Rassegna – 14/10/2025

Tendenza internazionalista rivoluzionaria: Dopo le grandissime giornate di lotta del 3 e 4 ottobre
Dopo le grandissime giornate di lotta del 3 e 4 ottobre
di Tendenza internazionalista rivoluzionaria
Dopo le grandissime giornate di lotta del 3 e 4 ottobre: ora bisogna continuare e andare fino in fondo, per dare maggior forza alla resistenza del popolo palestinese e buttare giù dalle piazze il governo Meloni
Molti, per prime le organizzazioni palestinesi, hanno fatto ricorso al termine “storico” per definire le magnifiche giornate di lotta del 3 e 4 ottobre. Forse è prematuro. Ma lo sciopero generale politico – vero! – per la Palestina proclamato inizialmente dal SI Cobas, e poi assunto dalla Cgil e dall’Usb, e i giganteschi cortei di Roma e Milano segnano con certezza un grande risveglio sociale e politico.
La solidarietà con la Palestina e – in misura assai minore – con la resistenza del popolo palestinese è diventata finalmente un fenomeno di massa. Anzitutto in una nuova generazione di giovani e giovanissimi fino a poco tempo fa apparentemente del tutto passivi, atomizzati, apolitici. In gran parte giovane proletariato candidato a precarietà e assenza di futuro: figli/e dell’immigrazione e italiani doc, che sempre più si sentono immigrati in quella che è, sulla carta d’identità, la “loro” terra. E poi settori significativi della classe lavoratrice salariata – oltre i facchini della logistica, ferrovieri, portuali, autisti dei trasporti locali, operai/e e impiegati/e dell’industria (non in prima fila, però), docenti delle scuole (molti), infermieri e medici, dipendenti di enti pubblici. Accanto a loro, e trainati da loro, settori di “popolo”, inclusi singoli elementi di quelle classi medie accumulative che sono schierate in forza con il governo e i poteri costituiti filo-sionisti.
Ciò che ha unito questa variegata composizione sociale è un mix di conscio e di inconscio. Il rifiuto consapevole del genocidio in corso a Gaza a opera del governo e dell’esercito di Israele in quanto inumano. L’ammirazione, ma non sempre consapevole, della forza, del coraggio, della dignità, del popolo palestinese. Il sentimento ancora meno consapevole, se ci riferiamo alla maggioranza dei manifestanti, di appartenere al mondo degli oppressi – che i settori più coscienti del movimento hanno espresso con il “siamo tutti palestinesi”, cogliendo l’unità di destino tra il popolo palestinese e gli sfruttati delle metropoli europee e occidentali.
Carlos X. Blanco: L’Europa e la giungla
L’Europa e la giungla
di Carlos X. Blanco
Proponiamo la traduzione in italiano del’articolo di Carlos X. Blanco, pubblicato originariamente in spagnolo sul numero 452 della rivista El Viejo Topo-
I paesi occidentali dormono, e questo sonno è il pisolino che precede la notte più lunga: la notte dell’estinzione.
Dormono, il che significa disconnessione dalla realtà. Il pisolino è profondo, poiché quasi tutti si trovano di fronte a immagini che soppiantano la realtà, immagini che assomigliano a “una” realtà ma che in ultima analisi li allontanano da essa. Ma soprattutto, molte minacce e molti pericoli incombono su di loro.
I paesi occidentali si sono addormentati con la tranquillità che deriva dalla consapevolezza che qualcuno veglia su di loro. Quel qualcuno, l’Impero della Bandiera Stellata con le Strisce, non ha mai protetto noi europei in nessun momento. Quell’impero è nato rubando terre, attaccando paesi e massacrando popoli [vedi A. Scassellati, El Imperio Oculto: El expansionismo criminal estadounidense, Ratzel, 2025, anche in italiano qui]. Soltanto l’alienazione dei popoli sconfitti e colonizzati, e diversi decenni di propaganda e di violazione delle menti, spiegano perché la sorveglianza armata e la protezione dei “vecchi europei” furono interpretate come ciò che in realtà significava occupazione militare e subordinazione in tutti gli altri ambiti (politici, economici e culturali).
