Rassegna – 12/09/2025
Roberto Iannuzzi: Il vertice SCO a Tianjin apre una finestra sul nuovo mondo multipolare
Il vertice SCO a Tianjin apre una finestra sul nuovo mondo multipolare
di Roberto Iannuzzi
Gli eventi del vertice hanno messo in evidenza potenzialità e rischi di un nuovo ordine che si rafforza di pari passo con il tumultuoso declino di un Occidente sempre più smarrito e paranoico
Mentre l’Occidente è assorbito dalle turbolenze nei rapporti transatlantici e da un crescente declino economico e politico, la Cina ha riunito un folto gruppo di leader non occidentali nella città settentrionale di Tianjin, ponendosi alla guida di un “Sud Globale” sempre più determinato a far sentire la propria voce nelle questioni internazionali.
I ventisette leader si sono incontrati a partire dal 31 agosto per celebrare il 25° Vertice della Shanghai Cooperation Organization (SCO), durante il quale il presidente cinese Xi Jinping ha invocato una nuova era di governance globale che salvaguardi i paesi in via di sviluppo e si opponga alle politiche coercitive occidentali e allo scontro fra blocchi contrapposti.
La SCO nacque nel 2001, è governata dal Consiglio dei Capi di Stato che si riunisce annualmente, e include una Struttura Regionale Anti-Terrorismo (RATS, secondo l’acronimo inglese). Essa trae origine dal gruppo dei Cinque di Shanghai (Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Russia e Tagikistan) costituitosi nel 1996 per risolvere dispute di confine e contrastare le ingerenze esterne nella regione centroasiatica.
Ai Cinque di Shanghai si sono poi associati nel corso degli anni l’Uzbekistan (in coincidenza con la nascita della SCO), India e Pakistan (nel 2017), l’Iran (2023) e la Bielorussia (2024).
Ai dieci membri dell’Organizzazione si aggiungono due stati “osservatori” (Mongolia e Afghanistan) e quattordici “partner di dialogo” (Arabia Saudita, Armenia, Azerbaigian, Bahrein, Cambogia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Maldive, Myanmar, Nepal, Qatar, Sri Lanka e Turchia).
A Tianjin anche il Laos è entrato a far parte di quest’ultimo gruppo, portando a 27 il numero totale di paesi partecipanti.
Critica dell’attuale ordine internazionale
Riccardo Capoferro: Quattro modi per negare un genocidio: Gaza e la guerra delle parole
Quattro modi per negare un genocidio: Gaza e la guerra delle parole
di Riccardo Capoferro
1. Introduzione
Quando, sia pure di sfuggita, la nostra premier ha chiamato quel che si sta consumando a Gaza “genocidio”– unendosi così ai molti italiani che lo considerano tale (secondo YouTrend il 63%)[1] – l’evidenza è parsa così flagrante da prevalere sulla Realpolitik[2].
Ma l’evidenza non è incontestata. Dal giorno in cui la parola “genocidio” è stata associata ai fatti di Gaza, si è messa in moto una specie di polizia terminologica, che molto alacremente (mentre le bombe continuavano a cadere e i palestinesi a morire) ha inchiodato gli accusatori di Israele alle loro responsabilità semantiche.
“Genocidio”, ci è stato detto, non è la parola giusta, non c’è certezza che di questo si tratti. “Genocidio” è, infatti, una parola politicizzata, polarizzata, permeata di narcisismo etico e ansia di demonizzazione, se non di un vero e proprio sentimento antisemita; spesso, infatti, esprimerebbe la volontà perversa di azzerare la memoria della Shoah accusando lo stato ebraico del crimine dei crimini; sarebbe, dunque, una parola carica di aggressività, che fa degenerare il dibattito, fomentando un muro contro muro politicamente sterile.
Ragionare su questi argomenti, le loro logiche di fondo e i loro aspetti problematici – a cominciare dalla loro inconsistenza giuridica – può essere utile: può servire a chiarire importanti sfumature dell’idea di “genocidio”, a risalire alle sue radici storiche, e a identificare con più chiarezza le situazioni in cui è indispensabile chiamarla in causa. Può offrici, in particolare, l’opportunità di evidenziare un fattore chiave dei processi genocidari: il fattore tempo (la cui importanza è tanto ovvia quanto trascurata).
