Forum Italiano dei Comunisti – 26/04/2025
Come costruire una piattaforma comunista
dentro le contraddizioni politiche e sociali
partendo da Gramsci e Togliatti
Se vogliamo creare le basi per costruire un’organizzazione comunista in Italia dobbiamo fare i conti con due difficoltà che ne hanno impedito finora lo sviluppo. Da una parte la cultura ‘antagonista’ che si è andata sviluppando con la crisi del PCI e la fine della sua egemonia politico-culturale e dall’altra l’assenza – nel momento in cui si è tentato di ricostruire qualcosa che gli somigliasse – di un riferimento storico e politico non puramente formale a quella che è stata l’esperienza del Partito comunista italiano.
Quando si parla di PCI in positivo, ci si riferisce alla lotta contro il fascismo, alla Resistenza, al legame con l’URSS e l’Internazionale comunista, ma si oscurano le questioni di strategia che hanno permesso all’organizzazione dei comunisti italiani di svilupparsi e ne rappresentano l’eredità teorica più consistente.
Non c’è dubbio che la drammaticità e la gravità degli avvenimenti collegati alla dissoluzione del PCI ha indotto molti a gettare il bambino con l’acqua sporca. In sostanza si è pensato di poter dare sulla vicenda un giudizio definitivo e di riaprire un capitolo nuovo di ‘rifondazione’ del comunismo, che ben presto però ha dimostrato la sua inconsistenza, tanto nella versione emme-elle che in quella bertinottiana.
Il fallimento di queste ‘rifondazioni’ ha permesso dunque che sul terreno, a fare la parte del leone rimanesse solo un’ideologia antagonista che si riproduce quotidianamente, aldilà di come viene rappresentata ideologicamente, e ha caratteristiche simili al modello dello scontro politico e sociale tipico del periodo in cui i comunisti non erano ancora riusciti a dargli un carattere strategico, superando primitivismo e improvvisazione.
Per capire il problema dobbiamo ritornare a Gramsci e a Togliatti come riferimenti concreti e storici di una prassi che esce dalla quotidianità e diventa analisi scientifica su come impostare una strategia collegata al contesto in cui i comunisti operano.
Perchè, per affrontare la questione che poniamo, riteniamo essenziali i riferimenti a Gramsci e a Togliatti? C’è un legame tra i due personaggi e in che cosa consiste?
Sappiamo che Gramsci, è stato esaltato per il ruolo del grande intellettuale, che ha portato a una sorta di beatificazione, mentre a Togliatti che non aveva avuto la sfortuna di morire in carcere e dal 1926 in poi aveva dovuto sporcarsi le mani nelle scelte quotidiane del PCI, la sorte ha riservato, nel caso migliore, l’oblio. Eppure tra i due esiste un punto essenziale di collegamento rispetto a quanto hanno fatto nel loro ruolo di dirigenti comunisti ed è proprio questo punto essenziale che oggi ci serve di riferimento per capire come un’esperienza comunista possa rinascere. Ambedue infatti hanno indagato a fondo le caratteristiche della società italiana e dall’analisi delle contraddizioni e dello specifico contesto storico hanno ricavato il che fare? Gramsci con la vicenda dell’Aventino dopo il delitto Matteotti incominciò a dare una direzione a un PCI ingessato dal bordighismo, fino ad arrivare alla tesi di Lione del 1926 in cui definì le forze motrici della trasformazione rivoluzionaria italiana. Il carcere gli impedì di continuare a esercitare la sua funzione di dirigente politico, ma col lavoro sviluppato nei Quaderni, proseguì la ricerca degli aspetti essenziali della società e della cultura italiane da cui ricavare indicazioni non effimere su come impostare la battaglia comunista.