Quindi, il lettore mi permetterà di continuare con la metafora. Forse i paesi d’Europa, ormai convertiti all’”Occidente”, in senso stretto, non si sono addormentati? Forse è meglio svegliarsi e verificare cosa è realmente accaduto: che qualcuno ci ha versato un narcotico nel bicchiere.
L’Europa turbolenta e criminale delle “potenze” è andata in pezzi nella lunga guerra civile del 1914-1945. Gli imperi europei hanno sprecato milioni di vite e rovinato la gioventù di diverse generazioni in trincee e campi di battaglia, lande desolate e cimiteri dove il nazionalismo è diventato un sostituto mortale della religione.
Andrea Daniele Signorelli: La bolla dell’intelligenza artificiale sta per scoppiare
La bolla dell’intelligenza artificiale sta per scoppiare
di Andrea Daniele Signorelli
“Siamo entrati in una fase in cui gli investitori, nel complesso, sono eccessivamente entusiasti nei confronti dell’intelligenza artificiale? Secondo me, assolutamente sì”, ha affermato il fondatore di OpenAI Sam Altman. Parole non dissimili sono arrivate da Mark Zuckerberg, secondo il quale “è certamente una possibilità” che si stia formando una grande bolla speculativa. Da ultimo, anche Jeff Bezos ha rilasciato dichiarazioni simili.
Quando le stesse persone che, tramite le loro risorse, stanno favorendo lo sviluppo e la diffusione di una tecnologia si preoccupano della situazione finanziaria, significa che il rischio, come minimo, è concreto – anche perché le loro aziende risentirebbero più di ogni altra dei rovesci causati dallo scoppio di una bolla.
D’altra parte, basta osservare i numeri: per il momento le immense quantità di denaro che sono state investite per l’addestramento e la gestione dei modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM – Large Language Model) non stanno producendo risultati economici degni di nota. Peggio ancora: non è per niente chiaro quale possa essere un modello di business sostenibile per ChatGPT e i suoi compagni, e ci sono anche parecchi segnali che indicano come tutto l’hype (non solo finanziario) nei confronti dell’intelligenza artificiale potrebbe rivelarsi una colossale delusione (come indicano le ricerche secondo cui le aziende che hanno integrato l’intelligenza artificiale non hanno visto praticamente alcun effetto positivo).
Se le cose andassero così, all’orizzonte non ci sarebbe solo lo scoppio di una gigantesca bolla speculativa, ma la fine – o almeno il drastico ridimensionamento – di una grande promessa tecnologica, che fino a questo momento non sembra essere sul punto di lanciare una “nuova rivoluzione industriale”.
Alex Marsaglia: Gaza: la Pax Americana
Gaza: la Pax Americana
di Alex Marsaglia
In queste ore le abilità diplomatiche di Trump, che avevamo già visto durante il suo primo mandato sulla questione coreana, si sono nuovamente rivelate. Dopo aver messo assieme una coalizione di Stati arabi di peso per il Medio Oriente tra cui Qatar, Egitto e Turchia e aver portato al tavolo delle trattative Hamas e Israele sui 20 punti proposti è riuscito a ottenere la firma sulla prima fase di attuazione dell’accordo.
La Pax Americana
I principali punti riguardano lo scambio di prigionieri, il cessate il fuoco con il ritiro delle forze dell’IDF sulla linea gialla all’interno della Striscia di Gaza e l’apertura di cinque canali umanitari. Hamas e Israele cercano di portare a casa rivendicazioni vittoriose, con la prima che annuncia di non rinunciare alla libertà, indipendenza e autodeterminazione della Palestina, anche se Israele che si attesterà sulla “linea gialla” avrà derubato metà della terra palestinese di Gaza. Viceversa Netanyahu ha definito l’accordo una “vittoria nazionale e morale”, ma in questa prima fase non ha ottenuto né lo scioglimento di Hamas né il controllo su Gaza City e deve ancora far passare il piano di pace sotto l’ala oltranzista del suo governo. Insomma, come da 77 anni a questa parte, la pace da queste parti sembra soltanto una tregua dell’opera di colonizzazione israeliana che prosegue di missione in missione.
