[SinistraInRete] Sergio Fontegher Bologna: La giornata del ricordo nell’era Meloni

Rassegna – 15/02/2025

Sergio Fontegher Bologna: La giornata del ricordo nell’era Meloni

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La giornata del ricordo nell’era Meloni

di Sergio Fontegher Bologna

foibe.jpgQuesta storia delle foibe, che la “giornata del ricordo” ci ripropone con cadenza annuale, ha almeno il merito di farci riscoprire la centralità delle politiche della memoria, diventate ormai componente essenziale del conflitto sociale, antifascista e anticapitalista. Per questo abbiamo ritenuto di poter riproporre uno scritto di Sergio Fontegher Bologna di due anni fa, apparso sul sito del Centro per la Riforma dello Stato (che ringraziamo anche per la foto). In quel pezzo si invitava a “spostare il terreno di scontro”, dalle vicende specifiche del confine orientale al tema centrale, da cui tutto, Shoah compresa, era partito: la guerra mondiale e la scelta del fascismo di aggredire popoli che per l’Italia non rappresentavano nessuna minaccia: francesi, tunisini, iugoslavi, albanesi, greci e infine russi. Di aggredirli, di invadere le loro terre, solo per fare un favore a Hitler. Ma non basta, di aggredirli senza armamenti ed equipaggiamenti adeguati, per cui le abbiamo beccate ovunque di santa ragione. Un’intera generazione mandata al massacro da un dittatore irresponsabile. E’ una storia che, a pensarci, fa ancora accapponare la pelle e che rende grottesca ogni manifestazione di militarismo, simile a quelle che danno voce alle paternali dei generali italiani in servizio, pronti ad ammonire i giovani di oggi che “occorre essere pronti alla guerra”.

Quest’anno cade l’ottantesimo della Liberazione, del 25 aprile. Ecco un bel banco di prova per la politica della memoria. Speriamo che non sia solo martirologio ma si possa rivendicare con orgoglio di aver fatto fuori qualche criminale in camicia nera o in divisa da SS.

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Enrico Tomaselli: Il volto della guerra: Ucraina

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Il volto della guerra: Ucraina

di Enrico Tomaselli

110823464 f7174546 0838 4606 a18a 9ecac1148546.jpgL’ormai consolidata attitudine nel guardare agli avvenimenti con uno sguardo da hooligans – che è cosa ben diversa da un occhio partigiano – induce sfortunatamente molti di noi a posizionarci, rispetto anche ad avvenimenti tragici come le guerre, come se si trattasse di scegliere tra curva sud e curva nord. Mentre, ovviamente, la realtà è sempre più complessa e sfaccettata, e per essere davvero compresa e valutata richiede che si metta da parte la propria scelta di campo, cercando innanzitutto di selezionare le notizie e le fonti non in base alla coerenza emotiva col nostro sentire, ma alla loro veridicità.

Sentiamo ad esempio spesso dare, anche da autorevoli esperti, valutazioni diametralmente opposte dei medesimi avvenimenti. Sino a veri e propri contorsionismi verbali, come quello recentemente enunciato dal Segretario generale della NATO Mark Rutte, secondo cui “l’Ucraina non sta perdendo, ma il fronte si sta spostando nella direzione sbagliata”

Non mancano neanche valutazioni superficiali, come quelle che paragonano il conflitto ucraino alla prima guerra mondiale – che fu invece, sostanzialmente una guerra di trincea, senza grandi spostamenti del fronte, e caratterizzata da un inutile reciproco massacro di fanti.

Se proviamo a guardare al conflitto russo-ucraino con uno sguardo non di parte, possiamo invece trarne delle importanti lezioni, che serviranno (probabilmente) agli stati maggiori per ripensare le proprie strategie, e ancor più i propri indirizzi operativi – con tutto ciò che ne consegue. Ma anche, al comune osservatore, per una più aderente comprensione di ciò che si sta evolvendo sul campo di battaglia, e che inevitabilmente si riflette poi anche sul piano politico-diplomatico.

La guerra russo-ucraina, o meglio la guerra Russia-NATO, è caratterizzata sicuramente da alcuni elementi assolutamente nuovi, primo fra tutti il ruolo predominante assunto dai droni.