Il Togliatti del 1944 riprese questa impostazione e si misurò con la situazione che andava emergendo dalle ceneri del fascismo, valutando la dislocazione delle forze in campo (a partire da quelle anglo-americane) e ricavandone un’idea di come definire una strategia adeguata alla fase storica. Così è nato l’asse Resistenza-Repubblica-Costituzione, così è nata, successivamente, l’impostazione di una ‘guerra di posizione’ collegata al fronte rappresentato dai paesi socialisti e dai movimenti antimperialisti e radicata in tutte le pieghe della società italiana che non accettavano la normalizzazione atlantista e la restaurazione post-fascista. Su questa linea di resistenza il PCI si consolidò e riuscì a condizionare tutto il quadro della situazione italiana.
Alla luce di questo, la ripresa comunista dopo la grande crisi dovuta al crollo dell’URSS e dei partiti comunisti europei non poteva essere concepita se non collegando il presente con ciò che i comunisti avevano rappresentato rispetto alla società italiana fino alla liquidazione del PCI. Per ricostruire un pensiero adeguato alla nuova fase storica bisognava analizzare i punti di crisi tra società, partito e ipotesi di sviluppo su cui il partito era stato fondato e partire dai dati oggettivi che avevano provocato la catastrofe. Senza un nuovo fondamento si sarebbe rimasti alla superficie dei problemi e ciò non poteva produrre un rapporto di effettiva interlocuzione con i settori sociali che effettivamente si presentavano come antagonisti al sistema. Si trattava di partire non da uno schema ideologico, ma da ciò che effettivamente la società esprimeva e tenendo conto soprattutto del fatto che la liquidazione del PCI aveva prodotto un ripiegamento di tutti gli strati sociali, a partire dai lavoratori, che avevano sostenuto i comunisti con milioni di voti e di iscritti. Non aver seguito un percorso di questo tipo ha portato a una scissione tra il corpo sostanziale della società e le minoranze politiche che hanno trovato il punto di sfogo in una radicalizzazione socialmente meticcia, allontanandosi da un progetto largamente condiviso e capace di trascinare masse consistenti di lavoratori e di cittadini.
Oggi siamo ancora a questo punto. Per questo bisogna ragionare su come affrontare il futuro e capire quali sono gli effettivi rapporti di forza, su quali elementi sociali e politici bisogna puntare per modificare la situazione e come creare un’organizzazione che esprima in modo maturo le esigenze della trasformazione e sappia misurarsi in modo concreto coi suoi avversari di classe, non sia cioè un reperto archeologico di vecchie ideologie. Il punto centrale dell’analisi diventa dunque questo: su quale terreno si può contrastare oggi il potere della destra e del liberal-imperialismo e ricostruire un’organizzazione di comunisti capace di incidere nella realtà e nei rapporti di forza? Questo compito è riservato a ristrette minoranze che devono crescere su se stesse, oppure esiste una sedimentazione storica, prodotta dai comunisti, che ha lasciato il segno e che in questo momento può rappresentare il punto di appoggio per una svolta politica sia di ricostruzione organizzativa che di massa critica che con essa si dialettizzi?
Per capirci su questo punto ci riferiamo all’esperienza di Gramsci e di Togliatti. Senza una svolta di questo tipo resteremo inchiodati alla logica di quel settore antagonista che tiene banco nel tentativo di contrapporsi al sistema politico e sociale odierno senza costruire le basi necessarie. Per questo nel corso degli ultimi decenni abbiamo assistito, nelle varie forme in cui queste tendenze si sono manifestate, a una versione semplificata del conflitto che ha puntato su un rapporto diretto e automatico tra le scelte del potere e la possibilità del movimento di classe di bloccarle e possibilmente rovesciarle. Eludendo il nodo storico rappresentato dal modo in cui i rapporti di classe si sono riconfigurati e si sono andati esprimendo nella nuova fase si rimane inchiodati al botta e risposta di una quotidianità che si ripete senza che si riesca a fare qualche passo in avanti nella creazione di una forza di classe veramente rappresentativa e nell’incidere sui rapporti di forza.

