[nuovopci] Cremaschi, la rottura e gli insegnamenti del luglio 1960

Avviso ai naviganti 159 – 13 luglio 2025

 

30 giugno – 19 luglio 1960: 65° anniversario dei “fatti di Genova” e della caduta del governo Tambroni

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“Non basta l’opposizione, è necessaria la rottura”

A ragione Giorgio Cremaschi, autorevole esponente di Potere al Popolo, afferma che “le decisioni del vertice NATO in Olanda impongono scelte nette come non mai. L’Occidente marcia verso la terza guerra mondiale […] O si è contro tutto questo o si è complici di tutto questo. Non ci sono vie di mezzo, fanno danno le piccole astuzie e gli ossimori linguistici che coprono opportunismi reali. Se si è contro la guerra bisogna essere contro ogni riarmo. E se si è contro il riarmo, bisogna essere contro la NATO e la UE che ne è socia. Ciò che serve oggi in Italia ed in Europa è una mobilitazione senza precedenti per uscire dalla NATO e metterla in crisi.

I portuali di Genova e i lavoratori dell’aeroporto di Brescia che hanno fermato i trasporti di armi indicano la via. Non basta l’opposizione, è necessaria la rottura” (da Fuori dalla guerra vuol dire fuori dalla NATO, pubblicato il 27.06.2025 su Contropiano)

Stante la gravità della situazione e il ruolo che già oggi può svolgere ai fini della rottura l’area che comprende non solo Potere al Popolo, ma anche Rete dei Comunisti, ex OPG, Cambiare Rotta, OSA e soprattutto USB, bisogna però essere chiari e netti: in che cosa consiste la rottura necessaria a uscire dalla NATO e farla finita con la Terza guerra mondiale?

Nel costruire un polo elettorale NO NATO che alle prossime elezioni raccolga un numero di voti sufficiente a governare?

Nel moltiplicare le iniziative di lotta per fare pressione sul governo Meloni o un altro governo delle Larghe Intese affinché decida di uscire dalla NATO?

Oppure vuol dire cacciare il governo Meloni e sostituirlo con un governo che è deciso a uscire dalla NATO e ha la forza di farlo?

È difficile per i sinceri oppositori del governo Meloni, delle Larghe Intese, della guerra e persino per buona parte dei partiti e delle organizzazioni dell’attuale movimento comunista pensare che è possibile una rottura nel regime politico del nostro paese. Che verrà meno la continuità istituzionale per cui un governo succede ad un altro, rispettando le forme stabilite e le autorità che vi presiedono ufficialmente (Presidente della Repubblica, Parlamento) e di fatto (imperialisti USA, sionisti e UE, Vaticano, organizzazioni della criminalità organizzata, Confindustria e altre organizzazioni padronali), ed è costituito da politici di lunga data o da personaggi della “società civile” alla Monti, Cottarelli, Cingolani e simili, cioè uomini di provata fiducia della borghesia imperialista, del clero e delle altre classi dominanti o addirittura loro dipendenti. Che si formerà un sistema politico che romperà con quello ora vigente e che risale alla fine della Resistenza antifascista, quando nel nostro paese fu instaurata l’attuale Repubblica Pontificia.

Per 60 e passa anni siamo stati abituati alla continuità politica, quindi abbiamo perso esperienza e concezione della rottura. Nei paesi dell’Europa occidentale, dopo la Seconda Guerra Mondiale e prima dell’inizio della seconda crisi generale del capitalismo, ci sono state poche esperienze di rotture della continuità formale dei regimi politici: casi in cui in un paese si è imposto un governo costituito al di fuori delle procedure previste, ma che era imposto dalla necessità di far fronte a una situazione d’emergenza. C’è stata una rottura politica in Francia nell’autunno 1958 (conseguenza della crisi algerina). Ci sono state varie discontinuità in Grecia, l’ultima nel 1974 con l’eliminazione del regime dei colonnelli. C’è stata una rottura politica in Portogallo nel 1975 (conseguenza delle vittoriose guerre di liberazione nazionale nelle colonie portoghesi). C’è stata una mezza rottura politica in Spagna nel 1976-1978, pilotata dalla monarchia dopo la morte di Franco. Le rotture politiche che ci sono state alla fine degli anni ‘80 in Europa Orientale e in URSS, nei primi paesi socialisti, appartenevano invece a un altro contesto.

Sembra quindi inverosimile che la crisi attuale comporta e provocherà una discontinuità formale nel regime politico del nostro paese e degli altri paesi imperialisti. Viene dato per scontato che fino al 2027 ci sarà il governo Meloni, a meno che esso si dimetta e che il Presidente della Repubblica sciolga le Camere e indica nuove elezioni, a cui si presenteranno più o meno i partiti che sono in campo già oggi e che spetterà ad alcuni di essi formare il governo successivo.

In realtà la rottura della continuità del regime politico non è solo realistica e possibile, ma è inevitabile.

