[Antigone] Si ascolti l’appello di Papa Francesco per un atto di clemenza

Lo scorso 21 aprile è venuto a mancare Papa Francesco che, durante il suo intero dicastero, ha costantemente posto attenzione alle persone detenute e alle condizioni di vita drammatiche elle carceri.

Negli ultimi mesi, in occasione dell’anno giubilare, aveva più volte avanzato ai governi la richiesta di provvedimenti di clemenza, sino ad oggi inascoltati. La situazione è catastrofica. Il numero delle persone presenti nelle carceri è in costante aumento (a fine aprile abbiamo raggiunto le 62.445 presenze per circa 46.000 posti realmente disponibili), con un livello di sovraffollamento da tempo inaccettabile e che si continua ad aggravere.

Purtroppo però dall’attuale governo non arrivano aperture su politiche che possano alleggerire il peso sulle carceri, anzi, a partire dal decreto sicurezza (a cui dedicheremo un convegno sui profili possibili di incostituzionalità) si continuano a varare provvedimenti che avranno l’effetto inverso, cioè un aumento incontrollato della popolazione detenuta. L’edilizia penitenziaria, evocata in modo propagandistico, non è mai una soluzione giusta e realistica. Bisogna decarcerizzare e depenalizzare.

Questi e altri sono i temi di cui parliamo in questa newsletter.

Buona lettura,
Patrizio Gonnella, Presidente di Antigone

Due momenti che simbolicamente aprono e chiudono il papato di Francesco e che ne racchiudono l’essenza e l’attenzione verso le condizioni di detenzione.

Nel mezzo ci sono stati gesti simbolici (come l’apertura di una delle Porte Sante giubilari nel carcere di Rebibbia), discorsi (come quello pronunciato davanti all’Associazione internazionale di diritto penale) e azioni (come l’abolizione dell’ergastolo e l’introduzione del reato di tortura nello Stato Vaticano).

Susanna Marietti su Il Fatto Quotidiano e Andrea Oleandri su Lavialibera ricordano l’impegno del Pontefice sul carcere.

Papa Francesco non ha mai chiesto pietà per i carcerati. Quando parlava di detenuti come capri espiatori, di cautela nella pena, di ergastolo come pena di morte nascosta, di diritto penale razzista, di mettere al bando la tortura aveva in testa un progetto sociale, giuridico e culturale fortemente critico nei confronti del potere neoliberale che produce una giustizia selettiva e di classe.

Sia nel suo discorso del 2014 rivolto all’associazione internazionale dei penalisti che nell’enciclica Fratelli tutti del 2020, riecheggiano parole e concetti che nulla hanno a che fare con la retorica della redenzione che fino ad allora aveva caratterizzato il pietismo cattolico verso i carcerati peccatori.

Le sue parole chiave sono altre: dignità, solidarietà, uguaglianza. Il detenuto non è visto come un peccatore ma come qualcuno che ha commesso una violazione di legge.

Peccato e reato non coincidono. E la legge è un prodotto artificioso dell’uomo.

Le norme contenute in questo decreto potrebbero minare alla base le fondamenta dello Stato di Diritto, così come denunciato anche da alcuni organismi internazionali, anche per i tanti profili di incompatibilità costituzionale che in questo testo si possono rintracciare.

Per questo, il prossimo 20 maggio a Roma, abbiamo organizzato un seminario che vedrà una approfondita relazione del Prof. Marco Ruotolo, volta proprio ad avviare una riflessione su questo.

Particolare attenzione sarà dedicata alla previsione del nuovo reato di rivolta penitenziaria, rispetto al quale, fin da subito, si sta valutando la possibilità di sollevare questione di legittimità costituzionale.

Hanno confermato finora la presenza: Stefania Ascari (Deputata M5S), Giuseppe De Cristofaro (Senatore AVS), Michela Di Biase (Deputata PD), Giuseppe Losappio (UCPI), Riccardo Magi (Deputato +Europa), Rocco Gustavo Maruotti (segretario generale ANM), Debora Serracchiani (Deputata PD), Walter Verini (Senatore PD).

Studiosi, organizzazioni internazionali, società civile concordano nel ritenere che il decreto costituisca un provvedimento pericoloso e dannoso per la tenuta dello Stato di diritto, nonché inutile per garantire l’obiettivo della sicurezza che si è prefissato.

Purtroppo nel disegno di legge di fatto il tutto resta invariato prevedendo, come unica modifica, che nel caso di donne con bambini al di sotto di 1 anno, la detenzione (sia dopo la condanna, sia in custodia cautelare) avvenga negli Icam, strutture che sono comunque carcerarie. Sopra questa età del bambino, invece si potrà valutare se far scontare la pena in un Icam o direttamente in carcere.

Una cosa invece cambia e cambia in un senso totalmente negativo.
Per la prima volta in assoluto si apre alla possibilità che il bambino venga strappato a sua madre.
Il decreto prevede infatti che la donna che non si comporta a dovere (compromette l’ordine o la sicurezza dell’istituto, diciture – di cui il decreto è pieno – sufficientemente vaghe da permettere qualsiasi arbitrio) mentre è sottoposta alla custodia cautelare in un Icam possa venire trasferita in un carcere ordinario senza suo figlio. Per lui o per lei verranno allertati i servizi sociali.
Fino a ora non si era mai pensata una misura simile e auspichiamo che il Parlamento, in sede di conversione del decreto, decida di modificarla.

Ne scrive Susanna Marietti nel suo blog su Il Fatto Quotidiano.

Sì, in carcere, a Rebibbia c’è il lavoro. Ed è duro, sfruttato. Senza diritti. Ecco perché chiediamo a chi sta fuori di andare a votare al referendum di giugno. Di andare a votare sì, per abrogare le norme che hanno ridotto i diritti sul lavoro, i diritti delle persone che vivono in questo paese. Magari – perché non sperarlo? – far crescere i diritti “fuori da queste sbarre” avrà ricadute anche per chi vive e lavora dietro quelle sbarre.

I detenuti della redazione di Radio Rebibbia – Jailhouse Rock

Ora auspichiamo che tutte le carceri si adeguino alle linee guida presenti nella circolare.