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[nuovopci] Usare la campagna referendaria per rafforzare il nostro campo e indebolire quello nemico

Comunicato CC 10/2025 – 15 maggio 2025

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Usare la campagna referendaria per rafforzare il nostro campo e indebolire quello nemico

Due buoni motivi per cinque SÌ

Darsi i mezzi della propria politica, valorizzare gli appigli che il corso delle cose offre e sfruttare le contraddizioni del campo nemico

 

Il raggiungimento del quorum e la vittoria dei SÌ rafforzerebbero tutto il movimento di lotta contro il governo Meloni e indebolirebbero il campo nemico: sono due buoni motivi per impegnarsi nella campagna referendaria.

Raggiungere il quorum è possibile. L’abrogazione delle parti del Jobs act che hanno sostituito il risarcimento economico all’obbligo di reintegra in caso di licenziamento illegittimo e messo un tetto di sei mensilità di risarcimento in caso di licenziamento illegittimo nelle aziende con meno di 15 dipendenti, la limitazione dell’uso dei contratti a termine, la responsabilità dell’azienda committente in caso di infortunio dei lavoratori dipendenti da un’azienda che lavora in appalto e la riduzione da 10 a 5 anni del tempo necessario agli stranieri residenti in Italia per chiedere la cittadinanza italiana sono nell’interesse dei lavoratori e del resto delle masse popolari.

Non è un risultato che viene da sé, occorre darsi i mezzi per raggiungerlo. Bisogna fare della campagna referendaria una campagna di propaganda, di organizzazione e di mobilitazione dei lavoratori e del resto delle masse popolari, di coordinamento dei sindacati combattivi, dei comitati, delle associazioni, delle reti e di quanto esiste di già organizzato tra le masse popolari, degli esponenti della sinistra sindacale, dei sinceri democratici, degli esponenti della sinistra borghese non ciecamente anticomunisti. Fare della campagna referendaria la componente di un movimento generale per cacciare il governo Meloni e sostituirlo con un governo d’emergenza popolare è la condizione prima per vincere i referendum e poi per attuarne gli esiti in caso di vittoria dei sì: è la lezione del referendum sull’acqua pubblica del 2011. È, allo stesso tempo, il modo per proseguire la lotta anche in caso di sconfitta: il referendum di giugno non è la “madre di tutte le battaglie”, è una battaglia all’interno della guerra che oppone le masse popolari ai vertici della Repubblica Pontificia e alla Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti USA, sionisti, europei e annessi, una guerra che è iniziata prima e continua dopo il referendum.

Le obiezioni “da sinistra” a impegnarsi a fondo nella battaglia referendaria sono varie. “È impossibile raggiungere il quorum, quindi è una battaglia persa in partenza”. “I quesiti referendari sono parziali”. “I referendum sono promossi da un sindacato concertativo che anche in tempi recenti ha firmato contratti al ribasso e accordi bidone, che fa da pompiere alle lotte, che alza la voce e poi fa marcia indietro seminando illusioni e sfiducia nei lavoratori che gli vanno dietro: basta pensare che l’appello alla rivolta sociale di Maurizio Landini è diventato che il voto è la nostra rivolta!”. “Nei comitati referendari ci sono esponenti del PD, parte integrante del sistema delle Larghe Intese che ha attuato in alternanza con il polo Berlusconi e soci il programma comune della borghesia imperialista negli ultimi trent’anni”. “Con il voto non si cambia il corso delle cose”.

Sono le obiezioni di chi non ha un piano d’azione che gli permette di valorizzare gli appigli che la situazione offre, di sfruttare e allargare le contraddizioni in campo nemico, di muovere tutto quello che è possibile muovere (compresa quella parte della “opposizione parlamentare” al governo Meloni che, per contenere l’emorragia di seguito e voti tra le masse popolari, deve proclamare obiettivi che non ha attuato quando era al governo) per attuare il proprio piano d’azione. L’idea sottintesa è che “l’ora” dei comunisti, dei sindacati combattivi e in generale dei reali oppositori alla classe dominante arriverà quando i lavoratori finalmente capiranno che con i sindacati di regime e i partiti dei falsi “amici del popolo” vanno di male in peggio, quindi quello che conta è distinguersi da questi ultimi e denunciarne l’operato.

