[SinistraInRete] Gianandrea Gaiani: Dissociati dalla realtà

Rassegna 07/02/2025

Gianandrea Gaiani: Dissociati dalla realtà

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Dissociati dalla realtà

di Gianandrea Gaiani

Donald J TrumpUna valanga di provocazioni ha caratterizzato la prima settimana alla Casa Bianca di Donald Trump in politica estera, dove la foga di imporre il nuovo corso dell’America “tornata grande” sembra portare il neo presidente ai ferri corti con alleati, vicini e rivali dall’Europa al Medio Oriente, dalla Groenlandia alla Russia, dai BRICS all’America Latina.

Che si tratti di passi falsi o dell’ostentazione della forza che Washington intende utilizzare o forse solo minacciare per dirimere le contese con alleati e rivali solo il tempo potrà dirlo.

Il monito lanciato a Vladimir Putin affinché negoziare sull’Ucraina ha fatto seguito a molti segnali di distensione verso il Cremlino. Se non accetterà di negoziare per porre fine alla guerra in Ucraina, gli Stati Uniti porranno nuove ulteriori sanzioni alla Russia e ai suoi alleati ha fatto sapere Trump due giorni dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, in un messaggio pubblicato su Truth Social.

“Ho sempre avuto un ottimo rapporto con il presidente Putin. Non voglio danneggiare la Russia. Farò alla Russia, la cui economia sta fallendo, e al presidente Putin, un grandissimo favore. Raggiungete un accordo ora e fermate questa ridicola guerra! Non potrà’ che peggiorare!”.

Mostrando aperture verso Mosca, Trump ha aggiunto che “non dobbiamo mai dimenticare che la Russia ci ha aiutato a vincere la Seconda Guerra Mondiale, perdendo quasi 60 milioni di vite umane”. Una gaffe storica non proprio edificante per il neo presidente e il suo staff.

Trump aveva definito l’Ucraina “un Paese raso al suolo dalla guerra”, sottolineando l’enorme tributo di sangue che il conflitto è costato a entrambi i belligeranti auspicando che il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, voglia porre fine quanto prima al conflitto ma, aggiungendo che per conseguire tale obiettivo è necessaria una reale apertura al dialogo da parte di Putin, benché “Zelensky non sia un angelo”, come ha ricordato Trump dando un colpo al cd4rchio e uno alla botte.

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Collettivo LeGauche: Gli strateghi del capitale: uno stimolo pessimista per ripensare la transizione

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Gli strateghi del capitale: uno stimolo pessimista per ripensare la transizione

di Collettivo LeGauche

Il libro di Gianfranco La Grassa Gli strateghi del capitale. Una teoria del conflitto oltre Marx e Lenin rappresenta il punto di arrivo della lunga parabola intellettuale di La Grassa e del suo personale ripensamento della teoria marxista

18 321. Ripensare il marxismo

Per La Grassa la scienza disantropomorfizza e per questo motivo le scienze naturali si sono dovute liberare di ogni forma di animismo. Concetti come forza o magnetismo possono portare ad alcuni errori perché fanno credere all’esistenza di qualità intrinseche alla materia di cui sono costituiti i corpi fisici. Si tratta, invece, di caratteristiche delle funzioni che esercitano in determinate condizioni di intreccio e interazione reciproca. La matematica aiuta, esattamente come il linguaggio, a sfuggire da ogni punto di vista sostanziale. Esiste una fondamentale unitarietà di metodo tra tutte le scienze, incluse quelle sociali. Concetti come formazione sociale o modo di produzione non fanno eccezione. Lo scienziato deve limitarsi alle funzioni di dati soggetti e descriverne i caratteri per costruire l’intelaiatura della società. La scienza non serve a rispondere alle domande essenziali che l’uomo si pone circa la sua esistenza o i fini ultimi della sua vita ma deve forgiare strumenti per orientare le nostre azioni in una realtà complessa come la società umana. Quindi la scienza non risponde a domande sull’essenza umana e neanche deve porsi simili questioni ma allo stesso tempo lo scienziato sociale non deve indagare la realtà per imbrigliarla in schemi teorici che orientano l’interpretazione e l’azione nella società con lo stesso spirito che guida il lavoro degli scienziati che interpretano la natura. Analizzare le forme storiche delle relazioni sociali ha bisogno di strumentazioni teoriche tanto quanto l’analisi del moto degli astri o delle reazioni chimiche ma lo spirito che muove le analisi nei vari rami delle scienze non è uguale.

In Marx è sempre stata presente una pulsione all’oggettività scientifica che nasceva dal suo essere un rivoluzionario e dal non volersi limitare ad analizzare il mondo in cui viveva ma a trasformarlo. Per conseguire un simile scopo non era sufficiente l’adesione morale ad un progetto politico ma studiare le sue condizioni di possibilità attraverso l’analisi della struttura interrelazionale e interazionale tra le varie classi.

