Rassegna – 08/10/2025

Francesco Cappello: Il New Start – il trattato sulla riduzione delle armi nucleari. Un “Nuovo Inizio”?
Il New Start – il trattato sulla riduzione delle armi nucleari. Un “Nuovo Inizio”?
di Francesco Cappello
Quali conseguenze avrebbe il mancato rinnovo del trattato sulla limitazione delle armi nucleari strategiche?
Malgrado i leader degli Stati Uniti, della Russia e della Cina abbiano spesso dichiarato che una guerra nucleare non possa essere vinta e non dovrebbe mai essere combattuta, il mondo assiste a una convergenza di follia politica e diserzione diplomatica che sta rischiando di riportare le lancette dell’orologio dell’apocalisse ai momenti più bui della Guerra Fredda. È ormai prossima la scadenza del trattato “New Start”, l’ultimo baluardo contro la ripresa di una corsa agli armamenti tra Washington e Mosca. La data fatidica è il 5 febbraio 2026, e le conseguenze del suo mancato rinnovamento, in questo momento critico della storia dell’umanità, sarebbero potenzialmente catastrofiche. I due più grandi stati nucleari del mondo tornerebbero a non avere, dopo due generazioni, alcun tetto ai loro arsenali atomici.
Secondo alcune analisi, alla cessazione del trattato, gli Stati Uniti potrebbero essere pronti a più che raddoppiare il proprio arsenale nucleare schierato, passando dalle attuali 1.550 testate a una cifra compresa tra 3.000 e 4.000 in poco tempo.
Un articolo della Arms Control Association cita uno studio della Federation of American Scientists (FAS) che valuta che, se il Trattato New START venisse scaduto o non rispettato, gli USA e la Russia potrebbero raddoppiare le loro testate strategiche dispiegate entro uno-due anni usando le testate di riserva già esistenti e caricandole sui vettori esistenti.
Il comandante del Air Force Global Strike Command ha dichiarato che, alla scadenza del New START, “potrebbe arrivare l’ordine” di aumentare la capacità nucleare USA, sia per la componente dei missili terrestri (ICBM) sia per quella dei bombardieri.
Questa capacità di rapido riarmo non è un’ipotesi, ma una condizione che il Congresso americano impose per la ratifica stessa del trattato. La reazione della Russia sarebbe inevitabile e speculare, al fine di mantenere una parità strategica, col risultato che il pianeta cadrebbe in una nuova corsa agli armamenti.
Nico Maccentelli: La Sinistra Negata 03
La Sinistra Negata 03
Sinistra rivoluzionarla e composizione di classe in Italia (1960-1980)
a cura di Nico Maccentelli
Redazionale del nr. 18, Dicembre 1998 Anno X di Progetto Memoria, Rivista di storia dell’antagonismo sociale
Parte seconda. Gli Anni Settanta.
1. I “GRUPPI”
Il superamento della crisi del 1963-66 è reso possibile soprattutto da un mutamento nella composizione della domanda estera e da una posizione conseguentemente diversa assegnata all’Italia nell’ambito della divisione internazionale del lavoro. L’entrata in scena di paesi produttori di beni di consumo a basso costo costringe l’Italia a modificare le proprie esportazioni, spostando l’accento sui beni finali d’investimento dell’industria pesante e della meccanica leggera1. Acquistano dunque un inedito peso le imprese chimiche, petrolchimiche, siderurgiche, nelle quali le dimensioni degli impianti e gli enormi bisogni finanziari, rendono necessaria la partecipazione statale. È da notare che le industrie di questo tipo, malgrado le proporzioni colossali degli stabilimenti, assorbono quote ridottissime di forza-lavoro2. Il primo effetto della ristrutturazione, seguita alla crisi è dunque quello di contenere l’occupazione in alcuni dei rami industriali trainanti, producendo, con l’esclusione delle figure “deboli” (anziani, giovani, donne), un’ulteriore selezione a favore degli operai delle fasce centrali di età, più di tutti inclini a intraprendere azioni rivendicative.