Per chi lavora alla mobilitazione delle masse popolari e in questo lavoro costruisce le basi e raccoglie le forze per un corso delle cose che ha come protagoniste le masse popolari organizzate la campagna referendaria è un’occasione importante, perché di per sé in qualche misura mette comunque in moto gli operai e gli altri proletari, cioè le classi fondamentali per cambiare il corso delle cose nel paese. Noi comunisti possiamo e dobbiamo usarla per arrivare ai milioni di lavoratori e pensionati iscritti alla CGIL concertativa (insofferenti, non votanti, ribelli, ecc.), per organizzarli, per elevare il loro orientamento, per portare proposte di organizzazione e di lotta, per promuovere attività coerenti con gli obiettivi della campagna referendaria che la CGIL ha promosso ma a cui non dà gambe per marciare.

Proprio perché ci proponiamo di diventare la loro autorevole direzione, interpreti riconosciuti delle loro aspirazioni migliori e risposta pratica alle loro necessità, ci gioviamo anche dell’iniziativa della CGIL anziché disinteressarcene, la usiamo per attuare il nostro piano d’azione, senza accodarci alla CGIL ma con autonomia di iniziativa.

La campagna referendaria si svolge in un contesto di crisi del sistema di potere della borghesia imperialista a livello di relazioni internazionali e all’interno di ogni paese. Nel nostro paese tra i lavoratori e nel resto delle masse popolari del nostro paese crescono il malcontento e l’indignazione contro il governo Meloni, l’opposizione al protettorato USA, alla complicità con i sionisti di Israele e alla gabbia dell’UE si combina con le mille lotte contro il riscaldamento climatico e la crisi ambientale, lo smantellamento dell’apparato produttivo, la privatizzazione della sanità, della scuola e degli altri servizi pubblici, la precarietà a vita, la persecuzione degli immigrati, la repressione. In questa situazione il referendum lanciato dalla CGIL farà il suo corso, tanto più quanto più i comunisti e i lavoratori combattivi lo useranno per rafforzare nella parte avanzata delle masse popolari l’orientamento a cacciare il governo Meloni, per promuovere l’adozione di metodi di lotta adeguati alla situazione, per rafforzare l’organizzazione, per estendere ed elevare di livello la mobilitazione popolare.

Meloni & C. hanno boicottato e stanno boicottando in vari modi il referendum. Prima hanno rifiutato la richiesta della CGIL di accorparlo al primo turno delle elezioni comunali del 25 e 26 maggio e hanno accolto la richiesta di dare la possibilità di voto agli italiani all’estero a patto però che presentassero la domanda di voto entro il 4 maggio, quando cioè anche in Italia il grosso delle persone del referendum sapeva poco o niente; poi hanno steso il silenzio stampa sui quesiti referendari; infine si sono messi a promuovere l’astensione, a partire dal presidente del Senato Ignazio La Russa.

Per non tradursi in disfattismo e rassegnazione, la denuncia delle manovre del governo deve essere accompagnata come minimo da un’azione per far conoscere su ampia scala i contenuti dei referendum nonostante tali manovre. Era scontato che Meloni e soci avrebbero usato gli strumenti di cui dispongono per boicottare il referendum: perché avrebbero dovuto fare diversamente? Cosa nel loro operato dal 2022 a oggi dava a intendere che avrebbero fatto diversamente?

Le modalità in cui è viene condotta la campagna referendaria è anche il primo metro di misura della possibilità di attuarne i risultati in caso di vittoria dei sì. Altrimenti a cosa servirebbe andare a votare? A fare atto di presenza o di testimonianza?

Quando argomentano contro il referendum, Meloni e compari si danno la zappa sui piedi. O mentono sapendo di mentire a proposito di nuovi posti di lavoro, crollo della disoccupazione e ripresa dell’economia italiana, cose che ogni lavoratore, ogni precario, ogni disoccupato, ogni pensionato può verificare per esperienza diretta.

La realtà della ripresa economica del governo Meloni

– I “nuovi” posti di lavoro. Secondo i dati forniti dall’Istat, a ottobre 2024 le persone occupate erano 24.092.000 mentre a ottobre 2023 erano 23.729.000 e a ottobre 2022 erano 23.231.000.

Cosa dicono questi numeri e cosa si nasconde dietro le cifre?

1. La crescita dell’occupazione dopo il crollo del periodo della pandemia (2020-21) è costante: ad es. tra ottobre 2022 e ottobre 2021 l’Istat certificava un aumento di occupati di 500.000 unità. L’aumento è stata determinato dalla ripresa post pandemia (in particolare alla ripresa del settore turismo e servizi collegati) e da alcune misure messe in atto dai “governi della breccia” (Conte 1 e 2) come i bonus edilizi (facciate, 110%, ecc.) e dalle opere finanziate con il fondi del PNRR.

