesso di chiudere la guerra, non sta facendo nulla in tal senso. Le armi continuano a fluire, anche se in maniera ridotta, verso Kiev, in contrasto con tali promesse, ma, allo stesso tempo, sono stati bloccati i fondi diretti a scopi assistenziali, che poi tanto assistenziali non erano, segnalando la prima riduzione dell’impegno Usa.

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Francesco Piccioni: La cinese DeepSeek buca la bolla dell’AI

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La cinese DeepSeek buca la bolla dell’AI

di Francesco Piccioni

Non si fa in tempo ad avere l’idea “fine di mondo” che subito arriva un cinesino dispettoso a bucarti il palloncino mooooolto gonfiato.

L’idea era venuta a Sam Altman, fondatore di OpenAI e ora fautore del progetto Stargate, appoggiato a vario titolo da Satya Nadella (Microsoft), Larry Ellison (Oracle) e Masayoshi Son (Softbank): farsi dare 500 miliardi di dollari – in parte privati, in parte pubblici, a carico del debito federale Usa – ovvero da rastrellare sui mercati in cambio di minacce di aggressione.

Contrario Elon Musk, e non è un dettaglio visto che ora è il “Doge”, ossia il ministro incaricato di “snellire” l’intera amministrazione pubblica statunitense con tecniche “alla Milei”, ovviamente più avanzate della semplice motosega. Il che mette immediatamente in mostra come l’”oligarchia dei tecno-miliardari” che intende soppiantare il vecchio “comitato d’affari della borghesia” (troppa gente, troppi finti ricchi all’italiana…), non sia affatto un paradiso. In fondo, ogni tecno-miliardario ragiona per sé, mica “come classe”. Al massimo come club decisamente esclusivo…

I costi faraonici per un progetto che promette(va?) di far fare un salto di qualità spaventoso (in molti sensi) all’Intelligenza Artificiale dipendono dal fatto che questa “intelligenza”, per come è strutturata, ha bisogno comunque di supporti fisico-elettronici altrettanto smisurati: una rete di datacenter da costruire interamente negli Stati Uniti e chip avanzatissimi.

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Michelangelo Severgnini: Trump, la crisi dei migranti e la manipolazione intorno al termine “deportazione”

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Trump, la crisi dei migranti e la manipolazione intorno al termine “deportazione”

di Michelangelo Severgnini*

In questi giorni si fa un gran parlare delle prime disposizioni del presidente Trump circa l’espulsione di quei nuovi immigrati sul suolo statunitense entrati durante il mandato di Biden.

I primi voli sono cominciati lo scorso venerdì e sono stati definiti da fonti della Casa Banca come parte della “più grande operazione di rimpatri” della storia degli Stati Uniti, che dovrebbe riguardare circa 1,3 milioni di immigrati irregolari.

L’espressione delle fonti della Casa Bianca è stata alla lettera “largest deportation operation”.

Da qui in Italia molti, sull’onda dell’emozione forse per l’avvicinarsi del giorno della Memoria, hanno tradotto “la più grande operazione di deportazione”, commettendo quello che considero un errore grossolano, per quanto comune e condiviso.

Il termine “deportazione” in Italiano ha un significato preciso, la cui estensione ai casi in questione è subdolo malcostume introdotto anni orsono da sottili (e finanziati) linguisti dell’arrembaggio pro-migrazionista.

In altre parole si tratta di una manipolazione linguistica. E le manipolazioni non portano mai niente di buono.

Confrontiamo le definizioni in Italiano e in Inglese fornite da prestigiosi dizionari. 

La Treccani riporta il significato di “deportazione” in questi termini:

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Emiliano Brancaccio: La conquista di Mediobanca e l’illusione del nazionalismo bancario

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La conquista di Mediobanca e l’illusione del nazionalismo bancario

di Emiliano Brancaccio

Alle ipotesi di alleanze internazionali, malviste dalla politica, risponde Mps: un’offerta pubblica di scambio che punta a Generali per realizzare il terzo polo italiano. La banca moderna è ormai avvinghiata al mercato finanziario. L’obiettivo è mobilitare il risparmio in ogni dove, purché siano garantiti i rendimenti

Il peccato veniale di un banchiere è fuggire con la cassa, quello mortale è parlare». Enrico Cuccia, antico dominus di Mediobanca, poco avrebbe gradito la ridda di rumors di queste ore intorno alla sua «magnifica creatura». Che in verità tanto magnifica non è più.

Centro nevralgico del capitalismo italiano per quasi mezzo secolo, Mediobanca ha ormai un po’ sporcato il suo pedigree cimentandosi anche nella finanza di minor pregio, tra raccolta del piccolo risparmio e credito al consumo. Tuttavia, nel risiko bancario nazionale l’istituto di piazzetta Cuccia resta decisivo, soprattutto come primo azionista di Generali, la «cassaforte del risparmio degli italiani».

