Patrick Boylan (PeaceLink) – 06/09/2025
Proposta choc di Francesca Albanese per salvare Gaza, ieri a La Sapienza di Roma
“E’ vergognosa l’assenza di iniziative da parte dei governi per fermare il genocidio in Palestina. Non dovrebbe essere la Flotilla a rompere l’illegale assedio israeliano di Gaza, bensì la Marina militare italiana.”
Parole forti queste, pronunciate da Francesca Albanese ieri (5 settembre) davanti ad una sala stracolma della Facoltà di Scienze Politiche de La Sapienza, Roma. L’incontro, intitolato I saperi nell’economia del genocidio, è stato organizzato dal Comitato Sapienza Palestina, dal CNR contro le guerre e dall’Assemblea precaria universitaria. La Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati ha dedicato, con grande generosità, oltre due ore del suo tempo a rispondere a tutte le domande degli studenti e dei docenti assiepati nell’aula Vittorio Bachelet e nei corridoi adiacenti.Un unico filo conduttore percorreva tutte le risposte di Albanese: bisogna sì farsi sentire per Gaza, nonostante tutti gli ostacoli che possa frapporre l’Università; bisogna sì boicottare gli accordi già stipulati dall’Università con Israele e rifiutare di collaborare a futuri progetti di ricerca a fini militari o dual use. In una parola, bisogna sempre e ovunque “fare la cosa giusta”, ha insistito la giurista italiana – anche se una determinata azione possa sembrare velleitaria. “Alla fine, qualcosa cambierà. E mentre lottiamo, i palestinesi ci vedranno e ci sentiranno vicini.”
Certo, ha aggiunto poi la Relatrice speciale, i governi hanno la responsabilità primaria, la cosiddetta Responsabilità di proteggere o R2P. Si tratta della dottrina che giustifica anche l’intervento militare di uno Stato per fermare i crimini contro l’umanità commessi da un altro Stato, in particolare il genocidio e la pulizia etnica – da cui un ipotetico intervento della Marina italiana a Gaza. Purtroppo, ha osservato Albanese con rammarico, Israele sta commettendo sia il genocidio che la pulizia etnica davanti ai nostri occhi, eppure gli Stati terzi rimangono inerti, limitandosi a condanne verbali senza conseguenze. Ecco perché è sempre più importante che i cittadini reagiscano. Qualsiasi tentativo di contestazione o di boicottaggio, comunque vada, richiama i governi alle loro responsabilità.
Molti degli studenti e dei docenti intervenuti all’incontro hanno fatto presente la difficoltà di mettere questi lodevoli principi in pratica. Un ricercatore ha spiegato come, all’Università, la libertà di ricerca è soltanto teorica; nei fatti, solo i progetti di ricerca funzionali al sistema vengono lautamente finanziati. Naturalmente, sì è sempre liberi di condurre progetti di ricerca al di fuori di quelli che interessano i professori-baroni – ma saranno sempre definanziati e, inoltre, condanneranno il ricercatore a non fare mai carriera nell’Università.
“Tutto ciò è vero,” ha risposto Albanese, “nell’università c’è una frammentazione e una precarizzazione – funzionalI al potere – che rendono difficili le contestazioni. Ma la sfida è quella.”
Per quanto riguarda gli insegnamenti offerti dalle Università ai loro studenti, ha aggiunto Albanese, questi corsi tendono “a normalizzare e a legittimare” le narrative dominanti. Viene subito in mente, ad esempio, il colonialismo insegnato come fenomeno del passato mentre quello israeliano attuale raramente viene fatto oggetto di studio: eppure oggi esso viene imposto con devastante crudeltà ad intere popolazioni, le quali vengono spostate con la violenza per consentire a Israele di accaparrarsi le loro terre e di estrarre guadagno a proprio beneficio e a quello dei suoi “facilitatori” (le grandi aziende ma anche il sistema universitario).
Comunque, negli atenei israeliani, ha detto la giurista italiana, la situazione è addirittura peggiore di quella riscontrata in Europa: viene insegnata una storia che cancella quasi totalmente i palestinesi e i loro diritti. “E’ significativo”, ha aggiunto Albanese, che nessuna università israeliana abbia mai condannato la distruzione totale, da parte dell’IDF, delle università nei territori palestinesi – tutte e undici.” Come se non fossero mai esistite e non dovessero esistere.
Nelle sue conclusioni, Albanese ha esortato i presenti a non lasciarsi intimidire dagli epiteti denigratori ai quali, se lottano per la Palestina, andranno sicuramente incontro. “Vi chiameranno antisemiti ma è soltanto un modo per privarvi del diritto alla parola. E vi chiameranno terroristi per impedirvi di agire.” Non bisogna accettare queste etichette, Albanese ha aggiunto. Com’è deprecabile essere antisemita (ovvero, ostili agli ebrei in quanto ebrei), è più che legittimo e giusto essere antisionisti, cioè, essere contrari all’ideologia politica chiamata sionismo, usata per giustificare il colonialismo israeliano. E’ anche legittimo e giusto lottare con determinazione contro il diffondersi del sionismo, usando ogni mezzo pacifico. Ciò non va chiamato terrorismo bensì anticolonialismo, un valore sancito dall’ONU.
Una studentessa è poi intervenuta per ringraziare Francesca Albanese per la sua grandissima disponibilità e per ricordare l’appuntamento successivo: domenica 7 settembre alle ore 19 ci sarà una fiaccolata a Roma da piazza Vittorio fino alla Piramide per sostenere la Global Sumud Flotilla.
Note: Ultimo report di Francesca Albanese, intitolato “From economy of occupation to economy of genocide” (dall’economia di occupazione all’economia di genocidio), 30 giugno 2025:

