Intervista a Wael Al-Dahdouh, il giornalista di Al Jazeera a Gaza

Alessandro Di Battista – 12/02/2025

https://alessandrodibattista.substack.com/p/intervista-a-wael-al-dahdouh-il-giornalista

 

Alessandro Di Battista ha intervistato Wael Al-Dahdouh. Un vero giornalista, un uomo di straordinario coraggio. Un uomo che sta raccontando giorno dopo giorno il genocidio a Gaza. La sua storia personale è straziante. Ha perso quasi tutta la sua famiglia a causa dei terroristi israeliani.

Intervista a Wael Al-Dahdouh

Domanda: Qual è stato il momento esatto in cui hai saputo della scomparsa della tua famiglia? Quando hai scoperto chi era il responsabile dell’assassinio? E come hai trovato la forza di continuare il tuo lavoro?

Risposta: Il 25 ottobre ho ricevuto la notizia dell’uccisione della mia famiglia. Dovete sapere che io ero stato il testimone del massacro all’ospedale Al-Mamdani. Questo è stato il primo massacro compiuto da Israele contro un ospedale, dove sono state uccise quasi 600 persone. Il massacro è avvenuto il 17 ottobre, quasi una settimana prima dell’assassinio della mia famiglia. È per questo che li hanno uccisi: perché ero l’unico testimone di quel massacro all’ospedale.

Circa una settimana dopo il massacro all’ospedale Al-Mamdani, stavo tornando dal nord di Gaza. Per la prima volta ho visto corpi ovunque, persino sugli alberi. C’era solo morte e sangue. C’erano anche corpi bruciati all’interno dell’ospedale.

Ha dato molto fastidio agli israeliani che io fossi entrato di persona a riprendere tutte queste scene.

Ero l’unico giornalista presente, e per me sembrava un terremoto quello che vedevo, non un normale massacro. Sembrava un film. C’era gente che scappava ovunque.

Mentre camminavo, inciampavo sui cadaveri.

È qualcosa che non posso nemmeno descrivere. Quando mi hanno comunicato l’uccisione della mia famiglia, ero in diretta, stavo parlando della situazione a Gaza, raccontando cosa stava succedendo. Il cameraman ha ricevuto una chiamata, e mentre parlavo ho notato che qualcosa non andava in lui. Era visibilmente agitato.

Anche il mio cellulare ha iniziato a squillare. Ho detto al mio cameraman di rispondere lui, ma mi ha detto: “No, non rispondere ora, lo faremo dopo”. Si vedeva chiaramente che era molto nervoso. A quel punto ho preso il telefono e ho risposto io stesso.

Era mia figlia, si chiama Khulud. Mi ha detto: “Papà, torna subito a casa. Hanno bombardato la nostra casa, devi tornare immediatamente”.

Era notte, e di notte non si può rientrare a casa in macchina, ma non avevo altra scelta. Sono tornato e ho visto che tutto era stato raso al suolo. I missili avevano colpito direttamente la nostra casa e non c’era più nessuno.

Non sapevo cosa fare. Ho cominciato a cercare tra le macerie, sperando di trovare qualcosa o qualcuno. Ho trovato mio nipotino, si chiama Adam. L’ho preso in braccio pensando che fosse ancora vivo e l’ho portato ai soccorritori. Mi hanno detto che purtroppo non c’era nulla da fare, era morto.

Subito dopo sono andato in ospedale per vedere chi avessero recuperato dalla mia casa. La prima cosa che ho visto è stata mio figlio. Chiedevo in giro: “Per favore, ditemi qualcosa, chi è morto, chi è sopravvissuto?” Ma nessuno voleva dirmi niente, anzi, mi davano risposte vaghe o sbagliate. Ho capito che c’era qualcosa che non andava. Quando sono entrato in ospedale, la prima cosa che ho visto è stato mio figlio Mahmood, aveva 12 anni. Studiava nella scuola americana ed era molto bravo, un ragazzo speciale. Ma purtroppo era stato ucciso.

Dopo ho visto mia moglie, anche lei era morta. Poi mia figlia, Shan, che aveva sei anni. Anche lei è stata uccisa. In totale, hanno ucciso 12 membri della mia famiglia e ci sono stati 30 feriti.

Domanda: Dopo tutto questo, come hai trovato la forza di continuare a raccontare e lavorare?

Risposta: È stato estremamente difficile. Fin dall’inizio, però, avevo deciso di continuare. Ho chiesto consiglio alla mia famiglia, e loro mi hanno detto: “Papà, siamo con te”. La logica direbbe di fermarsi e prendersi una pausa.

Ma io sapevo che continuare avrebbe avuto un impatto mediatico molto forte, un messaggio importante per tutti.

Dopo l’uccisione di mia moglie e dei miei figli, fermarmi non era un’opzione. Loro hanno già pagato il prezzo più alto. Sarebbe stato assurdo abbandonare il mio lavoro in quel momento. Credo fermamente che, se smettiamo di raccontare cosa sta accadendo a Gaza, il mondo non saprà mai la verità. Il primo obiettivo di Israele è proprio quello di fermare la verità.

Domanda: La tua famiglia è stata uccisa per colpire te e il tuo lavoro. Come hai vissuto il silenzio di gran parte dei giornalisti occidentali?

Risposta: Ovviamente questo mi ha fatto molto male. Il silenzio mi addolorava profondamente. Ma ciò che mi colpiva ancora di più era il modo in cui la nostra causa veniva trattata: abbiamo sperimentato sulla nostra pelle il peso dei due pesi e delle due misure.

Tuttavia, quello che ci dava forza era sapere che eravamo potenti nel raccontare ciò che accadeva, grazie ai video e alle foto che continuavamo a pubblicare. Questo ci faceva sentire utili.

Eravamo noi il collegamento diretto tra Gaza e il mondo.

Domanda: Dopo un anno di genocidio, ritieni che Hamas sia stata sconfitta? Qual è il livello di supporto popolare?

Risposta: Il mondo diceva che Hamas sarebbe stata sconfitta rapidamente. Ma se guardiamo bene, dopo 15 mesi di uccisioni, Hamas è riuscita a resistere. Anche con il cessate il fuoco, ha dimostrato al mondo di essere ancora forte e in grado di governare Gaza. Israele, nel contesto di questo conflitto, non ha raggiunto i suoi obiettivi.

Per quanto riguarda il consenso, le persone vedono che c’è un nemico che attacca i bambini palestinesi, persone innocenti che non hanno alcuna colpa. Per questo motivo, la gente sostiene chi difende questa terra, e in questo momento è Hamas. Va detto che le uccisioni non sono dirette contro Hamas, ma contro il popolo palestinese. Inoltre, Hamas e le altre fazioni fanno parte del tessuto sociale palestinese.

Domanda: Qual è il futuro di Gaza? E ci sarà mai uno Stato palestinese?

Risposta: Nessuno può saperlo con certezza. Sarà molto difficile. Le ultime dichiarazioni di Trump non fanno ben sperare. Ma le cause principali di questa situazione sono l’estremismo di Israele e la debolezza dei Paesi arabi.

Tuttavia, il futuro sarà determinato dalla fede delle persone che credono nella loro terra. Come giornalista, so che ci aspetta un futuro molto difficile.

Domanda: Ho letto che a Gaza sono nati 68.000 bambini durante il genocidio. Come si fa a credere nella vita nonostante tutto quello che sta accadendo?

Risposta: Questi momenti difficili danno la forza di creare vite dove sembra non esserci più speranza. Più la morte ti sembra vicina, più cresce il desiderio di ribaltare la situazione e affermare la vita. Fare figli diventa una forma di resistenza.

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