È dunque un proletariato di fabbrica ridotto ma estremamente compatto, al cui interno continua a detenere l’egemonia (politica anche se non numerica) l’operaio-massa, a dar vita al lungo “autunno caldo” del 1969-1971. È in queste lotte che si sperimentano, con i Comitati Unitari di Base, le prime forme di organizzazione autonoma della classe operaia; ed è in queste lotte che i gruppi sparsi della sinistra rivoluzionaria trovano il cemento necessario alla loro unificazione, dando vita, dopo i convegni delle avanguardie di fabbrica del 1968 e del 1969 a due vaste organizzazioni: del Potere Operaio e Lotta Continua.
La prima metà degli anni ‘70 reca l’impronta di questi due raggruppamenti, che si dividono le spoglie dell’operaismo del decennio precedente e che, unitamente a gruppi di diversa matrice (Avanguardia Operaia, Il Manifesto, i vari “Partiti” di ispirazione maoista, ecc.), danno vita al complesso arcipelago della cosiddetta “sinistra extraparlamentare”.
Alastair Crooke: La congiuntura americana mentre si accende l’ottavo fronte israeliano
La congiuntura americana mentre si accende l’ottavo fronte israeliano
di Alastair Crooke* – Strategic Culture
Putin può convivere con la “schizofrenia di Giano” di Trump, mentre le forze russe avanzano su tutti i principali fronti di battaglia
La seconda fase del passaggio di consegne della guerra in Ucraina da parte di Trump agli europei è stata chiaramente delineata nel suo post su Truth Social del 23 settembre. Nella prima fase del passaggio di consegne, Trump si è ritirato dal ruolo di principale fornitore di armamenti a Kiev e ha indicato che d’ora in poi l’Europa avrebbe dovuto pagare praticamente tutto, acquistando armi da produttori statunitensi.
Naturalmente, Trump sa che l’Europa è “in bancarotta” dal punto di vista fiscale. Non ha i soldi per finanziarsi, figuriamoci per una guerra su larga scala. Poi ha “aggiunto sale” a questa crisi fiscale sfidando gli stati della NATO a essere i primi a sanzionare tutti i carburanti russi. Ovviamente, anche questo non accadrà. Sarebbe una follia.
In questo ultimo post su Truth Social, Trump porta la linea di Keith Kellogg alla sua reductio ad absurdum . “L’Ucraina, con il sostegno dell’UE, può riportare il Paese [Ucraina] alla sua forma originale, facendo sembrare la Russia una ‘tigre di carta’… e chissà, forse potrebbe spingersi anche oltre !”
Certo, Kiev sta avanzando verso Mosca? Prenditi gioco di lui, signor Trump. Certo che sta prendendo in giro Kellogg e gli europei.
Poi, in seguito all’incontro di Trump con Zelensky, Francia, Germania e Regno Unito all’ONU, è stata proposta una bozza di risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che riecheggiava la richiesta esplicita di capitolazione russa avanzata dagli europei e dalla Coalizione dei Volenterosi . Trump ha permesso ai funzionari statunitensi di partecipare attivamente alla discussione sulla risoluzione, ma poi, all’ultimo momento, ha fatto sì che gli Stati Uniti ponessero il veto.
In questo modo contorto, Trump riesce – come Giano – a guardare due direzioni contemporaneamente: da una parte, sostiene al 100% l’Ucraina, esaltando il “Grande Spirito” dell’Ucraina e adottando la linea di Kellogg secondo cui Putin è in grossi guai. Ma “dall’altra parte”, Trump si impegna al contrario a “non limitare la possibilità di colloqui di pace, né a far sì che le tensioni si inaspriscano ulteriormente “.
Jaime Bravo – Jorge Coulon: Il mondo finanzia il deficit degli Stati Uniti
Il mondo finanzia il deficit degli Stati Uniti
di Jaime Bravo – Jorge Coulon
Nell’agosto del 1971, Richard Nixon annunciò la sospensione della convertibilità del dollaro in oro. Ciò pose fine a un ciclo iniziato con gli accordi di Bretton Woods, che avevano concesso agli Stati Uniti – l’unica potenza industriale e finanziaria emersa dalla guerra con le proprie capacità intatte e in qualità di creditrice del resto del mondo – la possibilità di rendere la propria valuta la riserva di valore globale.
