Forum Italiano dei Comunisti – 11/08/2025
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UN METODO COMUNE E CONDIVISO
PER AFFRONTARE UNA PROSPETTIVA UNITARIA
Dichiarazione sull’incontro tra il Forum Italiano dei Comunisti e l’organizzazione NOI COMUNISTI del 7 agosto.
Su iniziativa del Forum si è tenuto un incontro con il gruppo dei compagni organizzati attorno alla sigla NOI COMUNISTI, motivato soprattutto da una dichiarazione politica che qui alleghiamo, in cui si mette in evidenza che i rapporti nell’area comunista in una prospettiva unitaria prescindono da autoproclamazioni e fughe in avanti che nascono per soddisfare protagonismi effimeri che si sciolgono come neve al sole e lasciano la scena più confusa che mai.
Il bilancio negativo dei tentativi di ricostruzione comunista in Italia impone invece una riflessione e un dibattito che deve investire tutta l’area di coloro che onestamente si vogliono misurare sul piano teorico, politico e storico con la tradizione del movimento comunista, e di quello italiano in particolare, per riaffermare una presenza organizzata in piena autonomia dai tentativi confusi, che pur ci sono stati, di creare dei surrogati in versione antagonista dei progetti di trasformazione del sistema economico e di potere esistente in Italia.
Appunto per questo, i compagni del Forum e di NOI COMUNISTI che si sono incontrati il 7 agosto, hanno iniziato una discussione aperta che concretamente si articolerà nel prossimo futuro in una analisi delle problematiche storiche, di programma e di azione comune che tenderanno a dare alla parola comunista quella dignità che gli spetta e che vedranno le due organizzazioni cercare di mettere in campo azioni pratiche comuni, anche se minime, a livello territoriale.
Non possiamo anticipare le conclusioni, ma almeno possiamo dire, nel pessimismo della ragione, di averci provato con l’ottimismo della volontà.
Il Forum Italiano dei Comunisti e NOI COMUNISTI
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MANIFESTO POLITICO DI “NOI COMUNISTI”
Care Compagne, Cari Compagni
l’esperienza che si è chiusa col Partito Comunista (che ha visto segretari Marco Rizzo e Alberto Lombardo, con quest’ultimo più nella parte di un curatore fallimentare del comunismo che segretario di un partito tale) e l’esperienza avuta con Resistenza Popolare (dove le dinamiche del pc “rizziano” si sono tramandate con l’azione di Salvatore Catello e Alessandro Pascale, fino al fallimento politico di Prospettiva Unitaria prima e a quello di Resistenza Popolare poi) sono la riprova della oggettiva difficoltà, in questo momento storico, di costruire una valida organizzazione marxista-leninista in Italia.
La prima domanda che dobbiamo porci è, ovviamente:
“come mai è andata di nuovo così o, per meglio dire, il più delle volte va a finire così?”
E’ forse il momento di porre la questione non soltanto in base a semplici fatti politici dei singoli o della sola organizzazione politica, ma anche, e soprattutto, a una complessità generale che è, profondamente e principalmente, “pre-politica” cioè che coinvolge la sfera culturale, antropologica, psicologica dell’essere umano, sia nella sua singolarità che nella sua socialità all’interno della società capitalista.
In base questa premessa, dobbiamo analizzare alcuni punti sui quali dobbiamo basare la più profonda critica al fine di non ripetere gli stessi errori del passato:
1) La questione della dirigenza, della delega e della direzione politica.
Per qualsiasi organizzazione, un “capo carismatico” che sia il megafono di tutta la base e la struttura del partito, per quanto possa rappresentare una facile soluzione, non è garanzia assoluta e certa di stabilità interna ed esterna, e l’assolutizzazione della “centralità” del e sul capo, o su più capi, è un errore logico che molto facilmente si compie.
