Rassegna – 02/10/2025

Francesco Barbetta: Valore e connessione sociale
Valore e connessione sociale
Gianfranco La Grassa, omaggio a un maestro
di Francesco Barbetta
La notizia della scomparsa di Gianfranco La Grassa mi ha colpito con la forza di un’onda che arriva dopo un lungo viaggio, portando con sé non solo il dolore del presente ma i sedimenti di un’intera fase della mia vita. Per me Gianfranco non è stato semplicemente un autore da studiare ma il primo intellettuale marxista di statura che abbia mai incontrato. Lo conobbi quando ero un operaio in una piccola ditta di prodotti chimici. All’epoca ero già un maoista impregnato di althusserismo e lui mi aiutò a mettere qualche punto in ordine nel mio modo di leggere Marx. Gianfranco La Grassa mi ha insegnato una cosa sopra tutte: che il pensiero critico è, prima di tutto, movimento, conflitto, capacità di mettersi in discussione. Mi ha insegnato che la fedeltà a un’idea non sta nel ripeterla dogmaticamente ma nel sottoporla costantemente al vaglio della realtà, anche a costo di doverla rivedere radicalmente. Non sono sempre stato d’accordo con le sue derive teoriche ma lo considero indubbiamente uno dei punti più alti raggiunti dal pensiero economico marxista in Italia e merita di essere ricordato in futuro.
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Gianfranco La Grassa inizia il suo saggio Il valore come connessione sociale individuando con precisione i due cardini fondamentali su cui, a suo avviso, si reggono molti attacchi al marxismo, sia in ambito economico che politico. Il primo punto è la dichiarata obsolescenza, quando non l’inesistenza, della legge del valore, spesso bollata come un retaggio metafisico del pensiero di Marx. Il secondo punto, strettamente correlato, è la riduzione delle entità economiche a un mero precipitato, un effetto secondario, di rapporti di forza sociali e politici, denunciando così una presunta carenza del marxismo: l’assenza di una vera e propria teoria politica e dello Stato.
Wu Ming 4: I dilemmi dei tolkieniani “di sinistra” e l’inconscio politico della Terra di Mezzo
I dilemmi dei tolkieniani “di sinistra” e l’inconscio politico della Terra di Mezzo
di Wu Ming 4
«Quelli che trascurano di rileggere si condannano a leggere sempre la stessa storia.»
Roland Barthes
1. Intro: Tolkien controcorrente
Se nel corso degli anni gli estimatori destrorsi di Tolkien non hanno mai perso occasione di rinfacciare a quelli sinistrorsi un certo quale “abusivismo”, finanche accusandoli di appropriazione indebita, è pur vero che noi altri non ci siamo mai fatti mancare un certo bisogno di autogiustificazione per apprezzare un narratore reazionario come Tolkien. Ne è un buon esempio l’articolo uscito recentemente sulla rivista Dissent, intitolato «Tolkien against the grain» e tradotto e pubblicato in Italia da Internazionale (n. 1631, 12/09/2025) col titolo «Tolkien controcorrente».
L’articolo è firmato da Gerry Canavan, allievo di Fredric Jameson (1934-2024) e professore d’inglese alla Marquette University di Milwakee. Non un’università qualunque per gli studiosi di Tolkien, ma quella che custodisce il “reliquiario”, cioè i manoscritti originali dello Hobbit e del Signore degli Anelli, e dove l’opera di Tolkien viene studiata regolarmente. Lo stesso Canavan nell’articolo fa sapere che, avvalendosi di quel materiale di prim’ordine, tiene un corso su Tolkien ogni due anni. E come lui anche il professor Robert T. Tally jr., altro allievo di Jameson, il quale
«scava nel testo alla ricerca di una serie d’indizi che suggeriscono che il declino degli elfi non è poi così tragico, o che, in fondo, la ragione sta dalla parte degli orchi. Nei rari momenti in cui vediamo gli orchi senza filtri, esprimono anche loro il desiderio di mettere fine alla guerra, manifestando disprezzo per il signore oscuro Sauron che li comanda e per i suoi orrendi Nazgûl, gli spettri dell’anello».
