premi nobel economia 2025

[SinistraInRete] Marco Veronese Passarella:Innovazioni senza innovazione

Rassegna – 20/10/2025

Marco Veronese Passarella:Innovazioni senza innovazione. Il paradosso del Nobel per le scienze economiche 2025

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Innovazioni senza innovazione. Il paradosso del Nobel per le scienze economiche 2025

di Marco Veronese Passarella

GZ13j1LXIAAlyLQ.jpgÈ ufficiale. Joel Mokyr, Philippe Aghion e Peter Howitt sono i vincitori del Premio per le Scienze Economiche istituito dalla Banca Nazionale di Svezia in onore di Alfred Nobel, edizione 2025. Lunedì scorso, i tre studiosi sono stati premiati per aver spiegato – si legge nelle motivazioni – la crescita economica trainata dalle innovazioni tecniche.

In particolare, metà del premio è andata a Joel Mokyr (storico economico americano-israeliano affiliato alla Northwestern University) per aver identificato i prerequisiti per una crescita economica duratura al traino del progresso tecnologico.

L’altra metà del premio sarà, invece, equamente divisa dagli economisti Philippe Aghion (francese, affiliato al Collège de France, all’INSEAD e alla London School of Economics and Political Science) e da Peter Howitt (canadese, professore emerito alla Brown University) per la loro teoria della crescita di lungo periodo generata dal processo di “distruzione creatrice” esercitato dalle forze di mercato.

A ben vedere, la suddivisione del premio riflette sia il diverso contributo che il diverso approccio metodologico utilizzato dai tre autori. Le opere di Mokyr si caratterizzano, infatti, per l’ampio utilizzo di fonti storiche (accanto a più “tradizionali” strumenti quantitativi) e inoltre di categorie analitiche mutuate dalle teorie evoluzioniste e istituzionaliste.

Per contro, Howitt e Aghion vengono premiati essenzialmente per un articolo pubblicato nel 1992 (intitolato A model of growth through creative destruction), in cui si propongono di studiare gli effetti del processo di innovazione tecnologica all’interno di un modello matematico (e puramente teorico) di crescita endogena. Per questa ragione, si rende conveniente una presentazione separata dei loro contributi.

 

Conoscenza, innovazione ed istituzioni

Il punto di partenza della riflessione di Mokyr è la constatazione che, sebbene la storia dell’umanità sia costellata di grandi innovazioni tecnologiche, queste si sono tradotte in crescita duratura (non meramente transitoria) della produzione e del reddito pro-capite soltanto a partire dalla rivoluzione industriale britannica.

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Marco Morra: Bisogna difendere l’Occidente… Sì, ma quale Occidente?

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Bisogna difendere l’Occidente… Sì, ma quale Occidente?

di Marco Morra

nvdnnbkv.jpg1. Il silenzio dell’Occidente

Dove sono finiti i democratici europei? Quelli che imponevano sanzioni alla Russia? Quelli che ne escludevano gli atleti dalle competizioni internazionali? Quelli che si battevano il petto per non poter fare di più in difesa del popolo ucraino? Un genocidio si sta svolgendo sotto i nostri occhi. È ciò che ha affermato la Commissione d’inchiesta istituita dal Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. In un rapporto di 72 pagine, pubblicato il 16 settembre, gli esperti dell’Onu hanno dichiarato che “le autorità e le forze di sicurezza israeliane hanno avuto e continuano ad avere l’intenzione genocida di distruggere, in tutto o in parte, i palestinesi nella striscia di Gaza”. L’operato dello Stato ebraico corrisponde ai criteri che definiscono il crimine di genocidio secondo la Convenzione dell’Onu del 1948: “(i) uccidere membri del gruppo; (ii) causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo; (iii) infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita tali da provocarne la distruzione fisica, totale o parziale; e (iv) imporre misure volte a impedire le nascite all’interno del gruppo”[1].

