Rassegna 30/10/2025

Carlo Formenti: Arlacchi spiega la Cina all’Occidente
Arlacchi spiega la Cina all’Occidente
Ma l’Occidente è disposto ad ascoltare?
di Carlo Formenti
Deputato, senatore e parlamentare europeo, il sociologo Pino Arlacchi è noto, oltre che per i suoi libri, per la lunga attività pubblica e istituzionale contro la criminalità organizzata (è stato vicesegretario generale del programma antidroga e anticrimine dell’ONU). Meno conosciuti sono i suoi rapporti con il mondo politico e accademico cinese. Arlacchi presiede, fra le altre cose, il Forum internazionale di criminologia e diritto penale che ha sede a Pechino, il che gli ha consentito, da un lato, di incontrare e discutere, oltre che con i colleghi cinesi, con esponenti dei vertici del Partito Comunista e dello Stato, dall’altro lato di acquisire un ampio repertorio di conoscenze sulla storia antica e recente del grande Paese asiatico, nonché sul suo sistema politico e istituzionale e sulla società cinese contemporanea. Questo vasto materiale è la fonte da cui scaturisce “La Cina spiegata all’Occidente”, cinquecento pagine fitte di analisi e informazioni appena uscite per i tipi di Fazi.
Prima di riassumere quelli che considero i contributi più interessanti di quest’opera alla conoscenza della realtà cinese, premetto i miei dubbi in merito al fatto che essa possa scalfire il muro di pregiudizi, malafede e arroganza eurocentrica dietro il quale si trincera la larga maggioranza dei membri di un mondo politico, accademico e mediatico occidentale sempre più ripiegato su sé stesso. Spero almeno che riesca a suscitare la curiosità e i dubbi del lettore comune, ma soprattutto a far riflettere quegli ambienti di sinistra in cui circolano idiozie sulla Cina come Paese capitalista, imperialista, totalitario e aggressivo (paradossalmente, le destre neoliberali, mentre condividono con le sinistre gli ultimi tre stereotipi, confessano di temere la Cina in quanto esempio della superiorità del suo sistema socialista rispetto all’economia tardo capitalista, timore evidenziato dalle accuse di statalismo, concorrenza sleale, furto di know how, ecc. rivolte alle imprese cinesi).
Sandro Moiso: La fine del vecchio mondo e l’inizio di quello nuovo
La fine del vecchio mondo e l’inizio di quello nuovo
di Sandro Moiso
Michael Hardt, I Settanta sovversivi. La globalizzazione delle lotte, DeriveApprodi, Bologna 2025, pp. 315, 22 euro
Che non abbiamo avuto nulla a che fare con il terrorismo è ovvio. Che siamo stati «sovversivi» è altrettanto ovvio. (I militanti dell’Autonomia in attesa del processo nel carcere di Rebibbia – 1983)
Michael Hardt, docente alla Duke University del North Carolina è stato co-autore con Toni Negri di numerosi e ben noti saggi di carattere politico. Il suo testo pubblicato in Italia per DeriveApprodi, e uscito in lingua inglese nel 2023 per la Oxford University Press, ha come intento quello di riassumere la grande varietà di esperienze di lotta e organizzazione sviluppatesi nel corso degli anni Settanta del ‘900 e, allo stesso tempo, anche quello di affrontare ed esporre con coerenza e lucidità le differenze intercorse tra le lotte degli anni Sessanta, tutte troppo spesso riassunte a livello di immaginario collettivo dall’autentico brand rappresentato dal ’68, e quelle del decennio successivo, altrimenti riassumibile da un’altra iconica cifra stilistica, quella del ’77.
Due riferimenti simbolici per la rappresentazione di esperienze allo stesso tempo così vicine eppur così lontane. Soprattutto in tante valutazioni sociologiche, politiche e storiche successive che hanno, troppo spesso, diviso gli “anni dell’innocenza”, quelli che avrebbero portato al 1968, da quelli della furia, della rabbia e dell’estremismo. In cui, però, il concetto di autonomia politica, di classe e di genere, si è materializzato concretamente nelle esperienze organizzative di lotta dei lavoratori salariati, delle donne, dei giovani e delle loro differenti culture. Anche se in certe ricostruzioni a posteriori si è sostenuto che, in fin dei conti, negli anni Settanta non sia successo alcunché di significativo.