Quali sono state, dunque, le logiche della negazione? Ne identificherò quattro tipi – che spesso si intrecciano – e di ciascuno mostrerò i risvolti problematici. Prima di iniziare, però, sono necessarie due note di metodo: 1) l’elenco potrebbe essere più lungo, perché idee legate a un certo argomento sono spesso sviluppate e sostenute indipendentemente, ma ho cercato di puntare all’essenziale; 2) le mie considerazioni non si addentreranno nel fondo oscuro della psiche individuale e collettiva, tra le radici profonde della negazione.
OttolinaTV: “Mamma, ho visto un comunista”: D’Alema va a Pechino, vede Xi, si innamora e getta nel paniko i media italiani
“Mamma, ho visto un comunista”: D’Alema va a Pechino, vede Xi, si innamora e getta nel paniko i media italiani
di OttolinaTV
Continua il panico nelle redazioni dei media filogovernativi: la dimostrazione di forza degli Stati canaglia degli ultimi giorni, per i pennivendoli suprematisti, ha rappresentato uno choc senza precedenti; la comfort zone è stata demolita, e non erano preparati. Davvero credevano alle minchiate che scrivevano sulla Russia pompa di benzina con la bomba atomica e sulla Cina copiona sull’orlo del collasso a causa degli sprechi pubblici. Visto che non si sono accorti di questo enorme treno contro cui stavano andando a sbattere, ora sono terrorizzati che quel treno possa arrivare anche nel loro giardino di casa e vedono ovunque piloti in grado di guidare quel treno, compreso nei baffetti del leader Massimo. L’occhio di riguardo di Massimo D’Alema per Pechino non è una novità: da tempo baffino pronuncia parole ragionevoli sul sistema cinese, sulla sua ascesa pacifica e sul suo ruolo nel Mondo Nuovo. Questo week end la relazione, però, ha fatto un salto di qualità: alla storica parata del 3 settembre, l’unico italiano ufficialmente presente era proprio lui, l’ex primo ministro della repubblica italiana che durante la parata, intervistato da un’emittente cinese, ha avuto l’ardire di affermare che aveva accettato con piacere l’invito “in forza della memoria e del ricordo di una lotta eroica come fu quella del popolo cinese per la sconfitta del nazismo e del fascismo”; “Confido che qui da Pechino venga un messaggio per il ritorno di uno spirito di amicizia tra tutti i popoli”. Apriti cielo…I soliti comunist”, titola il Giornale; D’Alema sfila col nemico. Il leader di sinistra alla parata militare con i dittatori. Xi minaccia il mondo. D’Alema in estasi, rilancia Libero; L’amore della sinistra per i dittatori non muore mai.
Il mio commento preferito, però, è del giornale preferito dai sovranelli per Trump, La Verità: D’Alema si intrufola pure a Pechino, e aiuta Xi a riscrivere la Storia. In che senso? Beh, ve l’ho appena detto: L’”ex premier”, sottolinea l’occhiello, “cita il contributo del dragone alla sconfitta del nazismo” che però, secondo La Verità, sarebbe “immaginario”.
La Cina, che ha perso 35 milioni di uomini per respingere l’invasione giapponese mentre gli USA, fino all’ultimo, al Giappone fornivano acciaio e petrolio, non avrebbe in realtà dato nessun contributo alla sconfitta del nazifascismo: “Quello che è andato in scena a Pechino è stato un maestoso festival dell’orrore” scrive Francesco Bonazzi nell’articolo; ma “D’Alema che va a battere le mani all’Asse del Male è troppo anche per l’Asse del Male”.
