Forum Italiano dei Comunisti – 19/10/2025
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TRE PUNTI DI DISCUSSIONE SUL RECUPERO
DELL’AUTONOMIA STRATEGICA DEI COMUNISTI
Poniamoci una domanda: perchè nella situazione italiana non esiste una forte organizzazione comunista? Si è parlato molto della condizione oggettiva determinata dal crollo del P.C.I. e dell’ambito culturale in cui sono nati i tentativi di ricostruzione.
Due fattori questi che certamente hanno pesato negativamente nel tentativo di uscire dal tunnel della crisi, ma questi due fattori non spiegano tutto.
Se è vero che la liquidazione dell’esperienza dei comunisti italiani non poteva essere superata senza fare i conti con i suoi effetti nella società e nelle classi di riferimento, se è vero anche che la distruzione della ragione, cioè di un pensiero comunista che per 70 anni ha rappresentato un riferimento importante nel nostro paese, ha generato una grande confusione teorica aggravata dal crollo dell’URSS e dallo scontro nel partito comunista cinese, è vero anche che esistono questioni di impostazione del ruolo e delle basi su cui va concepita una ripresa comunista che a nostro avviso vengono dati per scontati o trascurati, ma in realtà non lo sono affatto.
Ricostruire un partito comunista nella situazione italiana, a nostro avviso, significa infatti due cose ben precise e cioè: come viene definita la continuità storica della nuova organizzazione comunista e soprattutto in che modo si pongono i comunisti riorganizzati di fronte a una situazione come quella italiana per ritornare ad essere protagonisti della lotta politica e di classe. Ambedue le questioni vanno discusse e indagate.
Sulla prima abbiamo aperto la discussione sull’importanza del ruolo di Gramsci e di Togliatti nella definizione di un pensiero comunista con cui riteniamo indispensabile stabilire una continuità, sull’altra invece ancora non sono state aperte le danze, cioè non si è entrati nel merito. Di che cosa si tratta? Del fatto che, a nostro parere, riprendere un percorso di trasformazione impone ai comunisti di sciogliere alcuni nodi essenziali per avanzare e dare un’immagine del ruolo da svolgere nella società italiana.
Inutile quindi continuare a dare una rappresentazione puramente ideologica della presenza dei comunisti nella società. Questo può produrre solo nicchie che non riescono ad uscire dalla loro dimensione e collegarsi alle grandi questioni la cui soluzione è misura del cambiamento. C’è bisogno di un salto dialettico tra realtà e organizzazione comunista che metta in moto meccanismi nuovi di azione politica che superino vecchie logiche che portano al vicolo cieco dell’impotenza.
Alla base del dibattito su queste cose ci sono dunque almeno tre questioni con cui fare i conti.
La prima riguarda la relazione tra partito e lavoratori dipendenti, che non può essere un rapporto propagandistico, ma capacità concreta dei quadri comunisti di indicare la via di una ricomposizione unitaria di classe e di riconquista dell’autonomia e del potere contrattuale collegati a una prospettiva politica.
L’esperienza del sindacalismo di base è stata una parziale risposta ai problemi sorti col consociativismo confederale, peraltro interna al concetto ideologico di antagonismo con cui si è espresso il dissenso politico in questi decenni di dominio di centro sinistra e centro destra. Invece, solo da una capacità di analisi politica più complessa si può venire a capo di una situazione sindacale fatta di sbarramenti normativi, separazioni organizzative tra sigle e disconoscimento da parte delle istituzioni statali e confindustriali di funzioni costituzionali essenziali come il diritto di sciopero, di libera organizzazione dei lavoratori e di rappresentanza con potere decisionale, fattori negativi che purtroppo dominano la scena dei rapporti di lavoro oggi. E questa capacità non può che venire da una forza comunista che metta in primo piano il suo rapporto con la classe operaia e sappia orientare politicamente le sue lotte e i suoi obiettivi sulla base di valutazioni che tengano conto delle situazioni generali. Non è una questione di cinghie di trasmissione tra partito e sindacato, ma di presenza attiva dei comunisti nel tessuto del lavoro dipendente.