Enrico Tomaselli: Il cane del deserto
Il cane del deserto
di Enrico Tomaselli
Donald Trump è uno abituato a vendere la pelle dell’orso prima di averlo catturato. Lo ha fatto – giustappunto… – con l’orso russo, e adesso ci rifà con l’ingarbugliata matassa mediorientale. Sta dando per prossimo alla soluzione il conflitto di Gaza, in virtù dell’ennesimo piano predisposto dalla sua amministrazione, che però non tiene conto della volontà delle parti in causa – la Resistenza palestinese e Israele – che per ragioni diverse e opposte semplicemente non accetteranno mai il suo piano.
Che, nella sua ultima versione, anche a prescindere dalla oscena ipotesi di affidare a Tony Blair la guida di questo organismo internazionale che dovrebbe governare i territori palestinesi, quasi una riedizione del mandato britannico sulla Palestina, contiene degli elementi assolutamente inaccettabili sia per Netanyahu che per Hamas.
Ci sono delle previsioni di tempistica dell’attuazione che sarebbero, già di per sé, degli enormi ostacoli: la Resistenza dovrebbe liberare tutti i prigionieri israeliani subito, l’IDF dovrebbe ritirarsi gradualmente da Gaza – due condizioni sfavorevoli ai palestinesi. E altre di poco chiara definizione: la composizione della forza internazionale che dovrebbe garantire la sicurezza durante il periodo transitorio (cinque anni), non si sa se composta da forze ONU o da contractors appositamente arruolati.
Vincenzo Miliucci: L’Italia vera sta con la Palestina
L’Italia vera sta con la Palestina
Giulio De Petra intervista Vincenzo Miliucci
L’eccezionale giornata di lotta vissuta in tutta Italia il 22 settembre è un moto generale voluto e partecipato dalla gente comune. Non nasce all’improvviso ma è il prodotto di due anni di una straordinaria varietà di iniziative e mobilitazioni in ogni angolo del paese
Lo straordinario successo in tutta Italia delle mobilitazioni del 22 settembre dimostra la capacità che ha avuto il sindacalismo di base di interpretare politicamente l’umore popolare e di offrirgli la possibilità di esprimersi. Ne abbiamo parlato con Vincenzo Miliucci, storico esponente dei Cobas e da sempre tenace sostenitore della causa palestinese.
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Che valutazione dai della grande giornate di mobilitazione del 22 settembre?
L’eccezionale giornata di lotta vissuta in tutta Italia, così come la grande partecipazione allo sciopero politico indetto dalle organizzazioni sindacali conflittuali dal titolo “Stop genocidio, con la Flotilla, blocchiamo tutto”, è il risultato di un moto generale voluto e partecipato dalla gente comune, sfinita dall’orrore quotidiano suscitato dalla totale distruzione di Gaza, dal genocidio in corso, dall’esodo impietoso nella Striscia, dal sistematico annientamento del popolo palestinese.
Ilan Pappé: Il calice avvelenato del riconoscimento
Il calice avvelenato del riconoscimento
Un’arma a doppio taglio per la Palestina
Ilan Pappé* – The Palestine Chronicle
Anche se non dovremmo considerarlo un “momento storico” o un “punto di svolta”, questo riconoscimento ha il potenziale per aiutare i palestinesi a condurci verso un futuro diverso
In passato, ero piuttosto scettico riguardo al riconoscimento della Palestina, poiché sembrava che coloro che erano coinvolti nella conversazione si riferissero solo a parti della Cisgiordania e della Striscia di Gaza come Stato di Palestina, e a un governo autonomo da parte di un ente come l’Autorità Nazionale Palestinese, privo di una vera e propria sovranità: una Palestina Bantustan. Un simile riconoscimento avrebbe potuto creare l’errata impressione che il cosiddetto conflitto in Palestina fosse stato risolto con successo.
Molti dei capi di governo e dei loro ministeri degli esteri che oggi parlano di riconoscimento fanno ancora riferimento a questo tipo di Palestina. Quindi, dovremmo sostenere maggiormente questa iniziativa in questo momento?
Suggerirei di affrontarla in modo più sfumato in questo particolare momento storico, mentre il genocidio continua.
Non sorprende che nessuno a Gaza abbia tratto speranza, ispirazione o soddisfazione da questa dichiarazione. Solo a Ramallah e in alcuni settori del movimento di solidarietà è stata celebrata come un grande risultato.
I governi che hanno riconosciuto la Palestina la associano direttamente alla soluzione obsoleta e ormai morta da tempo dei due stati, una formula impraticabile, immorale e basata sull’ingiustizia fin dal momento in cui è stata concepita come “soluzione”.
