Il ricco commercio di armi con l’Arabia Saudita che l’Italia non riesce a fermare

La morte del giornalista saudita Jamal Khashoggi ha puntato nuovamente i riflettori sulla vendita internazionale di armi a Riyadh. Gli Stati Uniti e diversi paesi dell’Unione europea fanno ricchi affari con la monarchia del Golfo grazie all’esportazione di materiale d’armamento. Un flusso commerciale difficile da arrestare.

 

Il ricco commercio di armi con l’Arabia Saudita che l’Italia non riesce a fermare

La morte del giornalista saudita Jamal Khashoggi ha puntato nuovamente i riflettori sulla vendita internazionale di armi a Riyadh. Gli Stati Uniti e diversi paesi dell’Unione europea fanno ricchi affari con la monarchia del Golfo grazie all’esportazione di materiale d’armamento. Un flusso commerciale difficile da arrestare, nonostante gli scrupoli che dovrebbero venire dalla lunga guerra civile in Yemen e dall’intervento militare saudita nel conflitto, cominciato nel 2015. Perché si tratta di una torta molto grande. E anche l’Italia si è seduta al tavolo per avere la sua parte.

Nel 2017 l’Arabia saudita è stato il primo paese al mondo per importazioni di armi convenzionali, registrando un volume di trasferimenti di risorse militari che supera i 4 miliardi (secondo l’indicatore usato dal Sipri, Stockholm International Peace Research Institute). Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump si è affrettato a ribadire che qualsiasi fosse stato il risultato dell’inchiesta sulla morte del giornalista dissidente, non avrebbe interrotto il commercio di armi tra Washington e Riyadh: “Non sosterrò mai alcun tentativo di fermare un paese dallo spendere 110 miliardi di dollari qui da noi, sapendo che ci sono la Russia e la Cina pronte ad incassare i loro soldi”.

Man mano che le indagini sulla morte di Khashoggi proseguivano, il tema veniva dibattuto nelle altre cancellerie occidentali. Germania e Austria hanno deciso di congelare l’export di armi con il paese arabo, mentre Francia e Spagna hanno preferito non interrompere il loro interscambio.

Intanto il Parlamento europeo adottava una risoluzione il 25 ottobre scorso, per condannare “la tortura e l’uccisione del giornalista in Turchia”: con quel testo, inoltre, esortava nuovamente i paesi membri dell’Ue a raggiungere una posizione comune per imporre un embargo alla vendita di armi all’Arabia Saudita. Nuovamente perché una simile esortazione era già stata fatta il 4 ottobre scorso, per il ruolo che il Regno gioca nella guerra civile yemenita.

L’Italia aspetta i risultati dell’inchiesta internazionale per capire come muoversi. Il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi ha sottolineato che il nostro Paese “sta senz’altro valutando” la possibilità di bloccare l’esportazione di armi dopo la morte di Khashoggi, precisando però di non essere “a conoscenza di situazioni specifiche riguardo a forniture in corso”. Per questo, ha concluso, “valuteremo anche la questione alla luce di questo caso”. In seguito, Moavero ha fatto anche notare che sul tema non è ancora avvenuto un confronto con gli altri paesi del G7.

Anche per l’Italia, infatti, il commercio internazionale di armi è una fonte di guadagno piuttosto importante: solo nel 2017, le autorizzazioni all’esportazione di materiali di armamento hanno raggiunto il valore di 10,3 miliardi di euro. Più della metà (il 57,5 per cento) riguarda lo scambio con i paesi del Medio Oriente e del Nord Africa: tra questi, in particolare, i regimi del Golfo Persico figurano come i principali acquirenti.

Autorizzazioni in Italia per esportazione di materiali di armamento, anno 2017. Primi 25 paesi destinatari

Paesi 2017
Qatar 4,221 miliardi
Regno Unito 1,513 miliardi
Germania 689,9 milioni
Spagna 439,7 milioni
Stati Uniti 292,2 milioni
Turchia 266,1 milioni
Francia 251,2 milioni
Kenya 207,5 milioni
Polonia 206,4 milioni
Pakistan 174,1 milioni
Algeria 166,1 milioni
Canada 155,5 milioni
Svezia 107,8 milioni
Oman 69,3 milioni
Iraq 55,1 milioni
India 54,8 milioni
Arabia Saudita 51,9 milioni
Corea del Sud 50,3 milioni
Svizzera 49,8 milioni
Indonesia 37,5 milioni
Australia 35,8 milioni
Camerun 35 milioni
Bangladesh 31,2 milioni
Emirati Arabi Uniti 29,3 milioni
Singapore 27,1 milioni
 

Il governo di Roma prende tempo, sottolineando di considerare la possibilità dello stop alla vendita. Ma ancor prima dell’omicidio di Khashoggi, l’esecutivo ha fatto capire gli interessi che ci sono in ballo, e anche le sue divisioni interne.