Questo perchè, nella complessità culturale dell’occidente capitalista, la figura del capo è sempre stata una categoria sociale accettata, qualche volta sfruttata, da larga parte di strati popolari all’interno delle varie società nazionali con conseguenze, a volte, catastrofiche.
Dunque, una figura “solitaria”, o più di una, che accentra su di sè poteri non controllati da una collettività, genera destabilizzazione e insuccesso e, alla “buona”, ci guadagna solo chi ha potuto trarre massimo profitto dall’aver condotto il potere per i propri interessi.
Da anni a questa parte, in Italia il “liderismo”, la “personalizzazione” della politica e il partito personalistico, categorie importate in massima parte dal sistema politico capitalistico statunitense, sono diventate sempre più “dominanti” nella società italiana ed europea: non è raro sentire persone che si sono avvicinati alla politica perchè c’è quel personaggio politico o perchè quel personaggio, in maniera capziosa o anche in buona fede, ha detto qualcosa che la gente vuole sentirsi dire senza capire che sono le dinamiche e le regole che determinano la vita interna di una collettività, grande o piccola che sia, e non semplicemente il capo.
Abbiamo pensato, e ancora c’è chi la pensa così, che basti affidarsi alla parola data o all’interpretazione “giusta” del capo senza capire che la degenerazione degli interessi, all’interno di una società divisa in classi sociali antagoniste dove è forte l’idea individualista e consumista e dove vigono i rapporti di produzione capitalisti con la conseguente riproduzione sociale, è un pericolo sempre esistente anche dentro i partiti che si richiamano al comunismo.
Di qui la nostra profonda critica sull’idea della delega come oggi è concepita dalla stragrande maggioranza delle dirigenze dei partiti comunisti, che non deve essere interpretata in maniera univoca a seconda di particolari interessi, bensì vincolata a un mandato collettivo che deve essere consultato nel caso si dovessero prendere decisioni che riguardano la collettività stessa.
Dunque, la delega non è “libera interpretazione della delegante volontà collettiva” bensì esecuzione di ciò che la collettività vuole che si faccia: in politica, non basta una “chiacchiera” o “l’assumersi delle responsabilità” nell’eseguire la volontà collettiva, ma serve la chiarezza della volontà collettiva stessa e il mandato di questa, se necessario.
La corretta comprensione di questo concetto, nella pratica, si traduce in una corretta conduzione politica della vita collettiva che si vuole guidare, una conduzione che consente ai dirigenti, nella loro opera di conduzione e propositività di idee e soluzioni pratiche, di non restare indietro, staccandosi da chi si vuole dirigere, nè di fuggire in avanti, isolandosi dagli altri, ma procedendo insieme con lo stesso passo, all’unisono.
2) La questione del “centralismo democratico”.
Dalla questione della delega e dunque del rapporto tra l’organizzazione e i capi, passiamo adesso al rapporto tra la base e l’organizzazione. Quando una persona dice che sta nel partito di un determinato personaggio politico pone l’accento sul singolo e non sul collettivo che, inevitabilmente, viene messo da parte.
Questo è l’effetto della società capitalista che, in maniera invasiva, strisciante, totalitaria, pone l’accento più sull’individuo che sul collettivo: questo perchè una società individualista e consumista ha bisogno di avere “consumatori a-critici” e non “persone con capacità di analisi critica”, le persone scelgono il prodotto leggendo la marca e lo consumano e tutto finisce lì, fino a quando i propri bisogno vengono soddisfatti.
Nella nostra società, il pensiero “pre-politico” che porta all’espressione “il partito di..” è fondamentalmente basato su questo principio consumistico e individualista: il singolo dice “il partito di..” perchè nel generale intende il partito come “prodotto” e il capo politico come “marca del prodotto” e nel particolare, di riflesso, individua la “marca” associandone il prodotto senza chiedersi se la marca sa fare bene o no il prodotto stesso.