Sostenere che negli anni Settanta non sia successo nulla, tuttavia, richiede una certa strategia per supportare una tale cecità. In una certa misura, questa cecità ha a che fare con il «come». Molti dei movimenti più importanti degli anni Sessanta – i movimenti dei lavoratori di fabbrica, le femministe, le lotte di liberazione nazionale e antimperialiste, i movimenti antirazzisti, le ribellioni studentesche e giovanili, le lotte indigene – sono continuate negli anni Settanta, in molti casi in numero maggiore e con più intensità di prima. Il fatto che potessero diventare invisibili (almeno per alcuni) era dovuto al fatto che assumevano caratteristiche molto diverse, forme di organizzazione radicalmente rinnovate e nuovi obiettivi, che non rientravano nelle narrazioni accettabili.
ALGAMICA: Addio America: i cancelli si stanno aprendo
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Addio America: i cancelli si stanno aprendo
di ALGAMICA*
Presentiamo la traduzione italiana del nostro articolo Goodbye America: the gates are opening pubblicato in questo link, con alcune precisazioni aggiuntive per i lettori italiani – di ALGAMICA
Ciao a tutti, amici e giovani americani (” bipoc” e “traditori della razza bianca “).
Speriamo che ci perdonerete per il nostro inglese approssimativo.
Molti di noi negli ultimi anni hanno visto e detto che l’America sta crollando.
Quando un costrutto storico sociale inizia a crollare, i rapporti sociali si frantumano. I rapporti sociali sono un contratto di scambio nel contesto del modo di produzione che definisce le classi sociali, legate reciprocamente anche se il legame è conflittuale (ciò che viene definito come lotta di classe). È tempo di ammettere che la lotta di classe e il conflitto tra classi sociali hanno avuto una traiettoria storica che si è sviluppata sotto l’egida del mercato delle merci e della produzione di valore, che, nel contesto del suo sviluppo unitario, ha caratterizzato la supremazia occidentale e la supremazia bianca. La storia del conflitto sociale non poteva, in termini materialistici, ignorare il fatto che i bisogni umani sono soddisfatti dalle merci, e quindi la riproduzione delle condizioni della vita richiedono la produzione di merci e la reificazione della vita stessa. Questo è ciò che considereremmo una doppia “schiavitù” che lega il “salario” e il “profitto” tra di loro e sottoposti entrambi alla legge impersonale del movimento della accumulazione.
Abbiamo da un bel po’ pensato che la guerra civile americana fosse inarrestabile quando i fatti reali hanno iniziato a mostrare le prime crepe. Ma non riuscivamo a immaginare quale sarebbe stato il punto di svolta, quando sarebbe accaduto e quali sarebbero state le sue forme. Soprattutto non pensavamo che sarebbe successo così rapidamente. La storia sorprende sempre i rivoluzionari che esprimono un’avversione contro lo status quo. Nulla accade come lo immaginavamo prima. Ora siamo di fronte alle porte che si aprono verso una nuova guerra civile americana. “L’America si sta sgretolando” sta accadendo ancora più velocemente. Pezzo dopo pezzo, a passi rapidi, l’edificio storico si sta frantumando e decomponendo.
Geminello Preterossi: Il suono della libertà
Il suono della libertà
di Geminello Preterossi
Una marmitta modificata che fa un rumore pazzesco. Una moto guidata da un coatto metrosexual stile “Uomini e donne”. “A me me piace: è il suono della libertà! La legge lo permette”, commenta una donna, in là con l’età, in tiro ma volgarotta, che potrebbe essere una di quelle che vanno da Maria De Filippi, nella speranza di fermare il tempo.
