Vincenzo Brandi – 29/05/2025
IL VOTO AI 5 REFERENDUM
DUBBI, PERPLESSITA’ E RIFLESSIONI
Diciamo subito, a scanso di equivoci, che in linea di massima vanno votati i 5 referendum in programma per l’8 e 9 giugno prossimi, e va dato un SI sia ai 4 referendum che riguardano problemi del lavoro, sia, con qualche dubbio in più, a quello relativo alla cittadinanza per i migranti.
Tuttavia non si può andare a votare con gli occhi chiusi sulla spinta di motivazioni scontate e facili entusiasmi, ma bisogna farlo in modo cosciente e senza evitare qualche riflessione anche critica.
I primi 4 referendum – che riguardano rispettivamente il reintegro nel caso di licenziamenti illegittimi, l’eliminazione del tetto della massima indennità per il licenziamento in aziende di meno di 15 dipendenti, le condizioni necessarie per l’erogazione di contratti a termine nell’ottica di limitare la precarietà del lavoro, e la responsabilità solidale tra committente, appaltatore ed appaltante con riferimento in particolare alle condizioni di sicurezza sul lavoro – sembrano essere stati indetti essenzialmente come surrogato alla mancanza di lotte ed iniziative sui problemi del lavoro, che ha afflitto, ormai da molti anni, il sindacalismo confederale. In particolare il primo di questi referendum va addirittura ad abrogare disposizioni previste dalla Legge 183 del 2014 e del conseguente Decreto Legislativo N. 23 del 4.3.2015 (cosiddetto Job’s Act) che fu voluto addirittura da quelle forze politiche della cosiddetta “sinistra” che ora ne chiedono l’abrogazione.
Fermo restando la giustezza dei singoli contenuti dei referendum, l’aver spostato le richieste di abrogazione dal terreno delle lotte a quello dei referendum rischia di tramutarsi in una vittoria d’immagine della “Destra” per l’obiettiva difficoltà di raggiungere il Quorum del 50% dei votanti, danneggiando anche la reputazione di uno strumento di democrazia popolare come il referendum.
Per quanto concerne il quinto referendum, che vorrebbe dimezzare il periodo di 10 anni necessario ai migranti per ottenere la cittadinanza, dare un SI (come penso che farà alla fine anche chi scrive) significa sostanzialmente intervenire in maniera “umanitaria” su situazioni difficili già esistenti tra singoli migranti e loro famiglie. Sarebbe però un errore interpretarlo come un incoraggiamento generico al fenomeno globale della migrazione (e bene ha fatto il Movimento 5 Stelle ad indicare “libertà di voto” su questo specifico punto).
Già in precedenti articoli avevamo fatto notare che il fenomeno della moderna migrazione non ha la valenza genericamente “progressista” che buona parte della “sinistra” occidentale vorrebbe attribuirgli. Anzi, avevamo sottolineato come questo fenomeno globale rischia di diventare come un moderno commercio degli schiavi, dove masse di persone, abbacinate dal mito dell’Occidente ricco pronto ad accoglierle, rinunciano a lottare per un avvenire migliore del loro paese per rivendicare invece il diritto di poter fare qualsiasi lavoro sottopagato e precario nei paesi ricchi, senza garanzie di non finire nella più completa emarginazione. Non è così che può risolversi il problema della povertà nel mondo. Il fenomeno della migrazione può al massimo risolvere il problema di qualche singolo fortunato e privilegiato.
Oggi masse di persone negli ex paesi del “terzo” e “quarto” mondo lottano contro il neo-colonialismo e l’imperialismo occidentale per lo sviluppo dei loro paesi e per farli uscire dalla povertà, dalla dipendenza e dallo sfruttamento di potenze ex-coloniali. Il fenomeno dei BRICS – gruppo di paesi che, pur nelle rispettive differenze, guida la maggioranza dell’umanità verso un destino di indipendenza e reale progresso – ne è il simbolo più luminoso. Ne è simbolo luminoso anche l’ostinata resistenza del popolo palestinese verso i continui tentativi dei genocidi, sostenuti dall’Occidente. di sradicarli dalla propria terra.