Questo processo porta l’individuo a non approfondire, a non studiare quello che è oggetto della sua attenzione, applica un processo mentale e psicologico di distacco dall’oggetto del suo interesse oppure, al contrario, sente l’oggetto a sè vicino in senso “romantico”, ideale, come se fosse una morale giusta di una fiaba che però non è reale.
E questo spinge le persone a praticare la politica in maniera profondamente a-critica o sulla fiducia di questa o quella persona, e di quello che di bello e piacevole dice, e non sul confronto reale, anche serrato, tra individui; non nel merito delle questioni in base alle situazioni concrete che ci si trova ad affrontare, non sul sincerarsi se quanto si dice o si ascolta sia vero o falso; non sull’essere effettivamente quello che si dice, o si pensa, di essere.
E quando alla fine, malauguratamente, l’esperienza si risolve in un fallimento, allora si “consuma” la personale tragedia che si tramuta in disillusione, e più questo processo si replica più si arriva alla conclusione, consumistica, che le marche sono difettose e dunque lo è anche il prodotto.
Di qui la necessità di riaffermare la centralità della collettività sul singolo (rispettandolo e integrandolo), la necessità di riaffermare il confronto collettivo per giungere collettivamente alla verità, la necessità di interpretare, secondo la teoria del marxismo e del leninismo il concetto di centralismo democratico: non azione unilaterale dall’alto verso il basso e neanche dal basso verso l’alto, essi possono operare e realizzarsi solamente attraverso una dialettica di interdipendenza, di vicendevole implicazione, altrimenti sarebbe solo autodeterminazione e dunque non ci sarebbe nulla di democratico e di centralizzato.
In sintesi: così come il partito giustifica sé stesso solo nella misura in cui opera nella classe lavoratrice raccogliendone le istanze per poi elaborarle trasformandole in «scienza» o dottrina rivoluzionaria, così il gruppo dirigente giustifica sé stesso operando nella base e raccogliendone le istanze, le proposte, le idee, anche sbagliate, elaborando, rettificando e migliorando la linea politica, pratica e teorica.
Il centralismo democratico è lo strumento teorico pratico per costruire non solo il Partito Comunista che è, come diceva Gramsci, “lo strumento per cui l’operaio da esecutore diviene iniziatore, da massa diviene capo e guida, da braccio diviene cervello e volontà” e ciò risulta “il germe della libertà che avrà il suo sviluppo e la sua piena espansione dopo che lo Stato operaio avrà organizzato le condizioni materiali necessarie”, dunque tutto ciò che è in antitesi con le derive personalistiche e dirigiste che abbiamo e che continuiamo ad assistere e che è necessario per costruire quello che Pasolini indicava come il “paese rosso dei comunisti” dentro il “paese orribilmente sporco”, il paese dove è “ignorata la volontà d’ignoranza e il servilismo” e che lotta per “trasformare lo sviluppo in progresso”.
3) La questione della scissione e dell’unità.
Detto riguardo la questione della delega e del centralismo democratico, veniamo infine a due questioni che dominano, in maniera acritica, romantica e irrazionale, il dibattito all’interno della “galassia” comunista: il problema delle scissioni e dell’unità dei comunisti.
Riguardo il problema delle scissioni, siamo tutti d’accordo nel dire che questo aspetto politico rende ininfluente l’azione e l’influenza politica dei comunisti.
Ma è bene chiarire un aspetto: se è vero che le idee dominanti in una società sono le idee della classe dominante, allora possiamo già cominciare a comprendere come mai, in questo momento, viviamo una situazione di elevata frammentazione politica all’interno dello spettro politico di classe.
Nella società attuale, i rapporti di produzione e dominazione capitalisti, tramite il controllo dei mezzi di produzione stessi, enfatizzano le libertà individuali elevando, all’ennesima potenza, non soltanto le libertà di mercato, ma anche le libertà di stili di vita, di pensiero, di espressione dell’individuo: tutto ciò rende, già di per sè difficile, la creazione e l’amalgama di una collettività basata su una disciplina volta a educare gli individui alla lotta per un bene superiore.
