Forum Italiano dei Comunisti – 08/02/2025
Cheng Enfu
«DIALETTICA DELL’ECONOMIA CINESE
L’aspirazione originale della Riforma»
recensione di Giuseppe Amata
- Il libro di Cheng Enfu non merita soltanto una semplice recensione ma un’approfondita discussione tra i comunisti, sia per comprendere l’evoluzione della politica di “Riforma e apertura” proposta nella Terza sessione dell’XI Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese nel 1978 da Deng Xiaoping, proseguita dagli altri leader che hanno guidato il Partito e lo Stato come Jang Zemin e Hu Jintao, quindi condensata e sviluppata a partire dal XVIII Congresso (svoltosi nel 2012) da Xi Jinping nella teorizzazione del “socialismo con caratteristiche cinesi”; sia come modello di riferimento per lo studio, e non certamente per essere copiato, nel formulare un programma economico di transizione per il passaggio da una formazione sociale capitalistica ad una socialista, tenendo conto ovviamente delle specificità di ogni Paese.
Con questo spirito ho letto il libro (che è stato proposto ai lettori italiani grazie alla traduzione e alla redazione di Marx21 edizioni guidata da Andrea Catone) e mi accingo a discuterlo.
Il testo si compone di diversi saggi, pubblicati in fasi storiche diverse, a partire dal 1990 fino al 2019 e presentati, però, in successione temporale decrescente.
Dobbiamo riconoscere, altresì, discutendo del libro, che adesso ci troviamo in una fase storica, con decorrenza dall’inizio del terzo decennio del XXI secolo, la quale sta profondamente cambiando rispetto al precedente decennio, per il susseguirsi di importanti avvenimenti, quali:
- a) l’inizio dell’Operazione militare speciale russa in Ucraina (febbraio 2022) in risposta alla persistente aggressione del governo ucraino (dopo il colpo di Stato del 2014 appoggiato apertamente da USA, UE e NATO) contro le regioni russofone del Donbass, le quali avevano in risposta proclamato le Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk e si apprestavano a diventare la prima linea difensiva dall’espansione militare della NATO, iniziata con il dissolvimento dell’Unione Sovietica. NATO che ha portato i suoi confini dalla Germania occidentale fin dentro i territori storici della Russia;
- b) il XX Congresso del PCC (ottobre 2022), il quale oltre a ratificare l’avvenuta scomparsa della povertà in tutte le regioni marginali e il raggiungimento di un livello di media-prosperità nel complesso della RPC ha tracciato le linee direttive per la riduzione dei divari esistenti tra le diverse regioni, tra le città e le aree rurali e tra i redditi più alti (alcuni sproporzionati nel settore privato per imprenditori e manager) e quelli più bassi. Inoltre ha indicato come obiettivo prioritario incrementare l’innovazione scientifica e tecnologica in modo da realizzare un’attività produttiva di qualità per soddisfare i bisogni sociali e raggiungere nel 2035 un livello generale di benessere per tutti gli abitanti;
- c) l’allargamento dei BRICS+ che tende a sbriciolare il mondo a trazione unipolare, imposta dagli USA con il sostegno della UE e del Giappone, e a favorire la multipolarità, ossia gli scambi economici secondo il principio del reciproco vantaggio e non secondo l’ordine e lo scambio diseguale imposti dal colonialismo prima e dall’imperialismo dopo; e a delineare, per il futuro, il tendenziale ridimensionamento del dollaro come unica moneta di riserva internazionale;
- d) la brutale aggressione di Israele al popolo palestinese, iniziando il genocidio e l’allontanamento di quel popolo dalle sue terre per ridisegnare il Medio Oriente a egemonia israeliana, così come dopo il primo conflitto mondiale era stato disegnato ad egemonia inglese con appendice francese;
- e) i dazi rilanciati in forma massiccia da Trump, ma già iniziati con il suo primo mandato e proseguiti da Biden, i quali sconvolgeranno il commercio internazionale nel vano tentativo di impedire il rafforzamento della Cina sul piano tecnologico (ha già quasi raggiunto gli USA e addirittura li sta superando in alcuni settori come l’intelligenza artificiale).
- Dalla lettura di tutti i saggi presenti nel libro si coglie limpidamente che le analisi di Cheng Enfu nei diversi periodi della Riforma anticipano o appoggiano le scelte fatte dal Partito e dal governo sui temi economici e si possono riassumere nella metafora di Deng Xiaoping: “Guadare il fiume tastando il terreno sotto i piedi prima di muovere un passo”. Il che vuol dire che la scelta di passare dal modello di economia pianificata centralizzata ad un modello di economia socialista di mercato doveva essere attuato, come è stato attuato, gradualmente, osservando attentamente i problemi risolti e quelli insorti per determinare continui aggiustamenti o correzioni.
Nella sostanza Cheng Enfu condivide la linea economica del Partito che assegna allo Stato la funzione macro-economica direzionale attraverso la pianificazione di orientamento su obiettivi specifici e nell’ambito di quelle direttive il mercato stabilisce l’allocazione delle risorse, permettendo la libera concorrenza tra le diverse imprese (anche fra imprese pubbliche e private) nel rispetto della legge. Fermo restando ovviamente che i settori fondamentali della società, quali la difesa, il settore energetico, le Banche con al centro la Banca popolare cinese che emette moneta e controlla e regola tutte le operazioni finanziarie, i trasporti, le poste e le telecomunicazioni, la sanità, l’insegnamento sono d’intervento esclusivamente pubblico. In tal senso critica alcuni economisti e accademici cinesi che propongono di limitare l’intervento statale anche negli anzidetti settori e di far entrare il capitale privato trasformando le aziende pubbliche secondo le regole del capitale azionario.
3- Dei saggi presentati nel libro il più importante, perché racchiude problematiche passate e presenti per realizzare obiettivi futuri entro il 2049, è il primo dal titolo: Dieci punti di vista sul marxismo in Cina e all’estero.
In esso oltre ad analizzare il passato e il presente, mettendo anche in evidenza le contraddizioni e i problemi ancora insoluti nella società cinese, si delineano delle ipotesi indicative su un nuovo modello di sviluppo per il futuro, quando in prossimità dell’avvicinamento al secondo centenario (2049) si dovrà gradualmente abbandonare l’economia socialista di mercato per ritornare alla pianificazione socialista a tutto tondo.
Si nota, dopo averlo letto, che esso enuclea l’essenza dei problemi ideologici e politici che riflettono il dibattito all’interno del Partito e della società cinese in tutte le sue istituzioni (Università, stampa, direzione delle imprese statali e private, circoli culturali, opinione pubblica in senso lato), mentre gli altri saggi espongono prevalentemente le proposte e le discussioni sviluppate nelle istituzioni nelle diverse fasi dello sviluppo economico sin dall’avvio della politica di “Riforma e apertura”, non soltanto sulla relazione Piano-mercato bensì sulla ristrutturazione delle aziende pubbliche, sulla vendita di quelle in perdita nei settori non fondamentali, sulla formazione di società miste, sulla presenza delle multinazionali straniere, sulla proprietà collettiva e su quella mista pubblica-privata (sia a livello superiore come per le joint venture che a livello inferiore per le cooperative).
