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[SinistraInRete] Ennio Abate: Dialettica senza speranza?

Rassegna – 24/10/2025

 

Fulvio Grimaldi: Usa, Venezuela, Palestina. JOKER IN AZIONE

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Usa, Venezuela, Palestina. JOKER IN AZIONE

di Fulvio Grimaldi

mfdàpnbèfgBasato sulla figura del pagliaccio malefico, Joker è uno dei supercriminali più famosi della storia dei fumetti, nonché la nemesi del Cavaliere Oscuro[5]. Presentato come uno psicopatico con un senso dell’umorismo contorto e sadico. Così la presentazione del personaggio su Wikipedia. E’ la personificazione di Donald Trump.

Da ragazzini uscivamo dai film di grandi personaggi positivi, di eroi medievali, immaginandoci tali anche noi. Eravamo, a seconda dei gusti, dei Robin Hood, dei Cavallo Pazzo, dei D’Artagnan, dei Sandokan. Personalmente mi rifacevo a Widukind, o Vitichindo, re dei Sassoni pagani e per questo genocidati da Carlo Magno, un altro che ammazzava in onore del suo dio. Queste fantasticherie duravano finchè, all’urto con la realtà, non venivano drasticamente demensionate a livello di impiegato di banca, operatore ecologico, vigile urbano, medico della mutua, operaio alla catena, start up con IVA.

Con Donald Trump, personaggio eccessivo in senso fisico e metafisico, dall’onda gialla in capo, votato al disdegno di ogni minima regola del vivere civile in omaggio al principio Forza su Diritto, il copia e incolla è stato immediato. Qui, tra supereroi e supermalfattori, che nella supercultura del superuomo hanno dominato l’immaginario americano, dal generale Custer a Jesse James e ad Al Capone, l’adolescente The Donald si è immediatamente riconosciuto nel più affine: Joker.

E se la Nuova Frontiera di Bibi Netaniahu è quel Grande Israel le cui fondamenta si reggono su strati multipli di ossa cementate dall’IDF, come non poteva non accorrere in suo soccorso The Donald-Joker? Soccorso alla disperata, vista la sorte che allo Stato ebraico stava approntando lo tsunami della rabbia e della sollevazione di tante genti in Gotham City. Soccorso just in time di uno che, anche da Joker, si porta dentro e impone fuori morale, metodi, strumenti e valori di quell’altro genocidio, quello dei “palestinesi” delle Americhe, detti indiani e indios. Esattamente ciò che è previsto per Gaza e per tutti i luoghi dove formicolino quei non umani che si ostinano a brucare la dove dal dio degli ebrei la terra e i suoi frutti sono stati riservati al popolo eletto e ai suoi armenti e greggi.

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Ennio Abate: Dialettica senza speranza?

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Dialettica senza speranza?

Il comunismo nel buio (14)

di Ennio Abate

jean paul marat politician and publicist dead in his news photo 1682349107Il tarlo di La Grassa: Ripensare Marx per abbandonarlo? Contrapporgli Comunismo del 1989 di Fortini. (Lotta per il comunismo e non domande sulla sua realizzabilità). Inutile ripetergli ancora le stesse obiezioni. Gli ho, però, mandato “Filtrando e rifiltrando il manifesto di Marx” con dedica. Paura elementare: lasciando da parte Marx (e i dominati), con chi ci ritroviamo?

(E. A. Riordinadiario, 9 gennaio 2010)

Nel quasi dibattito su “Il comunismo nel buio” è sottinteso questo dilemma: il socialismo/comunismo, che da ottocentesco sol dell’avvenire è finito – appunto – al buio (non ne vediamo neppure più un raggio) -, è morto definitivamente? Anche nella versione che Fortini delineò nella voce ‘Comunismo’ del 1989? E, dunque, ogni sua idea o ipotesi (di ripresa, rifondazione, rinnovamento) va abbandonata? Oppure, in forme oscurate e per ora indecifrabili, è ancora da ricercare?