Ma, anche con questo potere americano, fu necessario fare concessioni riguardo alla copertura aurea e, quindi, concentrare le riserve dei paesi occidentali. Nessuno era disposto a consegnare la stampa della valuta di riserva a un singolo paese.
Con il gesto di interrompere la convertibilità – il cosiddetto Nixon Shock – il sistema di Bretton Woods, che aveva fornito stabilità al commercio internazionale dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, collassò. Il gold standard, che garantiva che ogni dollaro potesse essere scambiato per una quantità fissa di metallo prezioso, fu abbandonato. Da allora, il dollaro è stato sostenuto esclusivamente dalla “fiducia” nell’economia degli Stati Uniti e dal potere politico e militare che la sostiene.
Ma non è tutto. La coercizione per imporne l’uso portò alla nascita dei petrodollari. Lo stesso Nixon firmò un accordo con l’Arabia Saudita, in base al quale quel paese – il più grande esportatore di petrolio dell’epoca – avrebbe accettato pagamenti solo in dollari statunitensi. In cambio, gli Stati Uniti avrebbero garantito la sicurezza dell’Arabia Saudita.
Barbara Spinelli: Trump, il piano zoppo per la pace e l’Europa a zero
Trump, il piano zoppo per la pace e l’Europa a zero
di Barbara Spinelli
Quest’articolo è stato scritto subito dopo l’annuncio del Piano di pace, prima della reazione di Hamas e della risposta di Trump, ambedue comunicate il 3 ottobre
Non è chiaro se il piano di pace annunciato il 29 ottobre da Trump e Netanyahu (“Il più grande evento nella storia della civilizzazione”) sia oppure no un Truman Show, una realtà parallela e perversa allo stesso modo in cui fu parallela e perversa l’esultanza di Bush jr (“Mission accomplished!”) quando pretese di aver vinto in poco più d’un mese la guerra in Iraq e insediò a Bagdad il catastrofico protettorato Usa diretto da Lewis Bremer.
Tra i tanti disastri accaduti dopo quella guerra – incoraggiata da Netanyahu – c’è l’assalto di Hamas del 7 ottobre 2023: una strage cui Israele ha risposto con l’uccisione in massa di civili palestinesi a Gaza (“tutti terroristi” secondo il Presidente Herzog). Quest’uccisione è l’evento unico di questi anni: unico nella storia delle civilizzazioni, non della civilizzazione suprema menzionata da Trump.
Netanyahu si finge vincente, avendo ottenuto modifiche a proprio favore del piano, ma in cuor suo lo sa: o il genocidio continua fino a quando Hamas accetterà la resa incondizionata, oppure i suoi giorni al governo potrebbero esser contati. L’America non lo salverà se i suoi ministri terroristi (Smotrich, Ben Gvir) lo affosseranno. Per Smotrich il piano è il “tradimento di tutte le lezioni del 7 ottobre, e finirà in lacrime”.
Manlio Dinucci: I pacificatori
I pacificatori
di Manlio Dinucci
“Questo è un giorno molto importante, potenzialmente uno dei giorni più importanti nella storia della civiltà. Cose che vanno avanti da centinaia e migliaia dii anni, noi siamo molto, molto vicini a risolverle. Voglio ringraziare Bibi per essersi davvero impegnato e aver fatto un ottimo lavoro. Abbiamo lavorato bene insieme, come abbiamo fatto, entrambi, con molti altri paesi. Questo è l’unico modo per risolvere l’intera situazione. Accordo completo, tutto risolto. Si chiama pace in Medio Oriente.”