2. Tra ottobre 2024 e ottobre 2023 sono diminuiti anche se di poco gli occupati nella fascia di età 15-24 anni (-3.000 unità), restano stabili quelli della fascia 35-49 anni, aumentano di poco (+60.000) quelli della fascia 25-34 anni, mentre il vero aumento (+306.000) è nella fascia 50 anni e più. Questo significa che sono sostanzialmente diminuite le persone che vanno in pensione o che negli anni scorsi andavano in pensione anticipata (ricordiamo che tra il 2020-21 grazie all’introduzione di Quota 100 sono andati in pensione anticipata 400.000 persone).

La sintesi è che i giovani continuano a non trovare lavoro e aumentano quelli che emigrano all’estero per lavorare (+90.000 nel 2023) e che la quasi totalità (l’85%) dei “nuovi” posti di lavoro “creati” dal governo Meloni (306.000 su 360.000) sono dovuti all’allungamento dell’età lavorativa (riforma Fornero) per quanti già lavorano (con le conseguenze che questo comporta (aumento di malattie professionali, infortuni e morti sul lavoro), alimentato anche dall’eliminazione – o riduzione dei vantaggi – delle varie forme di pensionamento anticipato (Quota 100, Quota 102, Opzione donna, APE sociale) previste dai governi precedenti per attenuare gli effetti della riforma Fornero … con buona pace delle promesse elettorali di Meloni-Salvini-Tajani (cancellazione della riforma Fornero, aumento delle pensioni minime a 1.000€ al mese, riduzione di tasse e accise, riduzione delle tasse per tutti i lavoratori dipendenti).

– La “riduzione” del numero dei disoccupati. Sempre secondo i dati Istat, i disoccupati (persone in cerca di lavoro) sono passati da 1.969.000 di ottobre 2022 a 1.473.000 di ottobre 2024, quindi sono diminuiti di 496.000 unità. Anche qui Meloni & C. giocano sui numeri. Nel corso dell’ultimo anno sono aumentati di ben 378.000 le persone inattive, cioè persone tra i 15 e i 64 anni che non lavorano e che risultano non cercare lavoro secondo i canoni fissati per entrare nella categoria dei disoccupati (sul numero dei disoccupati reali e sugli inattivi vedasi l’articolo Analisi di classe della società italiana, pagg. 20 e 24 di La Voce n.78). Questi dati confermano e rafforzano quanto detto sopra sull’aumento di giovani e meno giovani che non trovano o non cercano lavoro perché “scoraggiati” o perché i posti che vengono offerti sono malpagati e/o super sfruttati.

– La “ripresa economica”. Alcuni pochi dati bastano a sbugiardare la recita di Meloni & C.

1. L’aumento delle famiglie e individui poveri di 200.000 in due anni (dovuti agli effetti legati all’eliminazione del Reddito di Cittadinanza e all’aumento di lavoratori che pur lavorando non percepiscono un salario sufficiente a campare), che sono arrivati a 5,7 milioni di individui.

2. Il dimezzamento delle previsioni del governo per quanto riguarda il PIL (Prodotto Interno Lordo) del 2024, passato da 1,1% a 0,5% (quello reale).

3. Il continuo aumento di prezzi e tariffe (aumento dell’inflazione) che negli ultimi due anni è stato del 15% (che si somma a quello degli anni precedenti arrivando all’aumento dal 30 al 50% dei prezzi di beni e servizi di prima necessità).

4. Il continuo calo della produzione industriale: – 6,1% negli ultimi due anni (-2,5% nel 2023 e -3,6% nel 2024), con il crollo di alcune settori (-40% industria dell’automobile) e per il 2025 la situazione si presenta ancora più nera (vedi Stellantis e indotto).

5. L’aumento delle ore di CIG (cassa integrazione). Secondo i dati dell’Inps sono state 44,9 milioni le ore autorizzate a settembre 2024, in crescita rispetto al settembre del 2023 quando erano 37,8 milioni, con un’ulteriore impennata nel 2025 (vedi stabilimenti Stellantis, Ilva, ecc.). Ricordiamo che la CIG comporta la riduzione del 20-30% dei salari dei lavoratori.

6. Il rapporto del Censis (Centro Studi Investimenti Sociali) di dicembre 2024 fotografa l’Italia come un paese che galleggia economicamente e socialmente: aumento della povertà, salari che non crescono ma diminuiscono (-7% rispetto a vent’anni fa), produzione industriale in calo, ecc.