Se si risponde sì, non resta che adattarsi alla “realtà com’è” – (come ce la raccontano, come ciascuno la vede o l’immagina) – e dimenticare la “Cosa”, la “Grande Illusione”, la “Rivoluzione”. Se si risponde no, ci si pone – mai dimenticando la “realtà com’è” – il compito di ridefinirla meglio quell’idea, di ricercarne ancora alcuni segni nella cronaca, nelle ricerche scientifiche, nella storia e nel pensiero (antico, moderno, postmoderno), ripartendo – ma non necessariamente – dalle rovine (buone e cattive) che le esperienze socialiste otto-novecentesche (di vario tipo) ci hanno lasciato.

In Dialettica e speranza di Partesana una risposta chiara al dilemma appena ricordato non la trovo. Trovo, invece, due affermazioni chiave: «La lotta per il comunismo non è già il comunismo»; «Finora abbiamo solo interpretato Fortini, è venuto il momento di cambiarlo». E una (vaga) indicazione o un invito a studiare Hegel (in particolare la sua Scienza della logica) e Adorno. Mi pare, perciò, di trovarmi di fronte a una sostituzione di Fortini come riferimento principale (ma non per questo unico o indiscutibile), che viene articolata attraverso quattro passaggi: 

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Collettivo Ecologia Politica di Torino: Nuovo DDL nucleare: via libera all’energia dell’atomo in Italia

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Nuovo DDL nucleare: via libera all’energia dell’atomo in Italia

Alcune considerazioni per prepararsi al contrattacco

di Collettivo Ecologia Politica di Torino

Pubblichiamo il primo di una serie di contributi sul tema del nucleare. Questo testo è stato realizzato dal collettivo Ecologia Politica di Torino che prende parte al progetto Confluenza

signal 2025 10 19 231546 002.jpegIl disegno di legge sul nucleare “sostenibile”

Il Consiglio dei Ministri ha approvato lo scorso 2 ottobre il disegno di legge delega che punta a reintrodurre l’energia nucleare nel mix energetico nazionale, ignorando i risultati dei due referendum popolari — nel 1987 e nel 2011 — che avevano sancito la volontà della popolazione di abbandonare l’atomo. Come già annunciato durante la COP29 in Azerbaijan, il governo Meloni inserisce il nucleare sostenibile nel piano energetico nazionale, presentandolo come un passo “strategico” verso la sicurezza e l’autonomia energetica della Nazione. 

Il decreto legge delega il Governo a disciplinare la produzione di energia nucleare sostenibile (anche ai fini della produzione di idrogeno), la disattivazione o lo smantellamento degli impianti esistenti e la gestione dei rifiuti radioattivi. Attraverso questo decreto si delineerà un Programma nazionale che implementerà la ricerca, lo sviluppo e l’utilizzo dell’energia nucleare da fissione e da fusione. Fondi pubblici verranno destinati alla costruzione di prototipi, alla formazione di personale tecnico e alla partecipazione italiana ai programmi europei sul nucleare e sui suoi avanzamenti in ambito tecnologico in particolare quelli riguardanti gli SMRs (Small Modular Reactors). 

Il nuovo decreto assicura di occuparsi di un nuovo nucleare, quello di terza generazione, talmente nuovo che ancora non esiste su forma commerciale, vedi l’energia da fusione e i tanto citati SMRs. L’energia atomica sarebbe diventata sicura, affidabile e facilmente regolabile: motivo per cui il Governo con questo decreto prevede di scrivere una nuova pagina della storia energetica italiana (facendo passare tutto in sordina). 

Nel DDL aleggia la solita strada spianata propria delle grandi opere: possibilità di cambiare i piani urbanisitici, possibilità di annoverare tali centrali e opere annesse come di pubblica utilità, indifferibili e urgenti e pertanto potenzialmente accompagnate da espropri. Nel caso in cui qualcuno non dovesse credere alla favola del nucleare sostenibile, sono pronte campagne di informazione e convincimento destinate ai cittadini. 