Le stime degli esperti sull’ “ottimo lavoro” di Netanyahu a Gaza
“I bambini sono estremamente vulnerabili: l’allattamento al seno è molto problematico per le madri di Gaza gravemente traumatizzate, a cui sono sostanzialmente negati acqua, cibo, riparo, igiene, latte artificiale, elettricità, servizi igienici e altri beni di prima necessità. Stimando che il 33% delle morti violente a Gaza siano quelle di bambini, il 21% di donne e il 46% di uomini e che le stesse proporzioni valgano per le morti per privazioni, si stima che a Gaza siano stati uccisi dalla violenza e dalle privazioni circa 479.000 bambini di cui 380.000 sotto i cinque anni, 63.000 donne e 138.000 uomini: in totale circa 680 mila persone.”
Paolo Giovannetti: Nel labirinto
Nel labirinto
di Paolo Giovannetti
Roberto Fineschi, Nel labirinto. Italo Calvino filosofo, Napoli, La scuola di Pitagora, 2025. Collana “Diotìma. Questioni di filosofia e politica”, 33.
Il titolo è, in sé, allettante. Di tante questioni calviniane si è parlato in occasione del centenario della nascita, nel 2023: ma l’aspetto in senso stretto filosofico è rimasto in ombra. Tanto più che – con ogni evidenza – nel libro non si parla di filosofia in genere, ma di rapporti con il marxismo, con la filosofia marxista. E qui, davvero, la bibliografia è sfornitissima. Anche per una ragione ulteriore: oggi si tende a guardare con sospetto il Calvino che si avventura in certe sintesi politiche, come per esempio gli era accaduto in un saggio a cui teneva molto, L’antitesi operaia, del 1964, che già ai tempi gli meritò sorrisi imbarazzati da parte di amici e – senza ironia – compagni, che non ritenevano adeguati i suoi tentativi di orientamento fra opposte tensioni ideologiche. A dirla tutta, il Calvino più esplicitamente e volontaristicamente pubblico degli anni che arrivano fino al 1963-1964 può apparire invecchiato, oggi (anche al netto di certi pezzi stalinisti scritti per “L’Unità”).
Merito di Fineschi è aver valorizzato, intanto, il Calvino del PCI, la cui cultura politica è sottoposta a un’analisi molto istruttiva anche in chiave letteraria, e italiana. In particolare, un certo storicismo “dialettico”, preoccupato di mettere a partito il succedersi temporale e ideale di tesi, antitesi e sintesi, avrebbe poco a che fare con il pensiero di Marx e Lenin, e molto invece con una certa tradizione crociana e umanistica.
Roberto Fineschi: Il capitale di Marx oggi
Il capitale di Marx oggi
di Roberto Fineschi (Siena School for Liberal Arts)
Buonasera a tutti. Grazie al prof. Azzarà per aver organizzato questo evento e a tutti i colleghi che si sono resi disponibili per venire a discuterne. Estendo i ringraziamenti ai presenti per la loro partecipazione.
Iniziamo dal feticcio: il libro è editorialmente bellissimo, arricchito da stampe di dipinti otto-novecenteschi sulla storia del lavoro. Una prima nota da mettere in evidenza è che il volume è uscito nei Millenni di Einaudi, vale a dire un classico che resiste al tempo e che dura nei secoli. Qualcuno potrebbe interpretarla come una sorta di imbalsamazione, il bel monumento… ai caduti. Invece, almeno per i contatti che ho avuto io con la casa editrice, mi è parso che ci fosse l’idea di un contenuto politico, di politica culturale. Come se ci fosse una sorta di malessere anche all’interno della cultura ufficiale “borghese” nei confronti delle teorie predominanti. Probabilmente anche una borghesia diciamo moderatamente progressista e di vedute più ampie si rende conto che certi paradigmi mainstream, ahimè spiegano sempre meno e che quindi una strumentazione che parta da un paradigma diverso, anche senza volerlo abbracciare ovviamente in toto, può essere presa in considerazione; forse certe categorie non sono da buttar via. C’era anche una dimensione culturale, di politica culturale, per dare degli spunti contenutistici anche a un possibile movimento progressista in senso lato.