Domenico Moro: La tendenza al declino del dollaro e l’ascesa dell’oro
La tendenza al declino del dollaro e l’ascesa dell’oro
di Domenico Moro
Recentemente si sono verificati degli eventi che confermano la tendenza al declino del dollaro come valuta mondiale di scambio commerciale e di riserva, definita anche come “dedollarizzazione”. Tale processo è sia causa che effetto dell’indebolimento dell’egemonia statunitense, a fronte della realizzazione di un fronte contrapposto all’imperialismo occidentale, rappresentato dai paesi del cosiddetto Sud globale, a partire da Cina e India, che si sono riuniti in organismi come i Brics e la Sco, l’Organizzazione per la cooperazione di Shangai.
Sebbene non si possa ancora parlare di fine del dominio del dollaro e non ci sia attualmente nessuna valuta, tantomeno una valuta unica dei Brics, che possa sostituire il dollaro come valuta mondiale, l’indebolimento del dollaro è dimostrato dalla prevalenza dell’oro sui titoli di stato statunitensi (i Treasuries) nelle riserve delle banche centrali e dalla decisione dello Zimbabwe, ma anche di altri governi africani, di emanciparsi dal dominio del dollaro.
Dalla metà degli anni ’80 del secolo scorso l’oro era andato calando nella composizione delle riserve delle banche centrali mentre, all’opposto, il peso dei Treasuries cresceva, fino a che nel 1996 i secondi hanno superato il primo. Nell’agosto 2025, dopo ventinove anni, l’oro ha di nuovo superato i Treasuries, con il 27% delle riserve contro il 23%[i].
Quali sono le cause del sorpasso dell’oro a danno dei Treasuries? Per le banche centrali i Treasuries non sono più titoli privi di rischio sui quali conviene investire.
uncutnews.ch: Ginevra è il centro del potere invisibile: come le ONG e le organizzazioni internazionali governano il mondo
Ginevra è il centro del potere invisibile: come le ONG e le organizzazioni internazionali governano il mondo
di uncutnews.ch
Ginevra non è solo sede della diplomazia e delle banche, ma è anche il centro nevralgico strategico di un nuovo ordine mondiale. Qui si concentrano organizzazioni, fondazioni e ONG che esercitano un’enorme influenza sull’istruzione, la sanità, l’economia, i diritti umani e la sicurezza, spesso senza alcuna legittimazione democratica. Mentre i parlamenti nazionali discutono i dettagli, gli attori con sede a Ginevra impongono standard globali che trasformano intere società.
Ginevra come centro nevralgico della governance globale
A Ginevra sono registrate più di 39 organizzazioni internazionali e oltre 750 ONG (fonte). La stessa Svizzera investe ogni anno centinaia di milioni di franchi per posizionare Ginevra come «capitale del multilateralismo». Questa estrema densità di Istituzioni crea strette reti e accordi informali, lontani dal controllo democratico.
La vicinanza geografica non è casuale. Essa consente un efficiente coordinamento tra organizzazioni internazionali, think tank, gruppi di pressione e fondazioni private. Le decisioni prese a Ginevra trovano applicazione nelle legislazioni nazionali, senza che i cittadini vengano consultati.
Gli attori centrali: chi controlla realmente Ginevra
Dario Franco: Non è solo umanitarismo: la Palestina come questione politica globale
Non è solo umanitarismo: la Palestina come questione politica globale
di Dario Franco
Nei giorni della partenza della Global Sumud Flottilla[i] assistiamo, finalmente diremmo, alla rottura nel mainstream di una cappa insopportabile che da decenni difendeva lo Stato di Israele da tutte le sue malefatte. Non ci accostiamo a coloro che criticano questa operazione come un mero tentativo da parte dell’opinione pubblica occidentale di pulirsi la coscienza. Siamo consapevoli dello stato sopito in cui si sono trovate, soprattutto nel nostro Paese, le mobilitazioni a favore della causa palestinese e del nervosismo che trapela da parte dei sostenitori del sionismo e dei suoi rappresentanti istituzionali verso tutto ciò che critica o pone dubbi sulle azioni dello Stato di Israele.
Lontani dai numeri che si sono visti in città come Londra o Sydney, non possiamo non rallegrarci che in un Paese come l’Italia, dove il conflitto sociale è ai minimi storici, gran parte della popolazione sia informata su questa azione di lotta. La Freedom Flotilla Coalition da decenni si inserisce nel novero delle azioni di resistenza – in questo caso non violente – volte a dare luce all’opposizione palestinese e a sfidare quella narrazione opprimente che ci presenta Israele come unico baluardo democratico in Medio Oriente.