In più, aggiungiamo anche il revisionismo storicamente ideologico, teorico e pratico, che dal 1964 (anno della stesura del “Memoriale di Yalta” di Palmiro Togliatti) attraversando gli anni di Enrico Berlinguer e dell’”imborghesimento” politico del PCI e del movimento operaio italiano, fino al totale ripudio politico e ideologico del marxismo e del leninismo da parte di Rifondazione e di altre formazioni, accresce la complessità di un quadro che non si risolve semplicemente a parole.
Dunque cosa fare?
E’ bene prendere atto, come detto sopra, che questa condizione non si risolve semplicemente a parole e nemmeno tramite percorsi dirigisti che poi, non appena questo o quel dirigente litigano, sfascia tutto il progetto che si era messo in piedi, e nemmeno si risolve nella creazione, a tavolino di partitini personalistici che servono più a salvaguardare ceti politici, che non hanno più nulla da dare e da dire, piuttosto che essere utili alla causa dei lavoratori. Questa situazione si supera, nel tempo, attraverso un lavoro di chiarificazione, tramite il confronto, da parte di chi vuole andare oltre l’esistente. E in questo senso non è detto che una scissione sia, per forza di cose, negativa, facciamo degli esempi:
A) nel 1836 dalla “Lega dei Proscritti” si scisse la “Lega dei Giusti” che, nel 1847, sotto l’influenza determinante di Karl Marx e Friedrich Engels, diede vita alla “Lega dei Comunisti”;
B) nel 1904 Lenin e i bolscevichi formalizzano la loro corrente all’interno del POSDR e nel 1917 gli stessi bolscevichi, dopo alterne fasi, guidano la Russia zarista alla Rivoluzione Socialista Sovietica;
C) nel 1921 Antonio Gramsci e Amadeo Bordiga, in antitesi con la linea politica del PSI, danno vita, dopo una scissione, al Partito Comunista d’Italia che sarà protagonista della Resistenza Antifascista e, dal secondo dopoguerra in poi, nel bene e nel male, protagonista di rilievo assoluto nella politica nazionale italiana.
A tal proposito Gramsci, nel criticare ferocemente la dirigenza del PSI diceva che “la vanità italiana faceva sempre affermare che da noi esisteva un Partito socialista tutto particolare, che non poteva e non doveva subire le stesse crisi degli altri partiti socialisti: così è avvenuto che in Italia la crisi sia stata artificialmente ritardata e scoppi proprio nel momento in cui sarebbe stato meglio evitarla e scoppi ancor più violenta e devastatrice proprio per la volontà e la cocciutaggine di coloro che sempre la negarono e che ancor oggi la negano verbalmente” e chiudeva dicendo che “i comunisti sono e devono essere dei freddi e pacati ragionatori” che “se tutto è in sfacelo, bisogna rifare tutto, bisogna rifare il Partito, bisogna da oggi considerare e amare la frazione comunista come un partito vero e proprio, come la solida impalcatura del Partito comunista italiano, che fa proseliti, li organizza solidamente, li educa, ne fa cellule attive dell’organismo nuovo che si sviluppa e si svilupperà fino a divenire tutta la classe operaia, fino a divenire l’anima e la volontà di tutto il popolo lavoratore”.
Ecc.
Dunque, non sempre la scissione è un fatto politicamente negativo, anzi, molte volte è servito a chiarire una posizione sbagliata da una corretta.
Al fine di avere un Partito Comunista che possa unire il meglio della militanza generale è necessario che questa militanza torni a capire che l’unità si trova in un metodo sano, scientificamente provato, che metta al centro il confronto, teorico e pratico, che, obiettivo su obiettivo, arrivi a un traguardo che non è altro che un inizio, in una “lunga marcia” che porti sempre più ad accrescere la lotta per una società migliore, per il potere dei lavoratori e delle lavoratrici.