Un genocidio, dunque, si sta svolgendo sotto i nostri occhi. Gli occhi indifferenti dei governi occidentali, della Commissione europea e degli alti comandi della Nato. Mentre Israele continua a fare affari con le aziende occidentali, ad ottenere liquidità dalle banche europee e statunitensi, a partecipare alle competizioni sportive in Europa e negli Stati Uniti. Un genocidio si sta svolgendo sotto gli occhi indifferenti dei liberali europei, dei conservatori europei, delle anime belle europee. La presunta superiorità morale dell’Occidente cade a pezzi di fronte all’ipocrisia delle sue classi dirigenti. Essa si rivela nient’altro che uno spauracchio ostentato pretestuosamente per giustificare la nuova guerra delle democrazie liberali contro i paesi non allineati ai loro interessi, con lo scopo di mantenere ed estendere il controllo di mercati, risorse strategiche e rotte commerciali. Avevamo già assistito al paradosso delle “guerre di democrazia”. Non potevamo ancora immaginare che un genocidio potesse compiersi sotto i nostri occhi nel silenzio degli Stati occidentali.

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Salvatore Bravo: Una nuova Storia alternativa della Filosofia

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Una nuova Storia alternativa della Filosofia

di Salvatore Bravo

196G.jpgL’ultima fatica di Costanzo Preve fu Una nuova Storia alternativa della Filosofia del 2013, un’opera voluminosa nella quale è ricostruita la storia della filosofia secondo il paradigma dell’ontologia dell’essere sociale. L’opera è la configurazione netta e senza sbavature del suo percorso di ricerca. In essa l’ontologia dell’essere sociale non solo prende forma nella chiarezza dei principi, ma si traduce in rielaborazione razionale e sistematica della storia della filosofia. La filosofia è il katechon contro il dissolvimento della comunità assediata dall’interno dalle spinte crematistiche, pertanto la storia della filosofia è testimonianza razionale del “compito eterno della filosofia”. Essa ha l’arduo scopo di definire la natura umana nel suo sinolo di materia (storia) e forma (natura umana) e di testimoniarne la sua esistenza nella storia con i suoi bivi e con le sue trasformazioni. La filosofia è dunque pensiero dell’eterno che si materializza nella storia. La natura umana e la verità non si possono dissolvere con i mutamenti repentini o lenti delle vicende storiche, esse permangono in forme nuove e storicizzate che non obliano il fondamento ontologico della natura umana. La filosofia non è “cupio dissolvi”, ma concetto che definisce la natura umana e ha il fine teoretico di difenderlo dalle forze nichilistiche. La nuova storia della filosofia di Costanzo Preve, non vuol essere nuova nel senso postmodernista, ma è “nuova” rispetto ai processi di attacco e di disintegrazione della filosofia; essa è trasgressiva rispetto a un sistema che vorrebbe ridurre la filosofia a chiacchiera da salotto. La filosofia con la sua visione olistica ha lo scopo di definire il “bene-verità” mediante il metodo dialettico. Essa è prassi, poiché mediante le sue categorie e il suo metodo valuta la conformità del sistema sociale e politico alla natura umana. Costanzo Preve con l’ontologia dell’essere sociale riporta al centro la verità e il pensiero forte (metafisico). Il pensiero non è mai astratto, esso risemantizza la teoretica dei filosofi per poter riaprire i chiavistelli della storia. Tale postura è già comunitaria, la filosofia è dialogo, è logos che cresce qualitativamente nella rete dei concetti comunicati logicamente. Il logos è linguaggio e calcolo dei veri bisogni, il logos è dunque attività teoretica, etica e politica, in quanto “calcola” le condizioni per l’umanizzazione reale e razionale dell’essere umano. É rete sociale e si potenza nello scambio dialogico mediante il quale si riconosce l’alterità e si conosce se stessi.

 

Ontologia…

Il logos fu centrale nella riflessione di Costanzo Preve, esso fu parte della riflessione teoretica per ringiovanire il mondo ed ebbe al centro tre grandi filosofi: Aristotele, Hegel e Marx.

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Alfredo Facchini: Hamas

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Hamas

di Alfredo Facchini*

In apertura, una premessa: sono marxista, ateo e libertario. Tra me e Hamas c’è dunque un divario ideologico incolmabile. Non spetta a me ripulirne la reputazione e, in ogni caso, non ne avrei né il titolo né l’intenzione. Ma poiché attorno a questo movimento circolano leggende e bufale di ogni sorta, ho provato a scavare.