Marina Minicuci: Fumo e ceneri
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Fumo e ceneri
recensione di Marina Minicuci
Il saggio “Fumo e ceneri” (di Amitav Ghosh, Einaudi 2025, 387 pagine, 22,00 euro) racconta più dei migliori libri di storia come in Cina e successivamente in India, prima i colonizzatori olandesi e poi i britannici, abbiano fatto dell’oppio un sistema di domino contribuendo in modo decisivo a costruire il mondo d’oggi, sull’orlo del baratro. Ghosh annoda magistralmente i fili del commercio dell’oppio alla base delle fortune degli imperialismi e delle loro élite e specularmente alla base delle disgrazie e dello sterminio delle popolazioni con le sue propaggini che a tutt’oggi affliggono il mondo. Un esempio fra tutti il Fentanyl un potente oppioide sintetico, detto anche “la droga degli zombie”, 50 volte più letale dell’eroina, che sta seminando morti fra la popolazione U.S.A. “in quattro o cinque anni più morti che durante la Seconda Guerra Mondiale”. E poiché il suo commercio è molto redditizio fa gola a tutte le mafie, quella farmaceutica in testa, cosa che fa temere che l’epidemia si propagherà anche alle nostre latitudini.
La pianta del papavero, Papaver somniferum, data almeno 20.000 anni, mentre il suo addomesticamento e il riconoscimento delle sue proprietà medicinali risalgono a un periodo successivo, tra il 6000 e il 3500 a.C.; è sempre stata usata per usi farmacologici, ancora oggi il 50% dei farmaci contiene oppiacei. L’oppio è una sostanza salvifica il cui uso mai si potrebbe vietare e continuerà a esserlo per molto tempo a venire. Mentre letale è stata la sua trasformazione in droga, alienante come lo è stata per gli abitanti della Cina, di parte dell’India, Giava, Sumatra…
Paolo Bartolini: Ostaggi
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Ostaggi
di Paolo Bartolini
L’articolo tristemente noto di Massimo Recalcati uscito su La Repubblica, dove in sostanza lo psicoanalista italiano vorrebbe farci interrogare sulla nostra (presunta) assenza di empatia e interesse verso gli ostaggi israeliani sequestrati da Hamas, insinuando sottilmente che i movimenti di solidarietà verso i palestinesi mancano di introspezione ed equità, può essere sondato capovolgendo la sua impostazione. Io credo che obiettivamente la sorte degli ostaggi sia andata sullo sfondo, e che ciò accada non per una difficoltà psicologica dei singoli a provare compassione per questi poveri disgraziati, ma perché Israele agisce da molto tempo in un modo talmente aggressivo, sproporzionato, persecutorio e – palesemente – genocida, da consegnare esso stesso all’oblio i suoi cittadini. Una delle responsabilità più gravi del governo Netanyahu, e in generale dello Stato etnico-religioso che rappresenta, è di aver attenuato ogni slancio solidale verso le proprie vittime. Era il 7 ottobre, e avevamo appena fatto in tempo a provare orrore per quel barbaro atto terroristico, che già era diventato chiaro a chiunque che l’evento in questione avrebbe schiuso le porte dell’inferno per i palestinesi, popolo occupato, vessato e frequentemente aggredito dalle imponenti forze militari dell’“unica democrazia del Medioriente”. Domani Israele dovrà rispondere di parecchi crimini, tra i quali l’aver seppellito i propri morti in un terreno inospitale della psiche collettiva, poiché la pulizia etnica e lo sterminio dei palestinesi – ovviamente programmati e a lungo desiderati dagli estremisti sionisti – sono fenomeni così giganteschi da rendere impossibile qualunque equiparazione tra i danni subiti dalle due popolazioni.
Eros Barone: La Dialettica della natura di Engels e la ricerca di una sintesi tra la filosofia e la scienza
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La Dialettica della natura di Engels e la ricerca di una sintesi tra la filosofia e la scienza
di Eros Barone
Marx ed io siamo stati presso a poco i soli a salvare dalla filosofia idealistica tedesca la dialettica cosciente e a trasferirla nella concezione materialistica della natura e della storia. Ma per una concezione dialettica e a un tempo materialistica della natura è necessario che siano note la matematica e le scienze naturali. Marx aveva solide cognizioni di matematica, ma le scienze naturali le potevamo seguire solo parzialmente, saltuariamente, sporadicamente. Perciò, quando, col mio ritiro dalla mia azienda commerciale e il mio trasferimento a Londra, ne ebbi il tempo, nella misura in cui mi fu possibile mi sottoposi a una compiuta “muda” matematica e naturalistica […]e vi consacrai la parte migliore di otto anni.