Georgj Dimitrov diceva che “la realizzazione dell’unità politica è possibile soltanto sulla base di alcune condizioni determinate che hanno un carattere di principio” dunque non cose aleatorie o fondate su “interessi di bottega”, ma l’andare avanti in modo da amalgamare, accomunare i compagni e le compagne sui territori, compagni e compagne che poi devono proiettare l’attività a un livello più alto, in poche parole rivoltare quel pensiero di sinistra che tanto ha fatto male ai comunisti da “pensare globale, agire locale” a “pensare locale, agire globale”.
4) Il “Partito di quadri” o il “Partito di massa”?
Sulla questione che è argomento di discussione dai tempi del Pc, occorre ribadire che, al momento, vista la situazione politicamente “fluida” e vista l’insufficienza, politica, nostra di arrivare subito alle masse (non solo oggi ma anche allora), si deve partire dal presupposto che nella ricostruzione del Partito Comunista non si può non partire dall’assunto di organizzare quella parte che deve costruire, teoricamente e praticamente, l’organizzazione che deve “affacciarsi” alle masse: i quadri dirigenti con o senza partito che si rispecchiano nella visione marxista-leninista.
Il secondo passo è sicuramente quello di “superare” gli errori dopo averli studiati e, radicalmente, corretti estirpandone le cause culturali, sociali e antropologiche, e poi politiche: in pratica eliminando, o limitando al massimo, l’influenza borghese che i singoli membri tendono ad avere fuori dall’organizzazione per poi portarla dentro con atteggiamenti sbagliati e non conformi al modo di fare comunista, a cominciare dall’”opportunismo” e dal “dogmatismo”.
Questo lavoro quotidiano, rafforzato dalla militanza e dalla pratica rivoluzionaria, porta poi al terzo passo, quello del rapporto con l’esterno ovvero con le “masse”.
E’ bene intendere che le masse sono una categoria molto “generale” che può dire tutto come niente in base alle varie interpretazioni che si danno a questa parola, nel nostro caso, tuttavia, abbiamo a che fare con due tipi di masse: quelle “sociali”, ovvero i “blocchi sociali” che attengono alle “classi sociali” e poi le masse politiche ovvero quei gruppi politici, più o meno estesi, che, “per dentro” e/o “da dentro” le masse sociali, agiscono per indirizzare politicamente le “masse” su determinate lotte o visioni politiche.
Il compito di un Partito di quadri è, dopo aver “chiarito e giustificato sè stesso”, quello di conquistare e amalgamare le masse politiche più “vicine” per “visione generale del tutto”, attorno a un’analisi e un metodo quanto chiaro quanto corretto, per costruire, nel tempo, l’egemonia all’interno delle masse sociali di riferimento; questo processo consta di una lotta senza tempo, “parola per parola”, “posizione politica su posizione politica”, “azione pratica su azione pratica”, contro l’idea, intellettualmente borghese, che in Italia non sia possibile fare la Rivoluzione Socialista con tutti gli effetti che questa visione politica ha comportato, da Togliatti in poi, e continua a comportare.
E’ vero che in Italia, secondo i dati OCSE, il 35% degli adulti è analfabeta funzionale, e che quindi pur sapendo leggere e scrivere, hanno difficoltà a comprendere testi complessi e a utilizzare le informazioni numeriche nella vita quotidiana? Si, è vero.
E’ vero che in Italia, il 10% dei giovani abbandona la scuola e che, in questa, l’analfabetismo funzionale e l’ignoranza culturale dilagano? Si, è vero.
Sappiamo benissimo cosa comporta tutto questo: la capacità del capitale di egemonizzare, tramite l’ignoranza e l’incapacità di comprendere la realtà, larghi strati sociali che prendono per buone tutte le informazioni, e le azioni politiche, che il sistema capitalista fa passare tramite i mezzi di comunicazione, vere e proprie “armi di distrazione di massa”.