Oppure, in buona compagnia con Renzi e parte del PD, Meloni e compari sostengono che i referendum sarebbero un “ritorno al passato”, dichiarando così – anche se indirettamente – che la “modernità” per i padroni e le loro autorità è il ritorno al passato della precarietà, del cottimo, dello sfruttamento all’osso, dei reparti confino, dell’arbitrio padronale a cui gli operai e il resto dei lavoratori avevano messo un freno quando il movimento comunista era forte nel nostro paese e nel mondo. La società borghese, ultramoderna, postmoderna, postindustriale e tutto il resto che vogliono dire e che dicono ogni giorno con dovizia di mezzi e con strumenti raffinati, in realtà resta basata sull’estorsione di tempo di lavoro non pagato. Lo sfruttamento del lavoratore salariato da parte del capitalista resta la cellula costitutiva dell’intera società, per quanto grandi e articolate siano le mistificazioni che lo nascondono e ancora più grandi, articolati e raffinati i discorsi fumogeni sparsi a piene mani allo scopo di confondere e fuorviare i lavoratori, di seminare disperazione o rassegnazione dove invece serve semplicemente organizzare la lotta di classe fino a farla finita con l’ordinamento capitalista e instaurare il socialismo.

Le manovre e le menzogne di Meloni e dei suoi compari hanno le gambe corte, tanto più quanto più noi saremo capaci di fare della campagna referendaria una campagna di propaganda, di organizzazione, di mobilitazione e di coordinamento contro il governo e i suoi padrini:

– far conoscere i quesiti referendari con iniziative di propaganda incisive, capillari, rumorose e senza farsi legare le mani da regole e prassi,

– promuovere la formazione di comitati referendari in ogni azienda capitalista e pubblica, per organizzare i lavoratori decisi a darsi da fare e mettere così le basi perché continuino a operare anche dopo il referendum,

– formare comitati referendari di quartiere e città, che riuniscano le forze anti Larghe Intese,

– collegare la battaglia referendaria alle mille mobilitazioni contro la guerra e l’economia di guerra, contro il disastro ambientale, contro la chiusura e la delocalizzazione delle aziende, contro la precarietà, la repressione e la persecuzione degli immigrati,

– unire intorno all’obiettivo di cacciare il governo Meloni e sostituirlo con un governo di emergenza popolare.

Cambiare il corso delle cose richiede che il governo del paese sia in mano a chi vuole cambiarlo. Non basta impedire al governo Meloni e ai padroni di fare, non basta opporsi alla borghesia che cerca di uscire dalla crisi con la mobilitazione reazionaria delle masse (guerra all’esterno e sopraffazione dei lavoratori e degli immigrati all’interno). Opporsi è necessario, ma serve solo a ritardare l’opera criminale della borghesia. Se ci si oppone e basta, prima o poi le cose vanno nel verso in cui la borghesia spinge. Agitare obiettivi giusti senza però indicare e costruire le gambe per realizzarli, porre obiettivi monchi, unilaterali, irrealizzabili per le masse popolari se non prendono in mano esse il governo del paese, rafforza le manipolazione della destra reazionaria. La parabola dei governi M5S parla chiaro. Oggi i gruppi che scimmiottano il fascismo e il nazismo del secolo scorso inalberano anch’essi obiettivi monchi e di senso comune come l’uscita dall’Unione Europea, il no alla guerra e simili: ma loro si giovano della residua influenza che i padroni e gli altri ricchi esercitano sulle masse popolari e dei mezzi delle classi dominanti per prendere la testa delle masse popolari malcontente e indignate e trascinarle in “guerre tra poveri” e in distruzioni ancora maggiori delle attuali, sempre sotto il dominio della borghesia imperialista.

L’opposizione deve avere una prospettiva. Occorre indicare e promuovere, preparare e organizzare una via d’uscita favorevole alle masse popolari, dare uno sbocco politico comune a ogni lotta.

Non è la disponibilità delle masse popolari a mobilitarsi e lottare che manca, è che la mobilitazione delle masse può svilupparsi a condizione che alla sua testa vi sia chi è determinato a vincere!

Spezzare la subordinazione del nostro paese al protettorato NATO e alle imposizioni dell’Unione Europea e dei sionisti d’Israele: è l’obiettivo comune di tutte le lotte delle masse popolari in corso nel paese!

Cacciare il governo Meloni e sostituirlo con un Governo di Blocco Popolare che agisca al servizio delle masse popolari organizzate: per ogni rivendicazione delle masse popolari esso è la condizione della sua soddisfazione!

Unire intorno a questo obiettivo la mobilitazione delle masse popolari che attualmente si esprime in molte lotte organizzativamente ancora distinte.

Rompere con la tendenza a limitarsi a resistere agli attacchi dei nemici e passare sempre più spesso all’attacco. Individuare il punto e il momento giusti, concentrare le forze, attaccare e strappare dei risultati, vincere! Imparare a capire dove, quando e come attaccare per vincere!

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