“Cosa sono i diritti umani… e alcuni errori ancora attuali”

tratto da: www.osservatoriosullalegalita.org

 

COSA SONO I DIRITTI UMANI … e alcuni errori ancora attuali

 

(un inizio di discussione)

di Claudio Giusti*

 

Ai ragazzi di Tian An Men che fecero cadere il Muro

Ai parà del Giugno 1944 che salvarono l’Europa

 

 

INDICE

 

Introduzione

1 Il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali è un chiaro obbligo per tutti gli Stati.

2 Cosa sono i diritti umani …

3 … e dove sbaglia Amnesty International

4 Appendici

5 Bibliografia

6 Note

 

INTRODUZIONE

 

Può sembrare buffo che, dopo quasi vent’anni di militanza in Amnesty International, io ora mi interroghi sulla natura dei diritti umani, ma fu solo dopo che ebbi lasciato questo movimento (a causa dei rovinosi cambiamenti del suo Mandato avvenuti a partire dal 1991) che mi resi conto di quanto fosse sbagliata la sua posizione sui diritti umani.

Questo saggio ripercorre un cammino durato alcuni anni e si compone di tre parti. Nella prima dimostro, partendo dagli scritti del Prof. John P. Humphrey, come il rispetto dei diritti umani indicati dalla Dichiarazione Universale sia un chiaro obbligo per tutti gli Stati. Nella seconda spiego, utilizzando la definizione del Prof. Maurice Cranston e del Prof. L. J. Macfarlane, cosa si debba intendere per diritti umani e come essi siano quelli indicati negli articoli 2-21 (compresi) della Dichiarazione Universale. Nella terza spiego perché‚ quindi sia sbagliata e pericolosa la posizione di Amnesty International e dedico la parte restante al tentativo in corso (principalmente da parte del governo di Singapore) di negare la vera essenza dei diritti umani: cioè la loro universalità.

 

 

Claudio Giusti

29 Settembre 1994 – 29 Settembre 1997

 

 

1 IL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI E DELLE LIBERTA’ FONDAMENTALI E’ UN CHIARO OBBLIGO PER TUTTI GLI STATI.

 

La cosa che più mi irritava quando militavo in Amnesty International era la diffusa opinione che l’obbligo del rispetto dei diritti umani esistesse solo per quegli Stati che avevano firmato e ratificato i vari Patti e Convenzioni relativi e solo per quanto previsto da quegli strumenti e solo nella misura in cui gli stessi Stati avevano, attraverso le riserve, deciso (1). Trovavo insomma incredibile che non vi fosse un chiaro obbligo di rispettare quei diritti umani che la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’ Uomo del 1948 elencava. Non capivo come si potesse violare il diritto alla libertà di religione senza che fosse possibile per le vittime appellarsi ad una più alta autorità fosse pure morale (2). In altre parole ritenevo insopportabile la posizione del Vitta che scrive:

 

“Molto meglio, dunque, non tentar di andar oltre alla realtà, riconoscendo che la Dichiarazione Universale ha solo quel valore morale, educativo e persuasivo che le è generalmente attribuito.” (VITTA-GREMENTIERI 24)

 

Ma allora, se questo è vero, un Paese che non abbia ratificato la Convenzione del 1926 può legalmente reintrodurre la schiavitù? e un altro che non abbia ratificato le Convenzioni di Ginevra del 1949 può impunemente fucilare i prigionieri? Possono quindi gli Stati fare quello che vogliono senza che nessuno possa protestare? La cosa mi sembrava assurda, ma la stessa Amnesty (che al primo punto del suo Mandato afferma tuttora di battersi per il rispetto dei diritti umani così come sono elencati nella Dichiarazione Universale) non sembrava essere interessata a capire cosa fossero veramente quei diritti che intendeva proteggere e si limitava ad affermare mestamente:

 

“La Dichiarazione dei Diritti Umani non è di per se stessa legalmente vincolante, ma è una dichiarazione di principi”(AMNESTY INTERNATIONAL HANDBOOK 13)

 

mostrando così quello che il Professor Bedau chiama:

 

“un interesse sorprendentemente sottosviluppato per i problemi concettuali legati alla teoria della materia del [suo] impegno.” (BEDAU a)

 

Vedremo come questo non potesse essere privo di conseguenze.

Rimasi quindi con il mio malessere fino a quando, grazie anche alle fornitissime biblioteche della Johns Hopkins University di Bologna e della Facoltà di Scienze Politiche di Forlì (Biblioteca Ruffilli), scoprii che:

 

a) a Norimberga si era sancito il principio secondo cui i diritti umani sono sempre esistiti indipendentemente dal loro riconoscimento giuridico,

b) le Nazioni Unite, molto tempo fa ed in molte occasioni, avevano proclamato che il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali è un chiaro obbligo per tutti gli Stati.

 

Ma procediamo con ordine.