Plebeismo? Si, ma c’è di più. È un piccolo episodio a mio avviso rivelativo di una dinamica che riguarda l’insieme delle nostre società “post-tutto” (quindi non c’è alcun intento di stigmatizzazione, in queste mie notazioni). Il disfacimento del popolo si nutre della mistificazione della libertà, che è diventata una parola equivoca. Libertà “naturale”, per esseri fittiziamente “naturali” (perché immersi in uno stato di natura “dopo la civilizzazione”, indotto dal neoliberismo e dalla globalizzazione, socializzato in un modello di convivenza asociale), La mia libertà è la tua inesistenza. Il segno rabbioso della propria identità, l’unica possibile in un contesto de-umanizzato (senza politica, senza ethos, senza arte, senza spiritualità). Quello che colpisce è la rivendicazione, la mancanza di vergogna: probabilmente perché al fondo si sente di essere ormai automi, pezzetti di un ingranaggio, e si cerca inconsciamente una illusoria, momentanea interruzione, un’increspatura in questa immanenza assoluta. La cosa drammatica è che così la si reifica. E poi perché l’atomismo competitivo legittima precisamente quella visione della libertà: la quale quindi per un verso esprime l’ideologia dominante (chi la assume ne è un elemento molecolare, seppur “passivo”), per l’altro dà l’illusione di una sottrazione momentanea al meccanismo sociale, di una libertà assoluta, la quale non può che essere risentita, esibizionista, narcisista.
Fabrizio Casari: La partita che si gioca nei Caraibi
La partita che si gioca nei Caraibi
di Fabrizio Casari
E’ ufficiale il passaggio della Bolivia alla destra e con esso, quasi certamente, del suo litio a disposizione della ricchezza nazionale. Dopo l’Ecuador, divenuto un protettorato USA su base criminale, che ha consegnato la sua significativa quota di petrolio agli USA, sembra ridisegnarsi un quadro favorevole per la sete di risorse latinoamericane che alloggia nelle gole statunitensi e, per molti aspetti, spiega alcune delle vere ragioni che spingono la IV Flotta della US Navy nei Caraibi.
Gli Stati Uniti non sono nei Caraibi per fare la guerra alla droga: se fosse stato così avrebbe dovuto procedere ad alcune migliaia di arresti nei 3500 laboratori di Fentanyl che si trovano in territorio statunitense, allo smantellamento dei cartelli statunitensi e alla chiusura di enti bancari e finanziari che ne riciclano i proventi, molti di questi operanti a Wall Street.
Che la loro presenza militare nei Caraibi abbia contorni di illegittimità e di illegalità, dato che a tutti gli effetti minaccia la libera navigazione anche con attacchi ingiustificati su imbarcazioni civili peschiere, lo ha reso evidente lo stesso Alvin Holsey, l’ormai ex Ammiraglio in capo del Comando Sud (e dunque anche della IV Flotta) dimettendosi proprio in nome del rispetto del codice di navigazione e delle leggi di guerra.
Il rispetto di questi impedirebbe le modalità dell’operazione navale in corso, il cui scopo è solo di minacciare, terrorizzare; prova ne sia che gli ipotetici corrieri della droga non vengono abbordati o bloccati ma gli si spara direttamente, senza peritarsi nemmeno di chi vi sia a bordo, cosa stia facendo e se rappresenta o no un pericolo.
Leo Essen: Lezione di Harry Braverman a giovani Aut Op
Lezione di Harry Braverman a giovani Aut Op
di Leo Essen
1
Come conseguenza del taylorismo le attività lavorative si semplificano e si riducono a semplice dispendio di forza lavoro, di muscoli e cervello. I lavoratori, dice Braverman (Lavoro e capitale monopolistico), diventano intercambiabili. Spariscono le specializzazioni, i lavori si degradano, si appiattiscono, le mansioni si uniformano. Passare da un lavoro ad un altro diventa sempre più facile. È richiesto un periodo brevissimo (addirittura, qualche giorno o qualche settimana) di addestramento o formazione. Si tratta di una conseguenza della divisione del lavoro e della parcellizzazione. I lavoratori diventano tutti uguali, si uniformano in una classe. Nella società i lavoratori sono niente, mentre il capitale è tutto.
Che cos’è il lavoro nel capitalismo? È niente.
La forza costituente della classe lavoratrice si esprime in questa deprivazione: il lavoro è lavoro depauperato, lavoro povero, dequalificato, unskilled.
Come si arriva a questa spoliazione?