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Elena Basile: “L’antisemitismo razzista non è quello dei pro-pal”

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“L’antisemitismo razzista non è quello dei pro-pal”

di Elena Basile*

Se rileggiamo Se questo è un uomo di Primo Levi troviamo pagine pacate e disperate sulla natura umana e su come all’interno del lager il microcosmo sociale si organizza. L’istinto di sopravvivenza è soddisfatto attraverso la sopraffazione dell’altro, la competizione con coloro che sono a noi pari e la soggezione conformista a chi è anche solo di un gradino a noi superiore. Non c’erano le SS a controllare i campi, ma una struttura piramidale divisa in tre gruppi, ciascuno con i loro capetti all’interno, prigionieri comuni, politici ed ebrei. La lettura è straziante perché rimanda senza possibilità di speranza a un Dna che si ripete nella storia, facendo avanzare gradualmente la barbarie sino alla sua esplosione: nazismo, razzismo, colonialismo, guerre.

Osservare la realtà politica, italiana, europea, occidentale, conferma le lucide visioni del grande scrittore umanista ebreo. Nell’indifferenza dell’opinione pubblica la corruzione delle classi dominanti appare ormai senza camuffamenti. Il prevalere della forza contro il diritto è all’ordine del giorno come la retorica razzista, contro l’islam e il terrorismo, contro il nemico russo, contro il diverso, che non è più l’ebreo oppure l’omosessuale, ma colui che non si allinea alle logiche belliciste, filoatlantiche e filoisraeliane, suprematiste bianche.

Il presidente statunitense afferma pubblicamente nel suo recente discorso a Tel Aviv di essere pressato dalla coppia di miliardari (specifica 60 miliardi in banca), Miriam e Sheldon Adelson, ebrei americani, che irrompono nello Studio Ovale e chiedono politiche filoisraeliane.

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Emiliano Brancaccio: Il rigore a vuoto e la spirale verso la povertà

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Il rigore a vuoto e la spirale verso la povertà

di Emiliano Brancaccio

Meloni e Giorgetti presentano una manovra pienamente addomesticata alle nuove regole di bilancio europee

Il governo dei sovranisti pentiti continua il suo percorso rieducativo. Meloni e Giorgetti presentano una manovra pienamente addomesticata alle nuove regole di bilancio europee. L’effetto, guarda caso, rievoca le antiche bizzarrie dell’austerity: con la crescita vicina allo zero e i rischi di una nuova crisi all’orizzonte, anziché bilanciare con una manovra espansiva l’Italia si impegna a schiacciare ulteriormente il deficit annuale.

La stretta porterà almeno un calo del debito pubblico accumulato? Difficile è dir poco. La Bce non è più accomodante come un tempo, i tassi d’interesse al netto dell’inflazione sono tornati a mordere e l’onere finanziario sta risalendo. Si riaffaccia così il paradosso dell’assurdità dei sacrifici: il paese stringe la cinghia ma i conti pubblici continuano a peggiorare.

Qualcuno obietterà che Meloni e soci hanno almeno pensato alle buste paga. Il governo riduce l’aliquota fiscale intermedia al 33 percento. Inoltre, per compensare l’inflazione, detassa al 5 percento gli incrementi salariali che verranno dai nuovi contratti e nelle bozze lascia intravedere l’ipotesi di un piccolo aumento forzoso in caso di mancati rinnovi. Il Corsera l’ha ardimentosamente interpretato come un “ritorno alla scala mobile”. E qualche gendarme di Confindustria ha persino agitato lo spettro di una “spirale inflazionista”. Messo così, pare l’annuncio di un nuovo corso a Palazzo Chigi, più di lotta che di governo.

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G. P.: Il mito originario di una democrazia migliore

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Il mito originario di una democrazia migliore

di G. P.

Analisi a dir poco ingenue continuano ad aleggiare intorno al concetto di democrazia. Provengono, certo, da spiriti che potremmo definire critici, ma ciò non basta a garantire la giustezza del pensiero né la correttezza interpretativa. Le riflessioni che ho letto recentemente di figure come l’ambasciatrice Elena Basile o la filosofa Donatella Di Cesare muovono infatti sempre dal presupposto di un mito dell’origine, ci fu un tempo in cui la democrazia era se non perfetta almeno migliore. Non è così.