 

 

1.1 NORIMBERGA

 

Il processo di Norimberga ha sancito la superiorità del diritto internazionale su quello degli Stati e ne ha ridotto la sovranità. Da allora i diritti umani non sono più un fatto interno ma riguardano tutti gli uomini. Infatti l’Articolo 6(c) dello Statuto del Tribunale Militare Internazionale così definisce i crimini contro l’umanità:

 

“l’assassinio, lo sterminio, la schiavizzazione, la deportazione ed altri atti inumani commessi contro qualsiasi popolazione civile, sia prima che durante la guerra, o persecuzioni per motivi politici, razziali o religiosi in esecuzione o in connessione con qualsiasi crimine che sia entro la giurisdizione del tribunale [militare internazionale], con o senza violazione delle leggi interne del paese in cui tali azioni sono state perpetrate.” (TAYLOR 648)

 

In quel con o senza (che ho evidenziato) è racchiuso uno dei principi che Norimberga, con le sue luci e le sue ombre, ha dato all’umanità: il principio secondo il quale i diritti umani (e quindi i crimini contro di essi) sono sempre esistiti, indipendentemente dal fatto che vi fossero leggi che ne permettevano la violazione. Questa fu una pietra miliare nella storia dell’umanità perché faceva uscire i diritti umani dal mondo della filosofia e li faceva entrare in quello del diritto positivo. I diritti umani diventavano così qualcosa che doveva essere rispettato indipendentemente dal fatto che fossero o meno riconosciuti dalla legge. Perché sia ben chiaro che buona parte dei crimini nazisti non erano reati per il diritto in vigore in quei paesi: cioè assassinare i bambini ebrei non era un delitto e ne consegue che i gerarchi nazisti furono condannati in formale violazione di un principio del diritto secondo cui non vi può essere pena senza legge (3).

Quindi possiamo dire che a Norimberga venne definitivamente proclamata l’esistenza di una unica umanità portatrice di diritti che non erano una concessione da parte di alcuno.

 

 

1.2 SAN FRANCISCO

 

Che le Nazioni Unite fossero fin dalla nascita intenzionate a fare rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali è chiaramente indicato nel loro Statuto (o Carta) del 26 giugno 1945: un documento vincolante per tutti gli Stati appartenenti all’Organizzazione

 

Articolo 1

“I fini delle Nazioni Unite sono: mantenere la pace (…) promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione.”

 

Articolo 55

“(…) le Nazioni Unite promuoveranno: (…) il rispetto e l’osservanza universale dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti, senza distinzione (…)”

 

Articolo 56

“I Membri si impegnano ad agire collettivamente o singolarmente, in cooperazione con l’organizzazione per raggiungere i fini indicati all’articolo 55.”

 

E’ quindi del tutto evidente che gli Stati si sono impegnati attraverso l’articolo 56 a fare quanto previsto dall’articolo 55. Sfortunatamente però lo Statuto non indica quali siano i diritti e le libertà che è obbligatorio rispettare e fare rispettare; ma quali possono essere queste libertà e questi diritti se non quelli così solennemente ed universalmente proclamati non più tardi di tre anno dopo nella Dichiarazione Universale? (4)

 

 

1.3 LA SECONDA GUERRA MONDIALE E LA DICHIARAZIONE UNIVERSALE

 

Al contrario di quanto sembra pensare Giorgio Bocca (L’ESPRESSO 25.02.94) la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo non è stata il parto della fervida immaginazione di qualche sprovveduto filantropo scandinavo (5) e non è pensata da qualche professorino in vena di garantismo. La Dichiarazione Universale nasce dall’orrore della Seconda Guerra Mondiale. Nasce dalle ceneri del Ghetto di Varsavia, di Auschwitz-Birkenau, sulle spiagge normanne e nelle trincee di Stalingrado. La Dichiarazione nasce da un dolore senza pari, in essa sono raccolte le lacrime dei milioni sterminati. Perché non si deve dimenticare che le Nazioni Unite sono l’alleanza militare che sconfisse il Nazismo (6) e che i primi articoli della Dichiarazione ripercorrono con meticolosità le nefandezze naziste. I diritti in essa indicati sono quanto si ritenne fosse il minimo indispensabile che dovesse essere garantito ad ogni persona in ogni paese ed in ogni momento, al fine di mantenere la pace nel mondo.

 

1.4 PARIGI

La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo venne solennemente proclamata a Parigi il 10 Dicembre 1948 ed è considerata il più alto risultato delle Nazioni Unite. La maggioranza degli allora 58 Stati membri dell’ONU, ma con la lodevole eccezione di Francia, Cile e Cina, pensavano che la Dichiarazione non sarebbe stata l’elenco di quei diritti e di quelle libertà che la Carta obbligava a rispettare. Il rappresentante americano Signora Roosevelt (che pure aveva definito la Dichiarazione la Magna Carta dell’umanità), disse chiaro e tondo che la Dichiarazione “non era un trattato od un accordo internazionale e non imponeva obblighi legali”, ma solo una dichiarazione di principio. (HUMPHREY a 50)

Tutto questo nonostante che nel Preambolo si legga:

 

“Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo. (…)

Considerando che gli Stati membri si sono impegnati a perseguire, in cooperazione con le Nazioni Unite, il rispetto e l’osservanza universale dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Considerando che una concezione comune di questi diritti e di queste libertà è della massima importanza per una piena realizzazione di questi impegni”

 

Ma l’Assemblea Generale contraddirà sè stessa e la Signora Roosevelt appena cinque mesi dopo (25 aprile 1949) quando, nell’accusare l’Unione Sovietica di violare lo Statuto nel caso delle spose sovietiche di guerra, farà riferimento agli articoli 13 e 16 della Dichiarazione.