Veniamo più concretamente all’edizione. Innanzitutto è una ritraduzione completa, non solo mia; diamo onore ai miei collaboratori che sono Stefano Breda, Gabriele Schimmenti e Giovanni Sgro’. Abbiamo diviso in quattro eque parti e poi chiaramente è stato rimesso insieme, omogeneizzato dal sottoscritto.
Perché una nuova edizione, esistendone già diverse, sia storiche che più recenti. Le più diffuse sono l’edizione Cantimori e l’edizione Maffi. C’è anche l’edizione Sbardella della Newton. Le edizioni Cantimori e Maffi in particolare sono buone. Quindi: perché farne una nuova? Principalmente per la MEGA, cioè la nuova, la Marx-Engels-Gesamtausgabe, la nuova edizione storico-critica delle opere di Marx ed Engels.
Roberto Iannuzzi: Il “piano B” di Trump per uscire dal vicolo cieco di Gaza
Il “piano B” di Trump per uscire dal vicolo cieco di Gaza
di Roberto Iannuzzi
Il piano Trump è una “Riviera 2.0” per alleggerire la pressione interna e internazionale sulla Casa Bianca e su Israele, senza concedere nulla ai palestinesi. Ma il fallimento è dietro l’angolo
Presentato con grande fanfara mediatica, il “piano di pace” del presidente americano Donald Trump per Gaza è essenzialmente un coup de théâtre per tentare di uscire da una situazione sempre più ingestibile per la Casa Bianca, e pericolosamente fallimentare per Israele.
La rivolta dell’opinione pubblica mondiale
La reputazione dello Stato ebraico sta crollando a livello internazionale. Perfino negli Stati Uniti, paese storicamente amico, la maggioranza degli americani ritiene che Israele stia commettendo un genocidio a Gaza.
Ma il dato più preoccupante, per la Casa Bianca e per Tel Aviv, è quello dei giovani statunitensi. Fino al 61% della fascia compresa tra i 18 e i 29 anni ormai è schierato dalla parte dei palestinesi, appena il 19% è a favore di Israele.
Ad inquietare particolarmente Trump è la spaccatura all’interno del movimento MAGA (Make America Great Again) che lo sostiene, dove una componente in ascesa accusa Israele non solo dello sterminio di Gaza, ma di indebite ingerenze nelle scelte di politica estera degli Stati Uniti.
L’assassinio del giovane attivista conservatore Charlie Kirk, divenuto via via più critico nei confronti dello Stato ebraico partendo da iniziali posizioni filoisraeliane, ha suscitato un vespaio nella base trumpiana e seri grattacapi non solo per il presidente, ma anche per il governo Netanyahu.
Dopo la scellerata decisione Israeliana di bombardare la capitale del Qatar (uno dei principali alleati di Washington in Medio Oriente) nel tentativo (fallito) di decapitare la leadership di Hamas all’estero, Trump aveva anche il problema di riconquistare la fiducia fortemente scossa delle monarchie arabe del Golfo.