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Camilla Sclocco: Filosofia e critica del capitalismo universale

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Filosofia e critica del capitalismo universale

di Camilla Sclocco

Su un recente volume di Finelli e Gatto contro il rigetto del pensiero dialettico. – Marxismo dell’astrazione e marxismo della contraddizione. – L’attuale dominio assoluto del capitalismo svuota la cultura di funzione critica. – Il processo ha investito anche il concetto gramsciano di egemonia, negando il suo cuore economico e riducendolo a fatto culturale. Si è aperta così la strada alla «soggettivizzazione della politica». – La scuola come sede dell’utopia possibile

altro occidente.jpgSistema, dialettica, totalità. Giudicate come estinte da buona parte degli orientamenti culturali oggi egemoni in Occidente, nonché da correnti filosofiche a vario titolo eredi di Althusser in Francia e di Della Volpe in Italia, le categorie della tradizione hegelo-marxista sono indicate da Roberto Finelli e Marco Gatto nel loro recente volume Il dominio dell’esteriore. Filosofia e critica della catastrofe (Roma, Rogas, 2024, pp. 160) come le uniche in grado di garantire una comprensione critica della società attuale. In questa fortunata unione di due delle intelligenze più innovatrici della filosofia italiana contemporanea viene proposta quale chiave interpretativa del presente della globalizzazione neoliberale quella del compiersi del processo di universalizzazione del capitale, inteso come Übergreifende Subjekt, o “soggetto dominante”, della modernità, indagandone le conseguenze sul piano antropologico e culturale.

 

La liquidazione del marxismo degli anni Settanta

Al volume va anzitutto riconosciuto il merito di aver fatto chiarezza sulla modalità con cui a partire dagli anni Settanta sia avvenuto in Italia il processo di liquidazione della cultura filosofica marxista e la sua sostituzione con gli autori del pensiero negativo. Concretizzandosi nel passaggio dell’anticapitalismo dai moduli del pensiero storico-sociologico a quelli di ascendenza ontologico-teologica, questa vicenda viene osservata all’interno della più ampia svolta del pensiero occidentale scaturita dal ritorno a Parmenide di Heidegger e proseguita attraverso una serie di Filosofie e teorie dell’altro mondo, secondo l’espressione che dà il titolo al terzo capitolo. Il Grand Autre di Lacan, il Vuoto-Nulla di Agamben, l’operaismo teologico di Tronti, il poter-dire di Virno, filosofie assai di moda nelle accademie italiane degli ultimi anni, sarebbero a vario titolo eredi della riproposizione ontologica della categoria di Essere compiuta dalla rivoluzione conservatrice heideggeriana. Un passaggio reazionario osservato anzitutto nella riconcettualizzazione del significato di Essere da quello di necessità a quello di possibilità, che farebbe dell’essere umano il prodotto di un riferimento al futuro estraneo alla riproduzione biologica, storica e sociale della vita.

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Redazione Contropiano: Dazi subito, si rompe l’”Occidente collettivo”

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Dazi subito, si rompe l’”Occidente collettivo”

di Redazione Contropiano

C’è una dannata fretta nell’aprire la guerra – commerciale, per ora – contro tutto il mondo. E probabilmente pesano anche gli squarci aperti sulla “narrazione MAGA” dai quotidiani incidenti aerei che vanno mostrando al mondo quanto la “grandezza statunitense” non sia proprio nel suo momento migliore.

Anticipando di un mese la partenza delle ostilità rispetto a quanto scritto nei suoi “ordini esecutivi”, comincia già oggi comincia la prima guerra commerciale della seconda presidenza di Donald Trump.

Il portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha infatti smentito un’indiscrezione diffusa dalla Reuters (“dazi dal 1° marzo“) e ha confermato che partiranno oggi 1° febbraio.

I beni provenienti dalla Cina, ha detto Leavitt, saranno sottoposti a dazi del 10%, mentre quelli dal Messico e del Canada al 25. Dazi del 25% faranno certamente salire il prezzo che i consumatori Usa pagheranno per qualsiasi merce importata da quei paesi, ma soprattutto faranno scattare analoghe ritorsioni (riducendo così i margini dell’esportazione per il non molti prodotti Usa che viaggiano in direzione opposta).

Il Canada ha già preparato e annunciato una serie di contromisure forti, ha detto il primo ministro canadese Justin Trudeau: “Saremo pronti a rispondere, una risposta mirata, energica ma ragionevole e immediata. Non è quello che vogliamo, ma se si muoverà, agiremo anche noi. Non cederemo finché le tariffe non saranno rimosse e, naturalmente, tutto è sul tavolo“.

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Pino Cabras: Tulsi Gabbard e la Glasnost di Donald

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Tulsi Gabbard e la Glasnost di Donald

di Pino Cabras

Con buona pace di quelli che mi hanno voluto affibbiare l’etichetta di filo-Putin e di anti-americano, è proprio nel cuore delle istituzioni statunitensi che si stanno rivelando i fatti che ho sempre raccontato.