Secondo queste analisi, la democrazia sarebbe degenerata negli ultimi decenni a causa del neoliberismo o di altre forme di degradazione, anche tecnocratiche, che l’avrebbero avvicinata a una sorta di fascismo, o tecnofascismo, come lo chiama Di Cesare. In questa prospettiva, la colpa sarebbe sempre di un ritorno della mentalità fascista che oscurerebbe la presunta bontà e bellezza della democrazia originaria. Balle, il fascismo fu un movimento politico, non una categoria dello spirito che nasce e rinasce a piacimento sotto nuove forme.

Dunque, le cose non stanno come in questa narrazione. Lenin già definiva la democrazia “il miglior involucro per la dittatura”, e anche in letteratura autori attenti hanno descritto la democrazia come un “gioco da banditi”. Perorare oggi il mito di un’Arcadia democratica tradita lungo il percorso storico, che solo più o meno recentemente sarebbe degenerata, significa perdersi dietro un’illusione.

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nlp: Gaza, un futuro di controllo della AI che ci riguarda

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Gaza, un futuro di controllo della AI che ci riguarda

di nlp

Se andiamo a leggere i piani di controllo dell’ordine pubblico prefigurati per la nuova amministrazione di Gaza, vediamo come questi convergano sulla previsione di un modello di sicurezza basato sull’integrazione di Intelligenza Artificiale (IA), robotica avanzata e sorveglianza aerea. Tale sistema, definito sistema ibrido di controllo automatizzato (HACS), non sarebbe costruito ex novo, ma deriverebbe dalla rapida riconversione delle infrastrutture e dei database militari preesistenti. Questo modello servirebbe poi da progetto pilota per l’esportazione globale sui mercati della sicurezza metropolitana e nazionale. La dinamica dell’industria della difesa, che utilizza il territorio come un “terreno di prova” per trasformare le tecnologie di urban warfare in “soluzioni per la sicurezza urbana” (Homeland Security – HLS), creerebbe con Gaza un pacchetto di controllo altamente commercializzabile, la cui diffusione comporterebbe la normalizzazione internazionale di pratiche di sorveglianza estrema e l’erosione della sovranità dei dati civili.

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I piani di pace in corso per la Striscia di Gaza pongono requisiti stringenti, con un mandato primario che prevede la smilitarizzazione totale e la supervisione di una forza internazionale di stabilizzazione (FIS) temporanea, incaricata di addestrare e istituire una forza di polizia palestinese autoctona.

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A Gaza Trump tenta di porre un argine a Israele, ma il futuro è foscoRoberto Iannuzzi:

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A Gaza Trump tenta di porre un argine a Israele, ma il futuro è fosco

di Roberto Iannuzzi

Per contenere l’unilateralismo israeliano, la Casa Bianca dovrebbe esercitare una costante pressione sul governo Netanyahu. Ma in ogni caso il piano Trump non offre nulla ai palestinesi

6b81851f d4da 4d5b 9086
9fd024939a3a 1024x683Cosa attende Gaza dopo il fragile cessate il fuoco imposto dal presidente americano Donald Trump con un vertice pomposo quanto privo di contenuti a Sharm el-Sheikh in Egitto, e con un discorso smaccatamente filo-israeliano pronunciato alla Knesset?

Se tutto andrà secondo i piani, “la vita per gli abitanti di Gaza passerà dall’essere un completo inferno a un semplice incubo”, hanno scritto sulle pagine del Guardian Hussein Agha e Robert Malley, entrambi per anni coinvolti nel fallimentare processo di pace israelo-palestinese.

Il piano Trump per Gaza è profondamente sbilanciato, sostengono i due esperti. Esso

“esige dai palestinesi l’espiazione per gli orribili atti del 7 ottobre, ma non da Israele per la barbarie che ne è seguita. Chiede la deradicalizzazione di Gaza, ma non la fine del messianismo israeliano. Detta in ogni aspetto il futuro del governo palestinese, senza dire nulla sul futuro dell’occupazione israeliana”.

