[SinistraInRete] Salvatore A. Bravo: L’inquietudine di Lenin. L’attualità del suo pensiero a cento anni dalla sua morte

Rassegna 20/04/2024

 

Salvatore A. Bravo: L’inquietudine di Lenin. L’attualità del suo pensiero a cento anni dalla sua morte

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L’inquietudine di Lenin. L’attualità del suo pensiero a cento anni dalla sua morte

di Salvatore A. Bravo

L’inquietudine politica di Lenin

Una delle ultime opere di Lenin è stata pubblicata sulla Pravda il 4 marzo 1923. Il lungo articolo “Meglio meno, ma meglio” non è solo una sintesi critica del percorso tormentatissimo della Rivoluzione bolscevica, tra Prima Guerra mondiale e guerra civile, ma anche “testamento politico” nel quale Lenin si spinge a ipotizzare, su dati materiali e oggettivi, previsioni geopolitiche ed economiche che avrebbero potuto rompere l’assedio militare ed economico di cui l’Unione Sovietica era oggetto.

“Meglio meno, ma meglio”(in russo Лучше меньше, да лучше, Lučše men’še, da lučše) è da allora diventato un detto della lingua russa che invita alla qualità dell’azione da preferire alla quantità.

Lenin scorge nella Russia sovietica la sindrome del fare senza la qualità, perché presa dalla trappola dell’accerchiamento. Il prevalere della quantità sulla qualità non è casuale, dato che la lunga guerra non poteva che condurre a una notevole quantità di provvedimenti e il “fare” era spesso deficitario della qualità. Lenin nella sua solitudine, mentre la salute declinava (sarebbe deceduto il 21 gennaio 1924) non poteva non constatare i limiti della Rivoluzione sovietica e indicare i processi per risolverli. Per poter rafforzare la Rivoluzione essa andava sottoposta a critica radicale in modo da intervenire e fare tesoro degli errori. Il problema si poneva in modo stringente per l’elezione dei Commissari del popolo, i quali avevano il compito di controllare i settori produttivi e di stimolarne la crescita:

“Per poter migliorare il nostro apparato statale, l’Ispezione operaia e contadina, a parer mio, non deve correr dietro alla quantità e non deve aver fretta.

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Pierluigi Fagan: Democrazia o barbarie

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Democrazia o barbarie

di Pierluigi Fagan

Wendy Brown: Il disfacimento del demos. La rivoluzione silenziosa del neoliberismo, Luiss University Press, 2023

Democrazia.jpgBuon libro questo della Brown. In particolare, mi piace il suo linguaggio, pulito, chiaro, attinente al discorso e poco indulgente allo svolazzo.

E mi piace o meglio riscontro, la sua struttura del discorso. Purtroppo, una buona parte del testo è dedicata alla analisi ravvicinata, simpatetica ma spesso critica, della famosa lezione di M. Foucault su Biopolitica al College de France 1978-79 (un caso di prescienza), nel quale però il francese -per primo-, individuò il nucleo inquietante di ciò che poi abbiamo imparato a conoscere come neoliberismo. Invero MF, individua un neoliberismo particolare, la versione sociale tedesca, ma lasciamo perdere. Brown gli fa le pulci e spesso coglie nel segno.

In sostanza, Brown individua una lotta ordinativa fondamentale per determinare il governo della società. L’ordinatore economico in versione estremista neoliberista o l’ordinatore politico in versione naturale quindi democratica. Homo oeconomicus vs Homo politicus. Tempo speso a lavorare e consumare, tempo speso a interessarsi della gestione comune della società di cui siamo soci naturali.

Evita di entrare nei maggiori dettagli della versione democratica c.d. “diretta” o “delegata”, ma ribadisce che l’opposto del neoliberismo non è il socialismo o altra forma economica ma il ritorno del primato politico basato sulla prima persona.

Io non capisco perché nessuno mai ammetterebbe che la gestione di sé stessi sarebbe meglio affidarla ad altri, ma quando si parla si società non ha problemi invece a dirlo o sostenerlo convinto pure. Mi manda ai matti, non riesco proprio a capirne la logica.