Nel settembre scorso era stata la ministra della Difesa Elisabetta Trenta a ricordare “quel che accade in Yemen da diversi anni” in un post su Facebook, spiegando di aver richiesto un resoconto dell’export o del transito di bombe o altri armamenti dall’Italia all’Arabia Saudita al ministero degli Esteri, “competente” per la questione. Nel messaggio, Trenta chiarisce il dovere di interrompere l’export e far decadere immediatamente i contratti in essere qualora si dovesse configurare una violazione delle legge 185 del 1990, che disciplina l’esportazione, l’importazione e il transito dei materiali di armamento.

La dichiarazione della ministra era stata accolta positivamente dalle diverse associazioni che in più occasioni hanno condannato la vendita a Riyadh di armi prodotte in Italia. In questi anni le ong hanno chiesto di interrompere l’export di bombe e altri armamenti usati dalla coalizione a guida saudita nel conflitto in Yemen, “in considerazione delle gravi violazioni del diritto umanitario accertate dalle autorità competenti delle Nazioni Unite”.

Critica invece era stata la reazione del sottosegretario agli Esteri Guglielmo Picchi (Lega), che in un post su Twitter aveva ribadito che il commercio di armamenti con la monarchia del Golfo avviene in modo regolare e nel rispetto delle regole, sottolineando poi le difficili conseguenze economiche – occupazionali e commerciali – di uno stop alle vendite.

Un rapporto commerciale che si è dimostrato piuttosto lucroso per le casse dello stato in questi ultimi anni. Come mostrano i dati della “Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento per l’anno 2017”, dal 2012 al 2016 il valore delle autorizzazioni per esportazione di materiali di armamento è cresciuto, passando da 244,9 milioni a 427,5 milioni di euro. Nel 2018 il valore scende notevolmente, sfiorando i 52 milioni di euro.

Per Francesco Azzarello, direttore dell’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (Uama), si tratta di un calo di quasi l’88 per cento rispetto all’anno precedente. Ma questo cambiamento nelle cifre non sta a indicare un crollo nel traffico secondo alcuni analisti.

“Quello delle armi non è un mercato stabile e continuo, caratterizzato da un costante acquisto di prodotti. Si deve ragionare per commesse”, ci spiega Giorgio Beretta, analista per l’Opal (Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa). Vuol dire che un paese potrebbe fare un grosso ordinativo quest’anno, ma l’anno successivo potrebbe limitarsi a richiedere sul mercato estero forniture di componenti. Quindi lo stato esportatore potrebbe registrare un forte aumento delle autorizzazioni il primo anno e non quello successivo. “Le consegne inoltre richiedono del tempo, perché gli armamenti, le navi, gli aerei richiesti devono essere costruiti”.

In riferimento alla questione delle bombe d’aereo realizzate in Italia e vendute a Riyadh, Azzarella ha fatto notare in un’intervista all’Ansa che le licenze della Rwm Italia (la società che le produce) sono diminuite da 489 milioni del 2016 a 68 milioni nel 2017. Proprio l’utilizzo di queste armi sganciate dalla coalizione saudita in Yemen avevano spinto diverse associazioni a presentare una denuncia penale alla procura di Roma per accertare le responsabilità penali di chi le ha assemblate e vendute.

Ma secondo Beretta, le vendite di munizionamento pesante, e in particolare di bombe aeree, all’Arabia Saudita rimangono alte: “Come mostrano i dati Istat, nel 2016 le esportazioni superavano i 40 milioni di euro; nel 2017 hanno sfiorato i 46 milioni; e nel 2018 (gennaio-giugno) hanno oltrepassato la soglie dei 36 milioni”.

Marco Cimminella
29/10/2018

da: it.businessinsider.com

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