L’audizione al Senato USA di Tulsi Gabbard, nominata da Donald Trump alla guida delle 18 agenzie di intelligence statunitensi, è stata un fuoco di fila di tabù politici abbattuti uno dopo l’altro nella sede più solenne. Per capirci: ha dichiarato le stesse cose che scrivo da anni in libri, atti parlamentari e articoli guadagnandomi lo stigma di “complottista” e altri attacchi insultanti presso le officine dei media dominanti: cioè che al-Qāʿida e la galassia jihadista sono stati meri strumenti di Washington e che tutte le guerre degli ultimi venticinque anni (per stare solo al nostro secolo) sono state fatte dal governo statunitense sulla base di falsi pretesti e con effetti destabilizzanti e criminali.

Gabbard ha tenuto testa a parlamentari totalmente disabituati all’esposizione di verità così scandalose e imbarazzanti. Non so se alla fine avrà quei 51 voti su 100 che le servono, perché le reazioni di una parte della politica e dei bugiardi dei media sono furibonde e senza precedenti: gli interessi minacciati sono immensi. Ma di certo gli effetti saranno durevoli e nulla potrà essere come prima. Trump ha puntato la prua contro il mondo “neo-con” che con ogni probabilità non è estraneo alle pallottole che lo hanno sfiorato. Perciò ha voluto dare un ruolo chiave a una figura come Tulsi Gabbard (così come sulla Sanità ha sfidato la super-mafia farmaceutica lanciando Robert Kennedy Jr.).

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Angelo Tartaglia: Fonderie nucleari?

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Fonderie nucleari?

di Angelo Tartaglia

Noi tireremo diritto” è sicuramente il motto del Governo riguardo al nucleare. Il ministro, diciamo così, competente ha depositato un disegno di legge-delega al Governo che prevede, appunto, di procedere per il ritorno dell’Italia nella confraternita internazionale dei paesi nuclearisti. Poco importa che l’economicità del nucleare stia sempre più declinando anche e soprattutto nel contesto delle economie liberiste, poco importa che i tempi di realizzazione di nuove centrali siano incompatibili con quelli di un’emergenza climatica più che incombente e che i costi siano esorbitanti e tali da non trovare di certo investitori privati se non dietro totale garanzia pubblica. L’importante è utilizzare le parole magiche giuste; nel caso del decreto il nucleare futuro è sempre congiunto con la qualifica “sostenibile”, senza naturalmente che il decreto stesso ne definisca il significato. Ma la parola risolve!

La presidente del consiglio, di ritorno da Baku dove era andata per la COP29, ricorda che «l’Italia è impegnata in prima linea sul nucleare da fusione» dopo aver detto, nel corso della conferenza, che in futuro dovremo anche utilizzare «il nucleare da fusione che potrebbe produrre energia pulita, sicura e illimitata»: magia delle parole. D’altra parte i pilastri su cui poggia il palcoscenico della politica al riguardo del nucleare sono Enel, Leonardo, Ansaldo, Enea, Snam (almeno per la ipotizzata produzione di idrogeno): tutte imprese o enti a partecipazione, anzi sotto il controllo pubblico (resta da capire chi controlli chi).

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Davide Miccione: Credo nei contenuti

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Credo nei contenuti

di Davide Miccione

Io credo nei contenuti non nelle competenze, nelle tecniche, nelle didattiche. Credo in una scuola dei contenuti, cioè della cultura, del pensiero, dell’affinamento del gusto. Credo che la competenza che si origina dal sapere Dante sia conoscere Dante. Credo che la competenza che si origina dal sapere Hegel sia conoscere Hegel. E se non lo sai applicare o non lo usi nella costruzione della tua cultura non è perché dovevi svilupparne le collegate competenze ma semplicemente perché non lo hai capito, lo hai fatto male, ne hai fatto poco. Pochi contenuti, contenuti poco capiti, contenuti adulterati.

Credo che le nozioni siano importanti perché organizzano un contesto entro cui accogliere le cose che impari e che capisci. Credo che chi abbia negli anni lavorato solo agli aspetti formali e didattici del sapere sia a forte rischio di miseria concettuale e spirituale e persino morale perché per leggere eticamente il mondo devi conoscere il mondo umano e il tecnocrate ne conosce il solo funzionamento (che non è il mondo umano).

Credo che la scuola sia l’unica occasione di formare uomini decenti e che questo fine sia incommensurabilmente superiore e prioritario rispetto al creare cittadini, elettori, lavoratori, consumatori (l’ordine non è casuale ma con valore discendente). Uomini decenti sono uomini che hanno un linguaggio per capire gli altri e farsi capire. Hanno un mondo che è stratificazione del tempo e non un incubo sincronico. Per questo servono i contenuti.

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Piero Pagliani: Un nuovo POTUS per una nuova fase

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Un nuovo POTUS per una nuova fase

di Piero Pagliani

Trump non è solo un nuovo POTUS (President Of The United States), ma una nuova fase della reazione americana alla crisi sistemica.