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Sandro Moiso: Il nuovo disordine mondiale / 25: Fratture della guerra estesa

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Il nuovo disordine mondiale / 25: Fratture della guerra estesa

di Sandro Moiso

«Grand Continent», Fratture della guerra estesa. Dall’Ucraina al metaverso, LUISS University Press, Roma 2023, pp. 170, 18 euro

Gazamoibh.jpg«Grand Continent» è una rivista online consacrata alla geopolitica, alle questioni europee e giuridiche e al dibattito intellettuale con lo scopo di “costruire un dibattito strategico, politico e intellettuale”. Nata nell’aprile 2019, è pubblicata dal Groupe d’études géopolitiques, associazione indipendente fondata presso l’École normale supérieure nel 2017. A partire dal 2021 è integralmente pubblicata in cinque lingue diverse: francese, tedesco, spagnolo, italiano e polacco.

Gli articoli sono scritti da giovani ricercatori e universitari, ma anche da esperti e intellettuali di vario indirizzo, come: Carlo Ginzburg, Henry Kissinger (†), Laurence Boone, Louise Glück, Toni Negri(†), Olga Tokarczuk, Thomas Piketty, Élisabeth Roudinesco e Mario Vargas Llosa.

«Grand Continent» ha animato un ciclo di seminari settimanali presso l’École normale supérieure, nonché un altro di conferenze trasmesse da Parigi in numerose città europee e divenuto un libro, Une certaine idée de l’Europe, pubblicato dall’editore Flammarion nel 2019 (con scritti di Patrick Boucheron, Antonio Negri, Thomas Piketty, Myriam Revault d’Allonnes ed Elisabeth Roudinesco). Gli articoli della rivista sono stati ripresi in numerosi quotidiani e media internazionali.

Fratture della guerra estesa è il secondo volume cartaceo di «Grand Continent», il primo pubblicato anche in italiano. Uscito per la LUISS University Press, pur presentando contenuti per molti punti di vista ampiamente discutibili, si rivela comunque di grande interesse per chiunque voglia affrontare i problemi connessi all’attuale età della guerra e della crisi dell’ordine occidentale del mondo seguito sia alla fine della guerra fredda e alla fine dell’URSS che alla successiva crisi apertasi con la fine della globalizzazione o, almeno, di ciò che l’Occidente intendeva come tale.

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Mauro De Agostini: I lavoratori digitali (platform worker): problemi e prospettive

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I lavoratori digitali (platform worker): problemi e prospettive

di Mauro De Agostini

Sul tema dei lavoratori digitali (platform worker) riportiamo questo articolo di Mauro De Agostini dal n. 6/marzo 2023 di “Collegamenti per l’organizzazione diretta di classe”

platform worker 1.jpg“Prima di internet, sarebbe stato difficile trovare qualcuno e farlo sedere per dieci minuti a lavorare per te, per poi licenziarlo passati quei dieci minuti. Ma con la tecnologia, in realtà, puoi davvero trovarlo, pagarlo una miseria e poi sbarazzartene quando non ti serve più” (1) questa frase dell’imprenditore americano Lukas Biewald descrive alla perfezione la nuova realtà creata dal capitalismo delle piattaforme.

Una situazione tutt’altro che marginale visto che (secondo stime ufficiali) attualmente risultano attive nella sola Unione europea circa 500 piattaforme digitali che nel 2022 impiegavano almeno 28 milioni di lavoratrici/ori, destinate a diventare 43 milioni entro il 2025, un nuovo proletariato digitale privo di ogni tutela. (2)

 

Piattaforme “web-based” e “location-based”

Alcune piattaforme, dette “web-based”, operano esclusivamente online arruolando persone (magari in un altro continente) per ottenere prestazioni come traduzioni, lezioni, consulenze, servizi di call center o di chat, oppure per svolgere microlavori come trascrivere una registrazione audio, riconoscere una immagine, risolvere un captcha, leggere uno scontrino. In questi casi ogni singola prestazione fa storia a sé ed è pagata separatamente, non esiste alcuna continuità nel rapporto di lavoro, dirigenti, lavoratori e clienti non si incontrano mai fisicamente tra loro. In tutti questi casi si parla di “crowdwork”, letteralmente “lavoro nella folla”, perché si offre il proprio lavoro in rete a una massa potenzialmente infinita di clienti che poi ti “scelgono”, magari per quell’unica micro-prestazione.