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Gustavo Esteva: Crisi sociale e alternative dal basso 

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Crisi sociale e alternative dal basso 

Difesa del territorio, beni comuni, convivialità

di Gustavo Esteva

Trascrizione (non riveduta dall’autore) della conversazione tenuta da Gustavo Esteva a Bologna, presso lo spazio pubblico autogestito Xm24, nell’aprile 2013, durante un lungo tour in Italia

Villaggio globale 1.jpgIl paradosso di oggi

Si dice che siamo in una crisi globale. Vorrei cercare in­nanzitutto di precisare di che tipo di crisi si tratta. Prima di tutto è una crisi di quello che tecnicamente chiamiamo il modo di produzione capitalistico. Poiché questo modo è arrivato alla fine, si è trovato esausto, ha avuto bisogno di scappare via dall’economia reale, dall’economia produttiva, verso il settore finanziario. Questa fuga verso il settore fi­nanziario ha creato innanzitutto un’illusione: l’illusione co­mune che il denaro possa produrre denaro. Ma il denaro non può produrre denaro. Gli enormi profitti speculativi del settore finanziario sono stati il frutto di un saccheggio sistematico dell’economia reale. E questo ha significato finire di prosciugare, di rovinare l’economia produttiva.

Poiché i capitalisti non hanno trovato una via di fuga all’in­terno del modo capitalistico di produzione, sono fuggiti verso un modo pre-capitalistico. Abbiamo ora il paradosso di trovarci in un mondo post-capitalistico con dinamiche pre-capitalistiche. Per essere precisi, diciamo che ancora una gran parte dei profitti del capitale si ottiene in forma capitalistica, con relazioni di produzione capitalistiche, ma la dinamica del sistema non è più lì. Il sistema non è più in grado di accu­mulare relazioni di produzione capitalistiche. È fuggito verso quello che possiamo chiamare accumulazione per via di spo­liazione, di rapina. Questo implica che la dinamica del sistema sta lì: il sistema di saccheggio si realizza in una forma coloniale pre-capitalistica.

 

Un modello che richiede violenza

Questo è ciò che a suo tempo Marx ha chiamato accu­mu­lazione primitiva. La forma principale di questo sistema di rapina è il saccheggio del territorio. Farò un esempio molto preciso del mio paese. Il governo messicano ha venduto a corporazioni private, transnazionali, il 40% del territorio del Messico.

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Andrea Baranes: E se l’intelligenza artificiale scommettesse sul suo stesso fallimento?

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E se l’intelligenza artificiale scommettesse sul suo stesso fallimento?

di Andrea Baranes

La cinese DeepSeek ha scosso il mercato dell’intelligenza artificiale, facendo crollare Nvidia in Borsa. Ma qualcuno ci ha guadagnato

“Uragano”, “terremoto”, “ciclone”. Sono alcuni dei termini con i quali i media hanno riportato l’arrivo della cinese DeepSeek sul palcoscenico mondiale dell’intelligenza artificiale. Un settore che fino alla settimana scorsa sembrava dominato da pochi colossi statunitensi, da OpenAI a Google, passando per Nvidia che produce i potenti chip necessari ai complessi calcoli dell’IA.

Le notizie circa il minore fabbisogno di chip e i costi di sviluppo inferiori di DeepSeek hanno provocato un crollo di Nvidia in Borsa superiore ai 500 miliardi di dollari. Dopo avere guadagnato qualcosa come il 5.000% in cinque anni, l’impresa ha subito una perdita del 17% in una sola giornata. Giornata nella quale sono stati scambiati 800 milioni di titoli.

 

Chi ha guadagnato dal crollo di Nvidia in Borsa

Se in molti hanno perso, come spesso avviene sui mercati finanziari qualcuno ha anche guadagnato, e parecchio. Il crollo di Nvidia ha generato 6,75 miliardi di dollari di profitti in un giorno solo per chi vende allo scoperto.