La sinistra negli Usa e in Europa sta molto attenta all’angolazione del braccio teso di Musk senza sospettare che chi guida il blocco sociale raccolto attorno a Trump preferisce di gran lunga che i suoi avversari si concentrino su queste cose e non su ciò che si intende fare e sui motivi profondi delle decisioni prese.

Molti anni fa uno slogan recitava “Il revisionismo disarma gli operai”. Ma ciò che è successo va ben oltre. L’introiezione, protratta per decenni, del senso comune dell’avversario di classe all’attacco, oltre che ad aperte complicità ha portato la sinistra a un profondo degrado della capacità di analisi e comprensione (e quindi di azione) che è andato oltre le più funeste previsioni.

Così la sinistra, aizzata dall’iperbolico reazionarismo di Trump e del suo “popolo”, si fossilizza in una proterva difesa anche delle più indifendibili esagerazioni woke, buoniste e imperial-cosmopolite liberal distogliendo l’attenzione dal vero “problema Trump”. Perché il vero problema Trump, o il principale problema, sarà la sua politica di minaccia e aggressione contro tutto il mondo.

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Enrico Tomaselli: Europa vaso di coccio

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Europa vaso di coccio

di Enrico Tomaselli

I due
vasiTradizionalmente, si tende a pensare che i paesi europei – e segnatamente Italia e Germania – siano costretti ad un ruolo subalterno, rispetto agli Stati Uniti, non solo in virtù del ruolo di superpotenza di questi ultimi, ma anche perché ciò farebbe parte dell’eredità della sconfitta subita nella seconda guerra mondiale. In realtà questa tesi è smentita non soltanto dal fatto che ci sono paesi altrettanto subalterni, benché non ascrivibili al novero dei membri dell’Asse, ma anche dal fatto che – proprio nei paesi che persero la guerra – vi sono stati personaggi come Brandt o Moro che, pur nella loro assoluta fedeltà atlantica, erano comunque capaci di una (sia pur parziale) autonomia, che garantisse anche gli interessi nazionali, e non solo quelli imperiali.Basti pensare, appunto, alla Ostpolitik tedesca oppure al posizionamento italiano sulla questione mediorientale negli anni ‘70 del novecento.

Il dato reale è invece che, soprattutto a seguito della nascita dell’Unione Europea, che si è andata strutturando in modo sempre più centralizzato e a-democratico, è via via emersa una generazione di leader post-guerra fredda, estremamente attenta a soddisfare le attese delle varie amministrazioni americane, e che – nella convinzione di potersi con ciò dedicare esclusivamente alla cura del famoso “giardino” – hanno completamente delegato a Washington la difesa dello stesso, sino a perdere del tutto la cognizione stessa che gli interessi nazionali non sempre, e non necessariamente, coincidono con quelli della potenza egemone.Ciò è divenuto particolarmente evidente (e stringente) soprattutto negli ultimi due decenni, quando la saldatura tra neocon e democratici americani ha messo gli USA su una rotta di collisione con la Russia, e conseguentemente ha reso necessario un maggior controllo statunitense sull’Europa, individuata come il principale campo di battaglia per l’egemonia globale.

Questa subalternità, profondamente interiorizzata dalle classi dirigenti europee, ha poi raggiunto, nell’ultimo decennio, livelli di completo autolesionismo, sino alla tacita accettazione di un ruolo sacrificale nel confronto tra Washington e Mosca – coronata dal silenzio tombale con cui è stata registrata la distruzione dei gasdotti North Stream.In questo contesto psico-politico, le élite europee si sono avventurate non soltanto nel sostegno all’Ucraina, ma nell’adozione acritica di una ideologia russofobica senza precedente (e senza fondamento), tanto da diventare in ciò più realisti del re.

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Michelangelo Severgnini: Una strega, due spergiuri e il Segreto di Stato su Al Masri

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Una strega, due spergiuri e il Segreto di Stato su Al Masri

di Michelangelo Severgnini

nozdbyyrvIl perimetro in cui si sta giocando la partita intorno al caso Al Masri è più ampio di quel che si racconta.

Il perimetro, come sempre in questi casi, viene limitato al campo dei diritti umani e della migrazione.

Lì, in questo campo, stanno volando i fendenti in questi giorni tra destra e sinistra in Italia.

In sostanza la sinistra ha buon gioco a incolpare la presidente Meloni di incompetenza, finanche complicità con i criminali torturatori libici (evidentemente si suppone che questi siano lì per fermare i migranti e in questo fare un favore alla Meloni).

La destra si trincera dietro a vizi procedurali e a una rapida espulsione in Libia motivata da ragioni di sicurezza.

Anzi, denuncia un piano segreto per attaccare il suo governo, dal momento che Al Masri, prima di arrivare in Italia, era transitato da altri Paesi europei, ma solo il 18 gennaio, il giorno del suo ingresso in Italia, viene spiccato il mandato di cattura internazionale contro di lui.

Questo per chi crede alle coincidenze.

