Rassegna 07/03/2025
Fosco Giannini: Trump, Putin, UE ed elezioni in Germania
Trump, Putin, UE ed elezioni in Germania
di Fosco Giannini
La vittoria militare della Russia, la “pace” di Trump con la strategia di guerra contro la Cina, la spinta bellica dell’Ue e le elezioni in Germania: lezioni per i comunisti italiani
Zeitgeist: con questo termine, nel “corpo” della filosofia romantico-idealistica tedesca tra il 18° e il 19° secolo, si indicava lo spirito dei tempi, cioè il clima politico, culturale, ideologico, tendente all’egemonia, di un’epoca. Vi è qualcosa che più di ogni altra, in questa fase, esprime l’attuale spirito dei tempi, del video pubblicato da Trump, sul proprio profilo “Truth”, Riviera di Gaza? Nell’orrendo clip musicale il genocidio israeliano su Gaza si trasforma in un trucido festival di danzatrici lascive quali esatte proiezioni del più bieco “appetito” maschile imperialista; le macerie senza fine di Gaza in grattacieli splendenti e riviere vacanziere per i ricchi americani. Con il popolo palestinese totalmente “fuori quadro” poiché espulso, come il popolo di Mosè dagli egizi, dalla propria terra e già vagante – nel film horror di Trump e Musk – in un nuovo deserto del Sinai.
Se la feroce volgarità di Riviera di Gaza è “Zeitgeist”, di quali sommovimenti profondi si fa paradigma, indicatore? Nell’ambito dell’uragano politico che scuote il pianeta (Trump-Putin-Unione europea, elezioni in Germania), essa è il segno dell’attuale metamorfosi in atto nel liberalismo nordamericano, che passa da una volontà di potenza imperialista “liberal” fondata sulla falsità del “libero scambio” mondiale, sulla verità dello “scambio diseguale” e adornata da orpelli pseudoumanistici “woke” (i “democratici”, che imperialisti rimangono anche nella loro postura di “estrema sinistra democratica” alla Ocasio-Cortez, paladina della guerra di Biden contro la Russia e a sostegno del palese fascismo ucraino, tanto palese da essere così definito persino da Trump), a una ancor più oscura e scarnificata volontà di potenza imperialista volta a una nuova accumulazione fondata sull’isolazionismo e sul protezionismo (i “repubblicani”), un “totalitarismo liberale” (così come magistralmente messo a fuoco dal compagno Alessandro Pascale nella sua opera omonima) che abbandona, irridendoli, gli “addobbi” ideologici umanitari per dedicarsi totalmente e seriamente alla definitiva guerra strategica contro il “nuovo mondo”, contro il multilateralismo crescente, contro la Cina.
Sandrine Aumercier: La produzione marxiana e l’inconscio freudiano: l’oblio del simbolico secondo Baudrillard
La produzione marxiana e l’inconscio freudiano: l’oblio del simbolico secondo Baudrillard
di Sandrine Aumercier
Durante gli anni ’70, Baudrillard sviluppò una duplice critica di Marx e Freud. Da un lato, rivolta al mito capitalistico della produzione e dei bisogni, da cui lo stesso Marx sarebbe rimasto dipendente. Dall’altro, rivolta alla nozione freudiana dell’inconscio, che sarebbe stata indebitamente estesa dalla psicoanalisi a un’ontologia trans-storica. Viene qui presentato, e sottolineato l’interesse che riveste questa duplice critica [*1]. Mostreremo anche su cosa Baudrillard basi la sua concezione del simbolico, e i limiti dovuti alla sua teoria semiotica post-strutturalista dello scambio che si riflettono sulle critiche, altrimenti giustificate, che egli rivolge a Marx e Freud.
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La critica di Baudrillard alla produzione
Ne “Lo specchio della produzione” (1973), Baudrillard descrive la frammentazione funzionale degli oggetti, che la dialettica pretende di riconciliare, facendoli entrare nel movimento della storia. Egli definisce come «proiezione paranoica», l’operazione attraverso la quale i concetti si generano a vicenda seguendo la finalità di una «scienza che vive solo di separazione». Pertanto, la scienza costruisce un’antropologia su misura di quelle funzioni che ha prima separato. Baudrillard analizza alcuni discorsi, come quello di Maurice Godelier: un antropologo marxista che si stupisce del fatto che gli esseri umani primitivi non producano un surplus economico. Godelier risolve questo problema dicendo che tutte queste società senza eccedenze producono solamente per «soddisfare i loro bisogni».