Il piano è “pieno di ambiguità, privo di un calendario definito, di giudici o di conseguenze per le inevitabili future violazioni”, e “se la sua nebulosità non verrà sfruttata per silurarlo”, scrivono Agha e Malley, i palestinesi di Gaza passeranno “dall’essere vittime indifese a rifugiati due volte espropriati nella loro stessa terra”.

 

Le ragioni del cessate il fuoco

Il cessate il fuoco imposto da Trump ha fatto leva sul momento di grande difficoltà attraversato, per ragioni diverse, sia da Hamas che da Israele.

Il primo, alle prese con la drammatica situazione di una popolazione ridotta alla fame dalle restrizioni israeliane, con la devastante offensiva militare israeliana su Gaza City, e sotto l’enorme pressione dei mediatori arabi e della Turchia, ha deciso di scommettere sulle deboli garanzie offerte da Trump.

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Simplicius: I think tank alle prese con il dilemma strategico russo

comedonchisciotte.org

I think tank alle prese con il dilemma strategico russo

di Simplicius – simplicius76.substack.com

ngoidegnldQuesta settimana sono stati pubblicati alcuni interessanti articoli provenienti dal mondo dei think tank sulla guerra in Ucraina che meritano di essere analizzati.

Il primo è tratto da War on the Rocks, fondato da un think tank americano del settore della difesa e che si definisce una pubblicazione sulla difesa “per addetti ai lavori, da addetti ai lavori”.

Uno dei loro ultimi articoli tratta del dilemma strategico di Washington, ovvero quello di dover affrontare contemporaneamente tre avversari: Iran, Russia e Cina.

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Si può notare che si parla di una guerra su due fronti, e questo perché l’analisi esclude immediatamente l’Iran, ritenendolo già “rimosso” dalla scacchiera grazie agli attacchi ancora più presunti di Trump al programma nucleare iraniano, iniziando così dalla frase iniziale:

Gli attacchi devastanti degli Stati Uniti contro il programma nucleare iraniano nel mese di giugno hanno creato una piccola finestra di opportunità per evitare un incubo strategico: ovvero combattere contemporaneamente Cina, Russia e Iran.

A proposito, solo come breve digressione, ecco un’intervista al professore iraniano Foad Izadi dell’Università di Teheran che, apparentemente, conferma che Washington aveva essenzialmente stretto un accordo con l’Iran per consentire loro di bombardare Fordow con i B-2 in cambio dell’attacco iraniano a basi statunitensi vuote:

Anche l’intervista del parlamentare iraniano Mahmoud Nabavian, lo conferma in modo ancora più dettagliato.

È solo qualcosa da considerare alla luce del fatto che l’Iran viene “scartato” in questa discussione su una guerra a “due fronti”.

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OttolinaTV: Come funziona la guerra cognitiva degli USA?

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Come funziona la guerra cognitiva degli USA?

di OttolinaTV

hq720.jpg“La più efficace delle politiche imperialistiche non consiste nella conquista di territori o nel controllo di rotte economiche, ma nella conquista e nel controllo della mente degli uomini”; a dichiararlo non è un filosofo hippie dopo aver visto l’ennesimo remake di Matrix, ma nientepopodimeno che lui: Hans Morgenthau, il padre nobile della scuola Realista. Ed è proprio al controllo della mente che è dedicato questo importante libro bianco prodotto dal think tank ufficiale della più importante agenzia di stampa governativa cinese: sulla scia della seconda guerra mondiale, ricostruisce il rapporto, i movimenti di liberazione nazionale si diffusero in tutto il mondo a macchia d’olio; una imponente prima grande decolonizzazione durante la quale il sistema coloniale globale messo in piedi dalle potenze europee venne radicalmente stravolto. Gli Stati Uniti si resero conto che, in questo nuovo contesto, imporre nuove forme di dominio coloniale tradizionali era impensabile e decise saggiamente di investire tutto in forme di dominio più sottili e sofisticate: nasce, così, l’idea di Soft Power (che è meno soft di quanto si pensi).