 

“Questa fu la prima di molte occasioni in cui l’Assemblea Generale utilizzò la Dichiarazione (…) come una interpretazione autentica dello Statuto” (HUMPHREY b 34)

 

 

1.5 UN LUNGO CAMMINO

 

Quindi, anche se nelle intenzioni della maggioranza dei suoi estensori la Dichiarazione Universale non era un trattato e non era vincolante, essa venne utilizzata fin dall’inizio come una autorevole interpretazione dello Statuto.

Che la Dichiarazione venisse intesa immediatamente come di importanza fondamentale è dimostrato dal fatto che sarà l’ispiratrice della Convenzione Europea del 1950 che nel suo Preambolo afferma che:

 

“questa Dichiarazione tende a garantire il riconoscimento e l’applicazione universale ed effettiva dei diritti che vi sono elencati”.

 

Sempre in Europa, il 3 ottobre 1954, Italia e Yugoslavia, accordandosi su Trieste, dichiararono che le Amministrazioni delle rispettive zone avrebbero agito in conformità con i principi della Dichiarazione Universale, diventando così i primi di una lunghissima serie di Stati che avrebbero invocato la Dichiarazione in innumerevoli circostanze. (HUMPHREY a 52)

Negli anni successivi le Nazioni Unite non persero occasione per affermare che i diritti umani e le libertà fondamentali elencate nella Dichiarazione dovevano essere obbligatoriamente rispettate.

L’elenco è oltremodo lungo.

 

Nel Preambolo della Convenzione Relativa allo Status dei Rifugiati del 1951 ed in quello della Convenzione Relativa allo Status degli Apolidi del 1954, con le stesse parole l’ONU afferma che:

 

“la Carta delle Nazioni Unite e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (…) hanno affermato il principio che gli esseri umani senza distinzione devono usufruire dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”

 

Nel 1960 l’Assemblea Generale adotta la Dichiarazione per la Concessione dell’Indipendenza ai Paesi ed ai Popoli Coloniali nel cui Articolo 7 si afferma che:

 

“tutti gli Stati osserveranno strettamente e fedelmente le disposizioni (…) della Dichiarazione Universale”

 

Di nuovo il 20 novembre 1963, con la Dichiarazione per l’Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione Razziale, in termini solo leggermente diversi dalla Dichiarazione precedente

si afferma nell’Articolo 11 che:

 

“Ogni stato deve promuovere il rispetto e l’osservanza dei diritti umani e delle libertà fondamentali in conformità allo Statuto delle Nazioni Unite e osservare pienamente e fedelmente le disposizioni della presente Dichiarazione, della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e della Dichiarazione sulla Concessione dell’Indipendenza ai Paesi ed ai Popoli coloniali.”

 

La profezia del Sud Africa si realizzò nel 1963 e nel 1966 quando il Consiglio di Sicurezza prima e l’Assemblea Generale poi lo accusarono di violare in Namibia quanto previsto dalle disposizioni dello Statuto e della Dichiarazione Universale. (HUMPHREY a 35)

L’obbligatorietà del rispetto dei diritti umani venne di nuovo sancito dal terzo comma comune dei Preamboli dei due Patti del 1966: il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ICCPR) ed il Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (ICESCR), che così recita:

 

“Considerato che lo Statuto delle Nazioni Unite impone agli Stati l’obbligo di promuovere il rispetto e l’osservanza universale dei diritti e delle libertà dell’uomo”

 

Come se tutto questo non fosse stato sufficientemente chiaro, le Nazioni Unite proclamarono nel 1968 a Teheran che:

 

“La Dichiarazione Universale stabilisce una intesa comune fra i popoli del mondo riguardo i diritti inalienabili ed inviolabili di tutti i membri della famiglia umana e costituisce un obbligo per i membri della comunità internazionale.”