Perseguendo due obiettivi: l’efficienza e il controllo della mansione. In verità l’obiettivo è uno, l’efficienza. Il controllo della mansione è subordinato all’efficienza. Essa viene perfezionata da Taylor.
2
Il taylorismo spacchetta un processo in singole funzione e le standardizza. La funzione diventa ripetibile. Gli elementi della prestazione e le materie su cui si applica devono rimane costanti, così come deve rimanere costante la procedura. Lo scopo principale della misurazione è la ripetizione. Nella fabbrica di spilli il processo è diviso in modo da rendere le operazioni standardizzabili e facilmente ripetibili. L’efficienza è una conseguenza diretta della ripetibilità. Più la funzione è semplice, più diventa facile ripeterla. In ogni caso bisogna seguire degli standard.
Michela Pusterla: Fare scuola durante un genocidio
Fare scuola durante un genocidio
di Michela Pusterla
Mi trovo da settimane di fronte a un dilemma didattico: entrare in classe e parlare di qualcosa, qualsiasi cosa, quando mi pare che non si possa parlare d’altro. Nei miei anni di insegnamento, ho sempre fatto lezione sulla Palestina, e in particolare ho sempre ricostruito la storia del sionismo all’interno di un’unità didattica sul colonialismo, che si concentrava sulle colonizzazioni della Palestina e sul colonialismo italiano. Ma, a partire dall’autunno 2023, quell’approccio squisitamente storiografico ha cominciato a rivelarsi insufficiente e, dall’inizio di questo anno scolastico, limitarsi alle coordinate storico-geografiche non è più solo insufficiente, è diventato sbagliato. Mi è apparso evidente che la questione del genocidio in atto a Gaza pone una domanda cruciale al mio stare a scuola: ne va del fatto stesso del mio essere insegnante.
La debolezza dell’ideologia dei diritti umani
Negli ultimi decenni, la scuola è stata egemonizzata dall’ideologia neoliberale, che ne ha influenzato sia la didattica sia la pedagogia. Ha vissuto così un periodo di grande pace sociale, dove sembravano ormai assenti sia lo scontro sul piano materiale sia quello sul piano ideologico. Se dal punto di vista strutturale il modello egemonico è quello di una scuola al servizio delle aziende e in sé stessa azienda, dal punto di vista valoriale la scuola – una volta democratica e antifascista – si è da tempo accucciata sotto l’ala ecumenica dei diritti umani e, più recentemente, dell’«Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile». Alla luce di questa ideologia, prospettata vagamente e senza analizzarne le contraddizioni, si depotenziano tutti i discorsi di liberazione: una volta varcata la porta dell’aula, ogni discorso sembra deradicalizzarsi necessariamente. Il femminismo in classe assume spesso le fattezze della storia delle donne e del contrasto alla violenza di genere, mentre l’ecologismo si traduce nelle buone pratiche della raccolta differenziata e delle energie rinnovabili.
Alessandro Volpi: Pillole di bancarotta n.2
Pillole di bancarotta n.2
di Alessandro Volpi *
La bolla dell’oro
La crisi profonda del capitalismo finanziario sta generando una mostruosa bolla costruita attorno all’oro, destinata a cambiare il quadro dell’economia internazionale.
Ci sono almeno tre ragioni, tra loro decisamente collegate, che favoriscono un prezzo dell’oro superiore ai 4000 dollari l’oncia.
La prima è la grande richiesta di oro da parte delle banche centrali, a cominciare da quella cinese: ormai sono scomparsi i due beni rifugi su cui costruire la tesaurizzazione del valore, rappresentati dal dollaro e soprattutto dai titoli del Debito Usa, e dunque l’oro resta il solo bene rifugio.
Ma non solo bene rifugio, l’oro diventa anche la sola reale garanzia di “conversione” monetaria per l’economia capitalista che non può permettersi una moneta in continuo deprezzamento come nel caso del dollaro. Quindi stiamo tornando rapidamente al gold standard, dove l’unica vera garanzia era costituita dalla piena convertibilità aurea.
