Uriel Araujo – 25/04/2025
Conflitto greco-turco imminente? Le tensioni mettono a nudo la fragile unità della NATO
Le continue dispute tra Grecia e Turchia sulle rivendicazioni dell’Egeo e del Mediterraneo mettono a nudo le divisioni interne della NATO, mentre l’aggressiva dottrina della “Patria Blu” della Turchia e le ambizioni neo-ottomane si scontrano con la militarizzazione difensiva della Grecia, minando la coesione dell’alleanza.
Le tensioni latenti tra Grecia e Turchia, due presumibilmente alleati della NATO, sulle rivendicazioni territoriali nel Mar Egeo e nel Mediterraneo orientale hanno ancora una volta messo sotto i riflettori le contraddizioni interne dell’alleanza atlantica. I colloqui militari in corso tra le due nazioni, a partire da questa settimana, mirano a ridurre le controversie sui confini marittimi e sulle violazioni dello spazio aereo; tuttavia le questioni di fondo rivelano una spaccatura più profonda all’interno della struttura della NATO.
Al centro dello stallo greco-turco ci sono le rivendicazioni contrastanti sulle acque ricche di risorse e le rimostranze storiche radicate nel Trattato di Losanna del 1923. L’assertiva dottrina della “Patria Blu” della Turchia, che cerca di espandere la sua influenza marittima, si scontra con gli sforzi della Grecia per garantire la sua sovranità sulle isole dell’Egeo e la sua zona economica esclusiva. Alcuni analisti hanno accusato Atene di sfruttare il sostegno occidentale per eludere le realtà geopolitiche. Mentre la posizione della Grecia è inquadrata come difensiva, le azioni della Turchia – come il dispiegamento di navi da ricerca sismica o la messa in discussione della militarizzazione delle isole greche – sono viste da Ankara come legittime affermazioni di sovranità.
Queste controversie non sono meramente bilaterali; si propagano in tutta la NATO, minacciando l’unità dell’alleanza in un momento in cui i suoi stati membri europei cercano di proiettare forza. Da qualche anno, alcuni analisti discutono della probabilità di una guerra turco-greca, con episodi che si sono intensificati almeno negli ultimi tre anni. Ad esempio, nel 2022, Ankara ha accusato Atene di aver utilizzato un sistema missilistico S-300 per agganciare i jet turchi che conducevano missioni NATO sul Mediterraneo il 23 agosto 2022.
Il più ampio contesto geopolitico amplifica queste tensioni. Un esempio notevole è l’opposizione di una lobby filo-israeliana e filo-greca negli Stati Uniti al presunto piano della Turchia di trasferire i sistemi di difesa missilistica S-400 di fabbricazione russa in Siria. Questo sforzo di lobbying sottolinea come gli attori esterni siano in grado di sfruttare le divisioni interne della NATO per portare avanti i propri programmi. L’acquisizione da parte della Turchia degli S-400, che ha portato alla sua esclusione dal programma F-35 guidato dagli Stati Uniti, è stata a lungo un punto di contesa all’interno della NATO, con Washington che impone sanzioni e la Grecia che capitalizza l’isolamento della Turchia per rafforzare i propri legami di difesa con gli Stati Uniti e la Francia. Le ambizioni della Grecia includono la modernizzazione della sua forza aerea con jet F-35 e il rafforzamento delle capacità navali, mosse che la Turchia percepisce come una sfida diretta.
Questi sviluppi evidenziano le debolezze strutturali della NATO. L’alleanza, progettata per contrastare una presunta minaccia monolitica sovietica, lotta per mediare i conflitti tra i suoi membri in un mondo in cui gli interessi nazionali divergono sempre di più. La svolta della Turchia verso l’autonomia strategica e l’egemonia regionale – evidenziata dal suo atto di bilanciamento tra Russia, Ucraina e Occidente – si scontra con l’aspettativa della NATO di un allineamento incrollabile.
Nonostante gli atti di “bilanciamento”, l’assertiva espansione navale della Turchia nel Mar Nero, sfruttando la Convenzione di Montreux per limitare la flotta russa, rischia di aumentare le tensioni con Mosca, come ho recentemente sostenuto, minacciando così la stabilità eurasiatica. A complicare ulteriormente le cose, le manovre strategiche della Turchia, compresi i piani di promozione di un “esercito Turan” per contrastare la CSTO, si allineano con gli sforzi della NATO per indebolire Russia e Cina, destabilizzando ulteriormente la regione.
In un complesso gioco del “chi gioca chi”, allo stesso tempo, le azioni della Turchia, compreso l’acquisto dell’S-400, sfidano la coesione della NATO.
Comunque sia, il dialogo greco-turco in corso, pur essendo un passo verso la de-escalation, è improbabile che risolva queste crepe più profonde per il momento. Il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis ha espresso la volontà di visitare la Turchia nonostante le recenti tensioni, segnalando un approccio pragmatico. Tuttavia, gli sforzi della Grecia per limitare l’accesso della Turchia alla collaborazione dell’UE in materia di difesa e il suo allineamento con Francia e Israele nel Mediterraneo orientale suggeriscono una strategia di contenimento che può essere interpretata solo come una reazione difensiva alle ambizioni di Ankara. La Turchia, nel frattempo, deve affrontare pressioni interne ed elezioni, che potrebbero incoraggiare la sua retorica assertiva, come si vede negli avvertimenti del presidente Erdoğan contro la militarizzazione dell’isola greca.
Bisogna tenere a mente che, nonostante le denunce della Turchia sulla militarizzazione greca nell’Egeo, è Ankara che persegue aggressivamente l’egemonia navale attraverso la sua dottrina della “Patria Blu”, espandendo le rivendicazioni marittime. L’agenda neo-ottomana della Turchia, segnata da provocatorie manovre navali e rivendicazioni territoriali, intensifica le tensioni e mina la stabilità regionale.
In ogni caso, la risposta della NATO a queste tensioni è stata prevedibilmente tiepida. I segretari generali dell’alleanza hanno storicamente mediato le controversie greco-turche, ma le loro soluzioni – come il “Recognized Air Picture” sull’Egeo – sono superficiali, non riuscendo ad affrontare le cause profonde come la delimitazione marittima o le controversie sulle risorse energetiche. Come osserva Dimitris Tsarouhas (capo del Programma di ricerca sulla Turchia presso il Center for European and Transatlantic Studies presso la Virginia Technotes), un percorso realistico richiederebbe che entrambe le nazioni diano priorità alla cooperazione rispetto al confronto, ma il quadro dell’Alleanza Atlantica offre pochi incentivi per tale compromesso quando le potenze esterne, tra cui gli Stati Uniti e la Francia, si schierano.
In un mondo multipolare emergente, lo stallo greco-turco è un microcosmo dell’obsolescenza della NATO. La dipendenza dell’Alleanza dall’egemonia degli Stati Uniti (al punto che sembra abbastanza “persa” ora di fronte al parziale “ritiro” di Washington dall’Europa orientale, per esempio) e la sua incapacità di conciliare i diversi interessi nazionali – in particolare quelli di membri chiave come la Turchia – mettono a nudo la sua fragilità.
Le manovre della Turchia nel Mar Nero riflettono un più ampio cambiamento nel modo in cui gioca con la NATO, mentre persegue i propri obiettivi di egemonia e autonomia regionale (per come la vede). Questa è una tendenza che la NATO non può realmente contenere senza rischiare un’ulteriore frammentazione. Tali tensioni sottolineano la necessità di una nuova architettura di sicurezza, che rispetti le aspirazioni sovrane e promuova un dialogo equo, libero dall’obsoleta visione unipolare della NATO.