 

L’ennesima riprova della nostra tesi è l’Atto Finale della Conferenza di Helsinki (1975), cui hanno partecipato quattro membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, che afferma:

 

“nel campo dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali gli Stati partecipanti agiranno conformemente ai fini e ai principi dello Statuto delle Nazioni Unite e alla Dichiarazione Universale”

 

La conclusione “logica ed inevitabile” che da tutto ciò trae il Professor Humphrey è che:

 

“Se i governi sanno quello che dicono (…) allora la Dichiarazione deve essere osservata ‘fedelmente e strettamente’ (Dichiarazione per la Concessione dell’Indipendenza ai Paesi ed ai Popoli Coloniali) e ‘pienamente e fedelmente’ (Dichiarazione per la Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione Razziale), e gli stati dovranno agire in conformità con essa (Accordo di Helsinki) e quindi essa ‘costituisce un obbligo per i membri della comunità internazionale’ (Conferenza di Teheran); il che è come dire che essa è vincolante per gli stati essendo essa parte del diritto internazionale.” (HUMPHREY b 36/37)

 

Il Prof. Humphrey sposa la tesi del Giudice Tanaka secondo cui il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali non è dovuto solo perché è l’ONU che lo vuole, ma anche (e forse soprattutto) perché questo rispetto è diventato una consuetudine nei rapporti fra i paesi civilizzati e quindi è diventata legge nel diritto internazionale.

 

Quasi vent’anni fa anche il governo italiano è giunto, per bocca di Claudio Zanghì, alle stesse conclusioni del Prof Humphrey:

 

“Si può ragionevolmente sostenere che i dubbi sul carattere della Dichiarazione Universale e sulla natura giuridica delle disposizioni nella stessa contenute, che si erano manifestati all’epoca della sua elaborazione, sono praticamente superati dalla costante e coerente prassi dell’ONU che ha attribuito alla Dichiarazione stessa un valore assai simile a quello dello Statuto dell’Organizzazione. Da una parte, infatti, la Dichiarazione sembra costituire un’interpretazione autorizzata dei principi sanciti nello stesso Statuto dell’ONU, dall’altra, essa rafforza gli obblighi derivanti dallo Statuto stesso con una indicazione più precisa; e gli stessi Stati membri, avendo contribuito a tale prassi e non essendosi opposti all’estensione graduale dei poteri dell’Organizzazione in questa materia, ma avendone al contrario accettato esplicitamente – attraverso voti unanimi – ovvero tacitamente, le decisioni che riaffermano il carattere obbligatorio della Dichiarazione, hanno finito per riconoscere l accennato carattere obbligatorio per unanime accettazione.” (ZANGHI’ 27)

 

Ogni giorno vediamo quanto la Dichiarazione Universale abbia profondamente modificato il diritto internazionale. I diritti umani sono ora parte fondamentale dei rapporti fra gli stati. Non vi è conferenza o incontro internazionale in cui la difesa o la violazione di questi diritti non sia messa in agenda e nel caso ciò non avvenga questo è causa di violente critiche, di articoli sulla stampa e di interrogazioni parlamentari. E’ a causa della grande importanza che hanno i diritti umani nei rapporti fra gli Stati che c’è chi questi diritti li vuole trasformare in qualcosa di più malleabile.

 

 

1.6 CONCLUSIONE

 

I diritti umani esistono, sono elencati nella Dichiarazione Universale e devono essere rispettati. Ma tutti i diritti in essa elencati sono da considerarsi “umani”?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2 COSA SONO I DIRITTI UMANI….

 

Nel capitolo precedente abbiamo visto che:

 

“la Dichiarazione è diventata una interpretazione autentica delle disposizioni sui diritti umani dello Statuto, quindi le sue disposizioni, come quelle dello Statuto, obbligano tutti gli Stati membri [dell’ONU].” (HUMPHREY b 37)

e che:

“la Dichiarazione è diventata parte del diritto consuetudinario (…) ed è vincolante per tutti gli Stati che siano o meno membri delle Nazioni Unite.” (ivi)

 

Ovvero, l’obbligo del rispetto dei diritti umani indicati nella Dichiarazione Universale non deriva solo dal fatto che è l’ONU a chiederlo ma anche dal fatto che è diventata una norma comunemente accettata dalle nazioni civilizzate e quindi è un obbligo anche per quelle che civilizzate non sono. Perciò indicare con precisione cosa i diritti umani siano è fondamentale, anche perché questo termine viene spesso utilizzato a sproposito. Si è arrivati a chiamare diritto umano quello di vedere le partite di calcio in televisione, e da lungo tempo esistono dei personaggi originali che parlano di diritti umani degli animali. Per non parlare poi dei diritti collettivi quali il diritto allo sviluppo e di quella sanguinosa farsa che è stata il diritto dei popoli all’autodeterminazione. Visto che nessuno sa cosa sia un popolo o cosa autodeterminazione significhi, fino ad oggi vi è stata una semplice indipendenza all’interno dei confini esistenti in precedenza.

 

 

2.1 DIRITTI UMANI E BISOGNI ANIMALI

 

Per amore di chiarezza spiegherò che è mia intenzione quella di distinguere i nostri diritti umani dai nostri elementari bisogni animali. Nutrirci, scaldarci, riprodurci sono necessità che non ci separano dagli altri mammiferi, e – per quanto queste siano vitali – non sono “umane” perché non ci contraddistinguono come esseri umani. In ogni caso i nostri elementari bisogni animali non sono in alcun modo collegati o collegabili ai diritti umani. Sono in una sfera completamente diversa. E’ ovvio che per godere della libertà di religione bisogna essere vivi e che una persona morta

di fame trova scarso godimento dalla libertà di pensiero, ma quante sono le calorie medie quotidiane che deve assumere una persona perché possa godere della libertà di religione? quale

deve essere il livello del Pil pro-capite perché ad una data popolazione venga concesso (da parte di chi?) il privilegio di esprimere la propria opinione? A riguardo credo sia importante ricordare che in questo secolo le peggiori carestie (quelle che hanno fatto morti a milioni) sono state causate proprio da quei regimi che hanno fatto del “diritto alla sussistenza” la loro bandiera e legittimazione. (7) Sono stati proprio i governi che hanno messo i diritti economici avanti a quelli umani che hanno causato alcune fra le più gravi catastrofi che la storia ricordi.

