Il 7 Ottobre ci fu l’ordine israeliano di sospendere il pattugliamento al confine con Gaza

Andrea Muratore – 1 Agosto 2025

Pattuglie bloccate il 7 ottobre: l’ombra sui massacri di Hamas

 

Da una testimonianza proveniente direttamente dal campo militare israeliano emerge quella che appare essere una nuova, inquietante conferma del fatto che sulla genesi del conflitto tra Israele e Hamas, scatenato dagli attacchi degli islamisti contro lo Stato Ebraico del 7 ottobre 2023, molti capitoli appaiono ancora da scrivere.

A smuovere le acque è stato Shalom Sheetrit, combattente della Brigata Golani, la prima dell’esercito israeliano, la più decorata e ricoperta di onori e gloria sui campi di battaglia calcati dallo Stato Ebraico dal 1948 a oggi. Un’unità d’eccellenza che aveva titolarità della supervisione sull’area dei kibbutz Be’eri prima dei massacri del 7 ottobre.

La testimonianza del soldato della Golani

Sheetrit, parlando con l’emittente nazionalista di destra Israel National News – Channel 7 ricorda di uno “strano ordine” trasmessogli dal suo comandante di battaglione, che dichiara di averlo ricevuto dai suoi superiori, in cui si imponeva di fermare le pattuglie nella zona della recinzione di confine con la Striscia di Gaza dalle 5:20 alle 9 del 7 ottobre 2023.

In quella fase Hamas stava preparando e realizzando l’incursione, la più grave e sanguinosa mai subita da Israele nella sua storia, che portò alla morte di 792 civili israeliani, 59 poliziotti e 368 soldati.

Una strage che, come sappiamo, è stata presa al balzo dal governo nazionalista del premier Benjamin Netanyahu per scatenare la feroce operazione contro il territorio palestinese che non ha mai preso la forma della guerra vera e propria, trasformandosi gradualmente da rappresaglia indiscriminata a operazione di pulizia etnica con tratti sempre più esplicitamente genocidiari, sia per il numero di morti per bombardamenti, malattia e fame sia per il fatto che la campagna di Gaza sembra direttamente orientata a rendere sostanzialmente impossibile agli abitanti del territorio palestinese continuare a risiedervi.

La tesi del flop d’intelligence non basta più

Shetterit, in una testimonianza alla Knesset, ha ricordato che essendo addetto al reparto mortai con la sua unità era abituato a stare perennemente in guardia, dato che spesso un plotone mortai come il suo veniva messo in stato di allerta. “Siamo un battaglione operativo, in prima linea”, ha dichiarato, “e questo fa parte della nostra routine”.

Effettivamente, risulta quantomeno strano l’ordine di non sguarnire un confine “caldo”. Ma parole come quelle del soldato, che nella successiva battaglia per il kibbutz Be’eri ha visto molti compagni d’arme cadere al suo fianco per respingere i terroristi, si inseriscono in un flusso ormai consolidato: risulta sempre più difficile pensare a un semplice fallimento d’intelligence come causa del blackout securitario che causò i massacri.

L’ombra inquietante sulle responsabilità del 7 ottobre

Da oltre un anno, del resto, si sa che a Tel Aviv si sapeva chiaramente che qualcosa a Gaza si stava muovendo: come abbiamo scritto, basta citare il caso di “un’informativa dell’Unità 8200, il reparto d’élite d’intercettazione dell’intelligence militare specializzata in signal intelligence, il 19 settembre avrebbe scoperto che Hamas preparava un’operazione di intrusione nel territorio di Israele e si esercitava alla presa di ostaggi”.

La catena di comando è fallita completamente a livello politico e strategico: “avremmo potuto ascoltare gli osservatori, avremmo potuto chiamare in causa l’aeronautica militare, ma queste cose non sono accadute”, ha dichiarato, sconfortato Shetterit, aggiungendo che “non si è trattato di un fallimento dei combattenti a terra, ma dei livelli più alti dell’esercito, di comandanti che sono andati a Eilat nonostante li avessimo informati con una settimana di anticipo che c’erano informazioni di intelligence problematiche”.

Tanti indizi stanno convergendo su una direzione chiara: il 7 ottobre non è stato un fulmine calato dal cielo, ma il frutto di una tragica catena di errori su cui oramai l’unico grande dubbio sembra essere legato al dilemma se si sia trattato di una serie di colpe politiche frutto di pressapochismi e incompetenza o di un dolo esplicito, eventualità che ormai ci troviamo a non dover più rubricare come possibilità irrealistica.

La rivalità indotta tra apparati, la spasmodica focalizzazione sul sostegno ai coloni in Cisgiordania da parte di governo e forze armate israeliane, la trascuratezza di Gaza e il peso di figure incendiarie come Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, tanto violente quanto poco competenti, sulla sicurezza nazionale spingono per la prima ipotesi. L’inesorabilità con cui Israele è arrivata a soluzioni radicali volte a prendere permanentemente il possesso di Gaza e la capacità dimostrata, invece, dagli apparati di Tel Aviv nel colpire i nemici dal Libano all’Iran o nell’eliminare gli alti papaveri di Hamas aprono elementi sul secondo, inquietante, scenario. A cui la testimonianza del soldato della Golani può dare ulteriore carburante.

 


 

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