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Guido Grossi: Il piano bulldozer e la rivoluzione trumpiana

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Il piano bulldozer e la rivoluzione trumpiana

di Guido Grossi

Ho sempre sostenuto, e continuo a farlo, che non dobbiamo aspettarci nessuna salvezza dalla politica istituzionale: le istituzioni sono marce fino alla radice e controllate da un sistema di potere profondamente radicato e apparentemente inaccessibile che collega la finanza al sistema mediatico e agli apparati più o meno segreti delle amministrazioni nazionali e internazionali.

Piuttosto, possiamo cambiare noi stessi per contribuire a cambiare il mondo, imparando a sperimentare seriamente come costruire dal basso, insieme, le strutture sociali ed economiche che ci piacciono.

Eppure, la lettura mattutina di questo articolo: https://eko.substack.com/p/override?utm_campaign=post&utm_medium=web mi ha aperto un mondo di possibilità. Anche quella struttura di potere può essere travolta in tempi ristretti, grazie a una sorprendente preparazione e determinazione della nuova amministrazione americana.

Ribadisco: eliminare un sistema di potere marcio non dà alcuna garanzia di un mondo migliore. Non solo perché non ci è assolutamente chiaro con quale sistema di potere verrà sostituito. Ma perché è proprio del potere/dominio in sé che dovremmo imparare a fare a meno: quel potere fatto di delega all’autorità centrale del diritto di dare forma alle nostre vite, togliendoci necessariamente la responsabilità, e quindi la libertà.

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Claudia Carpinella: Ucraina: il ritorno dei fantasmi nordcoreani

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Ucraina: il ritorno dei fantasmi nordcoreani

di Claudia Carpinella – DM

Zelensky annuncia il ritorno dei nordcoreani in Ucraina. Finora nessuna prova concreta della loro esistenza. L’annuncio arriva mentre Trump rilancia il dialogo con Pyongyang

Il 7 febbraio Zelensky ha annunciato che i soldati nordcoreani sono stati inviati a contrastare le forze ucraine lanciate nella nuova controffensiva di Kursk (vedi nota pregressa). Parole che stridono con quanto registrava il 30 gennaio il New York Times, che annunciava il ritiro delle truppe di Pyongyang.

 

I fantasmi nordcoreani in Ucraina e gli ATACMS

La partecipazione o meno delle truppe nordcoreane al conflitto ucraino è uno dei tanti misteri di questa guerra. La loro presenza sul fronte russo-ucraino, stimata tra le 10mila e le 12mila unità, è stata segnalata da tempo da leader e media d’Occidente ma, come annota Ted Snider su Responsible Statecraft, tale notizia finora non è stata supportata da “prove concrete”.

Le prime notizie risalgono allo scorso ottobre. Secondo l’intelligence americana, la Corea del Nord sarebbe accorsa in aiuto della Russia che, a detta dell’allora segretario della Difesa, Lloyd J. Austin, “si trovava in evidente difficoltà” – da notare come, nello stesso periodo, chiedesse a Kiev di abbassare l’età per il reclutamento degli ucraini dai 25 ai 18 anni, richiesta che strideva con le asserite difficoltà dei russi.

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Mauro Armanino: Lettere dal Sahel XVII

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Lettere dal Sahel XVII

di Mauro Armanino

 

Il Paese invisibile ossia i contadini scacciati dai loro villaggi

Niamey, Novembre 2024. Tutto è a rischio di ‘banalizzazione’. La banalità del male e della violenza è una realtà quotidiana del nostro paesaggio rurale. Non più tardi della settimana scorsa è stato il turno del villaggio di Golidjo Koara, non lontano dalla prefettura di Torodi, ad appena 50 kilometri dalla capitale Niamey. I circa 350 /400 abitanti del villaggio hanno ricevuto l’ordine perentorio di partire. Lo ‘stile’ dei gruppi armati si riproduce ormai da tempo nella zona detta delle ‘Tre Frontiere’ (Burkina Faso, Mali e Niger). Pagare una tassa, convertirsi alla regione islamica come interpretata dalle armi, oppure partire abbandonando tutto sul posto. Il momento scelto, non casuale, sarà quello dei granai ben riempiti di miglio. Chi paga o si ‘converte’ affianca dunque gli abitanti di etnia ‘Peul’ che sono residenti stabili.