Voglio infine ricordare a chi afferma che al disoccupato i diritti umani non importano, che Hitler (ma anche Stalin) aveva trovato un posto di lavoro a tutti.

 

 

2.2 UN PROBLEMA ITALIANO

 

Chiarire cosa si debba intendere per diritti umani e libertà fondamentali è molto importante per noi Italiani, perché con il Trattato di pace del 1947 il nostro Paese si è obbligato (indipendentemente da ogni altro impegno preso successivamente) a prendere:

 

“tutte le misure necessarie per assicurare a tutte le persone che siano sotto la sua giurisdizione, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione, il godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali, inclusa la libertà di espressione, di stampa e pubblicazione, di pratiche religiose (culto), di opinioni politiche e di assemblea pubblica.” (Articolo 15, Sezione 1, Parte II del Trattato di Pace del 1947)

 

 

2.3 COSA SONO I DIRITTI UMANI?

 

Fino a non molto tempo fa alla domanda “cosa sono i diritti umani?” avrei dato, come tutti i soci di Amnesty International, la risposta sbagliata. Avrei cioè detto che i diritti umani sono quelli elencati nei trenta articoli della Dichiarazione e che si distinguono fra diritti civili-politici e diritti economico-sociali.

Non è vero.

I diritti umani e le libertà fondamentali di cui è obbligatorio il rispetto sono “quelli enunciati negli articoli dal due al ventuno compresi” (HUMPHREY b 29)

Che non tutti i diritti enunciati nella Dichiarazione siano definibili come “umani” è cosa piuttosto facile da dimostrare. L’Articolo 24 garantisce il diritto alle ferie retribuite. Questo è un diritto tipico dei lavoratori dipendenti dei paesi industrializzati. Non solo è privo di senso per le tribù dell’Amazzonia, ma la stragrande maggioranza dell’umanità non ha avuto e non ha le ferie, tanto meno retribuite. Inoltre la parte più ricca dell’umanità nemmeno le vuole queste ferie pagate. Quindi senza nulla togliere all’importanza che possono avere per un operaio Fiat le sue sudate quattro settimane di riposo in Agosto a chi verrebbe in mente di definire questo un diritto umano? ovvero quello che Cranston così definisce:

 

“Un diritto umano è per definizione un diritto morale universale. Qualcosa che tutti gli uomini devono avere ovunque ed in ogni momento, qualcosa di cui nessuno possa essere privato senza che ciò sia un grave affronto alla giustizia, qualcosa che è di proprietà di ogni essere umano semplicemente perché egli è umano” (CRANSTON 38)

 

In altre parole lo vedete Berlusconi che dice che i suoi diritti umani sono violati perché nessuno gli paga le ferie? Se però volete una dimostrazione basata su fatti meno triviali delle ferie eccovi accontentati.

L’Articolo 27 della Dichiarazione garantisce il rispetto del diritto d’autore. Questo è universalmente considerato un diritto estremamente importante ed è protetto da una Convenzione

Internazionale oltre che da leggi nazionali. Ma anche questo diritto non può essere considerato “umano”. Infatti esso può essere venduto, ceduto, regalato, ereditato, e dopo un certo numero di anni si estingue. Nessuna di queste caratteristiche si applica ai diritti umani che non si estinguono e non possono essere in alcun modo ceduti, regalati od ereditati per il semplicissimo fatto che li possediamo dalla nascita. Quindi, visto che un diritto non può essere definito umano solo perché è all’interno della Dichiarazione, cerchiamo di darne una definizione più analitica.

Cranston propone due test per verificare se un diritto può essere considerato umano: il primo è quello della praticabilità, il secondo quello della sua estrema importanza. Macfarlane aggiunge a queste altre tre caratteristiche: un diritto umano deve essere individuale, universale e deve poter essere fatto rispettare.

Vediamo in dettaglio.