Anche nel caso che le migrazioni siano causate da motivi oggettivi, come guerre di aggressione nei confronti di paesi che l’Occidente ha deciso di distruggere per propri fini (come nel caso della Siria, Iraq, Libia, Afghanistan, Sudan, ecc.) e nel caso di paesi vittime di feroce sfruttamento e colpi di stato mirati (come nel caso della Costa d’Avorio e altri paesi dell’Africa Occidentale, e non solo), la risoluzione del problema sta nel costringere l’Occidente imperialista a non commettere più questi crimini. E non certamente nella presunta salvezza individuale di limitati gruppi di persone
IL FENOMENO QUANTISTICO DELL’ENTANGLEMENT.
L’ESPERIMENTO EPR, BOHM E L’ONDA-PILOTA, LE DISEGUAGLIANZE DI BELL, GLI ESPERIMENTI DI CLAUSER, ASPECT, ZEILINGER.
VERSO UN NUOVO DETERMINISMO “NON-LOCALISTICO” ?
(L’articolo è tratto liberamente dal libro “conoscenza, scienza e filosofia” di V- Brandi, 2020)
Uno degli aspetti più interessanti della fisica quantistica,- di cui sentiremo certamente parlare anche in sviluppi futuri – è quello legato al fenomeno della “correlazione quantistica” (in inglese: “Entanglement“) (1)(2). Questo fenomeno consiste nel fatto che se si producono due particelle (in particolare elettroni) da una stessa fonte in condizioni particolari, le due particelle assumono un comportamento analogo ed interdipendente anche se le si allontana a notevole distanza in modo che non possano interferire direttamente tra loro.
L’entanglement fu utilizzato da Einstein nel cosiddetto “Esperimento EPR”, un esperimento puramente “mentale” (cioè non attuato in pratica) ideato da Einstein, Podolski e Rosen per aggirare l’indeterminismo di Heisenberg (se due particelle si comportano allo stesso modo, si potrebbe misurare separatamente le velocità dell’una e la posizione dell’altra, determinandone con precisione lo stato, fatto la cui possibilità è negata da Heisemberg che dice che non si possono misurare posizione e velocità contemporaneamente con uguale precisione).
In realtà l’esperimento fu poi utilizzato da Einstein in modo diverso, e cioè per sollevare il dilemma: se la correlazione che è possibile creare tra due particelle distanti, sia dovuta a presunti “parametri nascosti” che ne hanno deterministicamente programmato le azioni fin dall’inizio (soluzione sostenuta da Einstein) , oppure se sia dovuta ad azioni istantanee a distanza tra le due particelle che violerebbero le leggi della relatività speciale che dicono che non si può superare la velocità della luce (e ciò costituirebbe un paradosso).
Nel 1951 il fisico statunitense David Bohm (1917-1990), allievo di Oppenheimer, riformulò il paradosso EPR in termini più ampi e precisi, risolvendolo poi in senso deterministico e “non-localistico” con la Teoria dell’Onda–Pilota o del Campo Pilota. Questa Teoria, detta anche di Bohm-De Broglie, derivava infatti da un’idea di De Broglie, secondo cui le particelle avevano un comportamento ondulatorio (perfettamente determinabile) in quanto dirette da un campo che ne orientava i movimenti con azioni istantanee a distanza (e quindi definite non-localistiche)(1)(2).
Bohm, sia per queste sue idee scientifiche eterodosse, sia per la sua militanza comunista che lo espose alle persecuzioni maccartiste, fu costretto ad emigrare in Brasile, dove ottenne la cittadinanza brasiliana, e poi in Inghilterra(2). Le sue impostazioni furono in seguito condivise dall’intelligente fisico nord-irlandese John Stewart Bell (1928-1990), noto anche come progettista di macchine acceleratrici.
Bell era soprattutto noto per aver sviluppato il Teorema che porta il suo nome, esprimibile anche come “Diseguaglianze di Bell”, che dimostra come in caso di fenomeni “localistici” (che avvengono cioè localmente in un dato istante senza effetti istantanei a distanza) non possano esservi parametri nascosti e dovrebbero comparire diseguaglianze nelle correlazioni statistiche tra particelle. Bell però ammetteva che in caso di fenomeni non-localistici con trasmissione istantanea di azioni (fenomeni definiti da Einstein come “inquietanti azioni a distanza”)(1) il determinismo rientrava in gioco e scomparivano le diseguaglianze. Queste idee furono espresse da Bell anche in una conferenza del 1984 in cui criticò Einstein per non aver accettato l’idea del non-localismo in difesa della teoria della Relatività Ristretta, ma criticò anche Bohr per averla sottovalutata.