Tutto ciò dura da anni. L’abitudine alle notizie di ulteriori sfollati non interessa la cronaca e i motivi sono diversi. Si tratta di semplici contadini e dunque di ‘invisibili’ la cui eventuale sparizione non scalfisce nulla e nessuno se non le eventuali statistiche aggiornate. Sono senza importanza politica e i loro figli, spesso estromessi dal circuito scolastico, non faranno mai parte della nuova elite militaro-politica che governerà il Paese, un giorno. Poi parlarne troppo potrebbe mettere in discussione la narrazione ufficiale che continua ad affermare la ‘crescita in potenza’ delle forze armate e più in generale la promessa di rendere più sicuro il Paese. Fu una delle ragioni addotte per il golpe.

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Alberto Giovanni Biuso: Le scuole occidentali

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Le scuole occidentali

di Alberto Giovanni Biuso

I fenomeni sociali, che siano spontanei o che vengano costruiti da una volontà di controllo sui corpi collettivi, alla fine si incontrano e scontrano con le strutture antropologiche, con ciò che l’umano è per natura al di là del costruzionismo politico che pure molta influenza esercita sulla vita degli individui e delle collettività.

Un ambito nel quale tale dinamica è particolarmente evidente, delicata e quindi anche distruttiva, è la formazione, è la scuola. Da alcuni decenni, e in modo sempre più accelerato, la scuola permeata dai principi pedagogici dell’occidente anglosassone – e quindi sostanzialmente dal behaviorismo coniugato con il moralismo – vede al centro alcuni fenomeni, quali:

-la presenza sempre più ossessiva dei genitori nelle scuole, con il conseguente primato della componente emotiva e privata a danno della componente professionale e oggettiva, vale a dire gli educatori, i maestri, i professori;

-la conseguente perdita di identità e sicurezza da parte dei docenti, ridotti o a burocrati o a domestici delle famiglie, e affetti in modo ormai preoccupante dalla sindrome da burnout;

-una ossessione iperprotettiva rivolta a bambini e agli adolescenti, che si presume dover salvaguardare da ogni più piccola difficoltà, dispiacere e soprattutto conflitto.

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Massimo Maggini e Franz Nahrada: Villaggi globali: alla ricerca di una utopia concreta in tempi di smarrimento

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Villaggi globali: alla ricerca di una utopia concreta in tempi di smarrimento

di Massimo Maggini e Franz Nahrada

Villaggio globale 1.jpgCome noto, la Wertkritik (it. Critica del Valore) è stata spesso accusata, ripetutamente e da più parti, di trascurare gli aspetti “pratici” e “propositivi” nella sua lettura del momento storico che stiamo attraversando, limitandosi a descriverne la crisi strutturale e a metterci in guardia rispetto alla catastrofe in corso – secondo questa lettura estremamente tragica, pericolosa e irreversibile.

Questa obiezione non è campata in aria, e la questione non è di lana caprina. La Wertkritik, pur capace di analizzare con rara profondità e attenzione il periodo che altri chiamano “Capitalocene”I, corre effettivamente il rischio di assumere una sorta di posizione passiva nei confronti dei problemi che questo solleva, quasi da mera “spettatrice” in attesa del cadavere portato dalla corrente. Ma da questa posizione, che potremmo definire “contemplativa”, il rischio è che finisca essa stessa risucchiata dal fiume in piena, nella misura in cui il capitalismo, mentre rovina, porta con sé il mondo intero.

Questa problematica sta in qualche modo emergendo all’interno del Krisis-Kreis, cioè della cerchia di coloro che si rifanno alle istanze di fondo formulate da questa corrente di pensieroII.

È vero che, per citare Robert Kurz, “…Nessuno può dire di conoscere una via règia che ci conduca fuori da questa situazione desolante, né può estrarre dal cilindro, come per incanto, un programma per l’abolizione della merce moderna” ma, aggiunge subito dopo lo stesso Kurz, “Drammatico è però il fatto che, fino ad ora, non sia neppure iniziata una discussione in questo senso”III.