Maurizio Lazzarato: I vicoli ciechi del pensiero critico occidentale
I vicoli ciechi del pensiero critico occidentale
di Maurizio Lazzarato
Questo testo, scritto alla fine di un «ciclo» di tre libri sulla guerra (Guerra o rivoluzione, 2022; Guerra e moneta, 2023; Guerra civile mondiale?, 2024) precisa alcuni concetti, in modo particolare quelli di imperialismo, monopolio, guerra
In questo momento in tutto il mondo si discute della possibilità di una terza guerra mondiale. Dobbiamo essere psicologicamente preparati a questa eventualità e considerarla analiticamente. Noi siamo decisamente per la pace e contro la guerra. Ma se gli imperialisti insistono nel voler iniziare un’altra guerra, non dobbiamo avere paura. Il nostro atteggiamento nei confronti di questo problema è lo stesso di tutti i disordini: in primo luogo, siamo contrari e, in secondo luogo, non ne abbiamo paura. La prima guerra mondiale è stata seguita dalla nascita dell’Unione Sovietica, con una popolazione di 200 milioni di abitanti. La seconda guerra mondiale è stata seguita dalla formazione del campo socialista, con una popolazione di 900 milioni di abitanti. È certo che se gli imperialisti si ostinano a scatenare una terza guerra mondiale, centinaia di milioni di persone passeranno dalla parte del socialismo e non rimarrà molto spazio sulla terra per gli imperialisti; è persino possibile che il sistema imperialista crolli completamente.
Mao Tse-tung
Ognuno può vedere quanto manchi di tatto il Rabocheye Dyelo quando agita trionfalmente la frase di Marx : «Ogni passo del movimento reale è più importante di una dozzina di programmi». Ripetere queste parole in un momento di sbandamento teorico, è come «fare dello spirito a un funerale».
Lenin
L’ affermazione di Mao sembra essere stata scritta per la nostra attualità. Ma siamo psicologicamente impreparati alla realtà della guerra e ancor meno a considerare analiticamente le sue cause, le sue ragioni e le possibilità che potrebbe aprire. Ci mancano gli «affetti» e i concetti per farlo. Il pensiero critico occidentale (Foucault, Negri – Hardt, Agamben, Esposito, Rancière, Deleuze e Guattari, Badiou, per nominare i più significativi) ci ha disarmati, lasciandoci inermi di fronte allo scontro di classe e alla guerra tra Stati, non avendo i concetti per anticipare né per analizzare, né tanto meno per intervenire. Lo «sbandamento teorico» prodotto negli ultimi cinquanta anni è grande. Non si tratta di sopravvalutare la teoria, ma senza quest’ultima, come diceva qualcuno, «non ci può essere movimento rivoluzionario».
Yanis Varofakis: Il piano economico generale di Donald Trump
Il piano economico generale di Donald Trump
di Yanis Varofakis*
Di fronte alle mosse economiche del presidente Trump, i suoi critici centristi oscillano tra la disperazione e una toccante fede che la sua frenesia tariffaria si esaurirà. Presumono che Trump si agiterà e sbufferà finché la realtà non esporrà la vacuità della sua logica economica. Non ci hanno fatto caso: la fissazione tariffaria di Trump fa parte di un piano economico globale solido, anche se intrinsecamente rischioso.
Il loro pensiero è radicato in un’idea sbagliata di come si muovono il capitale, il commercio e il denaro nel mondo. Come il birraio che si ubriaca della sua stessa birra, i centristi hanno finito per credere alla loro stessa propaganda: che viviamo in un mondo di mercati competitivi in cui il denaro è neutrale e i prezzi si adeguano per bilanciare la domanda e l’offerta di ogni cosa.
L’”ingenuo” Trump è, in effetti, molto più sofisticato di loro in quanto capisce come il potere economico grezzo, non la produttività marginale, decida chi fa cosa a chi, sia a livello nazionale che internazionale.