Antiper: Tendenze della guerra globale: la depurazione dei fronti interni negli Stati Uniti e in Palestina
Tendenze della guerra globale: la depurazione dei fronti interni negli Stati Uniti e in Palestina
di Antiper
Esiste oggi un riconoscimento quasi unanime sul fatto che il dominio strategico – economico, finanziario, militare, culturale – del Nord Globale [1] stia per finire e che stia nascendo una nuova configurazione multipolare del sistema-mondo. Si tratta di uno scenario da incubo per l’imperialismo che su quel dominio aveva fondato la propria capacità di contrastare la tendenza storica al declino del saggio di profitto nei settori produttivi.
In una prima fase la cosiddetta “globalizzazione” aveva permesso al Nord Globale di conservare alti livelli di rendita finanziaria e di consumo di massa, nonché di contrastare la sovrapproduzione di merci e capitali che si era manifestata tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 e che aveva concorso a spingere Nixon verso il famoso “shock” del 1971.
Ma alcune aree del Sud Globale sono riuscite a sfruttare le opportunità derivanti dalle delocalizzazioni occidentali per far crescere le proprie economie e la propria indipendenza (politica, tecnologica…). L’esempio della Cina è eclatante.
Con il Nord Globale che declina e il Sud Globale che emerge la crisi dell’imperialismo accelera e con essa accelera la tendenza a ricorrere alla guerra come estrema ratio per conservare il proprio dominio. Quando infatti non si riesce più a dominare con le buone diventa inevitabile tentare di dominare con le cattive. L’avanzata della NATO verso la Russia si spiega come mossa preventiva in un’ottica di guerra per la distruzione di una potenza che dopo la fase servile degli anni ’90 aveva deciso di ricostruire la propria potenza politica.
comidad: L’arte di governo è eludere le responsabilità
L’arte di governo è eludere le responsabilità
di comidad
Al di là dei contesti radicalmente diversi, si può riconoscere lo schema ricorrente, l’invarianza; che in questo caso è la cosiddetta “arte di governo”, ovvero l’eludere le proprie responsabilità tramite il vittimismo, la contrapposizione pseudo-ideologica e la gazzarra da talk-show. L’arte di governo è trasversale ai vari governi e ai differenti schieramenti politici, che convergono nella pratica di non precisare i confini tra lecito e illecito. La trasparenza della contestazione e della sanzione dell’eventuale illecito viene sostituita con una generica colpevolizzazione dei cittadini, con la quale giustificare pressioni indebite, terrorismo psicologico e discriminazioni. In epoca psicopandemica si è costruito su queste basi di incertezza giuridica e linguistica una sorta di virtuale obbligo vaccinale, la cui attuazione è stata condotta con strumenti arbitrari di limitazione dei diritti civili. Persino quando l’obbligo vaccinale è stato apparentemente proclamato per legge, si è però continuato nella farsa di voler estorcere la firma al “consenso informato”, negando la somministrazione del siero a coloro che volevano aderire all’obbligo manifestando chiaramente il proprio dissenso. L’ossimoro dell’obbligo che presuppone il consenso, è stato però avallato e santificato dalla Corte Costituzionale nella sentenza 14/2023, per cui si è creata una sorta di giurisprudenza in funzione dell’irresponsabilità del governo e della colpevolizzazione generica del cittadino comune. Lo schema funziona all’incontrario del famoso aforisma dell’Uomo Ragno, perché più potere si ha e più si riesce a scaricare sugli altri ogni responsabilità.