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Luigi Cavallaro: Keynes, Shaw, Stalin, Wells e il socialismo nel lungo periodo

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Keynes, Shaw, Stalin, Wells e il socialismo nel lungo periodo

di Luigi Cavallaro*

Nel luglio 1934, H. G. Wells si recò a Mosca per intervistare Stalin. Il colloquio tra lo scrittore inglese e il leader bolscevico durò circa tre ore, alla presenza di un interprete, e il 27 ottobre successivo ne fu pubblicata la trascrizione integrale sul settimanale britannico The New Statesman and Nation.

Il periodico aveva cominciato le pubblicazioni sotto questo nome tre anni prima, a seguito della fusione di due riviste appartenenti all’area della sinistra socialista e liberale inglese: The New Statesman, che era stata fondata nel 1913 dai coniugi Sydney e Beatrice Webb e da George Bernard Shaw, e The Nation and the Athenaeum, che era invece di proprietà di John Maynard Keynes, che l’aveva acquistata e così ribattezzata nel 1923. La prima era un organo ufficiale della influente Fabian Society, alla quale appartenevano molti esponenti del partito laburista, mentre la seconda, pur guardando con simpatia ai laburisti, aveva mostrato più d’una preferenza per il partito liberale. L’esito delle elezioni del 1929 aveva però convinto Keynes a mettersi al lavoro per realizzare una fusione tra le due riviste; e sebbene il progetto fosse culminato, nei primi mesi del 1931, con l’acquisizione di The Nation and the Athenaeum da parte di The New Statesman, lo stesso Keynes, divenuto presidente del nuovo consiglio di amministrazione, aveva chiesto e ottenuto sia di cambiare il nome della testata (che divenne appunto The New Statesman and Nation), sia soprattutto che direttore responsabile fosse nominato Kingsley Martin, con il quale l’anno prima aveva partecipato al comitato promotore di un altro periodico politicamente molto connotato a sinistra, il trimestrale Political Quarterly, di cui lo stesso Martin era diventato condirettore.

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Michele Paris: Israele e l’equazione iraniana

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Israele e l’equazione iraniana

di Michele Paris

L’attacco iraniano sul territorio di Israele è stato un evento di portata storica e potenzialmente in grado di cambiare gli equilibri mediorientali nonostante le autorità dello stato ebraico e i governi occidentali stiano facendo di tutto per minimizzarne conseguenze e implicazioni. I danni materiali provocati da missili e droni della Repubblica Islamica sembrano essere stati trascurabili, anche se tutti ancora da verificare in maniera indipendente, ma il successo dell’operazione è senza dubbio da ricercare altrove.

La premessa necessaria a qualsiasi commento della vicenda è la legittimità dell’iniziativa di Teheran. Come hanno sostenuto i leader iraniani, la ritorsione è giustificata in base all’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, relativo alla legittima difesa, in quanto avvenuto dopo un attacco a tutti gli effetti contro il territorio dell’Iran, cioè il bombardamento della rappresentanza diplomatica di quest’ultimo paese a Damasco il primo aprile scorso.

Il primo fattore da considerare è poi l’obiettivo iraniano, che in nessun modo era di causare danni su ampia scala né di favorire un allargamento del conflitto in Medio Oriente. Gli avvertimenti da parte di Israele e alleati che avevano preceduto l’attacco e i proclami registrati subito dopo circa il fallimento dell’operazione iraniana lasciavano intendere che Teheran puntava poco meno che a distruggere lo stato ebraico.

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Monica Di Sisto: Il mondo che non vogliamo diventare

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Il mondo che non vogliamo diventare

di Monica Di Sisto

Israele ha utilizzato i Territori occupati come la migliore vetrina del potenziale offensivo e di controllo dei sistemi d’arma e d’intelligence sviluppati dalle sue aziende di settore. È la tesi di Laboratorio Palestina, ultimo lavoro di Antony Loewenstein nel quale emerge il sostegno israeliano ad alcuni dei regimi più spietati degli ultimi settant’anni, e si denuncia come, paradossalmente, proprio questa capacità bellica e di controllo sono fattori determinanti nel ruolo centrale guadagnato dal Paese nella governance globale tanto da renderlo, nei fatti, inarrestabile