Francesca Orsi: Come evitare di liberarci… della libertà in tempi di IA
Come evitare di liberarci… della libertà in tempi di IA
di Francesca Orsi
Gabriele Giacomini: Il trilemma della libertà, Stati, cittadini, compagnie digitali, La Nave di Teseo, Milano, 2025 pp. 320, € 20,00
“Il dato sorprendente è che, in un mondo sempre più caratterizzato dalla presenza della tecnologia, dove l’innovazione è percepita come un sinonimo del progresso, la libertà preferibile è quella che si realizza in un contesto che non assolutizza il digitale, che evita di idolatrarlo”
(Giacomini, 2025)
Viviamo in un’epoca in cui la tecnologia permea, ormai, ogni aspetto della nostra vita: dal modo in cui comunichiamo, lavoriamo, ci informiamo fino al modo in cui veniamo governati. Di fronte a questo dato di fatto, lo schema mentale più comodo sarebbe quello del determinismo tecnologico, ovvero la rassegnazione silenziosa al fatto che le conseguenze del digitale siano la risultante di forze meramente tecnologiche. Ma un approccio soluzionista, che appunto idolatra il digitale e lo riconosce come unico artefice delle sorti dell’era contemporanea, non prende in considerazione altri attori fondamentali, che parimenti possono influenzarne gli esiti. È di questo avviso Gabriele Giacomini, filosofo politico e ricercatore presso l’Università degli Studi di Udine, attivo nel dibattito pubblico sul futuro delle democrazie nell’era digitale, come si evince dalla letturadel suo Il trilemma della libertà. Stati, cittadini, compagnie digitali. La realtà difatti è decisamente più complicata. Secondo l’autore, i tre soggetti sopraindicati possono dar luogo a configurazioni differenti a seconda delle relazioni che instaurano tra loro. Le tre combinazioni possibili che vedono l’associazione di Stati e compagnie, di Stati e cittadini o di compagnie e cittadini, sono le tre strade possibili e dunque i tre termini del trilemma, oggetto del titolo del saggio. La domanda principale è: possiamo far sì che un diritto fondamentale come la libertà individuale possa realizzarsi garantendo anche un potere statale efficace e un potere illimitato delle Big Tech? Per Giacomini la risposta è: no, non possiamo avere tutto. È proprio a partire da questa consapevolezza che si snoda il trilemma:
Mjriam Abu Samra e Pasquale Liguori: Coscienza collettiva e lotta politica: Gaza mette a nudo l’occidente
Coscienza collettiva e lotta politica: Gaza mette a nudo l’occidente
di Mjriam Abu Samra e Pasquale Liguori
Qualcosa si è rotto nel gran teatro della menzogna che per molti decenni ha coperto con crimini, ombre, giustificazioni e doppie morali il sistema politico occidentale. Per la prima volta in tempi recenti una causa – la Palestina – è deflagrata nell’immaginario collettivo globale e ha incrinato, per quanto in modo parziale e contraddittorio, l’egemonia degli organi di potere e di informazione. Questa rottura è reale e va riconosciuta: è un fatto. Ma riconoscerlo non significa attribuirgli un significato liberatorio né smettere di vederne rischi e contorni di assorbimento sistemico.
La flottiglia è stata scintilla mediatica. Le vele in mare, i lenzuoli alle finestre, gli hashtag e le piazze europee sono via via diventati simboli visibili, facili da fotografare, distribuire, applaudire. Hanno prodotto una narrazione che ha riempito un vuoto simbolico: molti si sono sentiti autorizzati a «essere dalla parte giusta». Ma il gesto visibile non è automaticamente sinonimo di rottura; spesso è il modo più efficace con cui il potere assorbe il dissenso e trasforma la collera in spettacolo gestibile.
Non arretriamo: il punto che si sostiene non è nichilistico. Va detto quello che si osserva con chiarezza teorica e con indignazione politica: una gran parte di queste manifestazioni è strutturalmente esposta al rischio di diventare valvola di sfogo per una coscienza collettiva che pretende pulirsi attraverso il rito senza sfidare i meccanismi concreti che generano la violenza. Questo non è un attacco alle persone in piazza, molte delle quali motivate da empatia genuina: è invece una critica al regime di rappresentazione che tende a trasformare la protesta in consumo simbolico, in meccanismo di alleggerimento morale per chi non intende cambiare nulla di sostanziale.
Tomaso Montanari: Gaza: il punto in cui siamo
Gaza: il punto in cui siamo
di Tomaso Montanari
«Il diritto internazionale è importante, ma fino a un certo punto» (Antonio Tajani, ministro degli esteri della Repubblica italiana, primo ottobre 2025). Qual è, questo «certo punto»?
È un punto sulla carta geografica: quello in cui la Marina militare israeliana assalta le navi disarmate e civili della Global Sumud Flotilla, che portano aiuti a una popolazione sottoposta a genocidio e sterminata con l’arma della fame. È un punto: un punto delle acque internazionali in cui i banditi si fanno polizia, e tolgono beni e libertà a naviganti incolpevoli.