Sono indicati due corpi principali per lo studio e lo sviluppo del marxismo cinese, ll primo è quello del Partito, il secondo è quello delle Università. L’Autore condivide che la discussione si debba svolgere parallelamente in questi due corpi, a differenza del passato quando, non solo in Cina ma in tutti i Paesi governati da Partiti comunisti, la ricerca ideologica e lo sviluppo della teoria marxista erano di competenza esclusivamente delle istanze di Partito.
Domandiamoci il perché e discutiamo sulle proposte di Cheng Enfu per: a) la discussione e interazione tra ricerca accademica e studi di Partito; b) la promozione di una ricerca accademica più approfondita secondo il principio di Mao che cento scuole gareggino e cento fiori fioriscano; c) il dialogo a livello internazionale con i centri marxisti sulla base dello sviluppo del marxismo cinese, il quale tiene conto della cultura cinese da Confucio a Sun Yatsen, nonché dell’apprendimento estero dei concetti marxisti, applicando il principio di Mao: “far sì che il passato serva il presente e ciò che è straniero serva la Cina”. In conclusione il marxismo politico non può essere usato per sostituire il marxismo accademico.
Desidero esprimere al riguardo la mia opinione stimolato dalle proposte di Cheng Enfu e dal fatto, come mette bene in evidenza, che in Cina la lotta ideologica per affermare e approfondire il marxismo è molto sviluppata in quanto i punti di vista che negano la validità del marxismo sono ben radicati in molti ambienti accademici.
Dice Cheng Enfu in modo netto e chiaro che il cambiamento avviato con la Riforma iniziata nel 1978 non è dovuto al fallimento della pianificazione centralizzata, la quale ha realizzato dal 1949 in poi grandi risultati, ma alle nuove condizioni che si sono determinate e difatti cita Xi Jinping per dire che i due periodi non si negano a vicenda.
Io penso che se oggi l’economia mondiale è a un livello di integrazione molto avanzato e la politica di “Riforma e apertura” ha navigato bene nel mare a volte burrascoso, il processo di interazione era però iniziato negli anni Cinquanta tra le economie dei Paesi socialisti e poi è fallito per i diktat krusceviani che mettevano al primo posto gli interessi di grande potenza dell’Unione Sovietica a discapito dei Paesi fratelli, soprattutto quando qualcuno di essi, come la Cina, non voleva essere sacrificato sull’altare del condominio americano-sovietico scaturito dopo la guerra fredda nel momento in cui l’URSS dimostra con i fatti, nei primi anni Sessanta, di essere diventata un gigante militare, però con un tessuto economico debole. Aggiungo che la politica di “Riforma e apertura” non poteva decollare senza la svolta nella politica internazionale con la visita di Nixon in Cina nel febbraio del 1972.
E’ sbagliato, a mio modesto avviso, l’accostamento meccanico che fanno diversi studiosi tra la politica di Deng e quella di Bucharin sulla NEP, in quanto le contraddizioni antagonistiche di quella fase storica (l’URSS unico Paese in direzione del socialismo circondato dall’imperialismo) erano diverse da quelle del momento in cui la Cina ha avviato la Riforma poiché l’accerchiamento americano e giapponese e il duro confronto con l’URSS di Breznev erano stati sconfitti a livello politico, economico, militare (la Cina lanciava missili balistici, satelliti e si era dotata di testate nucleari) e diplomatico (alla fine del 1971 aveva ripreso a grande maggioranza dei membri dell’Assemblea il suo seggio alle Nazioni Unite ed usufruiva del diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza). Pertanto concordo con quanto afferma Xi Jinping e ripete Cheng Enfu sulla non contraddizione tra la politica economica nei due periodi (1949-1977; 1978 fino ai nostri giorni). Per attuare la politica di Deng ci volevano nuove condizioni internazionali rispetto a quelle dal 1949 fino ai primi anni Settanta; condizioni che non esistevano nell’URSS degli anni Venti per cui l’industrializzazione forzata e la collettivizzazione in agricoltura erano tappe obbligate. Questo però non giustifica, col senno di poi, la statalizzazione di ogni forma di piccola attività economica come quella degli artigiani e mercantile.
Cheng Enfu evidenzia chiaramente che con la politica di Riforma in alcuni ambienti accademici della Cina e nello stesso Partito comunista si metteva in discussione la validità del marxismo e si praticava il nichilismo oppure terapie economiche neo-liberiste. Sottolinea tre passaggi teorici categoriali importanti nello sviluppo del marxismo: a) le Tre rappresentanze enunciate nel 2000 da Jang Zemin (sviluppo delle forze produttive, promuovere la cultura più avanzata e servire sempre gli interessi generali delle grandi masse); b) la prospettiva di uno sviluppo economico nel rispetto delle leggi della natura; c) l’affermazione nel Partito del pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi.
Io penso che oggi questi tre passaggi teorici rappresentano uno sviluppo del marxismo a livello internazionale e non solo della Cina; quindi la loro comprensione ci aiuta, da un lato a capire il fallimento del Partito comunista dell’Unione Sovietica che portò alla dissoluzione della Unione e dall’altro come devono operare i Partiti comunisti del mondo capitalistico.
Trattando dello sviluppo del marxismo a livello teorico e come guida per la pratica, è interessante discutere quanto afferma Cheng Enfu, ossia le Tre fasi per arrivare alla formazione sociale comunista: a) la prima fase rappresentata dalla transizione dal capitalismo alla fase iniziale del socialismo; b) la seconda fase come lunga fase iniziale del socialismo che in Cina si dovrebbe esaurire intorno al 2049 in cui fondamentalmente la proprietà pubblica esercita la guida dello sviluppo e la remunerazione avviene secondo la quantità e la qualità del lavoro prestato, ma si sviluppa anche il settore privato, mentre la pianificazione consiste in direttive generali d’orientamento e il mercato sollecita l’allocazione delle risorse, essendo il sistema economico basato su un’economia socialista di mercato; c) la terza fase, cioè quella intermedia e finale della formazione sociale socialista nella quale tutta l’economia sarà basata sulla proprietà pubblica e collettiva e la remunerazione sarà basata prevalentemente sulla quantità e qualità del lavoro prestato ed anche sui bisogni di alcune categorie sociali e pertanto si attenueranno le differenziazioni salariali e pensionistiche per preparare il passaggio al comunismo sulla base della capacità e dei bisogni di ogni individuo.