“La lezione che Israele dovrebbe imparare dall’Ucraina (…) è che la forza militare non è sufficiente, è impossibile sopravvivere da soli, abbiamo bisogno di un vero sostegno internazionale, che non può essere comprato semplicemente sviluppando droni che sganciano bombe”. Così all’inizio del 2022 il giornalista e opinionista Gideon Levy, nelle settimane dopo l’invasione della russa, aprì uno squarcio nella prospettiva che oggi, dopo anni di guerra in Ucraina e mesi di massacro in Palestina, appare chiara a chi non sia ottenebrato da fumi ideologici o furie partigiane.

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Francesco Cori: Dall’ipocrisia alla follia: disamina del suprematismo occidentale in Ucraina

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Dall’ipocrisia alla follia: disamina del suprematismo occidentale in Ucraina

di Francesco Cori

La sconfitta momentanea della Nato in Ucraina è la conseguenza della follia ideologica di usare un intero popolo come strumento per una guerra imperialista contro la Russia. Cosa faranno gli Stati Europei?

Dall’ipocrisia alla follia: disamina del suprematismo occidentale in Ucraina con la narrazione aggredito-aggressore imposta dalla maggioranza dei mezzi di comunicazione occidentali, quindi, senza affatto avere alcuna partecipazione ideale al putinismo, proverò a dimostrare, attraverso le dinamiche stesse della guerra, perché l’imperialismo occidentale è destinato a perderla e, prima questa sconfitta viene riconosciuta, minori saranno i danni per l’umanità.

Il tratto fondamentale della strategia Nato in Ucraina è quello di utilizzare la maggior parte di un popolo– in parte ideologizzato e in misura maggiore costretto da una dittatura fascistoide – come carne da macello per un conflitto geopolitico nei confronti delle popolazioni del Donbass e per l’indebolimento e la frammentazione della Federazione Russa come Stato.

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Alessandro Valentini: Per un nuovo ordine multipolare, contro unipolarismo USA e dominio del capitale finanziario

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Per un nuovo ordine multipolare, contro unipolarismo USA e dominio del capitale finanziario

di Alessandro Valentini

Per un soggetto politico rivoluzionario all’altezza del XXI secolo, non si può prescindere dalla lezione teorica e pratica marxista che ci viene oggi dall’Oriente, rispetto a un marxismo occidentale ingessato o mal interpretato, in una parola agonizzante

brics.jpgUn nuovo tornante della storia

Con l’inizio dell’operazione militare speciale della Russia in Ucraina siamo a un nuovo tornante della storia, una di quelle situazioni nuove che si presentano dopo tantissimi anni, un tornante paragonabile alla Rivoluzione francese o a quella dell’Ottobre del 1917.

Per questa ragione è da respingere la tesi, cara anche a una certa sinistra, che la guerra in Ucraina sia una guerra imperialistica tra gli USA e la NATO da una parte e la Russia e i suoi alleati dall’altra, simile al grande conflitto mondiale del 1914/18. Il confronto storico è più simile alla grande coalizione che fu costituita in Europa per soffocare la Rivoluzione francese o alla guerra civile nella giovane Repubblica dei soviet tra i bianchi, sostenuti attivamente da una coalizione occidentale, e i bolscevichi, dopo la presa del potere nel 1917, allo scopo di restaurare il regime zarista. È evidente che in Francia il fine era quello di riportare al potere la monarchia assolutista e in Unione Sovietica di impedire che le idee rivoluzionarie socialiste potessero diffondersi in tutto l’Occidente.

 

Dal capitalismo al dominio del capitale finanziario

Alla base dello scontro, politico e militare, vi è la volontà da parte dell’Occidente collettivo di contrastare, anche con la guerra, la costruzione di un ordine mondiale multipolare. La cosiddetta “guerra mondiale a pezzi” ha questo segno chiaro, netto, e si è potuta scatenare solo dopo che gli accordi di Bretton Woods, che nel 1944 avevo stabilito la convertibilità del dollaro in oro, furono messi in discussione da Nixon nel 1971.