La questione è se, per quanto riguarda il nostro paese, avverrà per iniziativa dei vertici della Repubblica Pontificia oppure per iniziativa delle forze anti Larghe intese e dei comunisti. A ben guardare le cose, infatti, da quando nel 2008 la crisi è entrata nella sua fase acuta e terminale nel nostro paese – ma non solo – ci sono state mezze rotture di entrambi i tipi. Pensiamo al governo Monti nel 2011: frutto di un colpo di mano della Corte Pontificia avvenuto con la collaborazione di Napolitano e in stretta combinazione con le istituzioni europee, si è installato senza convalida elettorale ed esautorando le istituzioni rappresentative della Repubblica Pontificia. Pensiamo ai “governi della breccia”: stante l’avanzare della crisi del sistema politico il M5S di Grillo si è affermato alle elezioni come forza anti Larghe Intese ed è riuscito ad andare al governo, ma ha poi calato le braghe, a conferma del fatto che quello che fa la differenza non è la vittoria alle elezioni, ma l’esistenza di un certo numero di organizzazioni operaie e popolari, il loro coordinamento e il loro orientamento a costituire un proprio governo d’emergenza.

La questione è che i sinceri oppositori del governo Meloni, delle Larghe Intese, della guerra e persino buona parte dei partiti e delle organizzazioni dell’attuale movimento comunista considerano possibili e nell’ordine delle cose rotture come quelle alla Monti (da denunciare ed esecrare, ma tutto sommato normali), ma non osano immaginare rotture della continuità del regime politico per iniziativa delle forze anti Larghe Intese e dei comunisti: in realtà non c’è altro modo per uscire dalla crisi in cui siamo immersi e che è già sfociata nella Terza guerra mondiale.

Su come si arriva alla rottura, cioè a cambiare un governo senza passare attraverso le elezioni, sono istruttivi i fatti del luglio 1960. Cosa è successo tra giugno e luglio del 1960?

Il Vaticano e il resto della classe dominante avevano dato il via il 21 marzo 1960 al primo governo della Repubblica Pontificia sostenuto apertamente dagli ex repubblichini di Salò, i fascisti del boia Almirante: il governo Tambroni. E il Parlamento lo aveva votato a larga maggioranza. Ma le masse popolari non accettarono l’imposizione e, dopo mesi di proteste, il salto di qualità della mobilitazione popolare avvenne il 30 giugno 1960 a Genova, in occasione del congresso nazionale del MSI. A partire dal 30 giugno, la città fu attraversata per giorni da mobilitazioni che videro anche scontri con la polizia. Il 1º luglio la mobilitazione già si era estesa ad altre zone del paese: avvengono scontri a Torino e in Puglia, e nei giorni successivi nelle principali città. Il 6 luglio Porta San Paolo a Roma vide una manifestazione non autorizzata scontrarsi con i reparti dei carabinieri a cavallo. Il 7 luglio la mobilitazione di 20.000 lavoratori a Reggio Emilia fu repressa nel sangue dal fuoco della polizia che uccise 5 lavoratori. Il giorno successivo mobilitazioni a Firenze, Palermo, Catania e ancora Reggio Emilia per rispondere ai morti del giorno precedente. Il paese era diventato ingovernabile al punto che mise tanta paura al Vaticano e al resto della classe dominante, che signori e monsignori abbandonarono Tambroni al suo destino e per placare gli animi formarono il primo governo della Repubblica Pontificia sostenuto dal PSI di Nenni e sottobanco dal PCI di Togliatti: il governo Fanfani. E lo stesso Parlamento che aveva votato a larga maggioranza il governo Tambroni, votò a larga maggioranza il governo Fanfani. Così succederà ora, se metteremo abbastanza paura ai padroni e al Vaticano. Starà poi a noi fare in modo che il nostro governo d’emergenza non abbia un ruolo salva-padroni analogo a quello che ebbe allora il governo Fanfani.

È possibile cambiare il governo del paese senza passare per le elezioni

Oggi non siamo nel luglio del 1960, ma tra i lavoratori e il resto delle masse popolari del nostro paese cresce la preoccupazione per l’allargamento della Terza guerra mondiale e la corsa al riarmo imposti dai gruppi imperialisti USA, sionisti e UE e dalle loro istituzioni, crescono il malcontento e l’indignazione contro il governo Meloni che ha accettato la decisione del vertice NATO dell’Aia di aumentare le spese militari fino al 5% del PIL e il piano di riarmo UE da 800 miliardi di euro. L’opposizione alla guerra e all’economia di guerra, al protettorato USA-NATO, alla complicità con i sionisti di Israele e alla gabbia dell’UE si combina con le mille lotte contro il riscaldamento climatico e la crisi ambientale, il turismo predatorio e le grandi opere speculative, lo smantellamento dell’apparato produttivo, i morti sul lavoro, la precarietà a vita, i salari e le pensioni da fame, la liquidazione della sanità, della scuola e degli altri servizi pubblici, la strage di migranti e la persecuzione di quelli che sopravvivono, la repressione.