 

UNIVERSALITA’

Un diritto umano deve essere riconosciuto ad ogni persona in ogni momento ed in ogni situazione a prescindere dal sistema sociale e politico in cui essa viva. Il carattere universale di un diritto umano viene determinato dal fatto che tutti gli uomini ne hanno bisogno se vogliono vivere pienamente come esseri umani, e non dal fatto che la realizzazione o il godimento di questo diritto sia o meno compatibile con il permanere di particolari forme di società sia del passato che del presente. (MACFARLANE 5)

 

“Quello che deve essere compreso è che il concetto di diritti umani universali incarna valori che non solo confliggono con altri valori e concetti, ma che sono anche incompatibili con – e sovvertitori di – certe forme di società ed istituzioni sociali” (MACFARLANE 5)

 

INDIVIDUALITA’

I diritti umani sono diritti degli individui, sono nati per incontrare i bisogni e gli scopi degli individui. Sono diritti “contro” la società piuttosto che diritti “contro” altri individui. I diritti di non-interferenza sono diritti contro tutte le persone e le organizzazioni. Al contrario dei diritti economico-sociali, questi sono diritti contro lo Stato. (MACFARLANE 7)

 

IMPORTANZA

Maurice Cranston definisce un diritto umano come:

 

“qualcosa di cui nessuno può essere privato senza che vi sia un grave affronto alla giustizia” (CRANSTON 46)

 

Ma lui stesso ammette la difficoltà di trovare un criterio definitivo per distinguere quali siano i diritti veramente importanti. Mi limito ad osservare che trovo difficile che qualcuno attribuisca scarsa importanza ai diritti sanciti dagli articoli che vanno da 2 al 21 della Dichiarazione Universale.

 

PRATICABILITA’

Non può esserci il diritto a qualcosa di impossibile. I diritti umani possono essere assicurati dalla legge vietando ad esempio il disturbo dei comizi o della Messa ma per i diritti economico-sociali si possono fare tutte le leggi del mondo ma se non esistono le condizioni economiche queste leggi non possono essere applicate. Non è difficile attuare il diritto alla libertà di religione, mentre sembra quasi impossibile farlo con quello al lavoro.

 

“Una volta che siano state fornite risorse adeguate i diritti economico-sociali possono essere assicurati, ma questo non è vero per i diritti alle libertà, perché qualunque sia il livello

delle risorse dedicate alla loro protezione saranno sempre possibili trasgressioni” (MACFARLANE 10)

 

ATTUABILITA’ (ENFORCEABILITY)

Un diritto per essere considerato umano deve essere attuabile cioè deve poter essere fatto rispettare. Il diritto all’istruzione richiede molti sforzi non solo economici per essere attuato. Occorre ad esempio convincere i genitori che l’istruzione serve e che è meglio mandare i figli a scuola piuttosto che a pascolare le capre. Tutto questo non avviene per quanto riguarda la libertà di religione. D’altra parte è ovvio che fino a quando non esisterà una Corte Internazionale Permanente per i Diritti Umani non sarà possibile costringere gli Stati ad attuare quei diritti che non intendono rispettare.

 

So di peccare di superbia, ma mi sembra opportuno aggiungere qualcosa a quanto scritto da Cranton e da Macfarlane. I diritti umani sono anche IRRINUNCIABILI. Posso cioè non esercitare il mio diritto alla libertà di culto, ma non posso rinunciarvi. I diritti umani non sono monetizzabili. Posso essere pagato per le ferie che non faccio, ma non per la religione che mi viene impedito di esercitare. I diritti umani sono al di fuori delle condizioni storiche, economiche, sociali, politiche e religiose. Non sono soggetti a valutazioni di opportunità economica o politica. E nemmeno sono

soggetti alla regola della maggioranza e della minoranza.

 

 

2.4 DIRITTI E DOVERI

 

Perché esista un diritto deve esistere un corrispondente dovere, Se esiste il diritto al lavoro, come è previsto dall’Articolo 23 della Dichiarazione, su chi ricade il corrispondente dovere di creare quei posti di lavoro? Sullo Stato? E che succede al disoccupato che non accetti un lavoro che gli viene offerto?

Per quanto riguarda il diritto alla libertà di religione è invece semplice: il dovere ricade sullo Stato che ha l’obbligo di impicciarsi dei fatti suoi. Al contrario del caso dei posti di lavoro non occorre alcuna scelta di politica economica, occorre semplicemente che lo Stato si astenga dall’interferire nelle questioni religiose ed eventualmente impedisca ad altri di farlo.

L’esempio dell’URSS è illuminante. Fu sufficiente che nel 1985/86 quello Stato rinunciasse alla sua politica antireligiosa perché le varie Chiese si organizzassero e improvvisamente, senza bisogno di alcuna politica di sviluppo e senza spese, in Russia tornò la libertà di religione. Questa è una discriminante assoluta. Per ogni diritto umano è facile individuare il detentore del corrispondente dovere: lo Stato (ma anche gli altri individui e le organizzazioni), che ha l’obbligo di non interferire nell’esercizio dei diritti umani alle varie libertà, esercizio che può ovviamente essere collettivo, oltre che individuale.

 

Per quanto riguarda i diritti economico-sociali la situazione è ribaltata. L’esistenza di questi diritti è speculare all’esistenza di uno Stato che si possa accollare i corrispondenti oneri finanziari. Uno stato che abbia l’economia in condizioni pre-industriali non ha nemmeno la possibilità teorica di sopportare questi costi.