Sebbene rischiamo di essere guardati dall’abisso quando proviamo a scrutare la mente di Trump, abbiamo bisogno di comprendere il suo pensiero su tre questioni fondamentali: perché crede che l’America sia sfruttata dal resto del mondo? Qual è la sua visione di un nuovo ordine internazionale in cui l’America possa tornare a essere “grande”? Come pensa di realizzarlo? Solo allora potremo produrre una critica sensata del piano economico generale di Trump.
Andrea Zhok: Il macchinario (senza filtri) all’opera
Il macchinario (senza filtri) all’opera
di Andrea Zhok*
Il colloquio di ieri alla Casa Bianca tra Zelensky e Trump rappresenta uno di quegli eventi, rari in politica e ancor più rari nelle relazioni internazionali, dove si vede in trasparenza il macchinario all’opera dietro alle recite per il pubblico.
Da un lato Trump, che incarna in maniera esemplare e senza infingimenti la natura profonda della politica americana. Non possedendo probabilmente né l’abilità verbale, né l’interesse a farlo, Trump non ricopre i meccanismi di forza con le usuali gesticolazioni dirittumaniste. Di solito la divisione del lavoro è questa: i presidenti americani leggono sul gobbo i discorsi su libertà-democrazia-diritti umani, mentre dietro le quinte segretari di stato e maggiorenti chiariscono i rapporti di forza e portano a casa i contratti. In Trump, per i suoi tratti narcisistici, le due figure collassano in una sola, e questo chiarisce di molto il quadro.
Perciò nell’animato colloquio, quasi una rissa, Trump spiega a Zelensky con inusitata brutalità come stanno le cose:
1) non hai carte in mano, smetti di bluffare;
2) senza una massa impressionante di aiuti esteri, soprattutto americani (armi, denaro, comunicazioni satellitari, contractors), i russi vi avrebbero rullato in due settimane;
3) questo è business e la vostra unica garanzia di sicurezza sta nel fatto che riconosciate il vostro indebitamento (come ha chiarito Marco Rubio, se gli USA avranno un interesse allo sfruttamento minerario dell’Ucraina, questa sarà una garanzia di sicurezza: nessuno vuole che la mucca che sta mungendo muoia).
Pino Cabras: La carica dei Serrapiattisti e No Pax
La carica dei Serrapiattisti e No Pax
di Pino Cabras
1) La Glasnost Trumpiana e la fretta del Partito della Guerra
L’Impero era già in crisi e pieno di contraddizioni. Ora, il primo mese della presidenza Trump è la scintilla che ha innescato il combustibile che era già pronto alla guerra civile in seno alle élites occidentali.
La squadra messa insieme dal presidente statunitense ha scelto di non aspettare oltre, al punto da fare un’operazione che ho già paragonato – facendo già tutti i distinguo del caso – alla Glasnost’ (trasparenza) e alla Perestrojka (ristrutturazione) con cui 40 anni Mikhail Gorbaciov affrontò la grave crisi e le contraddizioni dell’impero che governava lui, l’Unione Sovietica.
Anche “The Donald”, nel suo impero, ha avviato una vasta operazione di disvelamento dei meccanismi spietati della lotta politica imperiale. Possiamo ormai leggere nella piazza globale i bonifici con cui l’America, per conto dell’élite finanziaria, stipendiava migliaia di redazioni di “presstituti” compiacenti e intere classi politiche di tanti paesi di mezzo pianeta. Un’intera infrastruttura votata alla guerra mondiale è esposta nei suoi numeri nudi e crudi, nei suoi trucchi, nella meccanica bruta dei rapporti di forza, senza più la fuffa ipocrita che ha avvelenato tutti i pozzi della comunicazione pubblica. Lo scandalo USAID – incontrovertibile e osceno – resiste come tabù innominabile, nell’imbarazzo delle redazioni. Chi non lo nomina non ha perciò alcun titolo per dare lezioni di democrazia a nessuno.
Enrico Fedrighini: Olof Palme, dietro l’omicidio dell’ex premier svedese il sospetto della rete Stay Behind
Olof Palme, dietro l’omicidio dell’ex premier svedese il sospetto della rete Stay Behind
di Enrico Fedrighini
“Così fan tutte”. Ci sono enigmi che rimangono nascosti per anni sotto la coltre della “ragion di Stato” e poi improvvisamente emergono, rivelando aree di sovranità limitata sempre più estese e radicate nelle strutture statali europee, anche le più avanzate. Questa frase, “Così fan tutte”, rimane custodita per tre decenni nella memoria di Rose L., agente dei servizi segreti svedesi (Sapo, acronimo di Sakerhetspolisen) fino all’estate 2020, quando vengono definitivamente chiuse senza alcun esito le indagini sull’omicidio di Olof Palme avvenuto il 28 febbraio 1986. La conclusione irrisolta del caso consente di rendere pubblicamente accessibile parte della documentazione accumulata durante le indagini: quintali di atti relazioni e verbali alcuni dei quali – è bene precisarlo – rimangono tuttora secretati.