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Irene León: Rilanciare l’Ecuador: il programma strategico della Rivoluzione Cittadina

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Rilanciare l’Ecuador: il programma strategico della Rivoluzione Cittadina

Geraldina Colotti* intervista in esclusiva Irene León

nvoaibubrngòxSedici candidati, due donne e quattordici uomini, si candidano alle elezioni presidenziali in Ecuador di domenica 9 febbraio. Il 7 si è chiusa una campagna elettorale segnata, oltre che dagli altissimi livelli di violenza, dai piani di Trump per l’America Latina. L’attuale presidente, l’imprenditore neoliberista ultra-securitario, Daniel Noboa, scalpita per mettersi nell’orbita di Trump. Ha accolto con entusiasmo la proposta di deportare i suoi connazionali migranti, e si è addirittura offerto per ospitare nelle carceri ecuadoriane i “delinquenti” statunitensi. Se venisse rieletto, stenderebbe il tappeto rosso ai piedi del suo idolo nordamericano.

Non a caso, ha ritenuto “storico” l’invito a presenziare all’insediamento del magnate per il suo secondo mandato, insieme a personalità dell’estrema destra latinoamericana, come l’argentino Javier Milei, il salvadoregno Najib Bukele e, seppur dietro le quinte, Edmundo González Urrutia, che aspira a essere il nuovo presidente “autoproclamato” del Venezuela, nonostante le elezioni siano state vinte da Nicolás Maduro.

Noboa ha accolto a braccia aperte il nuovo Segretario di Stato americano, Marco Rubio, portavoce dei settori più reazionari di Miami, nel primo viaggio in quello che Trump vorrebbe tornasse a essere il suo “cortile di casa”. Non per niente, uno dei primi decreti da lui emanati è stato quello di reinserire Cuba nella lista dei Paesi che “sponsorizzano il terrorismo”, chiudendo il breve periodo in cui l’amministrazione uscente Biden l’aveva rimossa dall’assurda lista.

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Adi Callai: La rivolta del ghetto di Gaza

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La rivolta del ghetto di Gaza

di Adi Callai

nksjvnougANDANDO AL CENTRO DELLA QUESTIONE: Gaza è stata una zona di uccisioni libere e un “campo di concentramento” (per citare il direttore della sicurezza nazionale israeliano Giora Eiland nel 2004), ben prima del 7 ottobre.

Alla luce di ciò, la posizione più radicale deriva direttamente dalla domanda più semplice: i palestinesi sono esseri umani? Se la tua risposta è enfaticamente sì, inequivocabilmente e senza riserve, allora sei una causa persa per il sionismo. Perché se i palestinesi sono esseri umani, allora la loro autodifesa è legittima e la difesa della loro continua esistenza è necessaria.

Gaza, questa scatola nera, questo recinto per i rifugiati della pulizia etnica della Palestina del 1948: possiamo pensare alla sua gente come pensiamo a noi stessi, immaginando di essere rinchiusi, imprigionati, in un piccolo tratto di terra per sempre, senza alcun motivo se non quello di essere nati in una specifica etnia? Un posto che è stato tagliato fuori dal mondo a vari livelli dal 1948. E un posto che almeno dal 2003 ha sperimentato molteplici e devastanti operazioni militari su larga scala. I cittadini di Gaza erano sopravvissuti a dodici di queste dal 2003, con un bilancio delle vittime di oltre 8.000 persone, prima del 7 ottobre. Da allora, quel numero è cresciuto di oltre 34.000. E ogni minuto c’è un nuovo aggiornamento di più morti a Gaza per il fuoco israeliano, ma ora anche per fame. Niente carburante, niente cibo, niente acqua, niente medicine. Qualunque cosa stia arrivando è come “una goccia nel mare”, per citare i funzionari delle Nazioni Unite, in un luogo che questi funzionari avevano già previsto, nel 2018, sarebbe presto diventato “invivibile”, inadatto alla vita umana, un luogo che stava vivendo quello che Ilan Pappé aveva definito “un genocidio incrementale” già nel 2006.

Questo è il contesto che dobbiamo tenere a mente quando pensiamo all’attacco del 7 ottobre. E poi dobbiamo chiederci, cosa faremmo in quella situazione? Acconsentire e morire? O combattere?