Attraverso una di queste missioni, alcuni attivisti – tra cui Vittorio Arrigoni – poterono raggiungere le coste di Gaza in anni in cui non vi erano i social media e gli smartphone non erano in possesso della maggior parte della popolazione mondiale.
Alberto Giovanni Biuso: Karl Marx e l’ebraismo
Karl Marx e l’ebraismo
di Alberto Giovanni Biuso
C’è stato un tempo nel quale la critica all’ebraismo non era foriera di accuse di antisemitismo, di condanne morali e politiche assolute, persino di reato penale. Tale critica era della stessa natura delle critiche che è possibile rivolgere al cristianesimo, all’illuminismo, al comunismo e così via.
Poi è accaduto qualcosa, il Novecento, che ha fatto assurgere l’identità ebraica a principio intoccabile, pena la qualifica di infamia rivolta a quanti cercano di ragionare su una cultura antica e tuttora ben presente nella storia. Ragionare come si ragiona su qualsiasi struttura ed evento umano.
Prima di questa temperie dogmatica, furono molti gli studiosi, i filosofi, i politici, gli scienziati di origine ebraica a criticare in vario modo l’ebraismo. Karl Marx è tra questi. Il suo saggio Sulla questione ebraica, uscito sul primo e unico numero dei Deutsch-Französische Jahrbücher (Annali franco-tedeschi) del febbraio 1844 è in realtà una complessa riflessione sui rapporti tra l’emancipazione civile, vale a dire le rivoluzioni borghesi e liberali, e la rivoluzione sociale, identificata da Marx con la trasformazione dei rapporti di produzione tra borghesia e proletariato.
Uno dei fondamenti di tale analisi è la critica ai Diritti dell’uomo come essi erano stati enunciati e stabiliti dalle varie Costituzioni che si susseguirono nella Francia rivoluzionaria dopo il 1789. Si tratta di una critica che ha un carattere moralistico di fondo che ne compromette in parte la forza, riducendo la questione a una contrapposizione tra egoismo e socialità.
Paolo Vernaglione Berardi: Nel laboratorio della guerra
Nel laboratorio della guerra
di Paolo Vernaglione Berardi
Il riarmo mondiale, a cominciare da quello dell’Ue. L’esercizio autoritario di governo in molti paesi. Le trasformazioni del diritto internazionale e i nuovi modi di esercizio del potere, come la securizzazione dei territori, in rapporto a un diritto che occupa una posizione marginale rispetto al potere di guerra e di pace. La guerra è un grande laboratorio con molti volti
Pochi dati bastano per ricordare ciò che è di dominio pubblico. Il folle riarmo deciso dall’Unione Europea consta di 800 miliardi, reali o virtuali poco conta perché sottratti a sanità, conversione ecologica, istruzione e servizi sociali. E sono soldi a debito. Il piano “Re-arm Europe” (“Readiness 2030”) propone di mobilitare gli 800 miliardi attraverso un nuovo strumento di prestito da 150 miliardi di euro (SAFE), il riorientamento dei fondi di coesione, la mobilitazione di capitali privati e un maggior sostegno della Banca Europea degli Investimenti. L’effetto della proposta è stato il riarmo della Germania e l’idea della Francia di condividere la propria capacità nucleare nazionale.
Dal 2021 i fondi destinati ai programmi militari sono aumentati di circa il 350%. Nel 2024 le spese nazionali aggregate dei paesi UE della NATO sono aumentati a più di 40 volte il totale dei fondi per il settore militare stanziati dall’Unione Europea. L’Ucraina ha ottenuto dal Fondo Europeo per la Pace (sic!), il più grande programma in ambito militare, 5,6 miliardi di euro di forniture militari (fonte Sbilanciamoci!).
La pressione per sviluppare un profilo di difesa adeguato per l’UE è stata intensificata nel corso della prima elezione di Trump (2016) che ha messo in discussione il futuro della NATO in Europa e le politiche transatlantiche. D’altra parte la guerra in Ucraina ha accelerato l’espansione della NATO a est su richiesta di Svezia, Finlandia e paesi baltici, noti per le posizioni integraliste nei confronti della Russia.