Ed è il punto di una inversione: quello in cui chi viola la legge e usa la violenza è presentato come il garante dell’ordine, e chi rispetta scrupolosamente la legge e usa la nonviolenza è presentato come un eversore dell’ordine. Il punto in cui i criminali sequestrano gli onesti. E poi chiedono loro di firmare confessioni in cui affermano di aver compiuto un crimine contro il legittimo blocco navale israeliano. Confessioni estorte sotto minaccia e in detenzione illegale: lo ha fatto per secoli l’Inquisizione contro gli ebrei. Oggi lo fa Israele alle donne e agli uomini della Flotilla.
È il punto in cui, in televisione, gli opinionisti dicono che quelle sono «acque israeliane»: mentendo per la gola.
È il punto in cui Sergio Mattarella invita la Flotilla a lasciare gli aiuti a Cipro, cioè a non entrare nelle acque, internazionali o palestinesi, in cui Israele avrebbe potuto «porre a rischio l’incolumità di ogni persona». Che sarebbe come dire a cittadini di una città siciliana di non manifestare in un quartiere controllato da Cosa Nostra: perché quelli sparano. È il punto in cui Giorgia Meloni, come sempre con la bava alla bocca, si scaglia contro le vittime e si schiera con gli assassini.
Clara Statello: Il sovranismo (di cartapesta) è nudo
Il sovranismo (di cartapesta) è nudo
di Clara Statello
Il diritto internazionale è importante…ma fino a un certo punto. Finalmente il ministro degli Esteri Antonio Tajani lo ha detto fuori dai denti.
Il diritto internazionale vale quando serve a invocare l’articolo 4 della NATO contro Mosca, se un drone russo invade lo spazio aereo della Polonia. Non vale più se le truppe speciali israeliane assaltano in acque internazionali una nave battente bandiera italiana o spagnola. La nostra territorialità può essere impunemente violata da Israele, senza scomodare l’ombrello atlantico.
La sovranità può attendere, prima gli interessi degli Stati Uniti e di Israele, per il nostro governo che ha ritirato la scorta alle navi italiane della Global Sumud Flotilla.
Gli irresponsabili, però, sarebbero i membri dell’equipaggio che “hanno cercato l’escalation”, secondo la fata madrina dei sovranisti europei, Giorgia Meloni.
Il sovranismo di cartapesta dei post-fascisti al governo
Quella di ieri è stata una giornata nera per nostre le forze armate. Non solo per il tragico incidente aereo di Sabaudia durante un addestramento, costato la vita a due militari italiani dell’aeronautica. Ma anche perché il ministero della Difesa ha inflitto una sonora umiliazione alla nostra Marina militare.
Guerre di Rete: Il mistero dei droni degli aeroporti
Il mistero dei droni degli aeroporti
di Guerre di Rete
Da giorni, settimane, si succedono notizie di avvistamenti di droni in prossimità di aeroporti o basi militari del Nord Europa, con stop dei voli per alcune ore, indagini, ricerche. I casi ora sono numerosi, ma quasi tutti caratterizzati dal fatto che alla fine i droni non sono identificati, trovati o intercettati; non si sa o non si dice da dove arrivino e perché si trovino lì; non si sa se siano casi scollegati e fortuiti, o uniti da un piano; non c’è un’evidenza netta che si tratti in tutti i casi di droni.
In pratica, ci sono i casi di avvistamento, gli aeroporti che si fermano, le indagini della polizia e di altre autorità, i media che ne parlano, ma ancora non si capisce praticamente niente.
Per quel che mi riguarda, questo è al momento l’aspetto più sconcertante di queste notizie. Se non ci avete capito molto, di sicuro non è colpa vostra. Per questo ho deciso di dedicare la parte centrale di questa newsletter a mettere in fila qualche fatto ed elemento. Non pretendo di arrivare da nessuna parte, ma magari a qualcuno sarà utile.
La cronaca
Ultima vicenda: aeroporto di Monaco di Baviera, hub della Lufthansa e snodo strategico per numerose compagnie internazionali.