Gli attuali vertici dei due istituti guardano con favore alle alleanze internazionali. Esempio recentissimo è l’annuncio di un’intesa tra Generali e la francese Natixis, per la creazione di una piattaforma di gestione della ricchezza «di stazza globale».

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Vincenzo Comito: Verso un nuovo (dis)ordine?

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Verso un nuovo (dis)ordine?

di Vincenzo Comito

Parafrasando Gramsci, il vecchio ordine è sempre più vacillante, mentre un nuovo ordine fatica a venire alla luce. Nell’intermezzo, si assiste a svariati fenomeni morbosi, tra cui la presidenza “Trusk”, che pur ispirata all’American First, potrebbe, invece, accelerare il tramonto dell’egemonia USA

IMG20200730200157.jpgAppare evidente che stiamo vivendo in questi anni nel mondo in un periodo di grande confusione, anzi, se vogliamo, di vero e proprio caos. Tra i segni più evidenti ci sono indubbiamente la guerra in Ucraina e quella israelo-palestinese, la confusione siriana, la lotta su tutti i fronti e con tutti i mezzi degli Stati Uniti per contrastare l’avanzata economica, tecnologica, politica cinese, la grande incertezza economica e politica in Europa, ma dalle prospettive comunque poco incoraggianti e ancora le lotte armate interne in diversi paesi africani e asiatici, a cominciare da quella, terribile, che si svolge da tempo in Sudan. Si aggiungono dopo quelle atomiche le minacce ecologiche e tecnologiche sempre più incombenti.

 

Il vecchio ordine internazionale vacilla

Al di là delle ragioni specifiche di ognuno di questi accadimenti essi sembrano collocarsi tutti sostanzialmente nel quadro di una situazione nella quale il vecchio ordine internazionale vacilla sempre di più. Non regge il potere degli Stati Uniti, e più in generale dell’Occidente, sul resto del mondo, con tutte le loro presunte regole sempre violate a piacimento e le sue istituzioni ormai cadenti, mentre il nuovo assetto globale che dovrebbe sostituirlo non si è ancora affermato; se ne intravede appena qualche segno iniziale

Tra l’altro, la Cina ha mostrato al mondo e in particolare ai paesi del Sud globale che il vecchio mito per cui la modernizzazione economica comporti necessariamente l’occidentalizzazione dei vari paesi non sta più in piedi e che l’Occidente non ha tutte le risposte da dare ai paesi in via di sviluppo.

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OttolinaTV: Sovranità vs imperialismo: ecco perché le élite demonizzano la libertà dei popoli

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Sovranità vs imperialismo: ecco perché le élite demonizzano la libertà dei popoli

di OttolinaTV

images 19.jpgTutta la storia contemporanea, dalla rivoluzione francese in poi, può anche essere letta come storia del conflitto tra nazioni e imperi, tra comunità nazionali che hanno lottato e lottano per la propria sovranità e imperi aggressivi e coloniali che cercano di assoggettare altri popoli e nazioni per sottometterli e asservirli ai propri interessi, che si tratti interessi di egemonia e potere o meri interessi economici; in questo periodo di transizione a un nuovo ordine multipolare, in cui la sovranità e l’autodeterminazione nazionale diventeranno veramente il principio fondante del nuovo equilibrio mondiale, popoli coraggiosi hanno cominciato finalmente ad alzare la testa e le armi contro i propri aggressori e contro l’ordine mondiale costituito, un ordine dove il privilegio della vera sovranità e libertà era ed è riservato a pochissime nazioni del mondo che, per il loro atteggiamento, sarebbe più corretto chiamare veri e propri imperi, le quali, con la guerra armata o anche solo quella economica, non accettano che questo privilegio diventi diritto globale e condiviso. E anche per il nostro Paese e per il nostro continente, ormai da 80 anni militarmente occupato a causa di una guerra persa, la questione della sovranità e dell’indipendenza diventa sempre più una questione dirimente e non più rimandabile, una questione di vita o di morte perché lo spaventoso declino economico, demografico e culturale che stiamo subendo è in gran parte frutto del fatto che non abbiamo la possibilità di portare avanti un’agenda dettata dai nostri interessi e che le nostre classi dirigenti collaborazioniste, sia politiche che economiche e a Palazzo Chigi e come a Bruxelles, sono accuratamente selezionate a monte e supportate dai media dominanti sulla base della loro mediocrità e servilismo nei confronti dell’impero atlantico.