Nel 2024 la Svezia è entrata nella NATO e la spesa militare è aumentata del 34%, raggiungendo i 12 miliardi e il 2% del PIL. La Polonia ha raggiunto i 38 miliardi con aumento del 31% (4,2% del PIL).
La crescita vertiginosa delle spese per le iniziative di difesa testimonia la trasformazione dell’Europa da progetto di pace ad attore militare. La Commissione è il principale attore del riarmo. Tra il 2017 e oggi ha speso 6,836 miliardi del bilancio europeo per la difesa.
Ferdinando Bilotti: L’Europa sottomessa… ma a chi?
L’Europa sottomessa… ma a chi?
di Ferdinando Bilotti
Parte 1
Attraverso l’Ucraina, gli Stati Uniti stanno conducendo una guerra contro la Russia.
Attraverso la guerra contro la Russia, stanno conducendo una guerra contro l’Europa.
Promuovendo l’isolamento economico della Russia, gli USA hanno indotto l’Unione Europea a stabilire sanzioni che hanno ridotto le sue importazioni di idrocarburi da tale nazione. L’attentato al gasdotto Nord Stream, che con tutta probabilità è opera degli stessi Stati Uniti, ha ulteriormente compromesso l’afflusso di risorse energetiche dal suo territorio. Come se non bastasse, la Russia ha reagito alle sanzioni con delle misure ritorsive, consistenti nella limitazione delle proprie esportazioni di altre materie prime, in uso nell’industria e nell’agricoltura. Le imprese europee hanno dovuto così fare i conti con una penuria di molti prodotti di cui si servivano e con un rincaro dei loro prezzi, dovuto all’insorgere di fenomeni speculativi e alla sostituzione delle importazioni russe con altre meno a buon mercato (a cominciare dal gas di scisto statunitense, più costoso di per sé e reso ancora più caro dall’onerosità del trasporto via nave e dei trattamenti di liquefazione e rigassificazione cui va sottoposto).
L’industria continentale, quindi, si è ritrovata a produrre a costi più alti, con conseguente perdita di competitività sul versante dei prezzi cui era in grado di offrire i propri manufatti. Ciò l’ha resa interessata a valutare una delocalizzazione delle proprie attività in altre nazioni, ancora in grado di offrire energia a basso costo e magari dotate di condizioni più favorevoli anche sotto altri aspetti (ad esempio: minori tutele per i lavoratori e normative ambientali meno rigide). Fra i paesi a possedere tali requisiti c’erano proprio gli Stati Uniti, che oltretutto presentavano la caratteristica di costituire un importante mercato di sbocco per le produzioni europee.
Vincenzo Comito: Cina, Russia, India: un nuovo ordine mondiale?
Cina, Russia, India: un nuovo ordine mondiale?
di Vincenzo Comito
comidad: La dipendenza è di per sé una droga
La dipendenza è di per sé una droga
di comidad
Si dice spesso, con l’aria di esibire una grande trovata, che le classi inferiori non possono rivendicare alcuna superiorità morale nei confronti delle classi dominanti. Infatti è un falso problema, in quanto la contestazione delle gerarchie sociali non ha nessuna necessità di basarsi su gerarchie morali. Non è un caso però che il sistema mediatico tenda continuamente a spostare la questione sul piano del moralismo spicciolo. Nel caso delle nozze di Jeff Bezos a Venezia si è chiaramente cercato di sollecitare indignazione per certe esibizioni di ricchezza, in modo da innescare il solito pretestuoso dibattito a vuoto tra pro e contro. Un rilievo infinitamente minore viene assegnato dai media al fatto che l’azienda di Bezos riscuote sussidi e agevolazioni fiscali in tutto il mondo. Nel momento in cui il carico fiscale pesa quasi esclusivamente sui contribuenti poveri, le spese di Bezos sono una questione direttamente politica e non astrattamente morale. Mentre Amazon pagava sempre meno tasse (come tutte le altre multinazionali), ha percepito oltre undici miliardi in aiuti governativi, e si tratta di una cifra molto sottostimata dato che tali contributi spesso non risultano trasparenti; ciononostante si rileva l’apparente incongruenza per la quale mentre Bezos a chiacchiere celebra il libero mercato, poi invece va continuamente in cerca di assistenzialismo da parte dei governi. L’incongruenza è solo apparente, poiché è del tutto ovvio che l’assistenzialismo per ricchi cerchi dei paraventi mitologici come il liberismo.