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Francesco Dall’Aglio: Cosa sappiamo del “contatto Trump-Putin”

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Cosa sappiamo del “contatto Trump-Putin”

di Francesco Dall’Aglio

Stando a quanto scrive Miranda Devine sul New York Post (link 1), Trump e Putin si sono finalmente parlati, e forse anche più di una volta. Certo il New York Post non è il giornale più prestigioso a cui rilasciare dichiarazioni del genere da parte dello stesso presidente degli USA, ma non ci sono smentite ufficiali. Peskov (link 2) è stato abile a confermare senza confermare: “stanno venendo fuori varie comunicazioni, e queste comunicazioni vengono condotte attraverso vari canali. E naturalmente, di fronte al gran numero di queste comunicazioni, io personalmente posso non sapere qualcosa, non essere al corrente di qualcosa. Pertanto in questo caso non posso né confermare né smentire”.

“Vari canali” di comunicazione, dunque, e anche Trump ha dichiarato al NYP che “è meglio che non dica” quante volte si è sentito con Putin (già giorni fa si era fatto scappare, o ha fatto finta di farsi scappare, che c’era stato qualche contatto).

L’articolo del NYP non è proprio un’intervista, si tratta più di una raccolta di dichiarazioni: stando a Trump, a Putin importa molto delle vittime del conflitto e vorrebbe che la gente smettesse di morire, “tutti quei morti, giovani, giovani e belli, che potrebbero essere i tuoi figli, due milioni e per niente” (e siccome i morti russi secondo lui sono circa un milione, se ne dovrebbe dedurre che l’altro milione sia di morti ucraini). Torna poi sull’idea che se nel 2022 ci fosse stato lui alla presidenza niente di tutto questo sarebbe successo, perché lui e Putin hanno un buon rapporto mentre Biden è stato una vergogna per il Paese, una vera vergogna; ha un piano per far terminare il conflitto, e vuole anche lui che finisca in fretta perché “è una guerra così brutta in Ucraina”.

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Redazione: Paragon puntava all’America. E si è impantanata in Italia

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Paragon puntava all’America. E si è impantanata in Italia

di Redazione

Una exit clamorosa. Era stata definita così, a dicembre, la vendita di una giovane società israeliana del settore cyber offensivo al fondo di private equity americano AE Industrial Partners per mezzo miliardo di dollari, che potevano arrivare a 900 milioni a seconda del raggiungimento degli obiettivi di crescita e redditività.

Quasi uno status da unicorno per Paragon, un’azienda fondata nel 2019 da un gruppo di ex membri della 8200, una delle tre unità del Direttorato di intelligence militare delle Forze di Difesa israeliane (IDF) responsabile della raccolta di informazioni e segnali di intelligence (SIGINT), e dello sviluppo di strumenti ad hoc.

Paragon, che ora ha circa 450 dipendenti, è un’azienda che da subito puntava ad avere credenziali altissime. Tra i fondatori ha Idan Norik, che ricopre il ruolo di CEO, Lior Avraham, Liran Alkobi e Igor Bogdanov. Come presidente conta su Ehud Schneerson, che ha un passato da comandante della stessa unità di intelligence militare. E come azionista e membro del board accampa niente meno che l’ex primo ministro laburista ed ex capo di Stato Maggiore Ehud Barak.

 

Lo spyware Graphite

Il suo prodotto di punta è il software Graphite, uno spyware, di cui però è trapelato molto poco a livello tecnico. Sembra avere le caratteristiche di altri spyware, o trojan, che si sono visti in passato, assumendo il controllo del cellulare e intercettando le comunicazioni su app di comunicazione come WhatsApp, Signal, Telegram, Gmail.

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I sei punti del (finto) piano di pace di Trump per l’UcrainaGiuseppe Masala:

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I sei punti del (finto) piano di pace di Trump per l’Ucraina

di Giuseppe Masala

Il Daily Mail ha delineato i punti della “road map” Usa. Si tratterebbe di una grave sconfitta politico-diplomatico da parte della Russia

Con il passare dei giorni dall’entrata alla Casa Bianca di Donald Trump si sono fatte sempre più insistenti le voci di un possibile vertice tra il Tycoon americano e il Presidente russo Vladimir Putin con la finalità di sbloccare il prima possibile la crisi ucraina e riportarla in un alveo di risoluzione del conflitto attraverso la diplomazia.