Gerardo Lisco: Da una debacle all’altra: forse si apre il confronto nel M5S
Da una debacle all’altra: forse si apre il confronto nel M5S
di Gerardo Lisco
Dalla crisi dei consensi al Sud alla chiusura oligarchica: il Movimento 5 Stelle di fronte al proprio modello organizzativo.
Un movimento nato dal marketing politico
Una riflessione sul voto delle regionali in Calabria non può prescindere da un’analisi del Movimento 5 Stelle. Il movimento fondato come una pura e semplice operazione di marketing dal duo Grillo-Casaleggio nasce da una costola di Italia dei Valori e, come ha spiegato Antonio Di Pietro in un’intervista rilasciata a l’Espresso, è destinato — salvo sterzate dell’ultimo momento — a fare la stessa fine.
Il M5S, stando ai dati elettorali, si presenta come un movimento politico meridionale, il che non equivale a dire “meridionalista”. È passato dal 25,55% delle politiche del 2013 al 15,43% del 2022, perdendo in nove anni circa la metà degli elettori: da 8,7 a 4,3 milioni di voti.
Dalla crescita al Mezzogiorno al crollo nazionale
Nel 2013 il M5S registrava una percentuale omogenea in tutte le circoscrizioni, raramente al di sotto del 20%, con una media intorno al 25%. Il quadro cambia radicalmente nel 2018: al Nord il movimento conferma i dati del 2013, mentre nel Mezzogiorno supera il 40%, con punte prossime al 50%.
Fabio Ciabatti: Contro il militarismo e la logica del nemico, la nostra parte non è già data
Contro il militarismo e la logica del nemico, la nostra parte non è già data
di Fabio Ciabatti
∫connessioni precarie, Nella Terza guerra mondiale. Un lessico politico per le lotte del presente, DeriveApprodi, Bologna 2025, pp. 116, € 15,00
Di fronte “a ogni guerra la prima richiesta è sempre e comunque che le armi tacciano”. Ciò nonostante, “il nostro problema non è solo condannare la guerra ma anche opporre alla sua dura realtà parole e pratiche che essa non sia in grado di governare”. Se questo non avviene possiamo ottenere al massimo una tregua che non consente di cancellare le cause dei conflitti bellici. Queste considerazioni, che troviamo nel libro “Nella Terza guerra mondiale. Un lessico politico per le lotte del presente”, assumono particolare rilievo in considerazione della tragica scelta che deve affrontare Hamas, insieme alle altre formazioni armate palestinesi, di fronte al cosiddetto piano di pace di Trump: continuare la lotta armata facendo proseguire l’immane carneficina o arrendersi per interrompere il supplizio che comunque proseguirà, anche se, presumibilmente, con tempi più lunghi e modalità meno feroci. La resistenza palestinese sembra davvero trovarsi di fronte a una drammatica impasse. E allora, per non lasciarsi bloccare in questo vicolo cieco può essere utile adottare uno sguardo diverso nei confronti della coraggiosa lotta della popolazione di Gaza (e della Cisgiordania) con l’obiettivo di prefigurare possibili via di fuga dal tragico stallo a cui sembra destinata. Anche perché bisognerà in qualche modo approfittare delle condizioni tutt’altro che ideali in cui si trova oggi lo stato sionista, lacerato da profonde contraddizioni interne e investito da una diffusa condanna internazionale.
Certo, di fronte a un genocidio, ci si può legittimamente chiedere se sia possibile mantenere uno sguardo lucido sugli aspetti critici della resistenza palestinese senza divenire complici dei carnefici israeliani. O senza scadere in un eurocentrismo che solidarizza con i popoli oppressi solo finché non si ribellano perché, con i mezzi a loro disposizione, raramente lo possono fare rispettando il preteso bon ton occidentale. Sicuramente, non teme di andare controcorrente rispetto all’opinione diffusa nella sinistra, compresa quella radicale, l’autore collettivo che ha dato alle stampe il testo qui recensito. Si tratta di ∫connessioni precarie, un’area politica che assume come obiettivo centrale della sua analisi e della sua attività pratica la condizione globale e differenziata del lavoro contemporaneo che è sottoposto all’intreccio tra patriarcato, sfruttamento e razzismo.