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Luca Benedini: Effetti culturali dell’economia neoliberista

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Effetti culturali dell’economia neoliberista IV

di Luca Benedini

(quarta parte: riconoscere le radici storiche del neoliberismo e rispondere ad esso attraverso un’integrazione tra il “socialismo scientifico” marx-engelsiano – la cui centratezza la storia sta confermando – e le forme di esperienza, di pensiero e di movimenti alternativi più congrue, profonde e costruttive che si sono sviluppate nell’ultimo centinaio d’anni)*

neoliberalism face 768x384.jpgPolitiche keynesiane: una rilettura critica della loro ascesa ed eclissi, anche alla luce dell’opera di Michal Kalecki

1. Complessità storiche

Se si torna alle radici delle oscillazioni storiche che si sono verificate – dopo la tremenda “crisi del ’29” – tra gli orientamenti economici liberisti e la tendenza strutturale ad un ampio intervento pubblico nell’economia di mercato, si trova che un primo mutamento epocale avvenne progressivamente tra il 1930 e il 1950 e fu ispirato principalmente dall’economista britannico John Maynard Keynes e dai marcati successi economici che vennero ottenuti nel concreto dalle sue proposte estremamente innovative, contrassegnate anche da una spiccata sensibilità sia sociale che ambientale e culturale. Ma, quando si arrivò a quello che può essere definito il “periodo d’oro” dell’intervento pubblico in tale economia (in pratica, i 35 anni tra il 1945 e il 1980), ciò che avvenne fu che si trattò di un periodo solo superficialmente keynesiano: malgrado le frequenti celebrazioni pubbliche dei grandi talenti di Keynes, le sue idee complesse e sensibili vennero di fatto deformate ampiamente dalle élite politiche ed economiche dell’epoca e poi usate strumentalmente da queste in base ai propri specifici interessi materiali, scarsamente interessati in realtà tanto al piano sociale quanto a quello ambientale e a quello culturale [144]….

Nel complesso, i principali di questi interessi erano di due tipi: sul piano economico, ridurre la portata delle “crisi cicliche” dell’economia capitalistica (un intento condiviso da una parte notevole delle classi privilegiate, ma non dalla loro totalità, in quanto quelle crisi potevano sì trascinare in bancarotta grandi patrimoni, ma anche consentire grandi guadagni ai più abili e “fortunati” tra i finanzieri e gli speculatori…) e ampliare i profitti imprenditoriali trasformando i lavoratori anche in consumatori (così da poter moltiplicare le vendite complessive di prodotti da parte dell’insieme delle imprese); sul piano politico, che per molti in tali élite era ancor più significativo di quello economico, evitare il più possibile un forte “spostamento a sinistra” delle masse lavoratrici che le spingesse verso posizioni diffusamente anticapitalistiche come quelle che nella Russia del 1917 avevano portato alla “rivoluzione d’ottobre” (che parti consistenti delle classi popolari cercarono presto di emulare – ma senza successo – in altri paesi europei come specialmente Germania, Ungheria, Finlandia, Italia e Bulgaria).

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Fulvio Grimaldi: Trumptower dappertutto

lantidiplomatico

Trumptower dappertutto

Cisgiordania, una questione di famiglia

di Fulvio Grimaldi

Il costante sovradimensionarsi del carattere terrorista e fuorilegge nell’immediato agire dello Stato sionista impedisce di vedere ed esaminare la profondità della portata storica del progetto imperiale in altalenante corso di attuazione. Che, a guardare lontano, è la guerra dei mille anni dell’Occidente cristiano agli arabi. La superficie ribolle di episodi di feroce tracotanza, particolarmente rilevabili nella sistematica violazione, sotto i pretesti più farlocchi, di ogni accordo concluso con la controparte e delle garanzie offerte da mediatori che poi si rilevano essenzialmente sponsor della parte più cinica e sleale.

Ne dovrebbe risultare, all’opinione pubblica internazionale, una sempre meno annebbiata, dalla propaganda politico-mediatica, percezione dello stato delle cose, del giusto e dell’ingiusto. Effetto che l’omologazione-concentrazione proprietaria dell’informazione in area occidentale si preoccupa di sventare. Alla stessa maniera in cui l’abbagliante evidenza del contrasto tra quanto ci viene mostrato della liberazione delle prigioniere israeliane e quanto ci viene occultato della fine del sequestro, perlopiù ultradecennale, degli ostaggi nelle Guantanamo israeliane.

Abbiamo capito che quanto a Israele, a dispetto di tutte le complicità armate, finanziarie, (im)morali fornite, non è riuscito a Gaza, ora, su probabile spinta del neo presidente USA, va messo in campo in Cisgiordania.

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Enrico Tomaselli: Ucraina, si scoprono le carte?