E che dire della violenza sociale, più o meno generale, che c’è nel Paese?
Possiamo dire che altro non è che la vittoria dell’idea non solo dello sfruttamento, ma della più profonda prevaricazione dell’uomo sull’uomo, concetto ricollegabile a quello che masse politiche del moderno dissenso definiscono “transumanesimo”.
Ma di fronte a tutto ciò, pensare che non sia possibile una Rivoluzione in un tale stato di cose non è solo miope ignoranza, visto che, naturalmente, niente rimane fisso per sempre, se non la ciclicità dell’essere secondo la regola del “niente si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”; ma è anche un atto antirivoluzionario, un atto che, essenzialmente, garantisce il potere del capitale sulla e nella società, sopra chi lavora, contro chi lavora: un Comunista non può che essere contro questa visione, non può che lavorare instancabilmente per arrivare all’ora “X” della Rivoluzione, giorno per giorno, strada per strada, parola per parola: se il capitale vuole persone ignoranti, il Comunista deve elevare la loro istruzione e accrescerne la percezione delle cose; se il capitale vuole persone che pensano che la menzogna sia verità, il Comunista con la verità deve smascherare la menzogna; se il capitale vuole che le persone migliori siano insicure di loro stesse e quelle peggiori si sentano al di sopra di tutti, il Comunista brucerà il piedistallo degli ingiusti e darà la torcia agli insicuri mostrando come usare bene il fuoco.
Diceva Lenin, in maniera arguta: “chi dice che una cosa non è possibile da realizzarsi, semplicemente non vuole che si realizzi”.
Dunque, per arrivare all’ora “X”, è necessario che il “Partito di Quadri” si sviluppi e si rafforzi per arrivare alle masse, conquistarle, egemonizzarle e poi dirigerle, col “Partito di Massa”, verso la conquista del potere che, sia chiaro, non si può assolutizzare nè in senso prettamente “legale” nè “illegale: sarà la situazione concreta a porre la soluzione concreta e non i “desideri romantici” di qualche nostalgico istituzionale o avventuriero: solo con una struttura credibile e una linea giusta e correttamente pratica, sarà possibile costruire quello che serve per instradarsi e arrivare, un giorno, alla Rivoluzione Socialista Italiana.
Per i motivi sopra trattati è necessario costruire l’organizzazione minima territoriale e nazionale che consenta il confronto politico e umano tra i compagni e le compagne; la normalizzazione e il recupero dei rapporti politici e militanti tra quanti più compagni sul territorio; inserirsi nelle contraddizioni portando il punto di vista dei comunisti; creare rapporti con singoli e gruppi, rapportarsi con i lavoratori inserendosi nelle contraddizioni lavorative territoriali.
Il nome di tale organizzazione è “Noi Comunisti” strutturata come coordinamento nazionale territoriale a cui possono iscriversi singoli compagni o associazioni, comitati, collettivi, partiti ecc. che, nel lavoro comune e organizzato, danno luogo a un’assemblea nazionale dei territori, un organo con la funzione dirigente, che si propone di costituire su base nazionale un patto d’azione fra le organizzazioni (collettivi, associazioni, partiti) e che tenga conto della situazione politica e organizzativa delle soggettività che vi aderiscono.
L’idea è quella di un lavoro principalmente territoriale volto a riattivare e facilitare il lavoro politico dei compagni e delle compagne sui territori, con un’organizzazione unita, leggera, ma temporanea, a metà tra quella movimentista e quella partitica che si basa sul centralismo democratico per le decisioni collettive con un impegno profondo nella formazione di quadri militanti attraverso una scuola di formazione e la collaborazione, su specifichi temi, con quanti hanno voglia di intraprendere la strade per l’unità comunista, dei comunisti, per la costruzione del Partito Comunista d’Italia.
