Forum Italiano dei Comunisti – 13/06/2025
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Quando siamo andati a votare per i cinque referendum alcuni di noi si sono fatti i conti e hanno dedotto che nelle condizioni attuali il quorum era impossibile da raggiungere. Se consideriamo infatti che circa il 50% non va a votare, con il restante 50%, data la posizione astensionista della destra, si poteva raggiungere sì la maggioranza, ma dei votanti e non degli aventi diritto al voto. E così è stato.
Se qualcuno ha pensato, al contrario, che i referendum avrebbero coinvolto gli astensionisti non ha riflettuto seriamente sulle ragioni che per cui l’astensione ha ormai raggiunto circa la metà degli elettori e sulla sua natura, non ha capito che bisogna prendere atto che non è soltanto rifiuto delle istituzioni, ma anche una profonda estraneazione dai meccanismi che il sistema politico italiano esprime.
Per loro, per i non votanti a prescindere, il rifiuto del voto è diventato non tanto una posizione politica, quanto un fatto culturale, di disinteresse verso un rito considerato inutile. Non sarà dunque facile modificare questa situazione e a nulla valgono le esortazioni a partecipare in mancanza di segnali seri che cambino la situazione.
Del resto i referendum, ad eccezione del 5° sulla cittadinanza, non erano di facile lettura, anche se molti compagni e compagne hanno ben capito di che cosa si trattava.
Ma allora, se il mancato raggiungimento del quorum era prevedibile, perchè provarci?
E’ una bella domanda. Se dobbiamo attenerci a ciò che circola nell’area del criticismo di sinistra sembra che la sconfitta non abbia padri e che chi ha lanciato il sasso andando a votare ora cerca di nascondere la mano. Noi non siamo tra costoro e pensiamo di aver ben ragionato sulla questione dei 5 referendum.
Partiamo dai quesiti. Probabilmente chi ha promosso i referendum ha fatto più un calcolo politico che una previsione di vittoria e la proposta è stata partorita nel laboratorio Landini-Schlein per marcare, dal punto di vista sindacale e di lotta al governo Meloni, una presenza che risulta tanto più necessaria se si considera che c’è bisogno di creare una alternativa. L’operazione è stata dunque un fallimento?
A nostro parere no, visto che oggettivamente il quorum risultava impossibile e si è puntato più su una mobilitazione che alla fine ha prodotto un 30% di consensi e più di qualcuno, giustamente, ha messo in evidenza che i partecipanti al voto hanno superato i voti della destra. E questo è un fatto non da poco. Si è trattato di un voto militante.
Più in generale perciò la prova dei referendum va considerata un passaggio della più ampia partita della costruzione di un’alternativa al governo della destra.
A questo proposito all’inizio si parlava di ‘campo largo’, una sorta di assemblaggio aritmetico delle forze parlamentari di opposizione. Ora la questione si sta sviluppando in maniera dialettica tra le componenti e il terreno di confronto si fa più interessante.
Ha iniziato Conte con la manifestazione del 5 aprile contro il riarmo, con la partecipazione di AVS di Fratoianni e Bonelli, c’è stata poi la grande manifestazione del 7 giugno per Gaza e anche la battaglia sui referendum deve essere considerata all’interno di una prospettiva di alternativa al governo Meloni.
In ballo naturalmente c’è anche il ruolo dell’ala liberal-imperialista di cui è espressione la destra PD, ma su questo i conti si faranno alla fine. Due cose sono certe però: nessuno ci regalerà un’alternativa vera senza la capacità di crescita dentro una prospettiva unitaria di cui i comunisti devono essere parte e senza il superamento di una posizione di arroccamento che non ha una progettualità. Diciamo pure che quella che si sta svolgendo è una battaglia in cui si dimostrerà se una sinistra critica è capace solo di indicare ‘il paese che vorrei’ senza saper fare e far fare un passo in avanti alla situazione.