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Ucraina, si scoprono le carte?

di Enrico Tomaselli

Secondo quanto pubblicato dal canale ucraino Strana, il piano dell’amministrazione Trump per porre fine al conflitto avrebbe una precisa scaletta temporale e programmatica. Il piano di pace, diffuso da Strana (e sul quale non c’è al momento alcuna conferma ufficiale, ovviamente) sarebbe stato elaborato a Washington, presentato ad alcuni diplomatici europei, e poi da questi girato a Kiev.

Per il momento, quindi, potrebbe trattarsi semplicemente di una indiscrezione lasciata filtrare per sondare il terreno o, viceversa, per bruciarla sul nascere. Il fatto che sia stata diffusa dagli ucraini, che difficilmente ne digerirebbero i termini, potrebbe far pensare a questa seconda ipotesi.

La messa in atto del piano dovrebbe partire con una conversazione telefonica tra Putin e Trump a fine gennaio / inizio febbraio, e concludersi (ipoteticamente) ad agosto, con le elezioni presidenziali in Ucraina. Ma, al di là della previsione in ordine ai tempi – troppo rigida per reggere al confronto con la realtà, in ogni caso – è più interessante guardare appunto ai termini che Washington delinea come base per il negoziato.

Innanzi tutto, si certificherebbe il non ingresso dell’Ucraina nella NATO, anche attraverso una dichiarazione di neutralità da parte di Kiev, che verrebbe ulteriormente sancita da una decisione dell’Alleanza Atlantica stessa.

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Pierluigi Ciocca: Il grande debito Usa a spese del resto del mondo

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Il grande debito Usa a spese del resto del mondo

di Pierluigi Ciocca

In una economia già surriscaldata, gli interventi minacciati da Trump rischiano di rilanciare in tempi brevi l’inflazione. Il presidente esorcizza lo spettro inflazione puntando sull’aumento dell’export di energia fossile, a onta delle ripercussioni ambientali, ma sottovaluta l’innesco del processo a livello mondiale

La politica economica annunciata dal presidente Trump, se attuata, non risolverà i problemi degli Stati Uniti e influirà molto negativamente sull’economia mondiale. Muove, tale politica, dalla manifestazione più vistosa di quei problemi: lo squilibrio esterno, umiliante, contro natura per un grande paese. La bilancia dei pagamenti Usa è in cronico, crescente disavanzo dai primi anni Settanta del secolo scorso. Nel 2024 il deficit ha sfiorato il trilione di dollari.

I disavanzi sono stati coperti da una posizione debitoria netta verso l’estero esplosa in questo secolo da uno a 24 trilioni di dollari (prossimi all’85% del Pil). All’epoca lo denunciavano Charles de Gaulle e il suo economista Jacques Rueff: gli americani vivono al di sopra di quanto producono, finanziati dal resto del mondo, a spese del resto del mondo, meno ricco di loro.

In posizione creditoria netta – anche verso altri paesi debitori, non verso un’Italia in lieve surplus – si situano il Giappone, la Germania e in misura crescente la Cina, ciascuno con un attivo compreso fra tre e quattro trilioni di dollari.

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Giulio Chinappi: Il Manifesto fa revisionismo storico sul Vietnam socialista

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Il Manifesto fa revisionismo storico sul Vietnam socialista

di Giulio Chinappi

Nonostante la dicitura “quotidiano comunista” campeggi ancora sulla sua testata, Il Manifesto ha recentemente pubblicato articoli che riproducono narrazioni occidentali critiche verso i Paesi socialisti. L’ultimo caso riguarda il Vietnam e l’opera di Nguyễn Thanh Việt, tra revisionismo storico e omissioni significative

Sulla prima pagina de Il Manifesto campeggia ancora oggi la scritta “quotidiano comunista”. Proprio per questa ragione, troviamo alquanto curioso il fatto che, negli ultimi anni, sulle pagine di questo giornale si siano moltiplicati gli articoli che tendono ad attaccare i Paesi socialisti, soprattutto la Cina, ma anche la Corea del Nord e persino Cuba. Sia chiaro che non stiamo dicendo che bisognerebbe farne un’agiografia acritica, ma da un quotidiano che ancora si definisce “comunista” ci aspetteremmo quanto meno una postura più analitica e che non vada a replicare gli stessi schemi della stampa borghese. Altrimenti, tanto varrebbe leggere La Repubblica o il Corriere della Sera.

L’ultimo esempio in tal senso è rappresentato da un articolo uscito lo scorso 4 gennaio a firma di Umberto Rossi, una sorta di recensione del saggio Riflessi di guerra: Storia e antirealismo nella narrativa di Viet Thanh Nguyen, opera del ricercatore Giacomo Traina, nel quale si analizzano gli scritti di Nguyễn Thanh Việt, accademico e autore vietnamita-statunitense, che diventa il pretesto per fare del revisionismo storico circa le vicende del Vietnam nello scorso secolo.

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