Jacques Bonhomme: Contro il diritto internazionale

Contro il diritto internazionale
di Jacques Bonhomme
1. Il diritto internazionale come ideologia
Il diritto, nel senso più lato della parola, e guardando alla società borghese, non è soltanto ideologia. Pašukanis, per esempio, ha mostrato, in relazione al mondo storico della borghesia, la necessaria cooperazione del diritto con le forme economiche fondamentali del contratto proprietario, dello scambio delle merci e della disumanizzazione capitalistica del lavoratore, rivestito dell’uguaglianza delle merci in quanto merce forza-lavoro, la merce più importante, quella che deve produrre il valore delle merci. Perciò il diritto, fin dagli inizi della società borghese, è stato coessenziale alla produzione di valore, ossia di plusvalore attraverso plus-lavoro. Per questo Pašukanis fa rientrare il diritto nell’economia politica, e, contemporaneamente, lo sottrae alla sfera dell’ideologia, dove era stato confinato da interpretazioni frettolose, schematiche e soprattutto riduttive del materialismo storico. Questa accorta e lungimirante comprensione del pensiero di Marx sul diritto, non è rimasta isolata e marxisti molto diversi tra loro come l’ultimo Lukács e Toni Negri, ne hanno raccolto l’eredità, il primo in modo indiretto e seguendo un proprio cammino, il secondo in modo più esplicito. Sembra quindi assodato che quanto già sapevano, seppur senza un ampio sviluppo tematico, Marx e Lenin, e cioè che il diritto e lo Stato sono fattori organizzativi interni ai rapporti di produzione capitalistici, sia divenuto nella prassi e nel pensiero dei movimenti antimperialisti del Novecento, a seconda dei casi più o meno permeati dal marxismo, un’acquisizione ben assimilata. In conclusione, il diritto eccede l’ideologia in quanto è, insieme allo Stato, nel quale confluisce e dal quale procede, uno strumento materiale del dominio di classe, sia nazionale che internazionale.
Ma il diritto è anche ideologia, è una delle forme originarie dell’ideologia borghese, è scaturito dal modello delle dichiarazioni del XVIII secolo, e perciò è ideologia in quanto contraffazione del particolare interesse di classe borghese attraverso i fini e gli ideali generali – o universali – dell’homme e del citoyen.
Roberto Fineschi: Homo homini lupus?
Homo homini lupus?
di Roberto Fineschi*
Smotrich avrebbe dichiarato: “Il diritto internazionale non si applica agli ebrei. Questa è la differenza tra il popolo eletto e gli altri”.
Si tratta evidentemente di una dichiarazione suprematista, atteggiamento già di fatto praticato nello sterminio in atto, ma qui c’è un passo in più: rivendicare formalmente di essere al di sopra di una legge uguale per tutti significa rinnegare l’universalismo, ovvero il pari diritto di individui e popoli a un trattamento analogo di fronte a essa.
Si rinnega in sostanza la civiltà del diritto, uno dei risultati più avanzati del mondo democratico prodotto dall’Occidente.
È il motivo per cui non si concede il termine genocidio: l’olocausto (in questa prospettiva alla quale fortunatamente molti ebrei non aderiscono) non è un crimine contro l’umanità, ma un crimine contro gli ebrei, una prevaricazione contro un popolo in quanto tale, non in quanto espressione del genere umano. Dunque, per coerenza, lo stesso crimine perpetrato verso altri non è lo stesso crimine perché non è l’atto in sé che conta, ma il soggetto contro cui viene perpetrato.
Senza girargli intorno: è semplicemente la legge del più forte e il “diritto” è di chi riesce a imporla.