Norberto Fragiacomo: Considerazioni di un profano su alcuni potenziali rischi cui ci espone l’Intelligenza Artificiale
Considerazioni di un profano su alcuni potenziali rischi cui ci espone l’Intelligenza Artificiale
di Norberto Fragiacomo
Ho letto con attenzione e crescente sbigottimento l’analisi del fenomeno IA proposta da Alessandro Visalli (https://www.linterferenza.info/attpol/la-violenza-della-buona-madre-la-guerra-cognitiva-al-tempo-llm/) che, essendo un intellettuale autentico, conserva il “brutto vizio” socratico di interrogarsi – e interrogare chi lo segue – su questioni, poste dalla modernità, che la maggior parte di noi spettatori passivi, per pigrizia mentale o per inconsapevole conformismo, giudica naturali e dunque neutri sviluppi dell’evoluzione tecnologica.
Confesso che fino ad oggi non avevo attribuito soverchia importanza all’avvento dell’intelligenza artificiale: sono solito snobbare le sue profferte di aiuto quando inizio a scrivere o a rivedere un testo, al massimo consulto l’AI Overview di Google se una frase suona male o non trovo il sinonimo giusto. Quando, tempo fa, un vecchio compagno di scuola mi suggerì di chattare con quella cosa (a lui evidentemente piaceva farlo) ironizzai fra me sulla solitudine umana nell’età dei social. Visalli ci ammonisce tuttavia che non è saggio prendere sottogamba delle novità che, ben lungi dal limitarsi a una dimensione ludica, potrebbero modificare la nostra orientazione nel mondo.
L’autore adombra la minacciosa prospettiva che gli LLM (un acronimo che neppure conoscevo!), personalizzandosi, prendano il controllo di ognuno di noi, imparando a svolgere il compito di un “Super-Io” capace di indirizzare le nostre scelte e prima ancora i nostri pensieri.
Andrea Sartori: Fuori dal cerchio
Fuori dal cerchio
di Andrea Sartori
Negli Stati Uniti, le università sono diventate uno degli obiettivi privilegiati del populismo conservatore. Questo attacco si configura come una vera e propria strategia di delegittimazione culturale, ma sarebbe miope considerarlo unicamente frutto di propaganda reazionaria. Occorre infatti riconoscere – senza per questo fare dell’odioso victim blaming – una responsabilità implicita della cultura accademica liberal-progressista, che negli ultimi decenni ha finito per sviluppare una visione autoreferenziale, o un “pensiero conforme di gruppo”, come lo definisce Sasha Mudd (Prospect Magazine, 28 Maggio 2025), sempre più scollegato dai problemi reali delle persone comuni (in termini non dissimili si era espressa poco meno di tre anni fa la scrittrice e critica americana Margo Jefferson).
La sinistra accademica, da sempre teoricamente contraria alle élite, si è trasformata nella considerazione dell’opinione pubblica proprio in un’élite: chiusa, linguisticamente impenetrabile, moralmente sospettosa verso chiunque non ne condivida codici e automatismi. Si è passati pertanto dal pensiero conforme di gruppo al “tribalismo accademico” – così lo inquadra Mudd in dialogo per The Philosopher con Alexis Papazoglou (min. 10:30 ca.) – ovvero a una chiusura delle menti, al cospetto della quale nessuno è innocente. Era sufficiente, per esempio, non attenersi pedissequamente all’uso del neologismo latinx, coniato allo scopo di includere le identità di genere non-binarie dei latino-americani, per macchiarsi della colpa morale del razzismo e del sessismo (min. 25 ca.).
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