Io mi permetto di aggiungere che nella lunga fase primaria del socialismo bisognerebbe anche aumentare la produzione dei valori sociali e ridurre tendenzialmente quella dei valori di scambio tuttora prevalenti; mentre nella fase finale i valori di scambio saranno esigui prevalendo quasi totalmente quelli sociali.
Secondo Cheng Enfu il marxismo si lega con tutte le scienze umane e sociali. Ritengo che si riferisca per capirci nel dettaglio anche a quelle biologiche, chimiche e fisiche. In realtà, come aveva detto nel Seicento Descartes, la scienza è una ed una sola e si diparte in tante branche di studio ed il metodo d’indagine per queste branche per noi marxisti, come aveva scoperto Galileo Galilei è sempre lo stesso: induzione, deduzione e verifica della sperimentazione. E il marxismo essendo fondato sul materialismo dialettico e storico (la concezione materialistica della storia) è una branca della scienza.
- Oltre il saggio Dieci punti di vista sul marxismo in Cina e all’estero negli altri saggi inseriti nella edizione italiana del libro vi sono elementi di grande interesse per la discussione economica tra i marxisti, sia cinesi che del mondo intero, a partire dagli indicatori proposti per valutare lo sviluppo economico e il benessere sociale al posto del PIL (che non dice nulla neanche per noi marxisti occidentali, come da tempo l’abbiamo messo in rilievo): PIL del Benessere sociale che comprende i miglioramenti dell’Economia, della Natura e della Società; Indice della felicità e benessere sia a livello individuale e familiare sia a livello sociale e nazionale. Segue giustamente la considerazione che nella discussione sui sistemi economici bisogna fare una distinzione tra sistema economico e modello economico, perché nella realtà mondiale esistono due sistemi economici (quello capitalista e quello socialista) e tanti modelli economici come quello basato sulla teoria quantitativa della moneta e sul liberismo integrale; seguito da quello keynesiano, accettato quasi da tutti i Paesi capitalistici a partire dal New Deal di Roosvelt fino alla prima metà degli anni Settanta; per ritornare a modelli monetari neo-liberisti che favoriscono le imprese multinazionali e ridimensionano l’intervento dello Stato; di rimando nei Paesi in direzione del socialismo si notano modelli che riflettono le caratteristiche specifiche di ogni Paese.
Al riguardo, il modello cinese dopo il XVIII Congresso del PCC è basato sullo sviluppo di attività produttive che favoriscono la crescita della domanda interna combinata con la domanda estera, con l’obiettivo di fare della Cina una potenza economica e non una fabbrica mondiale di trasformazione, in seguito al livello salariale più basso rispetto ai Paesi capitalistici avanzati e anche di non essere dipendenti dalle tecnologie straniere ma di produrle all’interno e pertanto è stato approvato con il XIX Congresso il passaggio da un’economia estensiva ad una intensiva di alta qualità.
Il modello cinese riscuote anche alcune critiche all’interno del Paese da parte di alcuni studiosi che lo definiscono neoliberale perché sono state incoraggiate le attività private e si è determinata un notevole divario fra regioni e redditi, mentre altri sostengono che è un modello socialdemocratico tipo Svezia e Paesi nordici perché lo Stato cerca di attenuare le contraddizioni di classe ma non di risolverle.
Per Cheng Enfu, invece, la Riforma e lo sviluppo del sistema economico hanno sempre proceduto sotto la guida della teoria marxista, sia perché lo Stato esercita la funzione di guida dell’economia, anche attraverso il ruolo “della proprietà pubblica, pilastro dell’economia” (come detto al XVIII Congresso del PCC), sia perché ha rovesciato l’idea dell’economia capitalistica occidentale secondo cui solo la proprietà capitalistica privata può essere combinata con l’economia di mercato.
Il quesito diventa come migliorare il sistema economico di base per impedire al capitale delle multinazionali di controllare molte aree economiche cinesi e di rafforzare sul piano interno la cooperazione tra il capitale pubblico e non pubblico. La prima parola chiave quindi è “proprietà pubblica”.
La seconda parola chiave è “distribuzione” che deve principalmente essere basata sul lavoro e secondariamente su altri metodi sussidiari. A sua avviso il dilemma diventa tra distribuzione secondo il lavoro (inclusa la remunerazione della capacità imprenditoriale) e quella basata sul mercato attraverso quattro collegamenti: a) alla produttività del lavoro; b) al tasso di profitto dell’impresa; c) al reddito dei dirigenti; d) alla variazione dei prezzi locali. Di rimando si ha la distribuzione secondo il capitale come praticata nei Paesi capitalistici.
A mio modesto avviso il problema della differenziazione salariale sulla base del mercato forse si può leggermente attenuare ma non si risolverà del tutto, anzi sicuramente si espanderà egualmente tra industria e altri settori produttivi e all’interno dello stesso settore industriale, attraverso la diversa produttività aziendale (che non è soltanto data dalla produttività del lavoro ma anche dei capitali investiti).
La terza parola chiave è “regolamentazione”, cioè regolamentazione del mercato per l’allocazione delle risorse, anziché regolamentazione da parte del Congresso Nazionale del Popolo. Si citano al riguardo Samuelson, Stiglitz e Krugman, cioè tre economisti di scuola keynesiana. Nel rapporto al XVIII Congresso si recita il modo di “come trovare un equilibrio tra il ruolo del mercato e quello del governo”. In tal senso si diceva a quel tempo che la Cina doveva riformare il sistema fiscale, tributario e quello finanziario, mentre i problemi da risolvere erano l’integrazione urbano-rurale, il ritardo dell’agricoltura e delle aree rurali e i minori redditi dei residenti rurali.
La quarta parola chiave è “apertura” perché ottimizza l’allocazione delle risorse e pertanto la “globalizzazione economica promuove il mutuo beneficio” ed una produzione “diversificata, equilibrata, sicura ed efficiente. Il problema come già detto è non subire la dipendenza tecnologica, di non affidarsi eccessivamente al ruolo di Paese esportatore e di favorire il consumo interno”. Infine per rispondere alla politica monetaria statunitense di emettere dollari in eccesso la Cina “deve controllare adeguatamente le sue riserve di valuta estera e aumentare attivamente l’uso della valuta estera”.
Io mi pongo adesso le seguenti domande e le giro agli studiosi che seguono marx21.it: a) la globalizzazione da chi è stata promossa e per quale motivo? b) perché da parte degli USA si tende al ritorno al protezionismo? c) può esserci un ritorno integrale al protezionismo per far reggere il modo capitalistico di produzione a livello mondiale al restringimento della sua base produttiva, proprio in seguito al protezionismo, senza scatenare guerre regionali come quelle che stiamo vedendo?