Il punto è che i nascenti Stati nazionali, nati dalla lotta di liberazione, per consolidarsi avevano bisogno di costruire anche un’idea di nazione che, a partire dalla valorizzazione delle culture indigene, fosse in grado di creare una nuova identità condivisa; lo scopo dell’apparato egemonico dell’Impero è ostacolare questo processo e, facendo leva sull’”enorme disparità nelle posizioni di potere”, “impiantare forzatamente i valori della potenza egemone nella nazione in questione, sradicando selettivamente culture indigene e ideologie alternative”. L’egemone cerca di impedire il consolidamento di un’autentica cultura nazionale coltivando massicciamente alcune fazioni e minando quella che il libro bianco definisce “l’autonomia filosofica delle popolazioni bersagliate”: le “esportazioni ideologiche e culturali” dell’egemone, insiste il paper, vengono confezionate in modo ragionevole e accattivante attorno a parole d’ordine apparentemente neutre come progresso della civiltà o concetti avanzati, e con questo packaging inoffensivo si procede all’”infiltrazione per influenzare la cognizione di alcuni gruppi mirati specifici attraverso prodotti culturali, sistemi educativi, scambi accademici e altri canali subdoli”; un lavoro a lungo termine perché “i cambiamenti intellettuali e cognitivi sono graduali e incrementali”.

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Davide Malacaria: Trump-Putin: i Tomahawk e il vertice di Budapest

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Trump-Putin: i Tomahawk e il vertice di Budapest

di Davide Malacaria

Trump spiazza tutti e, dopo tre settimane in cui i media hanno dato per scontato che avrebbe dato i Tomahawk all’Ucraina, chiama Putin e annuncia che lo incontrerà a breve. In Ungheria, cioè nella nazione europea che più ha frenato lo slancio della leadership Ue, soggiogata da Londra, per fare del conflitto per procura ucraino una guerra continentale (nella folle illusione che rimarrebbe tale, senza cioè evolvere, com’è invece inevitabile, in una guerra termonucleare globale – sul punto, ha posto una pietra tombale l’esercitazione Usa Proud Prophet, vedi New York Times).

Zelensky, sbarcato negli Usa stamane nella convinzione che avrebbe ottenuto l’ambito regalo dal presidente americano, è rimasto sorpreso dalla mossa di Trump, annota Axios, e probabilmente se ne tornerà con le pive nel sacco. Forse avrebbe dovuto prendere più seriamente le dichiarazioni di Trump che, alcuni giorni fa, interpellato sui Tomahawk, ha risposto “ne parlerò con la Russia“. Esattamente quel che ha fatto.

Peraltro, se è vero che la querelle dei missili ha innescato ovvie reazioni a Mosca, l’inattesa telefonata di ieri segnala che i rapporti sottotraccia tra le due potenze sono stati preservati.

Prima di incontrare il presidente americano Zelensky ha incontrato i produttori di armi statunitensi, abboccamento che la dice lunga sulla natura di questo conflitto che, oltre all’obiettivo, mancato, di fiaccare le risorse russe e quello, in parte raggiunto, di distoglierla dallo scacchiere globale (vedi Gaza), ha anche quello di rafforzare l’apparato militar-industriale Usa e le forze politiche-finanziarie connesse.

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Giorgio Monestarolo: Perché la guerra alla Russia?

labottegadelbarbieri

Perché la guerra alla Russia?

E la NATO vuole aiutare l’UE o suicidarla?

di Giorgio Monestarolo

 

1. Le cause della guerra

Da quando è arrivato Trump la gestione della guerra è mutata. Le notizie si rincorrono in un alternarsi di stop and go nella direzione, apparentemente, di una soluzione del conflitto, di un armistizio o di un suo rilancio.

In realtà, seguendo la cronaca giorno per giorno si percepisce un senso di smarrimento, non si capisce bene effettivamente dove si stia andando. Lo smarrimento è il frutto di una non comprensione delle ragioni, delle cause del conflitto. Il primo punto che vorrei chiarire è proprio questo. Lo faccio riferendomi a un articolo uscito recentemente sul New York Times, di cui si è parlato molto per un attimo e su cui è poi caduto il silenzio. Il titolo è già molto esplicativo: L’alleanza. Storia segreta della guerra in Ucraina. Il ruolo nascosto degli Usa nelle operazioni militari ucraine contro la Russia. Si tratta di un dossier frutto i di più di trecento interviste a uomini e donne della Nato a cura di Adam Entous e pubblicato il 29 marzo del 2025.