Fra le carte accessibili dopo il 2020 spunta un memorandum datato 25 marzo 1988, due anni dopo l’omicidio Palme, scritto da Tore Forsberg, a quel tempo capo del controspionaggio svedese, e da lui firmato insieme a due agenti, Rose S. e Lars-Erik N.
Dalla lettura del memorandum emergono fatti di straordinaria rilevanza che avrebbero potuto e dovuto generare una clamorosa svolta nelle indagini, anziché rimanere sepolti fra le carte: il 28 febbraio 1986, la notte in cui Palme viene ucciso in pieno centro a Stoccolma, i servizi segreti della Sapo – o meglio: alcune unità dei servizi – avevano in corso una non meglio identificata “operazione” nel centro della capitale svedese; operazione della quale nessuna autorità era stata messa a conoscenza, né prima né dopo l’omicidio del primo ministro.
Jeffrey D. Sachs: La geopolitica della pace. Discorso al Parlamento europeo il 19 febbraio 2025
La geopolitica della pace. Discorso al Parlamento europeo il 19 febbraio 2025 (*1)
di Jeffrey D. Sachs
L’amministrazione Trump è imperialista nel profondo. Trump crede ovviamente che le grandi potenze dominino il mondo. Gli Stati Uniti saranno spietati e cinici, e sì, anche nei confronti dell’Europa. Non andate a chiedere l’elemosina a Washington. Non servirebbe a nulla. Anzi, probabilmente aumenterebbe la spietatezza. Piuttosto, si deve avere una vera politica estera europea
Introduzione
Michael, grazie mille e grazie a tutti voi per la possibilità di stare insieme e di pensare insieme. Questo è davvero un periodo complicato, in rapida evoluzione e molto pericoloso. Abbiamo quindi bisogno di chiarezza di pensiero. Sono particolarmente interessato alla nostra conversazione, quindi cercherò di essere il più sintetico e chiaro possibile. Negli ultimi 36 anni ho seguito da vicino gli eventi nell’Europa orientale, nell’ex Unione Sovietica, in Russia e in Ucraina. Sono stato consulente del governo polacco nel 1989, del team economico del Presidente Gorbaciov nel 1990 e 1991, del team economico del Presidente Eltsin nel 1991-1993 e del team economico del Presidente Kuchma in Ucraina nel 1993-1994. Ho contribuito all’introduzione della moneta estone. Ho aiutato diversi Paesi dell’ex Jugoslavia, in particolare la Slovenia. Dopo il Maidan, il nuovo governo mi ha chiesto di venire a Kiev, mi ha portato in giro per il Maidan e ho imparato molte cose di persona. Sono in contatto con i leader russi da più di 30 anni. Conosco da vicino anche la leadership politica americana. Il nostro precedente Segretario al Tesoro, Janet Yellen, è stata la mia meravigliosa insegnante di macroeconomia 52 anni fa. Siamo amici da mezzo secolo. Conosco queste persone. Dico questo perché ciò che voglio spiegare dal mio punto di vista non è di seconda mano. Non è ideologia. È ciò che ho visto con i miei occhi e sperimentato in questo periodo. Voglio condividere con voi la mia comprensione degli eventi che hanno colpito l’Europa in molti contesti, e includerò non solo la crisi ucraina, ma anche la Serbia del 1999, le guerre in Medio Oriente, tra cui l’Iraq, la Siria, le guerre in Africa, tra cui il Sudan, la Somalia, la Libia. Queste sono in misura molto significativa il risultato di politiche statunitensi profondamente sbagliate. Ciò che dirò potrebbe sorprendervi, ma parlo per esperienza e conoscenza di questi eventi.