La crescita del PIL negli ultima 40 anni, annota Cheng Enfu, è stata del 9% in Cina, mentre del 3% a livello mondiale. Considerando la teoria di Samir Amin del centro e periferia, oggi la Cina è quasi centro e diventerà presto centro assoluto ma la Cina non sfrutterà mai la forza lavoro di altri Paesi, anzi aiuterà i Paesi in via di sviluppo.
La contraddizione fondamentale del capitalismo nell’epoca attuale secondo Cheng Enfu è rappresentata “dalla contraddizione tra la socializzazione e globalizzazione dell’economia mondiale e l’anarchia e il disordine che prevalgono nelle economie nazionali e in quella mondiale”.
A mio modesto avviso questa enunciazione mi sembra molto riduttiva perché esistono diverse contraddizioni fondamentali e a seconda del momento storico diventa principale l’una o l’altra di esse: a) la contraddizione tra imperialismo e Paesi e popoli oppressi; b) tra Paesi imperialisti e Paesi avviati al socialismo o in senso lato tra Paesi del G7 e BRICS+; c) tra capitale e lavoro all’interno di ogni Paese capitalistico grande e piccolo; d) tra Paesi imperialistici.
Tutte queste contraddizioni si svolgono in un contesto generale in cui il modo di produzione capitalistico altera le condizioni naturali di esistenza che altre società di sfruttamento del passato, per quanto di duro sfruttamento come la formazione sociale schiavistica o quella feudale, non avevano la forza per farlo.
La Cina rappresenta il 15% della produzione mentre il tasso di crescita della Cina rispetto a quello dell’economia mondiale è del 30%. Occorre migliorare secondo l’Autore il sistema finanziario per aiutare l’economia reale, le leggi sulla proprietà intellettuale, gli investimenti nella ricerca di base applicata e in quella di base per creare nuovi talenti. Elenca nello specifico diversi quesiti di discussione: a) migliorare il sistema dei diritti di proprietà e garantire l’allocazione delle risorse basate sul mercato; b) migliorare il meccanismo difettoso di determinazione dei prezzi come pure il sistema del fallimento delle imprese oltre il diritto delle imprese di fissare i prezzi in modo indipendente attraverso l’interazione delle leggi del valore, della domanda e offerta e della concorrenza; c) rompere il protezionismo locale e i monopoli amministrativi per uniformare l’accesso in tutto il Paese al capitale privato; d) redistribuire i redditi per attenuare i divari nei settori produttivi, tra città e campagna, tra residenti e non; e) migliorare le imposte sul reddito delle persone fisiche in orizzontale e verticale ed unificare le imposte sui consumi.
Il divario tra sviluppo urbano e rurale per Cheng Enfu è enorme: le tre regioni molto sviluppate della Cina sono: a) Beijing-Tianjin-Hebei con il 2,3% della superficie producono l’8% del PIL; b) la cintura economica del fiume Yangtze con il 21% della superficie produce il 40% del PIL; la grande Baia di Guangdong-Hong Kong- Macao, con il più grande ponte che collega Homg Kong a Macao e con le megalopoli di Shenzhen e Guangzhou, unico centro economico commerciale integrato con 70 milioni di abitanti, con il 12% del PIL e il 37% delle esportazioni dovrebbe diventare un distretto in grado di competere con la Silicon Valley di San Francisco.
Sottolinea che occorre promuovere una strategia di sviluppo coordinato urbano-rurale e attraverso politiche fiscali, finanziarie e sociali si dovrebbero creare i Fondi per lo sviluppo rurale.
- Di particolare importanza diventa per Cheng Enfu la politica ecologica enunciata dal presidente Xi Jinping nei suoi discorsi per mantenere le “acque limpide e le montagne rigogliose in quanto beni inestimabili”, la quale richiede molte sfide in quanto, in passato, nella fase di rapida urbanizzazione e industrializzazione ad alto consumo di energia, alto inquinamento e basso reddito, si è prestata poca attenzione all’importante questione di far corrispondere gli investimenti alle condizioni naturali di esistenza e tra l’altro in termini di consumo energetico persistono stravaganze e poca coscienza sociale, nonché il sistema di protezione legale e la valutazione ambientale non sono perfetti.
Certo sono problemi molto complessi diventati impellenti in un contesto internazionale difficile e contraddittorio, perché da un lato si esaspera la competizione economica internazionale nonché il diverso meccanismo di utilizzo delle risorse e dall’altro si intravede il ridimensionamento dell’imperialismo quando gli mancheranno le risorse energetiche primarie. C’è da dire che l’attuale tema è stato affrontato in modo deciso dal XX Congresso del Partito comunista e le indicazioni approvate non sono riportate nel libro perché i saggi racchiusi sono stato scritti prima.
I quesiti riguardano tutti i Paesi, capitalistici e socialisti, ma mentre i primi per condizioni oggettive non sono in grado di risolverli, anzi li aggravano, in quanto il sistema si sviluppa secondo la legge del massimo profitto ricercando nuovi settori di investimento come se si potesse ricreare il moto perpetuo (e in tal senso un invocato a parole sviluppo verde è stato uno specchietto per le allodole per brevettare nuove tecnologie e imporle ai Paesi in via di sviluppo), oggi di fronte al fiasco ottenuto perché la Cina è andata molto avanti nell’innovazione e nella ricerca, i dirigenti dei Paesi capitalistici hanno eliminato la precedente ipocrisia dello sviluppo verde per ritornare tranquillamente indietro verso le fonti energetiche tradizionali. Diversamente da loro, i Paesi in direzione del socialismo, rispettando le leggi dei trasferimenti energetici sono in grado di realizzare un modello di sviluppo ecologico per non danneggiare l’ambiente e sconvolgere i processi naturali.
Ci possiamo domandare per entrare nel modo come la questione è stata impostata da Chen Enfu, se il problema ecologico si può risolvere soltanto affidandosi alla innovazione e al progresso scientifico? Oppure creando un sistema aperto diversificato, equilibrato, sicuro ed efficiente, modificando la struttura delle esportazioni e cercando di sopportare la concorrenza estera dei Paesi che non sostengono costi ambientali?
Rispondo che saranno misure valide ma, a mio modesto avviso, non bastano. Ritengo che se, come Cheng Enfu dice, bisogna partire dal principio che pianificazione e mercato possano stare in unità, essa, però, è momentanea o per meglio dire di fase, e pertanto bisogna navigare in quel mare per aggiustare la mano invisibile del mercato con la mano visibile del governo. Tuttavia, a lungo termine, sono in lotta per gli obiettivi della nuova formazione sociale socialista da realizzare.
Marx diceva che nella società comunista la valutazione economica preminente deve essere basata sull’utilità sociale di ciò che occorre produrre. Ma tra la società capitalistica fondata sulla ricerca del massimo profitto e quella comunista da realizzare in un lontano futuro, le cui scelte economiche saranno basate sull’utilità sociale, c’è una lunga fase di transizione da percorrere, nella quale si applica ancora la legge del valore, ma a mio modesto avviso nella fase di transizione avanzata, come è la Cina del terzo decennio del XX secolo, non dovrà essere la legge che misura “i valori di scambio” che sono altamente entropici, ma quella che misura “i valori sociali” nel rispetto delle condizioni naturali di esistenza.