La seconda ragione si lega alla prima. La ricerca di oro come bene rifugio non riguarda solo le banche centrali ma l’intero sistema finanziario, a cominciare dai grandi gestori del risparmio, che, in un momento di estrema incertezza come quello attuale, hanno bisogno di “stabilizzare” i loro impieghi avendo una solida riserva aurea.
La terza ragione è riconducibile alla ormai dominante struttura del sistema finanziario globale, dove i prezzi sono definiti attraverso gli strumenti derivati. In pratica, sul prezzo dell’oro si fanno milioni di scommesse, sganciate al possesso dell’oro in quanto tale, che finiscono per generare un’impennata molto più accentuata di quella, già forte, legata al mercato reale dell’oro.
Non a caso i futures sull’oro corrono di più del già altissimo prezzo dell’oro. La crisi del capitalismo finanziario, la sua scelta di puntare sulla dimensione militare stanno generando una dipendenza dall’oro che, per i suoi altissimi rendimenti, sta mangiandosi pezzi interi di economia reale.
Barbara Spinelli: L’Ue vuole la tregua ma non la pace
L’Ue vuole la tregua ma non la pace
di Barbara Spinelli
Se si vuol capire almeno un poco come gli Stati e le istituzioni d’Europa siano arrivati dopo anni di guerra in Ucraina a questo punto – un’incapacità totale di far politica; una ripugnanza diffusa verso chiunque imbocchi la via diplomatica; un’incaponita postura bellica che sfalda già ora lo Stato sociale; un senso storico completamente smarrito – occorre esaminare due eventi rivelatori delle ultime settimane.
Il primo ha per protagonista Trump, che dopo aver discusso al telefono con Putin il 16 ottobre, ha bocciato l’idea di mandare in Ucraina i micidiali missili Tomahawk, che possono colpire la Russia fino agli Urali, sono in grado di trasportare testate nucleari, e vanno manovrati solo con l’assistenza del Paese egemone nella Nato. Arrivato alla Casa Bianca per ottenere i missili, il 17 ottobre, Zelensky s’è sentito dire, anzi urlare: “Se Putin vuole, ti distrugge”. Trump ha escluso ogni escalation, in vista dell’imminente suo incontro con Putin. Ma Zelensky si è inalberato e ha chiesto aiuto agli Stati europei detti “volonterosi”. I quali sono accorsi e hanno subito silurato il vertice Trump-Putin, per ora rinviato. Obiettivo dei Volenterosi è un cessate il fuoco lungo la linea del fronte, e solo in seguito una trattativa sul futuro ucraino e sulle garanzie di sicurezza per Kiev.
Fin dal vertice con Trump in Alaska, tuttavia, Putin chiede che prima del cessate il fuoco si accettino le garanzie di sicurezza russe oltre che ucraine e cioè: neutralità e non adesione di Kiev alla Nato, riduzione degli armamenti sproporzionati in Ucraina, impegno scritto del Patto Atlantico a non espandersi mai più verso l’Est. Mosca lo chiede da decenni, non da oggi.
Patrick Lawrence: Contro la hybris
Contro la hybris
di Patrick Lawrence – ScheerPost
Negli ultimi giorni ho letto molto su come gli israeliani hanno trattato le persone che hanno arrestato quando hanno abbordato illegalmente le navi che componevano la ormai famosa flottiglia umanitaria che non è mai arrivata alle coste di Gaza. Gli irlandesi – naturalmente, data la loro amara familiarità con le aggressioni imperiali – hanno fornito resoconti dettagliati della brutale violenza gratuita che hanno subito mentre erano detenuti nella prigione di Ktziot. Barry Heneghan, membro del Dáil, la camera bassa del parlamento irlandese, ha riferito in seguito di essere stato “trattato come un animale”. Liam Cunningham e Tadhg Hickey, attori e attivisti, hanno descritto come sono stati presi a calci, sputati, schiaffeggiati, legati con fascette di plastica e lasciati sotto il sole cocente del deserto del Negev.
