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Alessandro Marescotti (PeaceLink): “Caro Michele Serra, io non ci sarò alla tua manifestazione”

Alessandro Marescotti (PeaceLink) – 01/03/2025

Caro Michele Serra, io non ci sarò alla tua manifestazione

 

Non posso accettare un’Europa che alza il budget militare cancellando le vere conquiste europee: la centralità della sanità, il finanziamento della cultura e della scuola, il welfare che difende i più deboli. Tutto questo sarà compromesso, se non cancellato, dal programma di riarmo.

Una manifestazione per l’Europa?

Mi sono sempre battuto per l’Europa. Per un’Europa di pace, di diritti, di democrazia. Ho creduto nell’Unione Europea come il più grande progetto di riconciliazione della storia contemporanea, nato dalle macerie della Seconda guerra mondiale per garantire che nessuna guerra fratricida insanguinasse mai più il nostro continente. Ma l’Europa che oggi si vuole portare in piazza non è più quell’Europa.

Non posso accettare un’Europa che alza il budget militare cancellando le vere conquiste europee: il primato dell’ambiente, la centralità della sanità, il finanziamento della cultura e della scuola, il welfare che difende i più deboli e che assiste i più fragili, gli anziani. Tutto questo sarà compromesso, se non cancellato, dal programma di riarmo che le istituzioni europee stanno promuovendo. Un riarmo che non serve all’Europa: già oggi, l’Unione Europea e il Regno Unito spendono in armi tre volte di più della Russia. Eppure si continua a spingere per aumentare gli stanziamenti militari, come se una corsa agli armamenti potesse portare sicurezza e non, invece, il rischio di una spirale senza fine.

Ancora più grave è la direzione politica presa dal Parlamento Europeo, che a maggioranza ha votato per colpire la Russia in profondità, un’escalation pericolosa che allontana ogni prospettiva di negoziato e moltiplica i rischi di un conflitto diretto e incontrollabile.

Ho fortemente creduto negli ideali europei di pace portati avanti da Willy Brandt e Olof Palme. Ideali fatti propri da Enrico Berlinguer. Seminati con la fede di Giorgio La Pira e il coraggio di Sandro Pertini.

Ma oggi l’Europa calza l’elmetto per fare quella guerra in cui gli Stati Uniti non credono più.

Scendere in piazza per questa Europa con l’elmetto significherebbe rinnegare non solo i miei ideali pacifisti ma anche quelli di uomini di pace come Picasso, Freud, Chaplin, Russel, Einstein. Loro rimarrebbero oggi inorriditi nel vedere questo ritorno europeo all’antico motto “si vis pacem para bellum”. Un ritornello ripetuto più volte e in varie forme da esponenti europei da cui mi sarei aspettato ben altro. Non posso scendere in piazza per sostenere un’Unione che si allontana dai suoi valori fondanti e si piega alla logica del riarmo. Continuerò a lottare per un’Europa della pace, della giustizia sociale, della cooperazione. Ma questa Europa del riarmo, no, non mi vedrà al suo fianco.

Caro Michele Serra, ho letto il tuo appello ma io diserterò.

Note: Per firmare questo appello invia una email a questa email: a.marescotti@peacelink.org

 


 

Più armi, meno futuro: l’aumento delle spese militari e il conto per gli italiani

 

Mentre l’economia arranca e il costo della vita schiaccia sempre più famiglie, il governo ha deciso di aumentare le spese militari. Un trend che non riguarda solo l’Italia, ma che sta investendo tutta l’Europa, complice la crescente tensione internazionale e le pressioni della NATO. Ma chi pagherà davvero il conto? Gli italiani, con tasse più alte, meno investimenti in sanità, istruzione e welfare.

Un budget da guerra in tempo di crisi economica

L’Italia ha già portato il budget della Difesa oltre i 30 miliardi di euro all’anno, e l’obiettivo è raggiungere il 2% del PIL come richiesto dalla NATO. Questo significa ulteriori miliardi da destinare a nuove armi, mezzi bellici e operazioni militari, mentre ospedali chiudono, i trasporti pubblici cadono a pezzi e gli stipendi reali non crescono.

Le dichiarazioni ufficiali parlano di “sicurezza nazionale” e “impegni internazionali”, ma il vero problema è: siamo sicuri che più spese militari rendano il nostro Paese più sicuro? Oppure stiamo solo alimentando un circolo vizioso di tensioni, contribuendo a una corsa agli armamenti che non ha mai portato pace nella storia?

Chi ci guadagna?

Non certo i cittadini. A guadagnarci saranno le grandi industrie degli armamenti, che vedono nei conflitti armati e nelle tensioni internazionali un’opportunità di business. Miliardi di euro che potrebbero essere investiti nella transizione ecologica, nelle infrastrutture e nelle tutele sociali, finiranno invece nelle tasche di aziende che producono strumenti di distruzione.

Le lobby militari hanno un peso enorme nelle scelte politiche, e mentre la gente lotta con bollette e mutui sempre più cari, le priorità sembrano andare nella direzione opposta.

Un’alternativa è possibile

Se davvero vogliamo sicurezza, dovremmo investire in diplomazia, cooperazione e sviluppo. La vera pace non si costruisce con più missili, ma con più dialogo diplomatico. Non bisogna alimentare le guerre, bisogna ferrmarle. Se il governo avesse il coraggio di proporre una politica estera indipendente e di pace, l’Italia potrebbe diventare un attore di stabilità invece di un Paese che segue la scia della militarizzazione globale.

Il futuro non si difende con spendendo in armi e togliendo risorse a scuole e ospedali.

Basti pensare che una sola ora di volo di un caccia F-35 costa più di 40 mila dollari. Più dello stipendio di un insegnante.

È ora di chiederci: vogliamo davvero accettare che mettano le mani nelle nostre tasche per finanziare guerre e riarmo militare? Oppure vogliamo un Paese che investe nel lavoro e dia ai giovani quel futuro a cui hanno diritto?

Link per altri spunti www.peacelink.it/albert

 

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