Cheng Enfu invoca un orientamento per lo sviluppo sostenibile, in quanto gli esseri umani hanno origine nella natura, sono dipendenti dalle risorse naturali e queste sono limitate. Il concetto di civiltà ecologica consiste nel rispettare, difendere e assecondare la natura. E cita ampiamente lo scritto di Engels Dialettica della natura, suggerendo di stabilire un nuovo quadro giuridico sui diritti di proprietà delle risorse naturali (Legge del 2014 sulla Protezione ambientale) e proponendo di considerare come obiettivo dello sviluppo economico non il PIL come criterio di valutazione, bensì: Il consumo di risorse, il danno ambientale e i benefici ecologici (queste affermazioni mi ricordano gli scritti di Giorgio Nebbia).
Per quanto riguarda lo sviluppo ecologico ritiene che occorra una pianificazione a lungo termine e una solida gestione scientifica delle risorse attraverso una valutazione d’impatto ambientale (con valutazione anche dei risultati e della contabilità delle risorse), introducendo il sistema di veto attraverso votazioni per la protezione ambientale, identificando e sottoponendo a controllo a vita i responsabili dei danni ambientali nonché ammonendo i funzionari che fanno un cattivo lavoro ecologico.
Cheng Enfu inoltre accenna alla determinazione dei prezzi sull’utilizzazione dei beni naturali secondo il mercato, ossia tenendo conto da un lato della scarsità dei beni e dall’altro della crescente domanda, la quale determinando un aumento del prezzo può aiutare a risparmiare risorse ed a ridurre l’inquinamento; tuttavia, ammette che ciò è anche in contraddizione con la salvaguardia dei beni ambientali, così come nei Paesi capitalistici.
A mio modesto avviso sul tema dei prezzi da imputare alle risorse naturali viene riproposto lo stesso paradigma insito nella legislazione ambientale dei Paesi capitalistici, perché il maggior costo ambientale che l’azienda (sia pubblica o privata) sostiene lo scarica sui consumatori e l’ambiente ne risulta danneggiato. Quindi ritorniamo a quello che è il problema di fondo: prima viene la contabilità energetica e dopo quella economica.
Cheng Engfu mette pure in evidenza i danni ambientali causati con lo sviluppo passato attraverso l’utilizzazione gratuita delle risorse ambientali urbane, le basse tasse sulle acque reflue, gli scarichi industriali; ma non è con i prezzi che si risolve il problema bensì, come afferma, e condivido riducendo il consumo di energia e promuovendo il riciclaggio delle risorse sia da parte delle imprese che dei cittadini.
- Secondo Cheng Enfu la nuova normalità dell’economia cinese consiste nel passaggio da una crescita alta (come nel periodo 2001-2011) ad una medio-alta (2012-2019) per poi successivamente passare dal modello estensivo a quello intensivo. I rischi, a suo dire, consistono nella crescita della differenziazione tra ricchi e poveri, nella questione ambientale, nel maggior peso degli investimenti stranieri nel sistema economico e nell’aumento del settore privato rispetto a quello pubblico. Le principali leggi nell’economia socialista di mercato sono rappresentate a suo avviso dalla: a) legge dello sviluppo proporzionale per ottenere il massimo risultato di produzione con il minimo consumo di lavoro, legge che considera universale; b) legge del valore; c) legge del plusvalore; d) la legge della regolazione statale come macro-controllo e macro-regolazione nell’allocazione delle risorse. Quindi, occorre aderire alla proprietà pubblica come cardine rispetto alle altre forme di proprietà per: a) ridurre il divario dei redditi, per migliorare la retribuzione del lavoro sulla base dell’aumento della produttività del lavoro; b) attenuare la contraddizione fondamentale tra l’espansione illimitata della produzione e la contrazione della domanda effettiva (Keynes); c) colmare la differenza nei settori di investimento con altri sistemi di proprietà, per aiutare a risolvere i problemi determinati dalla legge del valore e per regolare il mercato promuovendo lo sviluppo equilibrato dell’economia; d) i problemi che si creano nei settori privati dove si pratica la legge del plusvalore a base di ogni investimento, la quale può determinare fluttuazioni economiche e soprattutto per impedire l’evasione fiscale che è diventato un problema serio.
In tal senso si pensa ad un approccio fondato sulla maggiore presenza del capitale pubblico nel settore ora privato per creare una proprietà mista, la quale controllando il bilancio delle società per azioni con presenza di capitale pubblico e privato può prevenire l’evasione fiscale delle controparti private. Il governo, in ogni caso quando interviene, deve rispettare le norme giuridiche codificate.
Mi sembra giusto a livello teorico il principio della maggiore presenza del capitale pubblico nelle società per azioni per prevenire l’evasione fiscale, ma è facile disattenderlo nella pratica tramite la diffusa corruzione pronta ad elargire tangenti ai dirigenti dell’azionariato pubblico.
Di fronte ai problemi dell’economia cinese creati dopo il 2015 dal rallentamento dell’economia mondiale (mentre avanza l’innovazione tecnologica e i Paesi capitalistici attuano una deindustrializzazione mentre i Paesi in via di sviluppo stanno incrementando la loro crescita industriale), la decisione del PCC è stata di introdurre riforme strutturali dal lato dell’offerta aprendo una profonda discussione tra economisti, anche perché a livello di massa i problemi non erano chiari. Settori del mondo accademico sostenevano vecchie posizioni liberiste a partire dalla legge di Say e chiedevano l’abbandono del keynesismo, la riduzione della imposizione fiscale e della progressività dell’imposta per aiutare i ricchi a pagare meno tasse. Cheng Enfu respinge le posizioni neoliberiste e critica la legge di Say, però Io mi domando come è stato possibile che nel mondo accademico quella corrente sia diventata preminente? Pertanto, fermo restando la libertà di pensiero non solo dei docenti universitari ma di tutti i cittadini, dobbiamo riconoscere che il settore universitario è quello principale per la formazione dei giovani e quindi i giovani per alcuni decenni sono stati formati con queste teorie trite e ritrite che non hanno saputo spiegare le crisi economiche, a differenza di Keynes che almeno l’ha spiegata, seppur a modo suo, ed ha proposto soluzioni che correggevano il sistema economico. A questo punto mi domando se nelle Università cinesi nei settori economici i docenti marxisti hanno un ruolo egemonico o meno. La domanda non è oziosa.