L’idea che “Israele abbia finanziato Hamas” o addirittura che sia una creatura del Mossad circola anche tra noi sostenitori della causa palestinese. Spesso come slogan, raramente con prove.

La storia. In pillole. Hamas nasce nel fuoco dell’Intifada. Gaza, dicembre 1987. La rabbia esplode contro l’occupazione israeliana. Nelle moschee e nei vicoli si muovono uomini dei Fratelli Musulmani. Da anni gestiscono scuole, ospedali, associazioni di carità. Tra loro c’è lo sceicco Ahmed Yassin: figura carismatica, corpo fragile, volontà ferrea.

Decide che è tempo di passare all’azione. Così nasce Harakat al-Muqawama al-Islamiyya – Movimento di Resistenza Islamica. Hamas. Nel 1988 pubblicano la Carta: religione e politica fusi in un unico progetto. Obiettivo dichiarato: liberare la Palestina storica, distruggere Israele, fondare uno Stato islamico. Orientamento: sunnita.

All’inizio Hamas non è un esercito. È una rete: prediche, assistenza, disciplina morale. Ma l’Intifada trasforma tutto. I giovani scendono in strada. Le pietre diventano simbolo. Hamas cresce nel fango, nei campi profughi, nei comitati popolari. Nel 1992 nasce l’ala armata: le Brigate ʿIzz al-Dīn al-Qassām. La resistenza diventa organizzata, permanente.

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Gianandrea Gaiani: Le contraddizioni di una narrazione surreale

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Le contraddizioni di una narrazione surreale

di Gianandrea Gaiani

L’obiettivo sarà forse comune ma gli sforzi compiuti da UE e NATO per mobilitarci contro l’inevitabile invasione russa continuano a essere non coordinati, spesso contraddittori, in moltissimi casi sopra le righe e con contenuti in antitesi tra loro.

Solo nelle ultime 48 ore ne abbiamo sentite di tutti i colori.

Il 13 ottobre i servizi segreti tedeschi hanno ammonito che “a Mosca si ritiene di avere possibilità realistiche di espandere la propria zona di influenza verso ovest. (…) Per raggiungere questo obiettivo, la Russia non esiterà, se necessario, a entrare in conflitto militare diretto con la NATO”.

Lo ha detto Martin Jäger (nella foto sotto), direttore del Servizio federale di intelligence (BND), ascoltato dalla commissione di controllo parlamentare, al Bundestag. “Non dobbiamo riposare sugli allori pensando che un eventuale attacco russo non avrà luogo prima del 2029. Siamo già nel pieno dell’azione oggi”, ha aggiunto Jäger, che era ambasciatore in Ucraina prima di assumere la guida del BND il mese scorso.

“Dobbiamo prepararci a un nuovo aggravarsi della situazione”, ha aggiunto Jäger mentre Sinan Selen, presidente dei servizi segreti interni tedeschi BfV (l’Ufficio Federale per la protezione della Costituzione – Bundesamt für Verfassungsschutz), anch’egli ascoltato in audizione, ha concordato sottolineando che “la Russia persegue in modo aggressivo le sue ambizioni politiche contro la Germania, l’Ue e i suoi alleati occidentali utilizzando ”un’ampia gamma di attività di spionaggio, disinformazione, ingerenza, sabotaggio e attacchi informatici”.

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Elisabetta Teghil: Guerra di classe

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Guerra di classe

di Elisabetta Teghil

Questa mattina all’alba in provincia di Verona due anziani fratelli e una altrettanto anziana sorella, agricoltori, hanno fatto saltare in aria con il gas di una bombola il casolare dove abitavano mentre era in corso una irruzione di svariate forze di polizia in relazione a una procedura di sfratto esecutivo. Tre carabinieri sono morti, uno dei fratelli e la sorella sono in gravi condizioni. Dino, Franco e Maria Luisa Ramponi, proprietari di un’azienda agricola storica di Castel d’Azzano, erano sul lastrico, su di loro pendeva uno sfratto esecutivo per un’ipoteca sulla proprietà. Strozzinaggio legale. Avevano già minacciato di far saltare tutto l’anno scorso ma la soluzione è stata piombare in forze nel casolare alle tre di notte. I vicini: “Erano disperati, vivevano come in una grotta” Erano oberati dai debiti e vivevano senza luce e gas.