Anche per queste ragioni costruiamo “Noi Comunisti/Spartak – Per il Partito Comunista d’Italia” come un’organizzazione politica che si riconosce nei seguenti punti programmatici minimi:
1) Fuori l’Italia dall’Unione Europea, dall’Euro e dalla NATO e conquista della sovranità nazionale e popolare.
In politica estera constatiamo il ruolo fondamentalmente positivo della Repubblica Popolare Cinese e della Federazione Russa nel cambio epocale dei rapporti di forza mondiali a scapito dell’egemonia plurisecolare dell’imperialismo occidentale sul resto del mondo: la guerra tra la NATO e la Federazione Russa e il genocidio sionista in Palestina ne sono un tragico effetto.
Rigettiamo quelle posizioni che, purtroppo portano avanti anche forze che si rifanno al comunismo, che vedono definire la Repubblica Popolare Cinese un paese imperialista alla stessa stregua degli USA;
2) Difesa dei valori democratici e antifascisti e attuazione delle parti più progressive della Costituzione, puntando a migliorarne alcuni passaggi per l’avanzamento verso una “Terza Repubblica” Socialista e Popolare;
3) Opposizione alle politiche economiche liberiste e neoliberiste, a cui contrapporre il rilancio di una politica industriale pubblica con una programmazione economica basata sulla nazionalizzazione delle banche, del comparto energetico e delle telecomunicazioni per il rilancio del settore pubblico nei campi della Sanità, dell’Istruzione, dei Trasporti e del complesso dei “beni sociali”;
4) Difesa del mondo del Lavoro, pubblico e privato, con riferimento ai lavoratori dipendenti salariati, ai disoccupati, ai precari, ai giovani che non riescono ad entrare nel lavoro, agli invalidi e disabili, ai lavoratori costretti al “nero”, ai lavoratori autonomi e ai professionisti – piccole partite IVA (vere e finte) – appartenenti a quei ceti medi e popolari in via di proletarizzazione;
Intendiamo darci concretamente i seguenti compiti operativi:
1) radicamento nella società e nei luoghi di lavoro, approntando un piano d’intervento per costruire nuove “casematte”, fisiche e virtuali, formando nuovi quadri dirigenti, dialogando, costruendo e/o ristabilire alleanze e rapporti politici con tutti coloro che condividano il nostro programma minimo. Riteniamo di importanza strategica ricostruire un’organizzazione giovanile di organizzazione, per la fase attuale, con autonomia sui temi giovanili, capace di forgiare i dirigenti e i quadri comunisti del futuro;
2) lavoro politico per l’unità della classe oppressa agendo sulle organizzazioni di massa già esistenti nell’ambito dell’area della “sinistra di classe” (sindacale e associazionistica) e della variegata area “del dissenso” e “antisistema”. Si verificherà se non sia possibile in prospettiva riaprire la questione dell’unità dei comunisti e di un’ottica di fronte antimperialista di carattere più ampio;
3) Approntare una moderna lotta ideologica che lotta contro il revisionismo storico borghese, la quotidiana propaganda liberale mainstream, le ideologie razziste e xenofobe di estrema destra e alle tendenze più retrive e revisioniste della sinistra, partendo dal presupposto ideologico del superamento politico dell’appartenenza storica, ideologica e politica dei Comunisti alla categoria borghese della sinistra con un approccio più “profondo e personale” verso coloro che vogliamo conquistare alla nostra causa.
Valorizzare il dialogo individuale con quanti sono stati ingannati dalla propaganda anticomunista e le esperienze collettivistiche e comunitarie capaci di coniugare rispetto dei diritti civili e sociali ed elaborazione, in chiave leninista, di una nuova via italiana per il socialismo capace di superare i limiti del ‘900.
Cari Compagni e Care Compagne,
La nostra proposta politica è una proposta di rottura radicale col passato, di trasformazione politica collettiva che investe l’individuo, che parte dal presupposto che, per quanto molti lo vogliano nascondere o evitare, chi è comunista lo rimane e continua ad avere un determinato punto di vista sulla vita e sull’esistente.