Cheng Enfu approfondisce la sua analisi con spiegazioni teoriche e pratiche nell’economia americana dal lato dell’offerta e da quello della domanda evidenziando i limiti e le contraddizioni. Spiega, in particolare, la teoria keynesiana e i suoi limiti attraverso le categorie utilizzate: domanda aggregata, domanda effettiva, propensione al risparmio, all’investimento e al consumo; saggio ufficiale di sconto e saggio di interesse; efficienza marginale del capitale; intervento dello Stato per creare l’equilibrio generale tra offerta e domanda. Nell’insieme considera le terapie keynesiane come politica di breve periodo e non di lungo periodo e ne attribuisce la responsabilità nel determinare la stagflation degli anni Settanta, nonché giustamente la relazione tra keynesismo e politica ambientale. Per quanto concerne la stagflation assegnare tutta la responsabilità alla politica keynesiana mi sembra ingeneroso, sia per le eccessive spese militari che non aumentavano di molto l’occupazione per i mancati effetti indotti (e non mi risulta onestamente che Keynes abbia sollecitato enormemente la spesa militare) sia perché l’aumento della spesa pubblica, almeno in Italia, è avvenuta da parte dei governi democristiani per elargire al momento delle elezioni, contributi a fondo perduto e prestiti a tasso agevolato a diverse categorie sociali, quali coltivatori diretti (se facevano miglioramenti fondiari o acquistavano macchinari agricoli) e artigiani di ogni categoria (se acquistavano macchinari) ed erano milioni di voti assicurati (mentre nello stesso tempo le industrie che vendevano quei macchinari, come la Fiat, vedevano crescere il loro fatturato anche perché aumentando la domanda aumentavano i prezzi) oppure per favorire con il sistema delle tangenti il finanziamento occulto del Partito e degli altri partitini di governo.
Di rimando spiega la legge dell’offerta e della domanda nella teoria marxiana e l’equilibrio da raggiungere sulla base della relazione tra la produzione di massa socializzata e la proporzione del lavoro sociale impiegato. Riconosce che sia il keynesismo che l’economia dell’offerta hanno grandi limiti e per la Cina possono essere usati soltanto come riferimento e non come guida per la Riforma e lo sviluppo. “Solo quando la quantità di lavoro sociale impiegato nella quantità sociale di una certa merce, l’offerta e la domanda possono essere bilanciate, la merce può essere comprata e venduta secondo il suo valore di mercato. (…) Pertanto la riforma dell’offerta deve aderire all’orientamento del mercato, cioè all’orientamento della domanda finale” (vedi pag. 276).
La citazione di Marx riportata a pag. 277 tratta da Per la critica dell’economia politica alla p. 181 sulla “produzione che produce il consumo, (…) il modo determinato di consumo e, poi, creando lo stimolo al consumo, la capacità stessa di consumare sotto forma di bisogno” ha soprattutto il significato che il capitalismo per far consumare le sue merci crea falsi bisogni (faccio un esempio: dal falso bisogno del fumo che diventa di massa tramite le sigarette, mentre in origine dal tabacco si producevano solo sigari; all’uso eccessivo di cosmetici e di telefonini; quest’ultimi nascondono il vero bisogno sociale della comunicazione con quello falso di comunicare cose inutili oppure fanno venire l’ansia della continua comunicazione).
A pag. 279 di Dialettica dell’economia cinese si legge che la “riproduzione sociale è il <<punto di partenza effettivo>> dell’intero processo e quindi il fattore dominante. Nella nuova normalità economica, l’effetto creativo della produzione sui beni di consumo, sui metodi di consumo e sui consumatori richiede che l’innovazione dell’offerta guidi la domanda e crei la domanda. Richiede che si facciano sforzi per rafforzare le riforme strutturali dal lato dell’offerta, per promuovere le riforme strutturali dell’economia e per migliorare la qualità e l’efficienza dal lato dell’offerta, in modo da realizzare la trasformazione strutturale dell’economia e gli ammodernamenti”.
A pag. 280 partendo da Marx si recita: “L’equilibrio di domanda e offerta è relativo e accidentale, mentre lo squilibrio di domanda e offerta è assoluto e naturale. L’equilibrio della domanda e dell’offerta deve essere raggiunto attraverso la concorrenza, a partire dal loro squilibrio. Lo Stato, in accordo con i bisogni della società per ogni genere di merce, dovrebbe orientare la distribuzione del lavoro sociale in modo prospettico e promuovere l’equilibrio tra domanda e offerta”
Condivido altresì quanto è scritto a pag. 281 e cioè che “la domanda è il fine mentre l’offerta è solo un mezzo, uno strumento che soddisfa il fine”, mentre a pag. 282 si dice che “la priorità deve essere data alle ricette che possono aumentare la domanda a beve termine” e che “i tre motori dell’economia cinese sono il consumo, le esportazioni e gli investimenti” migliorando la qualità attraverso i progressi della scienza, della tecnologia e dell’educazione e che “combinando l’esperienza della gestione della domanda dei Paesi occidentali e la gestione dell’offerta della Cina si può formare un nuovo sistema di macrocontrollo che includa sia la gestione della domanda che dell’offerta”
Condivido, però, ci troviamo sempre nell’ambito della produzione di merci. Quindi mi domando:
Per quanto tempo ancora questa produzione è l’aspetto principale dell’attività economica di una società in direzione della piena realizzazione della prima fase del socialismo?
Non è il momento ancora di invertire la tendenza e dare la preminenza alla produzione di beni sociali smantellando i falsi bisogni e quindi producendo meno merci?
E a questo si deve inserire, a mio modesto avviso, anche la vera critica al keynesismo!
Ovviamente c’è anche una considerazione temporale da fare: il libro raccoglie scritti formulati entro il 2019 e pertanto non si potevano prevedere gli sconvolgimenti del mercato dopo il Covid-19 e la guerra in Ucraina, la politica dei dazi che tende a spezzare il mercato mondiale e la cosiddetta globalizzazione vista nei suoi due aspetti, il primo, positivo, cioè la mondializzazione dell’economia, il secondo, negativo, l’imposizione egemonica dei Paesi del G7 sul Resto del mondo per quanto riguarda la circolazione dei capitali e delle merci; nonché la crisi del dollaro quale principale riserva di valuta internazionale e l’allargamento dei Brics+ a circa trenta Paesi che stanno frantumando il mondo unipolare a guida americana.
- Cheng Enfu espone Cinque nuovi concetti di sviluppo: innovazione, coordinazione, ecosostenibilità, apertura e condivisione.
Per quanto riguarda l’innovazione propone di concentrarsi su qualità dei prodotti, ottimizzazione strutturale e innovazione tecnologica superando quelli che definisce errori passati nella politica di “Riforma e apertura” come il principio <<meglio comprare che produrre, meglio prendere in affitto che comprare>> perché ha determinato a suo avviso una ricaduta negativa, in quanto ha impedito la crescita già avviata dell’industria automobilistica ed aeronautica.