Questo avvenimento me ne ha fatto venire in mente un altro successo qui a Roma anni fa in un quartiere popolare della periferia est. Una vecchietta di 82 anni, sfrattata dal suo appartamento lo aveva fatto saltare in aria e per nulla pentita aveva ribadito «Il Signore non vi farà godere la casa, siete dei ladri»

Se scorrete la cronaca, di queste storie ne troverete tante negli anni. Il dolore, la fatica di una vita che non vale la pena di essere vissuta si può trasformare in rassegnazione, disperazione oppure rabbia e rancore.

Ci sono quelli che si rassegnano e vengono ignorati, nessuno si occuperà di loro, nessuno si accorgerà di quello che è accaduto, saranno solo loro a pagarne il pesante prezzo.

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Giorgio Agamben: Gli ultimi giorni dell’umanità

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Gli ultimi giorni dell’umanità

di Giorgio Agamben

A partire dall’ottobre 1915, dopo la notizia dello scoppio della grande guerra, Karl Kraus cominciò a scrivere «per un teatro di Marte» il dramma Gli ultimi giorni dell’umanità, che non volle fosse messo in scena, perché «i frequentatori dei teatri di questo mondo non avrebbero retto allo spettacolo». Il dramma – o piuttosto, come si legge nel sottotitolo, «la tragedia in cinque atti» – era «sangue del loro sangue e sostanza della sostanza di quegli anni irreali, inconcepibili, irraggiungibili da qualsiasi vigile intelletto, inaccessibili a qualsiasi ricordo e conservati soltanto in un sogno cruento, di quegli anni in cui personaggi da operetta recitarono la tragedia dell’umanità». E nel Weltgericht pubblicato dopo la fine della guerra parlerà del suo «grande tempo», che aveva conosciuto «quando era così piccolo e che tornerà a essere piccolo, se gliene rimane ancora il tempo», come di un tempo «in cui succede ciò che non ci si poteva immaginare e in cui dovrà succedere ciò che non si può più immaginare e che, se immaginarlo si potesse, non succederebbe».
Come ogni discorso implacabilmente lucido, la diagnosi di Kraus si adatta perfettamente alla situazione che stiamo vivendo. Gli ultimi giorni dell’umanità sono i nostri giorni, se è vero che ogni giorno è l’ultimo, che l’escatologia è, per chi è in grado di comprenderla, la condizione storica per eccellenza.

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Nico Maccentelli: La Sinistra Negata 04

La Sinistra Negata 04

Sinistra rivoluzionarla e composizione di classe in Italia (1960-1980)

a cura di Nico Maccentelli

Redazionale del nr. 18, Dicembre 1998 Anno X di Progetto Memoria, Rivista di storia dell’antagonismo sociale

psdojnviro.jpgSegue la Parte seconda. Gli Anni Settanta.

3. L’AUTONOMIA.

Il più vitale dei gruppi extraparlamentari di ascendenza operaista, Lotta Continua, è il primo a soccombere alla nuova composizione di classe. Ad appena due anni dalla sua costituzione in partito, Lotta Continua si trova infatti lacerata dal conflitto tra i soggetti sociali emergenti, giovanili e femminili, e i vecchi gruppi operai, decisi a difendere le proprie prerogative e una centralità ormai declinante1.

Interi spezzoni dell’organizzazione se ne distaccano, contestandone l’“istituzionalizzazione” e la tendenza al burocratismo. Costituiranno una costellazione di collettivi grandi e piccoli, destinati a confluire nel generico “Movimento” che si sta condensando a seguito dello sfaldamento dei gruppi e delle nuove tendenze aggregative, o in una sua specifica componente che da almeno tre anni conosce una crescita via via più rapida: l’area dell’autonomia operaia”.

Definire quest’ultima non è facile2. La compongono, originariamente, gli ex militanti di Potere Operaio e del milanese Gruppo Gramsci, cui si aggiungono altre forze provenienti da organismi di fabbrica, sia dalla diaspora degli “extraparlamentari”. Un’ulteriore componente, che però con l’operaismo in senso stretto mantiene scarsi legami, è rappresentata dalla cosiddetta “autonomia creativa”, molto attenta alle istanze giovanili e ai risvolti culturali e comportamentali del movimento.