Questo modo di ragionare ha ovviamente delle controindicazioni: se qualcuno volesse ripagare con la stessa moneta un domani a che cosa ci si potrebbe appellare per dire che non è giusto? Perché gli altri dovrebbero muoversi in difesa degli offesi? In base a quale criterio condannare chi in passato non si è mosso in difesa degli offesi se ciò dipende non dal principio ma dalla particolarità di chi subisce violenza?
Fulvio Grimaldi: Piano di pace, piano di resa o piano della disperazione?
Piano di pace, piano di resa o piano della disperazione?
Paolo Arigotti intervista Fulvio Grimaldi
https://www.youtube.com/watch?v=0e-Ihl2BeO4
https://youtu.be/0e-Ihl2BeO4
(Nel video inquadrature alternative alla vulgata sul Piano di Pace)
L’etichetta che invita a comprare è “Piano di pace”, la sostanza dentro all’involucro è “Piano di resa incondizionata”, il nocciolo della proposta è “Piano della disperazione”.
Hamas e le altre componenti della Resistenza hanno ovviamente dato disponibilità al “Piano di Pace”. Non farlo avrebbe potuto far pensare che il loro è un cinico accanimento sulla guerra a spese dell’olocausto in atto del loro popolo. E’ palese, con Hamas, l’esistenza di una formazione bicefala, con una dirigenza, da anni a Doha, incline ad ascoltare con attenzione gli indirizzi dell’emiro che la ospita, e i più autonomi successori di Hanijeh e Sinwar sul campo di battaglia a Gaza (presenti con minore evidenza anche in Cisgiordania). Consapevoli, questi ultimi, di essere il fattore determinante perché il piano sia stato innescato, se non dalla disperazione, da un’urgenza di sopravvivenza del progetto sionista, con relative ripercussioni sul futuro del Grande Israele e, più in là, della restaurazione colonialista nell’area e in generale.
Il piano del trinomio Trump-Netanyahu-Blair arriva a poca distanza da quando, secondo la delicata definizione euro-atlantica, Israele stava terminando il “lavoro sporco” a Gaza e in giro per il Medioriente.
Geraldina Colotti: “Chi c’è dietro, chi c’è dietro?” L’Algoritmo del Sospetto: 10 passaggi per dimostrare che il gatto ti sta manipolando
“Chi c’è dietro, chi c’è dietro?” L’Algoritmo del Sospetto: 10 passaggi per dimostrare che il gatto ti sta manipolando
di Geraldina Colotti
In un eccellente libro intitolato La era del conspiracionismo (L’Epoca del complottismo), Ignacio Ramonet analizza, in prospettiva storica e attuale, come le teorie complottiste, diventate potenti armi ideologiche e politiche, stiano sempre più occupando spazio. A favorirle, sono le reti sociali, terreno fertile per la veloce diffusione di fake news che, con il loro continuo bombardamento, alimentano l’ossessione e il fanatismo dei dietrologi: per loro, c’è sempre “qualcosa dietro” e, va da sé che loro sanno sempre chi sia.
Smontare la granitica convinzione di un terrapiattista dimostrandogli che la terra è rotonda, è fatica di Sisifo, giacché ti dirà che la scienza è frutto di un grande complotto, eccetera eccetera. La società statunitense, dice Ramonet, concentrandosi soprattutto sull’assalto al Campidoglio del primo governo Trump, è stato lo scenario più propizio per questa vecchia strategia, e il presidente Trump il suo artefice.
Al proposito, però, l’Italia non ha nulla da invidiare, essendosi allenata sul tema per tutto il grande ciclo di lotta degli anni ’70. Già prima del 1973 – quando, dopo il golpe in Cile contro Allende, Berlinguer riconobbe la Nato e lanciò il “compromesso storico” con la Democrazia cristiana – il Pci chiamava “fascisti rossi” i movimenti studenteschi e operai che ne contestavano, dall’estrema sinistra, l’autorità. Era, ovviamente, un modo per delegittimare politicamente e moralmente chi metteva in questione la “stabilità democratica” che il Partito comunista più forte d’Europa andava assumendo come dogma.