Egli coglie tre fasi nella politica di “Riforma e apertura” iniziata nel 1978: la prima basata sulla priorità di introdurre i capitali stranieri; la seconda, dopo il 1998, sul diventare globali; la terza, dopo il XVI Congresso (2002) sull’innovazione indipendente e sulla denuncia della responsabilità delle imprese multinazionali nel promuovere le campagne di corruzione, le quali si sono insediate in Cina con l’intento di utilizzare le risorse umane abbondanti e a basso prezzo per sviluppare tecnologie e prodotti adatti alla Cina per poi andarsene e “venderceli a prezzi elevati”. Evidenzia altresì che alcuni economisti cinesi la pensano diversamente, considerando l’innovazione indipendente come una trappola e invitano a non caderci.
Per quanto riguarda lo sviluppo coordinato elenca dieci nuove idee e strategie: 1) in primis armonizzare lo sviluppo economico e sociale attraverso la distribuzione della ricchezza e del reddito, dell’occupazione, dell’assistenza medica, delle abitazioni, dell’istruzione e della sicurezza sociale; 2) coordinare la velocità e l’efficienza dello sviluppo; 3) coordinare lo sviluppo tra le regioni (oltre al delta del Fiume Yangtze, al delta del Fiume delle Perle, alla zona economica centrale, alla BRI, allo sviluppo coordinato di Pechino, Tianjin e Hebei, alla cintura del Fiume Yangtze, alle regioni occidentali, alla rivitalizzazione delle vecchie basi industriali del nord-est) secondo le loro caratteristiche territoriali; 4) coordinare lo sviluppo delle aree urbane e regionali con una urbanizzazione innovativa per fornire benefici ed efficienza alle due aree ed eliminare il grande divario e regolare la migrazione degli abitanti rurali verso le città; 5) sviluppo sinergico dell’uomo e della natura per utiluizzare correttamente le risorse naturali e proteggere l’ambiente; 6) coordinare lo sviluppo tra settore pubblico e privato ridando vitalità e competitività alle imprese pubbliche; 7) coordinare lo sviluppo, in precedenza fondato sul prima diventare ricchi, mentre adesso sulla prosperità comune, attraverso un’azione governativa per regolare i redditi smisurati dei gruppi ad alto reddito, per aumentare il reddito dei gruppi a basso reddito, per migliorare il sistema legale di riscossione di imposte e tasse e quindi per porre fine ai redditi illegali; 8) si deve deliberare sul coordinamento dello sviluppo materiale e spirituale attraverso il miglior livello di produzione e di consumo materiale come pure di produzione e consumo culturale, cioè migliorando i valori socialisti di base, rafforzando il soft power ideologico e culturale e la competizione internazionale che ha come anima il marxismo e la sua teoria sinizzata; 9) fare uno sforzo coordinato nei campi dello sviluppo tecnico ed istituzionale e non contrapporre lo sviluppo della produttività a quello dei rapporti di produzione, assegnando una priorità all’uno rispetto all’altro; 10) sviluppo interno ed estero devono essere coordinati; utilizzare lo sviluppo finanziario per servire l’economia reale impedendo però al capitale straniero di formare monopoli finanziari in Cina ed infine rafforzare il sistema legale e l’efficacia del mercato azionario.
Per quanto riguarda lo sviluppo aperto propone di sfruttare l’innovazione tecnologica indipendente come l’Alta velocità cinese, pianificare l’industria in tempo reale in sintonia con lo sviluppo 4.0 della Germania ed aumentare la percentuale di PIL per la ricerca scientifica e tecnologica rispetto al livello basso del 2,1% del 2014; imparare dall’esperienza di altri Paesi come Giappone e Germania della seconda metà dell’Ottocento prima di aprirsi al libero mercato, così come della Corea del Corea del Sud dove il nazionalismo economico è più forte rispetto a quello della Cina; impedire al capitale straniero di formare monopoli finanziari in Cina; dopo l’accettazione del Renmibi quale moneta del paniere dei diritti speciali di prelievo del Fondo Monetario Internazionale, la riforma finanziaria deve essere basata sul principio della sicurezza finanziaria.
Per quanto riguarda lo sviluppo condiviso esso consiste: nello sviluppare l’interesse del popolo con un maggior benessere condiviso, riducendo il divario di reddito e aumentando la quota di reddito da lavoro sul totale del reddito poiché dagli anni Novanta la quota di reddito da lavoro sul reddito totale in Cina è stata in declino e nel 2006 era scesa sotto il 50%. La quota di reddito da lavoro e il divario di reddito sono strettamente correlati, mentre la rapida crescita del reddito da capitale e la lenta crescita del reddito da lavoro sono le ragioni principali del divario del reddito nazionale (pag. 396). A sua volta la quota di reddito da lavoro nell’economia non pubblica è generalmente bassa e anche il salario medio è basso; viceversa nell’economia pubblica la quota di reddito da lavoro e anche il salario medio sono più alti. Al 2010, la Cina nella sua ristrutturazione economica ha enfatizzato lo sviluppo dell’economia privata e degli investimenti privati e un gran numero di imprese statali e collettive sono state privatizzate attraverso la vendita di azioni; questo porterà inevitabilmente a un calo della quota di remunerazione del lavoro (pag. 357). Inoltre le ragioni del divario si spiegano perché in un’economia pubblica i lavoratori possono proteggere i loro diritti attraverso i consigli dei lavoratori ed i sindacati, mentre in quella privata sono i datori di lavoro a determinare i salari (pag. 358). Nel passato, cioè al tempo dell’economia pianificata, la strategia della bassa quota di reddito da lavoro era determinata dall’interesse sociale di aumentare l’accumulazione e gli investimenti mentre successivamente è stata legata alla strategia commerciale orientata all’esportazione e le aziende straniere hanno trasferito in Cina le industrie di trasformazione a basso valore aggiunto (pag. 361) attirate dal grande surplus di manodopera rurale cinese. Ora nelle imprese non pubbliche lavorano il 70% dei lavoratori cinesi; quindi se si applica un sistema di salario minimo si crea la base per aumentare la quota del reddito da lavoro e si impedisce quanto accaduto, ossia che alcune aziende cinesi sono diventate seatshops calpestando gli standard lavorativi internazionali, ossia ambienti lavorativi pessimi e pericolosi con bassa remunerazione e molte ore lavorative, con violazione dei limiti imposti al lavoro minorile.
Cheng Enfu evidenzia che la disparità nella ripartizione della proprietà e del reddito in Cina è ormai così grande, con il coefficiente di Gini che supera quello degli Stati Uniti; 1% delle famiglie più ricche riceve un terzo del reddito familiare della Cina come in USA ed oltre al reddito c’è un elemento più importante, rappresentato dal patrimonio. Senza contare quelli di Hong Kong, Macao o Taiwan nel 2015 c’erano 596 miliardari (+ 242), mentre negli USA 537. La conseguente necessità di ridurre i redditi alti ha attirato una serie di controversie nel mondo accademico e politico e ci sono stati persino articoli in cui si è affermato che “i ricchi rappresentano il motore economico e il modello sociale”.