Konrad Nobile: Com’è bello far la guerra da Trieste in giù
Com’è bello far la guerra da Trieste in giù
di Konrad Nobile
La strada è segnata: avanti tutta con Imec e piani Nato. Nuove dichiarazioni sono un grave campanello d’allarme, mentre in città approda la nuova portaerei
Nell’ultimo anno si è fatto veramente un gran parlare di Trieste e di certe manovre che coinvolgono il capoluogo giuliano. Sembra ormai quasi che parlarne sia diventato di moda. E difatti, forse, se ne parla anche un po’ troppo.
A dire la loro su Trieste e a sbavarci sopra si sono avvicendati importanti think thank americani come «Atlantic Council» (1) e «The National Interest» (2), oltre a testate italiane come «formiche» (3) e la famosa rivista di geopolitica «Limes».
Quest’ultima ci ha dato veramente dentro e, dopo aver dedicato a Trieste l’editoriale del numero di ottobre 2024 (4), un altro articolo sempre nello stesso numero(5) ed un altro in quello di dicembre 2024 (6), ha anche messo Trieste al centro di uno dei confronti svoltisi alla XII edizione del Festival di Limes, che ha avuto luogo a Genova tra il 7 e il 9 febbraio.
Qui il filmato di uno degli interventi, incentrato proprio sulla città alabardata:
Anche su ComeDonChisciotte sono usciti molti articoli legati alle vicende triestine, e chiedo venia ai lettori se insisto nello scrivere su questa città, finendo magari per essere ridondante e ripetitivo. A dire il vero, eccetto le notizie sui processi relativi alla mobilitazione No Green Pass, che a Trieste continuano a susseguirsi, non intendevo spendere ulteriori articoli dedicati a questioni triestine. Tuttavia gli ultimi sviluppi e certe recenti e assai gravi dichiarazioni mi hanno spinto ad accantonare questo proposito.
Per chi fosse estraneo al dibattito generatosi negli ultimi mesi su Trieste e sugli interessi internazionali in ballo, rimando alla lettura di alcuni degli articoli pubblicati su ComeDonChisciotte (siccome se n’è già parlato abbondantemente cerco di evitare di ripetere cose già scritte):
Alberto Bradanini: Le guerre e l’orizzonte di un mondo diverso
Le guerre e l’orizzonte di un mondo diverso
di Alberto Bradanini
1. All’inizio c’è sempre l’Indignazione, cui segue un indistinto sentimento d’irritazione, non importa se intellettuale, etica o epidermica, che cresce a dismisura se si getta lo sguardo sulle ingiustizie perpetrate dai potenti e sulla macchina della manipolazione che modella una popolazione narcotizzata da consumismo e rimbambimento smartfonico, quella medesima manipolazione che sul piano internazionale impone il delirio paranoico bellicista del principale avversario della pace nel mondo, l’Impero americano. Non v’è dubbio che una sintesi estrema come quella che precede porta con sé il rischio di risultare apodittici. Essa tuttavia ci fa almeno guadagnare in chiarezza di posizionamento.
In dettaglio, se si getta lo sguardo al dipanare degli accadimenti è possibile identificare con buona approssimazione i nemici principali da cui occorre guardarsi: sul piano economico un capitalismo selvaggio e la società della mercificazione; su quello politico l’assolutismo neoliberalista; sul piano filosofico l’alienazione solipsista; su quello sociale il dominio mercantile e sull’arena geopolitica, ça va sans dire, gli Stati Uniti d’America.
Parafrasando l’incipit della Bibbia, all’inizio c’è il Verbo, americano beninteso, che andrebbe chiamato in realtà statunitense, perché i nobili abitanti di quel continente non andrebbero confusi con le oligarchie malate che guidano la locomotiva impazzita di quella nazione. Ma la lingua imperiale deforma senso e controsenso, imponendosi persino nel balbettio lessicale di ridicoli operatori mediatici. Per Verbo statunitense deve comunque intendersi una forma mentis, variante della nozione di caos, luogo metafisico che consente alla plutocrazia bellicista di quel paese di acquisire legittimazione abolitoria di ogni restrizione agli interventi armati contro chiunque osi mantenere la posizione retta. Da lì la patologia dell’eccezionalismo americanista si è poi diffusa nell’inconscio filosofico-valoriale di tante nazioni non solo occidentali, deformando la coscienza di miliardi di individui intellettualmente fragili e indifesi, corredati di difese deboli davanti alle nefande intimidazioni della «nazione scelta da dio per governare un mondo altrimenti ingovernabile» (W. Clinton, 1999).