Se andiamo a vedere invece le cose come stanno, e quanto contano i comunisti tra i lavoratori in Italia, la risposta la conosciamo già e non possiamo nasconderla con frasi fatte di carattere propagandistico. Quindi bisogna ammettere che qualcosa non ha funzionato e considerare con senso autocritico le responsabilità. Soprattutto che un punto essenziale di un progetto comunista è rimasto in alto mare.
Vogliamo tornarci sopra o continuiamo a lasciare spazio all’anarco-sindacalismo come surrogato di una impostazione corretta della questione sindacale?
Un secondo aspetto della situazione che rappresenta il banco di prova di una ripresa comunista è costituito dal rapporto che i comunisti devono avere con l’insieme di quelle forze sociali che spingono per cambiare aspetti essenziali della politica dei governi italiani, dalla guerra ai tentativi di stravolgimento dei principi costituzionali, alla battaglia contro l’introduzione di normative che, sulla repressione e sulla cultura antifascista, portano a snaturare il carattere dello Stato nato dalla Resistenza. Queste forze sono sicuramente interlocutrici dei comunisti e appaiono determinanti in questa fase per la sconfitta della destra e delle forze collegate all’Europa della finanza e della guerra. Parliamo ovviamente non di chi fa discorsi strumentali per rilanciare sotto mentite spoglie politiche liberiste e di guerra, ma di chi persegue obiettivi che anche noi condividiamo.
La questione che si pone dunque non è stare a destra o a sinistra di uno schieramento, ma individuare il punto di sintesi che può determinare la vittoria di un movimento democratico e progressista.
Su questa base si apre la prospettiva di creare un fronte costituzionale con cui ingaggiare la battaglia contro la destra e il liberismo. E’ questa la strada che bisogna imboccare oppure, scambiando una capra per una giraffa, il terreno unitario viene individuato nei gruppi minoritari uniti solo da una posizione ideologicamente antagonista e non da un progetto politico che dia corpo a un cambiamento dello stato di cose presente?
Certamente è più facile entrare in rapporto con chi, apparentemente, la pensa come noi, ma questo non sposta i rapporti di forza. Rifacendosi alla storia dei comunisti italiani possiamo trarne utili insegnamenti su come essi hanno operato positivamente fino alla definizione di quel ‘compromesso storico’ che è stato la tomba di un possibile cambiamento della situazione italiana
Un partito comunista deve essere un partito che si pone il problema di una prospettiva socialista e di continuazione di un processo iniziato col Manifesto dei comunisti di Marx e di Engels. Il crollo dell’URSS, il socialismo con caratteristiche cinesi, la nascita di un multipolarismo a livello mondiale, la fine dell’esperienza dei grandi partiti comunisti europei, il blocco della tendenza ascendente del comunismo come motore della storia nella forma in cui si era espresso nel secolo scorso a partire dal 1917 hanno posto ai comunisti non solo il problema di fare i conti con la propria storia, ma anche di rielaborare una teoria dello sviluppo del socialismo nel XXI secolo.
Su questo punto si gioca l’egemonia dei comunisti nella battaglia quotidiana che si conduce contro il sistema capitalistico e l’imperialismo.
Nei fatti, dopo gli avvenimenti degli anni ’90 del secolo scorso, c’è molta confusione sotto il cielo e ci si è abituati a considerare le cose sulla base della quotidianità, mentre l’organizzazione dei comunisti ha bisogno di alimentarsi con la comprensione dei processi in corso a livello mondiale, da cui si possono dedurre i passaggi concreti e le caratteristiche delle contraddizioni da cui dedurre la tattica e la strategia dei comunisti.
A che punto siamo di questa elaborazione? Se andiamo a vedere quali sono le basi culturali con cui si muovono i gruppi che esprimono antagonismo verso questa società, ci si rende conto che si tratta più che altro di un antagonismo che esprime una forma di moralismo politico più che una prospettiva. Lo sviluppo di una organizzazione dei comunisti deve coincidere con un livello di elaborazione di una strategia che superi l’anarco-movimentismo e il moralismo e riconduca lo scontro alla sua base razionale su cui ogni cambiamento reale poggia.