Assieme alle voci che accreditano la possibilità di un vertice tra i due leader si fanno sempre più insistenti anche le indiscrezioni sui possibili punti della Road Map che dovrebbe portare alla pace nell’est europeo. A questo proposito è di ieri un articolo del quotidiano inglese Daily Mail che delinea il possibile piano proposto da parte statunitense.

Secondo il giornale britannico, i punti della road map per la pace in Ucraina, studiata dallo staff di Trump prevederebbe i seguenti punti:

  • Zalensky deve accettare un cessate il fuoco entro il 20 di Aprile, così da ottenere l’arresto dell’avanzata della Russia;
  • Deve essere firmata una dichiarazione che annuncia ufficialmente il divieto di adesione dell’Ucraina alla Nato;
  • Kiev riconoscerà la sovranità della Russia sulle zone occupate (peraltro già annesse con legge costituzionale dalla Federazione Russa) e si ritirerà dall’Oblast russo di Kursk;

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Redazione Contropiano: L’harakiri Usa sull’”informazione indipendente”

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L’harakiri Usa sull’”informazione indipendente”

di Redazione Contropiano

Quel che sta avvenendo negli Usa, con la seconda presidenza Trump, è una ristrutturazione reazionaria drastica che punta contemporaneamente a ridurre i costi dell’amministrazione pubblica e aumentare la pressione nei confronti del resto del mondo.

Il problema è però: è possibile far marciare le due cose insieme?

Vediamo quel che sta succedendo con la più nota delle agenzie non spionistiche (almeno ufficialmente), ovvero UsAid, il programma federale di “aiuti” in casa e all’estero che ha rappresentato il braccio operativo “civile” degli Stati Uniti nel governare, manipolare, indirizzare le sorti di parecchi paesi.

Elon Musk, con l’autorizzazione di Trump, ha bloccato programmi per centinaia di miliardi, definendola un’“organizzazione criminale”, addirittura e «nido di serpi dei marxisti della sinistra radicale». Non male per quella che stata nella storia la facciata “perbene” della Cia e dei golpe…

L’agenzia risulta al momento chiusa, i funzionari e gli impiegati sono rimasti a casa, il sito è “spento”. Il nuovo Segretario di Stato Marco Rubio ha annunciato di essere stato nominato direttore ad interim dell’agenzia, suggerendo che le sue operazioni sarebbero state trasferite al Dipartimento di Stato.

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Emiliano Brancaccio: I sudditi e la legge del taglione

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I sudditi e la legge del taglione

di Emiliano Brancaccio

Tariffe di guerra Molti si illudevano che il commercio sarebbe stato libero per sempre, «fino ai più remoti recessi dell’inferno», come avrebbe detto Schumpeter. Adesso che nell’inferno siamo davvero piombati, si sorprendono che la libertà degli scambi sia destinata alle fiamme

Molti si illudevano che il commercio sarebbe stato libero per sempre, «fino ai più remoti recessi dell’inferno», come avrebbe detto Schumpeter. Adesso che nell’inferno siamo davvero piombati, si sorprendono che la libertà degli scambi sia destinata alle fiamme.

Eppure il problema era lì, evidente anche agli sprovveduti. Il globalismo senza regole creava uno squilibrio crescente nei rapporti commerciali, con paesi che importavano troppo e paesi che esportavano troppo. E un conseguente accumulo di sbilanciamenti finanziari, con gli esportatori a veder montare i crediti e gli importatori a farsi sommergere da una montagna di debiti. I più sommersi di tutti: gli Stati uniti, con un passivo netto verso il resto del mondo che ormai supera i 23 mila miliardi di dollari.

È dalla crisi del 2008 che le amministrazioni Usa hanno intuito che l’amore americano per le importazioni ha messo il debito su una traiettoria pericolosa.

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