Però, come si diceva, il perimetro della partita è più ampio.

Ma ciò che avviene al di fuori del campo che concerne i diritti umani e la migrazione, non sarà raccontato.

Ma è quello che spiega ciò che sta succedendo in questi giorni.

In Libia non si vota dal 2014. Le nuove elezioni previste per il dicembre 2021 sono state annullate all’ultimo momento per evitare che Saif Gheddafi, figlio del colonnello, diventasse presidente della Libia.

Il governo Meloni, come tutti i suoi predecessori, riconosce come governo della Libia quello di Dabaiba, insediato a Tripoli.

Questo governo non solo è illegittimo, perché non riceve la fiducia del parlamento eletto nel 2014, ma ormai è prossimo a cadere, sotto la spinta degli ultimi eventi internazionali.

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Antonio Dini: Come DeepSeek ha riconfigurato la corsa all’intelligenza artificiale

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Come DeepSeek ha riconfigurato la corsa all’intelligenza artificiale

di Antonio Dini

nòaeibhvògnòò“È una delle innovazioni più sorprendenti e impressionanti che abbia mai visto”: le parole del venture capitalist Marc Andreessen sintetizzano alla perfezione lo stupore con cui la Silicon Valley ha assistito all’avvento di V3 e R1, i modelli di intelligenza artificiale creati da DeepSeek, la startup cinese derivata dall’hedge fund di Lian Wenfeng.

DeepSeek è riuscita a creare sistemi di AI potenti almeno quanto i principali realizzati negli Stati Uniti a una frazione del costo di training – 5,6 milioni di dollari per il suo modello V3, un LLM (modello linguistico di grandi dimensioni), contro gli oltre 100 milioni stimati per ChatGPT-4 – e utilizzando chip molto meno potenti e probabilmente in quantità inferiore (il numero di schede Nvidia utilizzate è ancora dibattuto), anche a causa dei blocchi commerciali imposti dagli Stati Uniti. DeepSeek è riuscita nell’impresa usando delle tecniche di programmazione e di funzionamento innovative e procedendo a ottimizzazioni sistematiche e su larga scala nel funzionamento dei sistemi di creazione e gestione dei modelli.

In questo ha giocato un ruolo significativo anche il fatto che DeepSeek abbia scelto un modello di sviluppo di tipo open source (pur con le differenze che questo ha nel settore dell’intelligenza artificiale rispetto all’ingegneria del software tradizionale, tanto che la definizione di open per questi modelli è contestata), da un lato potendo sfruttare l’aiuto di sviluppatori indipendenti di tutto il mondo, dall’altro aumentando la pervasività dei suoi modelli, perché possono essere scaricati da chiunque, nel repository presente su GitHub, e utilizzati in altro modo. I modelli possono quindi essere utilizzati in locale anche con computer relativamente poco potenti, mentre altre aziende possono riutilizzarli dopo averli portati nel proprio cloud. Microsoft stessa ha dichiarato di voler aggiungere i modelli di DeepSeek nell’offerta del suo cloud Azure (nonostante la partnership con OpenAI), mentre Perplexity offre R1 come opzione per il suo motore di ricerca.


La scossa al modello americano

La stampa e i mercati finanziari hanno rapidamente registrato il cambiamento nel settore dell’intelligenza artificiale, comparando il lavoro e i costi affrontati da DeepSeek con quanto invece sostenuto dalle aziende statunitensi del settore, cioè che siano necessari investimenti di capitale e tecnologia crescenti per sviluppare nuovi modelli e mantenere la supremazia statunitense. Nel biennio 2023-2024 le cifre, mai rivelate ufficialmente, sono state nell’ordine di grandezza dei 100 milioni di dollari per l’addestramento dei modelli di nuova generazione, e questo contando solo il costo d’uso dei processori, mentre per il 2025, come aveva dichiarato l’anno scorso il Ceo di Anthropic Dario Amodei, la cifra necessaria per l’addestramento della “next gen” di AI potrebbe arrivare anche al miliardo di dollari.

La comparazione più facile per la stampa internazionale e per i mercati finanziari è stata comunque quella con lo “Stargate Project”, pianificato durante la presidenza di Joe Biden da OpenAI, SoftBank, Oracle e il fondo emiratino Mgx, e presentato alla Casa Bianca da Donald Trump il 21 gennaio. Il progetto prevede che, per continuare lo sviluppo dei modelli realizzati da OpenAI, sia necessario creare una gigantesca infrastruttura di centri di calcolo dedicata esclusivamente all’azienda di Sam Altman al costo iniziale di 100 miliardi di dollari nel 2025, che potrebbero diventare 500 miliardi in quattro anni, generando tra le altre cose più di 100mila posti di lavoro negli Usa. L’obiettivo, secondo Altman, è lo sviluppo dell’intelligenza artificiale generale (AGI), mentre per il presidente Trump è più esplicitamente il mantenimento della supremazia statunitense nel settore.