Un discorso sull’autonomia operaia – che, rinunciando dall’inizio a una costituzione artificiale in partito, consuma la propria vicenda senza dar vita a stabili forme di centralizzazione (a parte occasionali coordinamenti e l’esperienza contrastata di un organo nazionale) – rischierebbe di risolversi in un’elencazione di sigle e di episodi.

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Paolo Selmi: Škola kommunizma: i sindacati nel Paese dei Soviet

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Škola kommunizma: i sindacati nel Paese dei Soviet

di Paolo Selmi

Diciottesima parte. “Ammettere i propri difetti è privilegio dei forti”: l’intervento di Tomskij al XIV Congresso del Partito Comunista di tutta l’Unione (bolscevico) PARTE VIII

Škola kommunizma i sindacati nel Paese dei Soviet parte 1 html 98bc8d74546bea8fI. I club

Indubbiamente il fulcro, il punto nodale, più importante e diffuso del lavoro di risveglio ed educazione culturale dei sindacati è dato dai club. Ho già sottolineato quanto continui a impetuosamente crescere il numero dei club. Si tratta del lavoro più nuovo, e quindi sconosciuto, di quelli affrontati, per cui siamo tenuti a cercare, a escogitare dalla A alla Z forme di attuazione altrettanto nuove, correggendo i nostri errori sul campo, in base all’esperienza maturata.1

Continuiamo l’analisi dell’intervento fiume del compagno Tomskij partendo da dove ci eravamo lasciati. Il capo dei profsojuz poneva l’accento sul LAVORO CULTURALE che il sindacato era chiamato a compiere. Qui comincia a mettere i puntini sulle i.

E siccome nessuno dei nostri ha mai pensato di popolarizzare la questione, lasciandola ad ambiti puramente accademici (dove, sinceramente, ammesso e non concesso che si sia mai andati a fondo nella questione, il bacino di utenza, la ricaduta di tali risultati su una platea di milioni di compagni è stata, storicamente, del tutto irrilevante) è il caso anche qui di conoscere un po’ più da vicino questi club o, così come erano definiti ufficialmente, gli “enti clubistici” (клубные учреждения).

Nascono verso la fine del XIX secolo2, come Case del popolo () dove convivevano biblioteca con sala lettura, aula per i corsi serali, piuttosto che sala conferenze e piccoli teatri. Ovviamente l’autofinanziamento e la scarsità di mezzi non erano un buon viatico per la loro diffusione e, nel 1914 il totale di tali strutture era di 237.

Numero che sarebbe aumentato, nel giro di pochi anni, in maniera esponenziale. Diamo subito un quadro della loro evoluzione da allora, così da toglierci ogni suspense… e cominciare ad avere una prima idea delle dimensioni del fenomeno3:

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Salvatore Bianco: Hegel e la guerra

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Hegel e la guerra

di Salvatore Bianco

Screenshot.Hegel2023 900x445 1.pngPremessa

Per paradossale e contro intuitivo che possa sembrare lo sguardo esclusivamente illuministico sulla guerra e, più in generale, intorno al “negativo” espone la razionalità al più catastrofico dei suoi scacchi. Se ne erano accorti gli esponenti di punta della “teoria critica” della Scuola di Francoforte, M. Horkheimer e T. Adorno, che nel loro capolavoro Dialettica dell’Illuminismo (1947) provvedono a fissarne i passaggi argomentativi chiave.