Chi è comunista, ed è un cane sciolto, non riesce a tagliare il suo legame con l’idea, la necessità di una casa comune dove poter esprimere, assieme agli altri, la sua visione dell’insieme: questo punto è sia una forza che una debolezza, perchè il tendere a qualcosa di più grande inevitabilmente porta l’individuo a trovarsi in situazioni spiacevoli con persone che, sfruttando la sua forza come debolezza, lo aggirano e lo ingannano per i propri scopi.
Anche per questo sentiamo la necessità di, e far, riflettere sulle tante delusioni che in questi anni hanno colto tantissimi compagni e compagne e che hanno portato questi/e ad allontanarsi dalla politica: vogliamo dire, in maniera franca e leale, che questo atteggiamento non è altro che l’incapacità sociale soggettiva di affrontare la complessità sociale che si ha davanti.
L’allontanamento del singolo che, per la propria delusione, ritiene che la politica sia “sporca”, “inutile” ecc. altro non è che la manifestazione personale delle proprie paure, dei propri limiti nel non saper gestire le cose in maniera responsabile e profonda, dell’aver visto e/o vissuto le proprie esperienze politiche in maniera superficiale, senza farsi le domande giuste e necessarie, accettando tutto in base ai rapporti personali che c’erano in quella collettività.
A queste persone, a questi/e compagni/e diciamo che il cammino della lotta di classe non è semplice, la “rivoluzione pura” non esiste, e dunque anche un percorso “chiaro e lineare” è solo una mera fantasiosa idea di chi non capisce come funzionano le cose umane.
Chi dice di essere comunista restando “fuori dal movimento dialettico” della storia, non solo abiura al proprio ruolo storico in quanto comunista (perchè, fino a prova contraria, le cose non si cambiano da soli, nè tantomeno con formule semplicistiche movimentiste o anarchiche) ma non ha nemmeno rispetto per ciò che il movimento comunista ha fatto in oltre 100 anni di storia.
La colpa della situazione attuale del movimento comunista è colpa di chi ha creduto in maniera acritica, romantica, fideistica, superficiale a gente che poi ha deciso di abbandonare il sentiero che dicevano di seguire; e dall’altra parte è colpa di chi ha deciso di non crederci più per motivi individualisti senza guardarsi indietro, calpestando quanti avevano creduto in loro: questa lezione deve farci capire che non si può, in maniera estremista e infantile, starsene da parte solo per una delusione avuta da chi ha sbagliato, ma bisogna, semplicemente, essere più intelligenti, più profondi, più consapevoli delle scelte che si fanno ponendo, nel confronto collettivo, le questioni in maniera chiara, leale, schietta, inequivocabile, senza tentennamenti o paure di offendere chi la pensa diversamente.
Questo modo di fare, di costruire una collettività unita, seria e solida, facendo le cose in maniera seria, è la base per un percorso, seppur lungo, di successo che non è immediatamente tangibile o spiegabile con le percentuali delle elezioni o con il numero delle tessere che si fanno, è un metodo che crea, che forgia, una nuova coscienza dove l’individuo, il militante, da semplice “esecutore” diventa “iniziatore”, “creatore”: il successo non è semplicemente vincere elezioni, ma fare, rendere al massimo delle proprie possibilità, ed è questo che una collettività deve garantire ai propri membri, ed è anche su questo aspetto che vogliamo ricostruire un’organizzazione che miri alla ricostruzione del Partito Comunista d’Italia.
Compagni e Compagne, tanto è il lavoro che ci aspetta, ma la difficoltà del compito non ci spaventa, anzi, ci spinge a dare di più per arrivare, quanto prima, nelle migliori condizioni possibili per avere quello che serve: un Partito Comunista all’altezza dei tempi.
NON UN PASSO INDIETRO, AVANTI FINO ALLA VITTORIA!