Durante un evento pubblico tenuto solo un giorno prima, il 20 gennaio, Liang Wenfeng ha presentato al premier cinese Li Qiang il modello di DeepSeek capace di “ragionamento”, R1, che secondo varie metriche è pari o superiore a o1 di OpenAI, il modello giudicato finora il più avanzato tra quelli dotati di ragionamento. Riferendosi alla presentazione di questo particolare modello, Marc Andreessen ha parlato del “momento Sputnik” dell’intelligenza artificiale, con un suggestivo riferimento alla messa in orbita nel 1954 da parte dei sovietici del primo satellite artificiale, che abbatté il primato americano nel settore aerospaziale e scatenò la corsa allo spazio, con la nascita della Nasa, l’espansione del programma militare e, indirettamente, la nascita di Internet.

L’impatto del “momento Sputnik” di DeepSeek per adesso si è tradotto invece in una reazione di shock e nel timore di un “AI Gap” evidenziato da tutte le più autorevoli testate internazionali, a partire da quelle statunitensi. I giornali hanno sostanzialmente ufficializzato lo stupore per questa “new entry” cinese, sconosciuta ai più, nel settore dell’intelligenza artificiale, che non solo è riuscita a raggiungere e superare il campione del settore (OpenAI), ma lo ha fatto mettendone in discussione gli assunti tecnologici ed economici.

Al di là dei dettagli tecnici (numero di parametri dei modelli di DeepSeek, modalità di addestramento e funzionamento, velocità e modalità di gestione dei token) ed economici (costo dell’addestramento e del funzionamento, costi di inferenza e costo delle GPU utilizzate), l’impatto del nuovo attore cinese ha prodotto un primo risultato immediato, cioè il crollo dei titoli delle aziende centrali per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, che dal 2022 stavano godendo di una crescita significativa. In particolare, Nvidia ha perso circa 600 miliardi di dollari in poche ore (-17%), ma il calo ha coinvolto, su cifre più contenute, anche gli altri protagonisti del settore: Alphabet/Google, Amazon, Meta e Microsoft (OpenAI non è quotata in Borsa).

DeepSeek è riuscita a rompere la narrazione, portata avanti da alcune aziende degli Stati Uniti, secondo la quale lo sviluppo dell’intelligenza artificiale richiede investimenti miliardari crescenti e l’aumento esponenziale di centri di calcolo per sviluppare nuovi sistemi di intelligenza artificiale. Ed è riuscita a rompere questa narrazione senza minarne la base, che sia cioè comunque opportuno, e anzi necessario, sviluppare l’intelligenza artificiale perché utile alle imprese e all’umanità in generale, rispetto invece alle resistenze (soprattutto occidentali) di chi vede nello sviluppo dell’intelligenza artificiale un pericolo per l’umanità diretto (una sorta di “rischio Terminator”) o indiretto (soprattutto per l’impatto ambientale dei centri di calcolo, ma anche dal punto di vista occupazionale e non solo).

 

L’AI come strumento di supremazia strategica

Inoltre, DeepSeek è (involontariamente) riuscita a far mettere a fuoco ai media, e a una parte dell’opinione pubblica occidentale, le dimensioni dello scontro in corso tra gli Stati Uniti e la Cina. La supremazia nell’ambito dell’intelligenza artificiale è un fattore non solo puramente tecnologico ed economico, ma anche strategico e geopolitico.

L’intelligenza artificiale (intesa in senso lato, non solo come AI generativa) è facilmente convertibile a fini bellici, sia in contesti di scontri convenzionali, sia non convenzionali e asimmetrici. Può infatti essere utilizzata sia per campagne di disinformazione, spam, hacking, furto di informazioni o più in generale di sabotaggio tecnologico, ma anche come strumento di intelligence per analisi di dati sia di natura riservata sia pubblica, oltre che come strumento militare diretto: dai droni a guida autonoma alle armi e bombe intelligenti, dai software per sistemi d’arma innovativi (compresi i robot) agli altri meccanismi automatici o semiautomatici da usare sul campo nei conflitti.

L’intelligenza artificiale è inoltre uno strumento in grado di aumentare l’innovazione in altri settori: dalla ricerca biochimica all’ambito finanziario.

La supremazia tecnologica degli Stati Uniti, nel campo dell’intelligenza artificiale come in altri settori, è un elemento della dottrina della deterrenza militare americana, che si stava già riorganizzando attorno al settore privato. Per esempio, Eric Schmidt, uno dei cofondatori di Sun Microsystems e poi Ceo di Google, da tre anni porta avanti un’attività di lobbying incentrata sull’idea che le forze armate statunitensi debbano modernizzarsi velocemente, sfruttando a questo scopo sistemi di intelligenza artificiale a qualsiasi livello (il cosiddetto “AI Warfare”), mentre Palantir Technologies, creata tra gli altri da Peter Thiel, uno degli ex soci di Elon Musk e personaggio strumentale per il successo elettorale di Donald Trump, ha numerosi appalti militari per la fornitura di sistemi di intelligence basati su AI.