 

Dialettica dell’illuminismo

Da un punto di osservazione non invidiabile, siamo tra il 1942 e il 1944, ma ricco di suggestioni teoriche, espongono in quel libro dai tratti profetici e visionari la tesi che il nazifascismo non era stata una «parentesi», come il mondo liberale da lì a poco si sarebbe affrettato a liquidare, piuttosto la scaturigine stessa della intera civiltà moderna, il suo esito più probabile, frutto avvelenato di quell’inevitabile rovesciamento dialettico dell’approccio solo formalistico e dunque debole della ragione illuministica. Il difetto strutturale di quel filone culturale è rintracciato in un eccesso di soggettivismo che impedisce all’io di entrare fino in fondo in relazione con l’oggetto. Con due conseguenze, se riferite al mondo storico e sociale, entrambe nefaste: che i rapporti di forza e di dominio in esso contenuti, a partire dal macro fenomeno della guerra, non vengono neppure scalfiti e meno che mai imbrigliati e che la soggettività, concepita da Kant in termini solo formalistici e astratta, è destinata all’inevitabile scacco conoscitivo e al conseguente rispecchiamento narcisistico. Esito nichilistico fra l’altro già precocemente annunciato nella riflessione del Marchese de Sade, ampiamente richiamato dagli autori, illuminista e contemporaneo di Kant, che non fa mistero nei suoi scritti di porsi come il suo “doppio”. Con chiarezza adamantina, così si esprimono: «Gli scrittori “neri” della borghesia non hanno cercato, come i suoi apologeti, di palliare le conseguenze dell’illuminismo con dottrine armoniose.

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Norberto Fragiacomo: Il Nobel capovolto

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Il Nobel capovolto

di Norberto Fragiacomo

“Per il suo instancabile lavoro nella promozione dei diritti democratici per il popolo venezuelano e per la sua lotta per raggiungere una transizione giusta e pacifica dalla dittatura alla democrazia”: con questa motivazione un gruppo ristretto di gentiluomini norvegesi ha insignito del Premio Nobel per la Pace 2025 un’esponente di punta dell’opposizione di destra venezuelana.

Cosa ci sia di veridico in questa formula è presto detto: niente di niente. Marìa Corina Machado proviene da un’altolocata famiglia di possidenti e, a differenza del “proletario” Maduro, ha studiato negli Stati Uniti d’America, ma anziché i “diritti democratici per il popolo venezuelano” ha instancabilmente promosso, nel corso degli anni, il ripristino di quei privilegi di casta che prima della rivoluzione chavista connotavano la realtà politico-sociale del Venezuela. È altresì grossolanamente falso che l’affascinante signora lottasse (e tuttora lotti, benché in semiclandestinità) per una “transizione giusta e pacifica”, visto che ha più volte invocato un intervento militare straniero (superfluo precisare: statunitense) per abbattere l’odiato regime plebeo di ispirazione socialista. Il colmo dell’impudenza e della malafede è però raggiunto nel passaggio “dalla dittatura alla democrazia”. Hugo Chavez e il successore Maduro hanno sempre vinto regolari elezioni, non perché siano (stati, nel caso del compianto Chavez) immuni da debolezze umani e difetti o perché le politiche da loro attuate abbiano trasformato il Venezuela nel paese di Bengodi: semplicemente perché l’unica alternativa stabilmente “offerta” dalla destra reazionaria contempla un ritorno all’ordinaria spaventosa disuguaglianza tra ceti privilegiati e classi popolari condannate all’indigenza, all’ignoranza e allo sfruttamento bestiale.

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Giuseppe Masala: Premio Nobel per l’Economia o per il Nichilismo?

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Premio Nobel per l’Economia o per il Nichilismo?

di Giuseppe Masala

Il premio Nobel per l’economia di quest’anno incentrato sugli studi relativi all’innovazione sembra nascondere un messaggio politico sullo sfondo del furibondo scontro “tecnologico” tra occidente e Cina: dovete accettare questo scontro con i disagi e i rischi che si possono verificare perché non vi è alternativa possibile a un mondo fondato sul dominio dell’uomo sull’uomo. Un mondo dunque dominato dalla Techné e dal Nichilismo

Puntuale come la malasorte arriva anche quest’anno un’assegnazione del premio Nobel per l’Economia che ha il sapore di non voler disturbare il manovratore. «Tutto procede per il meglio e le magnifiche sorti e progressive ci attendono» sembra volerci dire la Banca Nazionale di Svezia che assegna questo ambito premio. Eppure, a voler scavare a fondo, si tratta di un premio Nobel problematico. Pieno di trappole logiche che – paradossalmente – gli danno un valore intrinseco (inteso come presa di coscienza) al di là delle intenzioni conservatrici di chi lo assegna.