L’importanza dell’articolo è semplice: l’autore riconosce, con dovizia di particolari, la natura di guerra per procura dell’Ucraina alla Russia, guerra per conto degli USA. Una guerra preparata dalle amministrazioni democratiche e repubblicane negli ultimi trent’anni. Non è chiaramente una notizia bomba. Molti studiosi dal febbraio del 2022 hanno sostenuto questa tesi. La novità è il fatto che il giornale dell’amministrazione democratica, il giornale di sistema più prestigioso degli Usa lo abbia dichiarato senza infingimenti di sorta. Il motivo era chiaro: la guerra non è stata vinta anzi è stata proprio persa.

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Fronte del Dissenso: Palestina: la lotta continua

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Palestina: la lotta continua

di Fronte del Dissenso

La tregua in atto da qualche giorno a Gaza dà quantomeno respiro a una popolazione martoriata. E’ alla sofferenza, e all’incredibile capacità di resistenza del popolo palestinese, che va il nostro primo pensiero. E’ grazie a questa resistenza che lo sterminio genocida di Israele è stato almeno provvisoriamente fermato. A questo popolo e alle sue organizzazioni va la nostra piena solidarietà.

La tregua non è la pace. Non lo è non solo perché essa è precaria, non solo perché Israele viola da sempre ogni accordo (come vediamo in questi giorni in Libano), ma soprattutto perché essa è figlia di uno stallo militare, non di una svolta politica che riconosca finalmente i diritti del popolo palestinese.

La tregua è il frutto di un compromesso aperto a diversi possibili sviluppi. Un compromesso che, per ora, ha portato alla cessazione dei combattimenti e allo scambio dei prigionieri. Su tutto il resto il disaccordo permane. Hamas e le altre forze della Resistenza palestinese, che hanno agito in grande accordo tra loro, hanno accettato la tregua, non certo il pretenzioso piano neocolonialista di Trump.

Quel piano rappresenta la prosecuzione della politica dell’imperialismo americano in Medio Oriente. L’Occidente continua, infatti, a considerare l’entità sionista come il proprio decisivo avamposto in quella regione. Sta di fatto che Israele non avrebbe potuto reggere due anni di guerra – attaccando oltre che a Gaza e in Cisgiordania, il Libano, l’Iran, la Siria, l’Iraq, lo Yemen e il Qatar – senza le armi e la complicità statunitense ed europea.

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Andrea Fumagalli: Il neocolonialismo della pace

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Il neocolonialismo della pace

di Andrea Fumagalli

La firma dell’accordo di pace tra Israele e Hamas ha giustamente suscitato molte speranze perché si possa arrivare a un definitivo “cessate il fuoco”. Tuttavia, dietro questo accordo si nascondano nuove forme di colonialismo e di depredazione/saccheggio a danno dei palestinesi e dei territori occupati. La guerra delle armi e delle macerie lascia così lo spazio a una nuova guerra: quella del business della ricostruzione, della speculazione e del profitto per pochi.

* * * *

Il vertice del 13 ottobre 2025 a Sharm el-Sheikh per la convalida a livello internazionale degli accordi di pace tra il governo israeliano e Hamas con la mediazione del Quatar, Egitto e Turchia viene descritto come una tappa storica nell’evoluzione dei rapporti tra Israele e i paesi del Medio Oriente e un esempio di pacificazione globale. Ma nel nome della fine (unilaterale) delle ostilità contro una popolazione civile inerme, si tratta invece di una delle pagine più ipocrite e meno gloriose nella storia del colonialismo occidentale. Perché di neo-colonialismo trattasi e gli interventi di Netanyahu e di Trump alla Knesset nella mattinata – a dir poco agghiaccianti –  lo hanno ben confermato.

Presenti al vertice ci sono in primo luogo i Paesi mediatori nella trattativa, a partire da Turchia e Qatar. Non c’è Benjamin Netanyahu e non ci sono rappresentanti di Hamas.

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