Enrico Tomaselli: Sul Deep State
Sul Deep State
di Enrico Tomaselli
Si parla sempre più spesso di deep state, e io stesso faccio spesso ricorso a questa espressione. Se ne fa in genere uso per designare una caratteristica tipica del sistema di potere statunitense, ma – anche se in effetti è qui più che altrove che se ne può ragionevolmente parlare – in realtà non si tratta di una realtà circoscritta agli states; recentemente ho scritto un testo in cui, ad esempio, parlavo di un deep state europeo.
Per quanto possa sembrare strano, il termine ha origine in Turchia; fu l’ex primo ministro di sinistra Mustafa Bülent Ecevit a coniare l’espressione (in turco, derin devlet), con riferimento alla rete di potere laico-militare costituitasi intorno a Kemal Ataturk, e poi sopravvissuta alla sua morte.
La definizione attuale di ciò che è il deep state non è però univoca. Secondo Wikipedia [1], “si intende a livello politico l’insieme di quegli organismi, legali o no, che grazie ai loro poteri economici o militari o strategici condizionano l’agenda degli obiettivi pubblici, di nascosto e a prescindere dalle strategie politiche degli Stati del mondo, lontano dagli occhi dell’opinione pubblica. Detto anche ‘Stato dentro lo Stato’, è costituito da lobby e reti nascoste, segrete, coperte, di potere in grado di agire anche contro le pubbliche istituzioni note.”
Questa definizione a mio avviso, però, rischia di risultare fuorviante, in particolare in riferimento alla situazione per eccellenza, cioè gli Stati Uniti.
Sergio Cararo: Vertice euroatlantico a Londra. Questione di pace o di guerra nel XXI° Secolo
Vertice euroatlantico a Londra. Questione di pace o di guerra nel XXI° Secolo
di Sergio Cararo
Una quindicina di leader europei si riuniscono oggi a Londra per un vertice sulla guerra in Ucraina e ipotesi sulle garanzie di sicurezza in Europa di fronte ai timori di un abbandono da parte di Washington, timori che si sono accentuati dopo il benservito dato venerdì alla Casa Bianca da Trump a Zelensky.
La composizione dei paesi partecipanti ha prodotto una geometria anomala. Ci sono infatti paesi nella Nato ma non nella Ue e non ci sono tutti gli stati dell’Unione Europea.
Alla riunione sono stati invitati i leader di Germania, Francia, Italia, Danimarca, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Spagna, Finlandia, Svezia, Repubblica Ceca e Romania, oltre al segretario generale della Nato Mark Rutte e ai presidenti della Commissione europea e del Consiglio europeo, Ursula von der Leyen e Antonio Costa.
Irritati i paesi baltici che per la seconda volta vengono tenuti fuori dai vertici europei ristretti sulla guerra in Ucraina. Essendo parte integrante del “partito della guerra”, i baltici hanno molto sopravvalutato in questi anni il loro peso politico e troppo spesso hanno palesato la loro posizione guerrafondaia. Al vertice è stata invitata – significativamente – un paese Nato ma non europeo come la Turchia.
La lista dei paesi Ue che partecipa alla riunione configura una sorta di “cooperazione rafforzata” ossia quel meccanismo che consente solo ai paesi che condividono un progetto di prendervi parte e in qualche modo bypassa il problema del voto all’unanimità.
Michele Blanco: Quando la sinistra fa il suo dovere diventa scomoda e viene attaccata
Quando la sinistra fa il suo dovere diventa scomoda e viene attaccata
di Michele Blanco
I continui attacchi a Sahra Wagenknecht e al suo patito BSW sono parte di una strategia per delegittimare una sinistra vera ma scomoda, che sfida l’ordine economico capitalistico e i rapporti di forza geopolitici attuali.
La colpa principale del partito BSW e della sua leader è la critica all’austerità imposta dall’UE e la critica costante alla NATO, inoltre da molto fastidio il fatto che sostiene sempre e contro tutti i mass media la causa palestinese e punta sempre sulla valorizzazione dei lavoratori. L’accusa infamante che viene sempre, anche dalla stampa ultrasservita italiana, è che sia “rossobruna”, cosa assolutamente non vera.