Con questo non intendo assolutamente dire che un moderno Stato industriale non abbia anche dei precisi doveri economico-sociali nei confronti dei suoi cittadini. E’ ovvio che (con buona pace dei liberisti reaganiani) un Paese moderno deve preoccuparsi della salute, dell’istruzione del benessere dei suoi cittadini, ed in particolare di quelli più poveri, ma questo è un dovere che dipende da una particolare condizione storica. Un Paese che cadesse in una profondissima crisi economica difficilmente riuscirebbe a garantire il benessere di tutti i suoi cittadini, ma non incontrerebbe alcun ostacolo economico a garantire loro il godimento dei diritti umani.

 

 

2.5 DIRITTI UMANI E LIBERTA’ FONDAMENTALI NELLA DICHIARAZIONE

UNIVERSALE

 

Nel secondo comma del Preambolo della Dichiarazione vengono indicato le Quattro Libertà di cui parlò il Presidente americano F. D. Roosevelt nel gennaio del 1941: libertà di parola e di credo, libertà dal timore e dal bisogno. Ma questa è una dichiarazione di intenti come lo è il primo articolo della Dichiarazione, nel quale troviamo riaffermati i principi dell’89 francese: Liberté, Egalité, Fraternité. E’ dal secondo articolo in avanti che troviamo quei diritti e quelle libertà che abbiamo l’obbligo di rispettare.

Il Prof. Bedau (BEDAU a) fa notare che alcuni di questi diritti sono più esattamente delle immunità: dalla tortura (Art 5), dalla schiavitù (Art 4) dall’interferenza nella vita privata (Art 12), più che dei diritti veri e propri. Parimenti alcuni diritti sono teorici, nel senso che alla maggior parte di noi non capiterà mai di usarli. Sono i diritti di carattere giuridico-processuale (Artt. 8, 9, 10, 11), come difficilmente ci capiterà di chiedere il diritto d’asilo garantito dall’articolo 14. Altri diritti sono in realtà delle possibilità che pochi utilizzeranno, come quella di essere eletti prevista dall’Articolo 21.

Comunque sia per ogni libertà esiste un corrispondente diritto e queste libertà sono:

 

– della persona (Art 3)

– di movimento e residenza (Art 13)

– di pensiero, coscienza e religione (Art 18)

– di cambiare religione e credo (Art 18)

– di culto pubblico (Art 18)

– di opinione e di espressione (Art 19)

– di riunione e di associazione (Art 20)

 

I successivi articoli (dal 22 al 28) riguardano i diritti economico-sociali, mentre gli articoli 29 e 30, come del resto l’ articolo 1, forniscono garanzie di carattere generale.

 

Questi diritti e queste libertà non sono infiniti. disse l’imputato, confermò il giudice . Può sembrare una battuta banale, ma non solo è vera, nasconde anche una grande verità: i diritti umani iniziano e finiscono dove finisco ed iniziano quelli degli altri.

 

 

2.6 DA DOVE VENGONO I DIRITTI UMANI?

 

Da dove vengono i diritti umani? Sono un dono di Dio o un prodotto della Natura? O più tranquillamente sono le “verità di per sè evidenti” di cui scriveva Thomas Jefferson?

Di sicuro essi non sono il prodotto della civiltà. Non sono come erroneamente pensano Norberto Bobbio e P. Flores d’ Arcais, (BOBBIO 26, FLORES D’ARCAIS xii) un prodotto dell’evoluzione socioeconomica. I diritti umani esistono e ci appartengono per il solo fatto che noi siamo esseri umani. L’evidenza che il riconoscimento dell’esistenza di questi diritti sia un fatto tardivo non significa nulla. Come la relazione E = mc2 è esistita prima di Einstein, così i nostri diritti esistono da prima del 1948. I diritti umani sono inerenti alla nostra qualità di esseri umani così come lo è il gusto per l’arte e gli affreschi di Chauvet, fatti dai nostri antenati Cro-Magnon 30.000 anni fa, sono lì a dimostrarlo.

Ed in ogni caso se i diritti umani sono solo diritti civili essi sono dovuti a chi vive fuori della nostra civiltà? Ma, come fa notare giustamente Bobbio (BOBBIO 18), la polemica è ormai solo accademica, visto che tutti gli Stati del Mondo hanno accettato, facendo parte delle Nazioni Unite, l’esistenza dei diritti umani, e indietro non è possibile tornare.

 

“I diritti umani sono quei diritti morali che sono dovuti ad ogni uomo o donna da parte di ogni uomo o donna per la sola ragione che essi sono esseri umani”. (MACFARLANE 3)

 

 

 

2.7 DIRITTI UMANI E SVILUPPO ECONOMICO

 

I diritti dell’uomo vengono prima dello sviluppo economico e dell’industrializzazione. Non è vero che i popoli ed i Paesi prima diventino ricchi e dopo si comprino le libertà, come crede Luttwak (8): è vero l’esatto contrario (vedi alla voce Singapore). L’Inghilterra fece prima la sua Glorious Revolution ed il Bill of Rigths del 1688-89 e dopo iniziò la rivoluzione industriale. La stessa cosa successe un secolo dopo per Francia e Stati Uniti. E’ la certezza del rispetto dei diritti (in particolare il diritto di proprietà) che farà da base per lo sviluppo dell’industria.