Si tratta quindi di dar vita ad un centro autorevole, un fronte di forze anti Larghe Intese (o comitato di salute pubblica o di salvezza nazionale che si voglia), che si pone l’obiettivo di costituire un governo di emergenza popolare facendo salire non solo di numero, ma anche di tono le mobilitazioni che da mesi attraversano il paese. Questa è la rottura che occorre, questa è la via per far cadere il governo Meloni ben prima della prossima tornata elettorale e sostituirlo con un governo che si impone con la forza che le masse popolari organizzate dispiegano quando un centro autorevole le chiama a mobilitarsi in ogni modo, anche a costo di far saltare regole e prassi del teatrino della politica borghese, su un obiettivo conforme ai loro interessi.

Si tratta, per i sinceri oppositori del governo Meloni, delle Larghe Intese, della guerra e per buona parte dei partiti e delle organizzazioni dell’attuale movimento comunista, di andare oltre la mentalità e i limiti delle forze di opposizione cronica, abituate a criticare, a mettere in dubbio, a chiedere o rivendicare. Di prendere atto che cercare di orientare chi governa il paese, premere su chi governa il paese, essere alla testa di una forza di pressione sul governo significa pestare l’acqua nel mortaio. Anziché sognare di avere “un governo amico”, di cui dopo le esperienze dei governi Prodi, Renzi e Gentiloni neanche gli oppositori di cui sopra vedono segnali, si tratta di mettersi all’opera per dare al malcontento popolare una prospettiva di governo del paese di cui siano protagoniste le masse popolari organizzate.

Il governo Meloni è tutt’altro che stabile e forte. Sta in piedi perché i principali promotori delle proteste e delle mobilitazioni popolari non si fanno ancora apertamente promotori della sua cacciata e non si sono ancora uniti e messi a capo di un Fronte anti Larghe Intese che promuove la costituzione di un governo di emergenza popolare e mobilita le masse popolari a questo fine

– usando ogni appiglio offerto dalla crisi politica e dalla guerra fra comitati di affari e gruppi di potere,

– valorizzando ogni forma di resistenza e di mobilitazione delle masse, in modo da rafforzare gli organismi operai e popolari esistenti, crearne di nuovi e promuovere il loro coordinamento,

– usando ogni occasione per rafforzare la rete degli organismi operai e popolari, affinché diventi una rete di nuove autorità pubbliche autonome dalle autorità della classe dominante e contrapposte ad esse, perché gli interessi delle masse popolari sono inconciliabili con gli interessi della classe dominante.

Elezioni, referendum, manifestazioni, scioperi, disobbedienza di massa, blocchi stradali, proteste che violano il DL sicurezza, blocco del traffico di armi… tutto deve essere valorizzato per far crescere il protagonismo dei lavoratori e delle masse popolari. La mobilitazione popolare deve crescere fino a rendere il paese ingovernabile a qualunque governo della classe dominante. Bisogna creare una situazione tale per cui la classe dominante dovrà ingoiare un governo d’emergenza composto da esponenti di fiducia delle masse popolari organizzate (sindacalisti, intellettuali, tecnici, giuristi, ecc.). E lo farà, confidando di vederlo crollare in poco tempo o per limiti propri o per effetto della sua azione di boicottaggio e sabotaggio.

Osare sognare, osare lottare, osare vincere! Imparare anche dal passato per costruire il nostro futuro!

Nessun governo instaurato normalmente potrebbe prendere e attuare le misure che servono per farla finita con la guerra e l’economia di guerra, perché ledono interessi importanti e contrapposti di grandi gruppi borghesi, del clero e di altri gruppi delle classi dominanti. Ognuno di essi ha propri rappresentanti nel mondo politico attuale: gli scandali che a catena coinvolgono gli esponenti politici del polo Meloni-Salvini-Tajani e del polo PD delle Larghe Intese, dall’Assemblea regionale siciliana al Comune di Prato, mostrano a sufficienza la loro comune natura e la rete che lega i loro contrapposti interessi. È quindi inevitabile, indispensabile, una rottura della continuità del regime politico.

Noi comunisti dobbiamo abituarci all’idea di una rottura del sistema politico, propagandarla nelle nostre file, propagandarla tra gli operai avanzati e gli elementi avanzati delle altre classi delle masse popolari, tra le organizzazioni operaie e popolari, tra i sinceri oppositori del governo Meloni e della Terza guerra mondiale in cui ci sprofonda ogni giorno di più, attrezzarci per indirizzare la crisi politica verso lo sbocco della formazione di un governo costituito dalle organizzazioni operaie e popolari.

Con il governo di Blocco Popolare noi comunisti indichiamo cosa bisogna fare, di cosa le masse hanno bisogno e cosa devono fare: saperci far sentire e capire è un problema che sta a noi comunisti risolvere. Passo dopo passo anche una parte degli attuali autorevoli promotori delle proteste e delle mobilitazioni popolari, che oscillano tra richieste alle autorità e proposte di misure che le autorità non possono né vogliono neanche prendere in considerazione, e migliaia di lavoratori avanzati, meno autorevoli e con meno seguito, ma ben più numerosi e pratici, arriveranno a condividere l’idea del Governo di Blocco Popolare. Ce ne sono già mille sintomi.

 

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