Nulla è paragonabile al racconto della sua detenzione che Greta Thunberg ha fatto il 15 ottobre a Lisa Röstlund, giornalista dell’Aftonbladet, un quotidiano di Stoccolma. Questo mi è stato riferito da Caitlin Johnstone, quella forza della natura australiana, che ha pubblicato nella sua newsletter estratti tradotti automaticamente lo stesso giorno in cui è uscita l’intervista di Röstlund alla coraggiosa attivista svedese. Avevo già letto della disidratazione, del cibo appositamente cattivo della prigione, delle cimici dei letti, del rifiuto delle cure mediche. Ora Thunberg fornisce al mondo una lunga lista di “abusi mostruosi” – frase riassuntiva di Johnstone – che vanno oltre ogni limite.
Andrea Inglese: Diario di un luddista senza complessi #1 (La libido.)
Diario di un luddista senza complessi #1 (La libido.)
di Andrea Inglese
Vorrei precisare. Ci sono i transumanisti, gli accelerazionisti, i lettori di Baricco e di Paolo Giordano: c’è posto per tutti sul pianeta terra, non per necessità di ragione, ma per brutalità di fatto. Ebbene ci sono anch’io, anzi la tribù di cui faccio parte: i luddisti senza complessi. Ogni tanto ne incontro qualcuno o sopratutto qualcuna. Le donne sono più numerose di gran lunga. Maschi luddisti cercasi disperatamente. Io dico non solo che le tecnologie non sono neutrali e che portano in sé un’ideologia implicita, ma dico anche (Apriti cielo! Santissimo Marx!) che le tecnologie non hanno carattere di necessità, e che quindi il loro dispiegamento nelle nostre vite non è una fatalità irrimediabile, ma soltanto una debolezza del nostro spirito, una pochezza della nostra politica. Ma dopo aver formulato due grandi bestemmioni, due affermazioni che non rientrano nell’ordine dei pensieri pensabili da una mente sana, vorrei scendere su di un terreno più spicciolo, e immediato. Chat-GPT non esercita su di me nessuna libidine. Né il suo uso concreto, né la sua evocazione circonfusa di aloni scintillanti e misteriosi, mi procurano eccitazioni inguinali e tantomeno mentali. Zero festa, zero stelline, zero iridescenze, zero inturgidimenti. In primo luogo non uso, se non raramente, Chat-GPT, e per nessun compito “ordinario”. Consideriamo le due circostanze in cui l’ho usato ultimamente. La prima, per tradurre un articolo, da me scritto, dall’italiano al francese, che ho poi rivisto frase per frase. Un ottimo risultato, ma un’operazione complessivamente “rottura di palle”. (Così è in genere dell’autotradursi, per mia esperienza).
Rovescio: Semi che germogliano all’inferno
Semi che germogliano all’inferno
di Il Rovescio
Vladimir Žabotinskij, il fondatore dell’organizzazione paramilitare sionista Irgun, ammetteva senza fronzoli: «[I palestinesi] guardavano la Palestina con lo stesso amore istintivo e con lo stesso fervore con cui un qualsiasi Azteco guardava il suo Messico o un qualunque Sioux guardava la sua prateria». Il colonialismo sionista ha fatto di tutto per rimuovere tali paralleli storici. Ma l’orrore di Gaza ci fa vedere in diretta – equipaggiato con tutti i mezzi che il complesso scientifico-militare-industriale ha sviluppato nel frattempo – l’annientamento dei nativi americani o degl’aborigeni d’Australia.
Per questo è tanto vertiginoso quanto necessario elaborare e mettere in pratica una concezione della storia more Gaza demonstrata.
Prendiamo la ben nota frase dello storico Patrick Wolfe (al quale dobbiamo alcuni degli studi più puntuali sul colonialismo d’insediamento): «l’invasione coloniale di una terra per crearvi degli insediamenti è una struttura, non un evento». (Da cui discende il corollario: «l’eliminazione dei nativi è un principio organizzativo».) Questa struttura rende ancora operativa nel 2025 la giustificazione giuridica dell’esproprio coloniale fornita nel 1689 da John Locke (Secondo trattato sul governo): proprietario della terra non è chi vi risiede, ma chi la mette a profitto. Definire terra di nessuno (terra nullius) gli ambienti abitati dalle popolazioni native è l’architrave dell’insediamento coloniale. Non si tratta di un evento, appunto, ma di una struttura.