Dopo che aveva raggiunto il 7 per cento alle elezioni europee l’esclusione di BSW, il partito di Sahra Wagenknecht (Con 2.468.670 voti pari al 4.970%), dal parlamento tedesco ha scatenato molte reazioni alcune imbarazzanti. Se da un lato i suoi sostenitori vedono in questa sconfitta un duro colpo e una grave sconfitta per la rappresentanza delle classi popolari, dall’altro, molti nell’area “progressista” o presunta tale, hanno accolto la notizia con incredibile soddisfazione, forse per continuare a ignorare i problemi e i diritti sociali di milioni di persone. Invece di essere dispiaciuti che per poco più di diecimila voti non sono entrati nel Bundestag (parlamento federale tedesco) 50 deputati di sinistra, espressione del voto di operai, pensionati, persone povere e senza tutele e precari dal punto di vista lavorativo.
Pierluigi Fagan: Come gli europei vanno incontro all’era complessa
Come gli europei vanno incontro all’era complessa
di Pierluigi Fagan
Gli americani si svincoleranno non solo dall’Ucraina, ma più in generale dall’Europa in termini di presenza e investimenti militari diretti. Questo è in osservanza con la loro strategia di diminuire la spesa statale e rassicura Mosca sul fatto che questa amministrazione non ritiene Mosca un nemico strategico. Tale ritiro potrebbe estendersi oltre l’Ucraina ai paesi europei annessi alla NATO dagli anni ’90 in poi.
Questo non ha nulla a che vedere con altisonanti ritiri dalla NATO. La NATO è una alleanza in cui, secondo Washington, ognuno porta il suo adeguato contributo, quello dell’Europa non lo è. Washington è volta strategicamente al Pacifico; quindi, l’Europa deve fare una NATO europea, che se la sbrighi da sola.
Mosca sarà assai contenta di aver da fare militarmente con l’Europa e non con gli USA, sia perché non ritiene l’Europa un nemico strategico (la somma dell’arsenale atomico UK+Francia arriva al 10% di quello russo, a parte il problema dei vettori -missili e aerei- su cui siamo a “carissimo amico…”, ma è un problema molto più complesso che non l’inventario delle armi), sia perché la minaccia militare europea è e rimarrà sostanzialmente inconsistente, in teoria “difensiva” e non certo offensiva.
Kiev avrà così un suo parvente senso di protezione per quanto relativa, una Kiev a cui gli accordi Trump-Putin vietano l’adesione NATO, ma concedono quella alla UE, sempre che questa si voglia prendere tale fardello in carico.
Alberto Giovanni Biuso: “Chi si fa verme”
“Chi si fa verme”
di Alberto Giovanni Biuso
E dunque la seconda presidenza Trump sta cancellando le finzioni con le quali la colonia Europa ha giustificato a se stessa la propria servitù agli Stati Uniti d’America. Ora il dominio del padrone americano appare per come realmente è: brutale, colonialistico, violento. Merito di questo miliardario è aver sollevato il velo – «sfrondato gli allori», direbbe Ugo Foscolo – e posto davanti agli occhi degli europei la verità del dominio e della servitù.
I ciechi non vedono, sennò non sarebbero ciechi, e tuttavia è talmente palese il disprezzo degli USA verso i colonizzati europei da gettare nello sconcerto i ceti dirigenti delle nazioni prone e il corrotto governo dell’Unione Europea guidato da Ursula von der Leyen. Non si aspettavano proprio di essere ricambiati con il soldo dell’umiliazione, dopo aver fatto in tutto e per tutto gli interessi degli USA, distruggendo l’Europa in una guerra per procura contro la Federazione Russa e persino accettando il sabotaggio del gasdotto NordStream2 che riforniva di gas russo Germania ed Europa a costi molto vantaggiosi.
La psicologia collettiva e la filosofia della storia ci insegnano da sempre che un padrone può ben avvalersi dell’opera dei servi ma naturalmente non li rispetterà mai, proprio perché sono servi.
Tra i Paesi europei l’Italia è particolarmente disprezzata. Nel maggio del 2022 ponevo infatti «una semplice domanda: che cosa ha fatto la Federazione Russa all’Italia? In quali circostanze, modi, azioni ha aggredito il territorio italiano o le sue rappresentanze, ha tradito gli accordi commerciali o politici, ha leso i diritti dei cittadini italiani?»