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Carlo Formenti: A proposito del proletariato esterno

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A proposito del proletariato esterno

Meriti e limiti del pensiero di Zitara

di Carlo Formenti

negare.jpegNei miei lavori ho più volte citato le idee “eretiche” del marxista calabrese Nicola Zitara (1), pur senza approfondire nei dettagli il suo contributo teorico e limitandomi a evidenziarne le convergenze con gli autori della scuola della dipendenza, come Samir Amin e gli altri membri di quella che Alessandro Visalli definisce “la banda dei quattro” (2). La lettura di un recente libro di Angelo Calemme (La Questione meridionale dall’Unità d’Italia alla disintegrazione europea. Contributo alla teoria del socialismo di mercato, Guida editori), mi stimola a riprendere la riflessione sul pensiero di Zitara (3) per discutere le sfide teoriche che questo autore ci ha lasciato in eredità e che ora Calemme rilancia, da un lato mettendone in luce i meriti, dall’altro esasperandone, a mio avviso, i limiti. Nelle pagine che seguono seguirò un percorso in quattro tappe: nella prima esaminerò gli argomenti con cui Zitara e Calemme difendono la tesi secondo cui il Regno delle Due Sicilie era, al momento dell’unificazione nazionale, più avanzato di tutti gli altri stati preunitari sulla strada della modernizzazione economica; nella seconda analizzerò il loro punto di vista sull’unificazione come processo di asservimento coloniale del Meridione da parte della monarchia sabauda; nella terza riprenderò le loro analisi sulla composizione di classe della società meridionale; nell’ultima discuterò la proposta di una rivoluzione nazional popolare finalizzata alla autonomizzazione del Meridione e alla sua conversione in una formazione socialista di mercato. 

 

I.

Ripartendo dalla tesi di Zitara, il quale, confrontando i dati economici relativi ai vari staterelli italiani preunitari, ne estrae l’evidenza di un indiscutibile primato del Regno borbonico, Calemme mette tale primato in relazione con l’influenza politico culturale esercitata dai maggiori esponenti della scuola illuminista napoletana (Galiani, Intieri e Genovesi su tutti).

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Roberto Iannuzzi: A 75 anni, l’Alleanza Atlantica si fonda su una narrazione fittizia

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A 75 anni, l’Alleanza Atlantica si fonda su una narrazione fittizia

di Roberto Iannuzzi

La NATO è un anziano boss, costretto a mentire a se stesso pur di prolungare il proprio declinante potere, perpetuando una scia di divisioni e conflitti nel vecchio continente e nel mondo

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2048x1365L’Organizzazione del Trattato Nord-Atlantico è stata definita dai suoi sostenitori l’alleanza più “duratura” e “di maggior successo” della storia. Quest’anno, la NATO celebra i 75 anni di vita. Per festeggiare la ricorrenza, il consueto vertice annuale dell’Alleanza si terrà a Washington, dove i ministri degli esteri degli originari 12 paesi membri firmarono il trattato il 4 aprile 1949.

La data è stata ricordata, la scorsa settimana, da una frettolosa celebrazione a Bruxelles, sede del quartier generale dell’organizzazione, ormai estesa a ben 32 paesi.

L’atmosfera è stata tuttavia guastata dalle preoccupazioni su come rafforzare le difese ucraine, tenuto conto che l’atteso pacchetto di aiuti statunitensi da 60 miliardi di dollari è tuttora bloccato al Congresso, e che un’eventuale elezione di Donald Trump alla Casa Bianca creerebbe ulteriori problemi alla coalizione che sostiene Kiev.

Una NATO “a prova di Trump”

“Trump-proofing” è l’espressione all’ordine del giorno nei corridoi di Bruxelles – rendere la NATO “a prova di Trump”. Nel quartier generale dell’Alleanza serpeggia il timore reale che, se il comportamento degli USA nei confronti dell’organizzazione dovesse cambiare a seguito di una nuova presidenza Trump (essenzialmente all’insegna di un crescente disimpegno americano), la NATO stessa potrebbe addirittura cessare di esistere.

Da qui l’esigenza di discutere i possibili modi per “isolare” il ruolo della NATO in Ucraina dalle incertezze della politica americana.

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Salvatore Muscolino: Pensiero debole o debolezza del pensiero?

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Pensiero debole o debolezza del pensiero?