Friedrich Engels, Dalla prefazione alla seconda edizione dell’Antidühring.
1. Significato e costruzione di una “dialettica della natura”
Per valutare il significato storico e teorico del modo in cui Engels ha esteso la dialettica dal campo delle scienze storico-sociali a quello delle scienze fisico-naturali occorre considerare nel suo significato complessivo la elaborazione teorica da lui sviluppata, che comprende la scienza, la dialettica e il materialismo, e individuare nel contempo lo sfondo storico-culturale di tale elaborazione. Né si può prescindere, per un verso, dai limiti storici inerenti allo stadio di sviluppo delle scienze che offrono a Engels la base di appoggio per la sua costruzione di una “dialettica della natura” e, per un altro verso, dal fine che egli in generale attribuisce a tale dialettica, quindi alla funzione che essa svolge nella prospettiva del comunismo. Questo duplice aspetto è stato al centro dell’attenzione critica e della ricerca teoretica che, nell’àmbito del marxismo italiano, hanno contraddistinto i contributi forniti da Ludovico Geymonat e dalla sua scuola.
La feconda vitalità del pensiero di Geymonat nasce infatti da una riflessione originale sul materialismo dialettico.
Ugo Boghetta: Dal fondo umanitario alla critica del capitalismo: brevi note sulle mobilitazioni del 22 settembre
Dal fondo umanitario alla critica del capitalismo: brevi note sulle mobilitazioni del 22 settembre
di Ugo Boghetta
Il grande movimento sceso in piazza il 22 settembre non si ferma. Le navi dirette verso Gaza, attaccate da droni che sembrano lanciati da ignoti (mentre altri sono sempre russi), mantengono alto il livello della mobilitazione.
All’Onu, intanto, è andato in scena il Nuovo Mondo, a cui Trump e Israele rispondono con un’arroganza suicida.
Il fondo umanitario che caratterizza questo movimento non va inteso come mero umanitarismo. È un fondo politico, che condensa anche anni di frustrazioni su tanti temi vissuti con impotenza: scuola, sanità, lavoro, precarietà, salario, casa. L’instabilità internazionale si somma a queste difficoltà e alimenta l’incertezza della vita quotidiana. Byung-Chul Han la definisce “società ansiogena”.
La domanda è: quale quadro di riferimento, quale consolidamento nel tempo potrà darsi questo imponente movimento, che non si spegnerà nemmeno con la fine delle mobilitazioni?
Essere un agente capace di incidere sul quadro internazionale proietta l’aspetto umanitario oltre la pura indignazione, trasformandolo in contestazione dei cosiddetti “valori occidentali”. Valori ormai giunti alla fine che meritano. L’Occidente altro non è che il capitalismo giunto, dopo secoli di eccellenze ma anche di barbarie — colonialismo, imperialismo, schiavismo, razzismo — alla sua disfatta umana, morale ed etica. Esaurita la spinta propulsiva, resta solo la forza militare. Ma con la sola violenza non andrà lontano, anche se, se non fermato, potrà ancora produrre morte e distruzioni immani.
Redazione: La non-notizia degli aerei russi ‘intercettati’ vicino la Lettonia, fabbricata dai guerrafondai
La non-notizia degli aerei russi ‘intercettati’ vicino la Lettonia, fabbricata dai guerrafondai
di Redazione
Il segno dei tempi che viviamo è dato dal fatto di dover in continuazione spiegare come le notizie allarmistiche lanciate dai media nostrani riguardo minacce imminenti di sconfinamenti russi siano fabbricate ad arte dai guerrafondai europei, che devono pur legittimare la scelta di far scivolare l’intero continente in guerra.
Anche il delirio di titoli sugli aerei russi ‘intercettati’ ieri nei pressi della Lettonia va annoverato nella lista della disinformazione di guerra europeista. Innanzitutto, perché nessun aereo è stato ‘intercettato’, formula che nel linguaggio dell’aviazione rimanda più all’ingaggio tra velivoli. Per fortuna, ancora nessuno si è sparato addosso.
I signori della guerra europei, però, che siedano a Bruxelles o parlino a nome della NATO, annunciano questa intenzione un giorno sì e l’altro pure. Così hanno fatto anche a margine di un evento che non ha nulla di straordinario, ma che è stato montato per escalare ancora i rapporti con Mosca.