Nella quinta sessione plenaria del XVIII Comitato centrale si è deciso, però, di rafforzare e migliorare la proprietà pubblica, avendo come fulcro la distribuzione in base al lavoro perché nel corso degli anni precedenti la posizione dominante della proprietà pubblica e della distribuzione in base al lavoro si era gradualmente indebolita e la percentuale del reddito da lavoro era diminuita. Attualmente la maggior parte dei lavoratori sono impiegati in imprese non pubbliche e pertanto i proprietari hanno l’ultima parola sull’aumento o meno dei salari. Di conseguenza, se i vari governi ai diversi livelli coordinano la loro attività solo dopo che si sono verificati dei conflitti di lavoro, si troveranno in una posizione passiva e difficilmente saranno in grado di riflettere la natura operaia del governo del popolo.
Esiste una profonda differenza tra sviluppo condiviso e sharing economy sottoposta alle leggi di sviluppo del capitale, in quanto lo sviluppo condiviso è collegato ai diritti di proprietà con la proprietà pubblica come elemento principale e abbraccia tutte le sfere economiche (produzione, distribuzione, scambio e consumo) ed i profitti pubblici servono a creare nuovi parchi, scuole e ospedali. Lo sviluppo condiviso doveva affrontare lo squilibrio regionale non coordinato all’epoca del XIII Piano quinquennale, cioè le vecchie aree rivoluzionarie, le zone di confine e le aree colpite dalla povertà.
Secondo Xi Jinping lo sviluppo coordinato deve abbracciare il metodo dialettico che tutto ha due aspetti: civiltà materiale e civiltà spirituale dovrebbero essere sviluppate contemporaneamente; ma non è stato così e si deve mettere in rilievo lo spirito di Lei Feng e dei pionieri della civiltà spirituale in tutti i settori della vita.
Occorre tenere conto che il tasso di urbanizzazione reale ha superato il 50%, ma quello registrato è del 40% e quindi 240 milioni di lavoratori migranti non godevano dei benefici dei residenti urbani in tema di servizi pubblici, alloggi a prezzi calmeriati, istruzione, lavoro, assistenza sanitaria per gli anziani, almeno fino al 13 Piano quinquennale. Nel XIII Piano quinquennale, approvato dopo il XVIII Congresso, si è messo l’accento sulla innovazione per essere la Cina all’avanguardia nel mondo, sviluppando una visione strategica e un pensiero globale attraverso una pianificazione a lungo termine, prestando attenzione allo sviluppo della scienza e alla interazione tra sviluppo delle tecnologie e industrie.
- Secondo le direttive di XI Jinping occorre promuovere la modernizzazione del sistema di governo nazionale, grazie all’impulso dell’innovazione istituzionale, prima di tutto snellendo le istituzioni e decentrando il potere per creare un governo snello, efficiente, forte ed autorevole, attenendosi a una direzione socialista e non semplicemente copiare modelli occidentali evitando la trappola dell’occidentalizzazione e della separazione dei poteri. La Cina deve essere profondamente consapevole che non ci sono limiti all’emancipazione del pensiero, però l’attività ideologica degli esseri umani deve essere sempre combinata con la pratica, coltivando una mentalità di “auto-trascendenza (per non essere mai soddisfatti) e di auto-trasformazione”. Bisogna sviluppare l’innovazione per essere i primi nel mondo non interessando soltanto i lavoratori della scienza e della tecnologia ma assumendola come compito urgente per l’intero Partito e l’intera società. Creare le condizioni per il lancio di talenti e trarre quelli di altissimo livello anche dall’estero, offrendo loro assistenza e opportunità a coloro che si arrischiano ad avviare le proprie imprese e che diventano ricchi per primi, otterranno il rispetto del Paese e della società.
A questo punto una domanda mi sorge spontanea: Esistono al riguardo soltanto gli incentivi materiali e non quelli spirituali?
Mette in rilievo Cheng Enfu che la Cina deve passare da un’istruzione orientata agli esami a un’istruzione basata sull’innovazione e per questi obiettivi si richiede la promozione e la protezione di un sistema scientifico, civile e democratico moderno. Solo stabilendo un tale sistema la società può creare una situazione politica che combini la libertà con la disciplina, l’unità, la coesione e la serietà. In un sistema sociale che manca gravemente di democrazia, tutti sono cauti, spaventati e temono di essere puniti se dicono quello che pensano, Se solo una persona ha voce in capitolo si rimane in un sistema patriarcale segnato dalla privazione ideologica e dalla mancanza di vitalità. La storia ha dimostrato che la società può emancipare il pensiero delle persone solo se è fondata su un sistema scientifico, civile e democratico e può sviluppare l’innovazione.
Infine, per Cheng Enfu “la contraddizione tra l’economia pubblica e quella non pubblica ha un’esistenza oggettiva ed è impossibile ignorare questa contraddizione quando si cerca di rendere le imprese pubbliche più forti e migliori. Usare la creazione di un ambiente di concorrenza leale come scusa per sostenere il cosiddetto principio secondo il quale l’economia statale si ritira mentre l’economia privata avanza, sostenere la proprietà azionaria per tutte le persone e altre pratiche del genere non faranno altro che ostacolare e distruggere i beni statali” (pag. 432). “Mentre le eccessive politiche di privatizzazione in alcune regioni hanno permesso all’economia privata di svilupparsi su larga scala. In nome della mercatizzazione, un gran numero di beni statali ha subito una ristrutturazione che li ha visti passare in mani private. Anche le risorse di terra e minerali sono state acquisite dall’economia privata e negli ultimi decenni questo ha reso la Cina uno dei Paesi con il divario tra ricchi e poveri più rapido del mondo (pagg. 433-434).
Conclusioni.
Io credo che una discussione approfondita del libro Dialettica della economia cinese sia molto importante anche per il nostro dibattito per costruire il Partito comunista a livello ideologico e politico, elaborando un programma di transizione per trasformare il modo di produzione capitalistico e, pertanto, su quel programma si costruirà una politica di alleanza. In marx21.it è intervenuto tempo addietro Carlo Formenti a recensire il libro in oggetto. Su Contropiano.org. sono intervenuti altri studiosi. Mi ricordo, quando ero un giovane militante, che gli studiosi marxisti italiani dibattevano se il programma di transizione dovesse essere un’Alternativa Democratica (come sostenevano prevalentemente quelli di area PCI e una piccola fetta del PSI attorno a Riccardo Lombardi) oppure un’Alternativa socialista (prevalentemente posizioni di area PSIUP).
Il mio intervento vuole stimolare la discussione nel presente momento storico.