Considerazioni sul “comunismo ermeneutico” di Gianni Vattimo

di Salvatore Muscolino

9788834605042.jpgIl 19 settembre 2023 è morto il filosofo italiano Gianni Vattimo che con la sua proposta di un “pensiero debole” è riuscito a guadagnarsi una notorietà anche all’estero al pari di filosofi come Emanuele Severino o Giorgio Agamben.

In questo breve contributo non intendo certamente ripercorrere tutto l’itinerario del suo pensiero quanto piuttosto riflettere su alcuni aspetti, a mio avviso, problematici del cosiddetto “pensiero debole”, in particolare nel suo legame con il “comunismo”. In un libello pubblicato nel 2007 intitolato ECCE COMU. Come si ridiventa ciò che si era, Vattimo sostiene infatti il legame profondo tra il “pensiero debole” e l’istanza ideale del comunismo. Considerato il fatto che egli è consapevole dell’apparente contraddizione tra il “pensiero debole”, che si inscrive all’interno della svolta postmoderna, e un “pensiero forte” come quello di Marx che rappresenta a tutti gli effetti una di quelle grandi narrazioni criticate da Lyotard, l’operazione da lui tentata va nella stessa direzione di altre proposte avanzate negli ultimi anni: individuare un presunto ideale del marxismo irriducibile alle deformazioni scientiste e positiviste (di cui sarebbero responsabili i successori di Marx) e che potrebbe rappresentare lo strumento per “resistere” al modello neoliberista oggi dominante.

A rendere altresì interessante la sua posizione è la circostanza per la quale Vattimo dichiara che la sua rielaborazione del “comunismo” si muove all’interno della cornice cattocomunista che da sempre lo avrebbe influenzato per cui marxismo, cristianesimo/cattolicesimo e “pensiero debole” si intreccerebbero tra loro in un mix particolare che rende questa operazione certamente originale e complessa in quanto si muove a un livello di discussione molto elevato che riguarda questioni delicate come il rapporto religione/metafisica/violenza, la secolarizzazione, il fondamento dei sistemi politici democratici…

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Andrea Zhok: La prospettiva di una guerra regionale

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La prospettiva di una guerra regionale

di Andrea Zhok

Ieri è giunta l’attesa risposta iraniana al bombardamento israeliano del consolato iraniano di Damasco, che aveva ucciso tra gli altri il generale Haj Zahedi.

L’Iran ha effettuato un attacco simultaneo con droni e missili in modo da saturare la poderosa difesa antiaerea israeliana. Missili hanno colpito due basi militari israeliane (monte Hermon e Novatim). Oggi l’autorità iraniana rivendica quei due obiettivi come primari, ma è abbastanza ovvio come questa rivendicazione abbia semplicemente la funzione di far coincidere gli obiettivi raggiunti di fatto con le intenzioni effettive (che non conosciamo), per poter dire che il successo è stato completo.

Al di là di queste schermaglie, gli obiettivi sono stati scelti intenzionalmente tra le basi militari israeliane, tralasciando i civili, in modo da poter considerare con questa risposta chiuso l’incidente aperto con l’attacco a Damasco, nel nome della proporzionalità.

Gli USA, sotto elezioni, non hanno nessuna intenzione di lasciarsi coinvolgere in un conflitto diretto con l’Iran, che li esporrebbe sull’ennesimo fronte simultaneo in termini di un sempre più complicato sostegno militare (Ucraina, Taiwan, Siria, ecc.). Biden ha già fatto sapere che, pur sostenendo come sempre Israele, non desidera un’ulteriore escalation.

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Paolo De Prai: Palestina-Israele: vittoria strategica e vittoria sul campo

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Palestina-Israele: vittoria strategica e vittoria sul campo

di Paolo De Prai*

Per capire cosa succede a Gaza è necessario guardare cosa accade in Ucraina.

Per quanto i politici italiani “autorevoli” ripetano i loro “atti di fede”, e ugualmente gli altri leader “nani” europei e i giornalisti a loro legati (ed entrambi proni esecutori dei loro padroni yankee), le loro dichiarazioni stizzite e altisonanti sono solo il riflesso della vittoria strategica del governo russo nel confronto con la NATO.