I fatti sono questi: due caccia Gripen ungheresi, facenti parte dell’unità di sorveglianza NATO Baltic Air Policing, sono decollati ieri dalla base lituana di Siauliai, per seguire da vicino il percorso di un SU-30, un SU-35 e tre MiG-31 russi, che “volavano in prossimità dello spazio aereo lettone“, ha comunicato il Comando Alleato su X.
Il che, tradotto, significa che viaggiavano in cieli internazionali, rispettando tutte le disposizioni del caso. Ma l’occasione è stata colta al volo da varie voci europee per tornare a minacciare il Cremlino di una guerra imminente: il segretario generale della NATO, Mark Rutte, ha detto che le truppe del Patto Atlantico sono pronte ad abbattere droni e jet russi, se sconfinano nello spazio aereo dell’alleanza.
Il Chimico Scettico: Il simulacro della scienza e l’autoritarismo
Il simulacro della scienza e l’autoritarismo
di Il Chimico Scettico
7 anni fa un’istanza puramente politica (poi ideologica) finiva nel corpus legislativo della Repubblica Italiana mascherata da “scienza”: era il D.L n. 73 7 giugno 2017, altresì noto come Decreto Lorenzin. Il simulacro della scienza faceva il suo ingresso nella politica italiana del nuovo millennio.
Davide Malacaria: L’Occidente e la pericolosa isteria della minaccia russa
L’Occidente e la pericolosa isteria della minaccia russa
di Davide Malacaria
La spinta isterica per dar vita a un’escalation contro la Russia si intensifica, con i Paesi Nato a inventare sempre nuovi pretesti per favorire tale sviluppo. Dapprima i droni russi sui cieli polacchi, capitati lì a causa di un disturbo elettronico che li ha deviati – come dimostra anche lo sconfinamento in Bielorussia, paese alleato di Mosca, che certo non aveva alcuna necessità di minacciare. Sconfinamento che ha avuto una coda nella distruzione di una casa – per fortuna nessuna vittima – e nella violazione delle spazio aereo della residenza del presidente polacco da parte di un drone.
Le solite accuse roboanti alla Russia per entrambi gli episodi, seguite poi dalle sussurrate smentite perché si è scoperto che la casa era stata distrutta da un missile partito da un F-16 Nato, dicono impazzito, e che il drone era teleguidato da un ragazzo ucraino e una ragazza bielorussa. Poi c’è stato l’allarme per lo sconfinamento di un drone, dicono russo, in Romania e l’asserito sconfinamento di jet russi nei cieli di Paesi Nato.
Un’escalation progressiva che hanno avuto il suo momento epifanico nell’allarme lanciato dalla guerrafondaia Ursula von der Lyen su un asserito attacco hacker russo al suo velivolo in fase di atterraggio in Bulgaria, allarme dimostratosi del tutto infondato, anzi inventato di sana pianta.
Se ricordiamo l’episodio è perché l’invenzione della Von der Lyen era, oltre che sciocca, di una gravità assoluta: il fatto che non sia stata rimossa dall’alto incarico che presiede getta luce sugli allarmi successivi.
Alessandro Carrera: Il fondamentalismo occidentale e gli spari
Il fondamentalismo occidentale e gli spari
di Alessandro Carrera
Le università americane sono al centro di una battaglia politica altrettanto importante di quella che coinvolge la magistratura o l’istituzione sanitaria degli Stati Uniti. L’attuale presidenza, insieme ai media e agli opinionisti che compongono la galassia della nuova destra, ha individuato nel mondo universitario il “cuore del sistema” che garantirebbe il perpetuarsi dell’egemonia culturale della sinistra. L’attacco alle università è dunque prioritario al fine di ristabilire un’egemonia conservatrice che può far pensare a un ritorno agli anni Cinquanta, alla paura del comunismo e al periodo del maccartismo, mentre in realtà si tratta di un fenomeno politico nuovo, e che mira a stabilire un vero e proprio “fondamentalismo occidentale”.
Come tutti i movimenti nati dopo la crisi della modernità (che possiamo datare all’incirca tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso), e che aspirano a essere fondativi o rifondativi, anche il fondamentalismo occidentale, non diversamente dal fondamentalismo islamico, senza escludere quello neoconfuciano, si basa su principi largamente ricostruiti ad hoc.