Le previsioni di Bell sono state confermate da esperimenti condotti negli anni 1971-72 dal gruppo statunitense di John Clauser e Stuart Freedman, già in contatto con Bell, e poi nel 1982 dal più noto esperimento del francese Alain Aspect, che provocava delle polarizzazioni contemporanee a distanza di particelle “entangled” con l’uso di speciali prismi.
Altri esperimenti, che hanno sempre verificato la presenza di fenomeni istantanei a distanza e la validità del teorema di Bell, sono state condotte nel 1988 dal gruppo Geneva diretto da Tippel e nel 1998 dal gruppo di Innsbruck diretto dall’austriaco Zielinger, che ha effettuato misure a 144 Km di distanza tra le isole di Palma e Tenerife. Altri esperimenti sarebbero stati condotti nel 2015, e nel 2017 anche in Cina, fino a 1500 Km di distanza (tra la Terra ed un satellite), ed avrebbero pienamente confermato i risultati precedenti.
Questi esperimenti dimostrerebbero che la nostra percezione dello spazio è il modo in cui la specie umana ha imparato a percepire la realtà, che però sarebbe molto diversa e completamente correlata in ogni sua parte. Per “salvare” il principio della relatività ristretta, secondo cui i fenomeni fisici non possono trasmettersi a velocità superiore a quella della luce, è stato varato un “teorema della non-comunicazione”, secondo cui le azioni istantanee a distanza non danno luogo a comunicazione di segnali.
Nell’ottimo recente libro del 2015(1) di George Musser, “Inquietanti azioni a distanza”- si sostiene che la non-località è presente in molti altri settori, anche diversi dall’Entanglement. Uno di questi settori è costituito da alcuni aspetti delle teorie sui buchi neri. Un altro settore è la straordinaria omogeneità osservata nelle caratteristiche di galassie lontanissime poste ai margini opposti dell’Universo. Per spiegare questo fenomeno esiste una teoria, definita inflazione, secondo cui le galassie, vicinissime dopo il Big-Bang, si siano poi allontanate di colpo a velocità superiori a quella della luce a causa della crescita subitanea dello spazio intergalattico.
Questa teoria, sostenuta anche da Charles Misner (autore insieme a John Wheeler e K.S. Thorne del celebre libro del 1973, “Gravitation”), “salverebbe” la Relatività Ristretta di Einstein, pur considerando un’espansione dell’Universo a velocità superiori di quella della luce. Sarebbe infatti lo spazio a dilatarsi e non le singole galassie ad allontanarsi.
Molti altri fisici, tra cui gli statunitensi S. Giddins, N. Harkani-Hamed e L. Susskind, l’argentino J. N. Maldacena e la greca F. Markoupolou-Kalamara, parlano di fenomeni non-localistici che interesserebbero sia i buchi neri che l’intero Universo. In alcuni autori si trovano anche concetti come quelli di “cunicoli spaziali” e “Wormholes” (letteralmente “buchi di vermi”), che metterebbero in comunicazione diretta punti distanti dell’Universo.
Secondo il fisico teorico dell’Università di Lovanio, Jean Bricmont, queste teorie potrebbero rilanciare il concetto di “determinismo” a livello più profondo, mettendo in relazione il tutto(26).
Anche il grande fisico Max Planck, prendendo posizione nella polemica tra Einstein ed i fisici quantistici “ortodossi”, ha espresso la convinzione che una forma più avanzata di fisica quantistica avrebbe recuperato il determinismo. “Credo fermamente, come la maggior parte dei fisici, che l’ipotesi quantistica troverà infine la sua perfetta espressione in alcune equazioni che saranno una formulazione più esatta della legge di causalità” (27).
(1) G. Musser, “Inquietanti Azioni a Distanza”, Adelphi, 2019
(2) J. Bricmont, “Quantum Sense and Nonsense”, Springer, 2017