Ancora non c’è la vittoria palese sul campo della Russia, ma quella strategica è già stata ottenuta, perché da più di venti anni i governi USA operavano per accerchiare la Russia e con la guerra in Ucraina in corso da dieci anni (due per i venditori di fumo nostrani) speravano di distruggere economicamente, socialmente e psicologicamente l’avversario, di cui ambivano impossessarsi delle ricchezze minerarie frammentandolo in decine di mini stati (come già dicevano oltre trenta anni fa).

Questa analisi vale anche per la guerra in corso tra lo Stato israeliano contro i palestinesi.

Discutere se l’azione militare di Hamas del 7 ottobre scorso era prevista o voluta dal governo zelota oppure ideata autonomamente dai palestinesi ha poco senso, perché è da molti decenni che a ogni azione della resistenza palestinese la risposta israeliana è stata sempre una maggiore potenza di fuoco, sempre più devastante e con sempre più vittime civili palestinesi.

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Pierluigi Fagan: Neoliberismi precoci

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Neoliberismi precoci

di Pierluigi Fagan

B. Stiegler, filosofa politica francese, conduce in questa ricerca una genealogia del neoliberismo americano, sincronico all’ordoliberismo tedesco e quello poi più idealista di Hayek, versione americana meno conosciuto ma forse anche più influente. L’eroe negativo della storia è il mitico Walter Lippmann. Solo un “giornalista” come alcuni lo ritennero, in realtà politologo pieno e poi politico dietro le quinte, stratega di pratiche e pensiero, inventore di una versione americana della propaganda più sofisticata, delle pubbliche relazioni, dello sterminio sistematico dell’intelligenza collettiva.

Lippmann, come altri liberali oligarchici, rimase sconvolto dal registrare i ripetuti fallimenti del mercato che culminarono nel 1929. Non un ideologo o un economista ma uno dei più grandi storici dell’economia, Paul Bairoch, ha più volte significato quanto brevi e disastrose furono le fasi storiche ed economiche in cui s’impose la dittatura del libero mercato ritenuto ente autoregolato che spande benefici secondo logica. Lippmann allora reagì come i più prudenti tedeschi di quell’ordoliberismo che inaspettatamente scovò M. Foucault nelle lezioni in cui pure s’era ripromesso la fondazione teorica del suo concetto di biopolitica. Strano a notarsi ma era il 1978-9, pochi si sono meravigliati di questa prematura lucidità del filosofo ricercatore francese.

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Fulvio Grimaldi: Da Tel Aviv a Roma… Il fascismo non li salverà

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Da Tel Aviv a Roma… Il fascismo non li salverà

di Fulvio Grimaldi

Byoblu-Mondocane 3/21: In onda domenica ore 21.30, repliche, salvo imprevisti, lunedì 09.30, martedì 11.00, mercoledì 22.30, giovedì 10.00, sabato 16.30, domenica 09.00

Qual’è il rimedio delle classi dirigenti, politiche ed economiche (nel capitalismo liberista, tutt’uno) quando la crisi gli morde i calcagni? Il fugone nel fascismo, in qualsiasi nuova forma ritenuta adatta ai tempi. Oggi si presenta in veste psicomanipolatoria-tecnologica, ma senza mai rinunciare alla violenza fisica, a seconda dei casi pestaggi o mattanze.

Ecco cosa hanno in comune i massacri dei nostri fratelli in lotta a Gaza e in Cisgiordania e le teste spaccate dai gendarmi agli studenti delle università italiane – vera eccellenza del paese – che rifiutano gli accordi voluti da Tajani e Crosetto tra ricercatori italiani (leggi Leonardo) e assassini di massa israeliani.

A questo proposito c’è da augurarsi una congiunzione tra generazioni: quella dei maturotti, più ansiosi per la propria sopravvivenza, e i giovanotti, dotati di lunga vita e, dunque, di sguardo più lungo e ampio. Gli stagionati in prima linea nel fronte contro l’assalto farmaceutico-disciplinare, capaci dii riconoscere e contrastare la nuova arma della guerra di classe dall’alto; gli imberbi, assenti o assonnati in quell’istanza, attenti allo sconquasso planetario delle trombe di guerra suonate tra Gaza e Donbass.

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