Assieme all’impatto tecnologico, economico, finanziario e ambientale, l’intelligenza artificiale cinese realizzata da DeepSeek sta avendo un ruolo più sotterraneo, ma altrettanto dirompente, nei rapporti di forza geopolitici in generale.

Mostrando come, al di là dei blocchi e delle sanzioni americane, possa raggiungere e superare la tecnologia realizzata dagli Usa, con costi più accessibili e un impatto ambientale inferiore di vari ordini di grandezza, la storia di DeepSeek rimette in discussione uno dei vettori di crescita economica diretta apparentemente più consolidati, ovvero gli enormi e crescenti investimenti pianificati nel settore dello sviluppo e funzionamento dell’AI.

Inoltre, crea uno strumento che non solo solleva potenziali problemi di privacy (tanto che il Garante italiano ha subito chiesto chiarimenti e poi è intervenuto con una istruttoria), ma, in Occidente, può anche essere considerato un rischio per la sicurezza nazionale assimilabile a quello che gli Usa sostengono sia causato dal social media TikTok. Il riferimento è, da un lato, alla censura e manipolazione dei contenuti e delle risposte fornite dai modelli di DeepSeek (anche se limitazioni sulle risposte sono presenti nei modelli di tutte le aziende), dall’altro, all’estrazione di informazioni personali, prompt, chat e alla loro conservazione a tempo indeterminato su server cinesi, con possibili utilizzi anche a fini di intelligence (almeno nella versione che non prevede un utilizzo in locale, che limiterebbe molti di questi rischi).

È per queste ragioni che possiamo considerare l’intelligenza artificiale come un moltiplicatore di potenza strategico, che opera su tre livelli principali. Innanzitutto, su una dimensione economica, perché rappresenta una tecnologia abilitante fondamentale, paragonabile all’elettricità o al motore a combustione interna. Chi oggi domina lo sviluppo dell’AI avrà vantaggi competitivi enormi in molteplici settori.

Dal punto di vista militare – dove, come abbiamo visto, sta trasformando profondamente la natura dei conflitti moderni permettendo lo sviluppo di sistemi d’arma autonomi – l’intelligenza artificiale potenzia drasticamente le capacità di intelligence e sorveglianza, automatizzando in parte il processo decisionale sul campo di battaglia.

Dal punto di vista geopolitico, l’intelligenza artificiale rappresenta invece il fulcro di quella che è ormai diventata una specie di nuova “corsa agli armamenti tecnologici” tra gli Stati Uniti e la Cina. Controllare l’AI non determina solo la supremazia militare ed economica, ma anche la capacità di influenzare gli standard globali e le norme etiche del suo utilizzo.

La corsa all’intelligenza artificiale è quindi una competizione caratterizzata, da un lato, da una forte interdipendenza nelle catene di approvvigionamento tra i due paesi e, dall’altro, dalla mancanza quasi completa di una governance globale condivisa. Governance condivisa che, peraltro, esiste in quasi tutti gli altri settori di attrito tra stati o blocchi di stati. È proprio questo doppio vincolo, l’interdipendenza e la mancanza di governance globale condivisa, che dovrebbe far nascere le preoccupazioni maggiori.

coniarerivolta: Non c’è tregua per le pensioni

coniarerivolta

Non c’è tregua per le pensioni

di coniarerivolta

Per le pensioni italiane, si sa, non vi è mai tregua. Non pago degli interventi restrittivi già delineati in autunno, e nei due anni precedenti della legislatura, il governo Meloni, nel pieno delle feste natalizie, ha inserito in extremis nella legge di bilancio l’ennesimo tassello del feroce accanimento contro il sistema previdenziale pubblico.

E così, insieme al rinnovo dei tagli alle percentuali di indicizzazione all’inflazione e all’allungamento delle finestre di attesa per l’accesso alla pensione anticipata, entra in scena, come un colpo contro la Croce Rossa, l’inasprimento dei requisiti di accesso alla pensione anticipata puramente contributiva.

Vediamo, in primo luogo, a quale forma di pensione stiamo facendo riferimento. Nel ginepraio della normativa previdenziale italiana, tra le varie strade alternative, sempre più depotenziate e marginalizzate, rispetto a quella “standard” costituita dalla pensione di vecchiaia a 67 anni, vi è, in vigore dalla Riforma Fornero del 2012, la possibilità, per chi abbia iniziato a versare contributi dal 1996 (ovvero con il solo sistema contributivo) di andare in pensione a 64 anni con almeno 20 anni di contributi e con un primo assegno pensionistico pari almeno a un certo multiplo dell’importo mensile dell’assegno sociale. Si tratta di un’opzione che nei primi anni dopo la sua definizione ebbe scarsissima adesione poiché con solo 20 anni di contributi il sistema contributivo conduce a una rendita pensionistica bassissima e solo in pochi potevano contare su un primo assegno pari, all’epoca, a 2,8 volte l’assegno sociale.