Ad averlo vinto sono tre economisti a me del tutto sconosciuti: Joel Mokyr, Philippe Aghion e Peter Howitt. Ma è la motivazione che li ha elevati a principi della Scienza triste a essere importante: «per aver spiegato la crescita economica guidata dall’innovazione» si legge. Più precisamente, sempre continuando a leggere le motivazioni, Joel Mokyr ha vinto il premio «per aver identificato i prerequisiti di una crescita economica duratura attraverso il progresso tecnologico» mentre Philippe Aghion e Peter Howitt lo hanno vinto «per la teoria della crescita sostenuta attraverso la distruzione creativa». Dunque, si tratta di un premio assegnato per gli studi su un tema – l’innovazione – ampiamente scandagliato dagli economisti fin dagli albori della nascita della disciplina.

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Alessandro Somma: Il nuovo antisemitismo come verità di Stato

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Il nuovo antisemitismo come verità di Stato

di Alessandro Somma

Il prossimo numero de La fionda, il secondo del 2025 in uscita per fine anno e intitolato “La Terra promiscua. Israele, il Medioriente e la tragedia senza fine della Palestina”, conterrà una intervista-dialogo di Diego Melegari con Valentina Pisanty[1]. Lì si ricostruisce l’operazione messa in campo dalla destra israeliana per equiparare l’antisionismo all’antisemitismo, ovvero per considerare la critica alla costruzione di Israele come Stato a fondamento etnico e religioso alla stessa stregua delle ostilità nei confronti degli ebrei. Si racconta poi di come la riduzione dell’identità ebraica all’identità sionista abbia portato a innovare la nozione di antisemitismo: non è più quello di matrice ottocentesca alimentato dai cliché antiebraici e dalla volontà di colpire gli ebrei in quanto tali, bensì quello che mira a condannare le critiche a Israele in quanto ebreo collettivo[2].

L’intervista documenta come il tutto abbia trovato una sintesi nella “definizione operativa” di nuovo antisemitismo formulata dall’Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto (International Holocaust Remembrance Alliance): organizzazione intergovernativa che comprende 35 Stati membri e 8 Stati osservatori[3]. Per questa definizione “l’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio per gli ebrei”, mentre “manifestazioni di antisemitismo verbali e fisiche sono dirette verso gli ebrei o i non ebrei e/o alle loro proprietà, verso istituzioni comunitarie ebraiche ed edifici utilizzati per il culto”. Con la precisazione che “le manifestazioni possono avere come obiettivo lo Stato di Israele perché concepito come una collettività ebraica”[4].

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Hua Bin: È iniziato il disaccoppiamento totale

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È iniziato il disaccoppiamento totale

di Hua Bin, huabinoliver.substack.com

Come se seguisse un copione prestabilito, la guerra commerciale e tecnologica tra Stati Uniti e Cina ha raggiunto il culmine la scorsa settimana, quando la Cina ha lanciato una serie di dure contromisure contro gli Stati Uniti in rappresaglia per le sue provocazioni, tra cui severe restrizioni sui prodotti a base di terre rare.

Come prevedibile, Trump è andato su tutte le furie e ha aumentato del 100% le tariffe sulle importazioni di prodotti cinesi, minacciando al contempo di annullare un incontro con il presidente Xi, cosa che Pechino non ha mai confermato.

Trump ha lanciato una serie di tweet roboanti sul suo Truth Social, denunciando l’ostilità e l’ingiustizia della Cina.

Se non altro, questo dimostra che Pechino ha imparato a padroneggiare l’arte di premere il pulsante di Trump. Come un giocattolo, l’umore e il comportamento di Trump sono controllati a distanza dai tecnocrati di Pechino, che progettano le sue politiche per contrastare gli Stati Uniti.

Nonostante i progressi dimostrati e l’ottimismo dichiarato per una potenziale de-escalation nei colloqui commerciali di Madrid, gli Stati Uniti non hanno perso tempo e hanno subito lanciato una serie di sanzioni commerciali e tecnologiche contro la Cina, proprio come avevano lanciato l’attacco a sorpresa all’Iran subito dopo il quinto round di colloqui nucleari con Teheran.

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