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Claudio Conti: Guerra al mondo, con la moneta Usa

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Guerra al mondo, con la moneta Usa

di Claudio Conti

L’allarme viene questa volta direttamente dai giornali economici che, come detto più volte, sugli aspetti tecnici sono decisamente più attendibili dei “generalisti”, perché il loro pubblico è fatto di operatori sui mercati, che debbono perciò disporre di informazioni utili per investire soldi, non per fare gossip o piatta propaganda “atlantica”.

E quindi prendiamo dannatamente sul serio il grido sollevato da MilanoFinanza: “Perché le stablecoin Usa sono un rischio per banche e credito in Europa”.

Un po’ criptico, vero? Beh, bisogna allora spiegare intanto cosa sono e come funzionano le stablecoin, poi vedere perché minano la posizione di intermediazione del denaro tipica delle banche e infine che cosa ha combinato Donald Trump sull’argomento, con uno dei suoi cento “decreti esecutivi”.

 

Cos’é una stablecoin

Le stablecoin sono un tipo di criptovaluta progettata per mantenere un valore stabile, generalmente ancorato a una valuta fiat come il dollaro statunitense (USD) o a un paniere di asset.

A differenza delle criptovalute tradizionali (Bitcoin, Ethereum, ecc), soggette a violente fluttuazioni di prezzo, le stablecoin mirano a ridurre la volatilità, rendendole più adatte per transazioni quotidiane, riserva di valore e trasferimenti di fondi.

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Gilberto Trombetta: È morta l’IRI, viva l’IRI! Il successo del “modello italiano”… in Cina

lantidiplomatico

È morta l’IRI, viva l’IRI! Il successo del “modello italiano”… in Cina

di Gilberto Trombetta

Pochi giorni fa l’azienda cinese Deepseek ha rilasciato un chatbot basato sull’intelligenza artificiale generativa e sull’apprendimento automatico. Un concorrente di ChatGPT dell’americana OpenAI. Che però costa molto meno ed è open source.

La ditta cinese è in attività da meno di 2 anni, ha circa 200 dipendenti e ha investito 6 milioni di dollari per sviluppare il suo prodotto. OpenAI ha investito 100 milioni di dollari per ChatGPT, esiste da quasi 10 anni e ha circa 4.500 dipendenti.

Come risposta Nvidia ha perso in poche ore quasi 600 miliardi di dollari di capitalizzazione (-17%). Poco meno dell’intera capitalizzazione della Borsa di Milano. Non è andata meglio ad altre aziende tech, soprattutto nel settore dei semiconduttori: Broadcom -16,5%, Arm -10%, Amd -6%¹.

Come si spiega lo smacco di una piccola azienda cinese ai colossi americani?

Tra il 2003 e il 2007, gli Stati Uniti erano leader in 60 dei 64 settori coperti dal Critical Technology Tracker dell’ASPI. La Cina in appena 3. Nel 2023 la Cina era diventata leader in 57 settori².

La Cina forma annualmente 8/15 volte (le stime variano molto tra di loro) il numero di laureati STEM (science, technology, engineering and mathematics) degli Stati Uniti nonostante abbia “solo” 4 volte gli abitanti USA (1,4 miliardi contro 335 milioni).

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Giuliano Santoro: Il fotografo e la rivoluzione

manifesto

Il fotografo e la rivoluzione

di Giuliano Santoro

Movimenti. Un pranzo con Tano D’Amico parlando del suo nuovo libro: il Settantasette, l’urlo muto delle compagne di Giorgiana Masi straziate, la restaurazione del potere contro le immagini

Un altro libro sul Settantasette? Se ne sentiva il bisogno? Diciamo subito di sì, perché l’autore è Tano D’Amico, uno dei maestri della fotografia italiana, le cui opere sono esempio di potenza etica e forza poetica. Si intitola I nostri anni (Settanta/Milieu, pp. 120, euro 14,90) e non è un libro di fotografie. Ci sono, nelle ultime pagine, alcune delle storiche foto di Tano che raccontano l’anno che di fatto chiuse il Novecento, ma questo libro è fatto di testi. O meglio è una sequenza di testi che si richiamano a vicenda, che incedono a spirale, e che a loro volta evocano e precipitano in immagini.

TANO HA UN’IDEA molto radicale del rapporto tra parola scritta e immagini: queste ultime vengono sempre prima, esprimono una forma di libertà e sentimento che il testo, dice lui, può soltanto accompagnare. Ecco perché questo libro di immagini raccontate e di parole che disegnano avventure, non è (soltanto) un libro sul Settantasette: è un trattato sul rapporto tra comunicazione e rivoluzione, sullo scontro delle immagini col potere. Quando gli proponiamo di parlarne, pone la condizione che gli è solita: il contesto sia conviviale. «Dobbiamo mangiare insieme». Dunque, ci ritroviamo tra le mura amiche del Rouge, osteria di San Lorenzo: il locandiere Danilo ogni giorno mette sul bancone il menù e una copia del manifesto.

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