 

“Attraverso [l’esperienza di] dozzine di paesi e secoli di storia [è evidente che] la democrazia ha promosso la crescita [economica] molto più efficientemente e continuativamente di ogni altro sistema politico.” (THE ECONOMIST 27.08.94)

 

In Germania, Giappone ed Italia la prima industrializzazione coincise con un periodo decisamente molto più democratico e liberale di quelli che seguirono. Mentre i miracoli economici di questi Paesi avverranno dopo il ritorno della democrazia e della libertà.

 

2.8 LA TERZA GENERAZIONE DEI DIRITTI

 

Per lungo tempo gli scomparsi Paesi Socialisti hanno utilizzato il termine dispregiativo “diritti borghesi” per indicare i diritti umani, mentre si inventavano una seconda generazione di diritti quelli economico-sociali che dichiaravano essere i “veri” diritti umani. Questi diritti sarebbero stati pienamente rispettati solo ed esclusivamente nei Paesi Socialisti, Questi diritti dovevano essere rispettati prima dei diritti borghesi perché solo il loro totale soddisfacimento avrebbe portato alla vera libertà. Tutto questo altro non era che una scusa per ignorare i veri diritti umani, mentre quelli economico sociali non venivano rispettati.

La storia ha fatto giustizia.

Trovo preoccupante che si tenti ora di fare passare la tesi che esista una terza generazione di diritti: quelli collettivi. La teoria che esistano diritti e quindi doveri che riguardano la pace, l’ecologia, lo sviluppo e l’autodeterminazione è basata sul concetto che esistano entità collettive, i popoli, che sono portatori di diritti esattamente come gli individui.

Tutto questo è falso e pericoloso.

Non esiste alcuna correlazione, né logica né causale fra lo sviluppo economico ed il rispetto dei diritti umani. Non esiste alcun rapporto fra il miglioramento delle condizioni economiche ed il miglioramento della situazione dei diritti umani.

Gli esempi storici si sprecano. L’URSS di Stalin sviluppa la sua economia mentre l’Occidente precipita nella crisi del 29, ma nello stesso tempo distrugge quel poco di libertà della NEP. L’Italia del 25 Aprile 1945 era un paese miserabile ma infinitamente più libero di quello di 10 anni prima. Singapore è un paese sviluppato economicamente, ma il suo governo controlla totalmente la società Con buona pace dei liberisti alla Berlusconi, Singapore dimostra che la libertà economica non si sposa con quella personale.

 

Il preteso collegamento fra diritti umani e diritti economici è stato l’alibi storico delle dittature di sinistra e del Terzo Mondo, che affermavano di costruire l’uguaglianza e la modernizzazione sulle quali prima o poi si sarebbe costruito il vero rispetto dei diritti dell’uomo.

Era falso, e l’89 ha fatto giustizia.

 

 

2.9 CONCLUSIONE

 

E’ evidente che esistono dei diritti insiti nella nostra natura di esseri umani. Diritti così importanti e indispensabili da meritare di essere gratificati dell’aggettivo “umani”. Questi diritti sono sempre esistiti, indipendentemente dal loro riconoscimento giuridico, e violarli è sempre stato un crimine. Questi diritti sono indicati negli articoli che vanno dal 2 al 21 della Dichiarazione Universale.

 

 

 

 

 

 

 

3 … E DOVE SBAGLIA AMNESTY INTERNATIONAL.

 

La posizione di Amnesty International sui diritti umani è stata così sintetizzata:

 

“I diritti umani universali sono anche indivisibili e interdipendenti e nessun gruppo di diritti deve avere la precedenza sopra di un altro. Amnesty International ritiene che la consapevolezza di tutti i diritti deve essere promossa contemporaneamente ed intende farlo nel suo lavoro. (…) Cercando di dare priorità ad un gruppo di diritti rispetto ad un altro i governi svalutano tutti i diritti e portano il sistema internazionale dei diritti umani al discredito.” (AI. IOR 41.17.93)

 

Nel capitolo precedente abbiamo dimostrato come ciò sia falso. Vedremo come sia anche pericoloso.

Noi ora sappiamo quali siano i veri diritti umani e come quindi sia falso confonderli con i diritti economico-sociali. Sappiamo anche come essi non siano collegabili fra di loro. Singapore ha oggi un PIL pro capite che è superiore a quello della sua ex potenza coloniale. Dovrebbe quindi avere un rispetto dei diritti umani almeno pari a quello che hanno i cittadini inglesi. I rapporti di Amnesty International dimostrano che così non è. Amnesty non solo non ha meditato sull’essenza dei diritti umani, ma nemmeno ha riflettuto sulla storia di questo breve secolo. Se lo avesse fatto avrebbe scoperto che collegare i diritti può essere pericoloso, perché se si accetta che essi crescano insieme occorre allo stesso tempo accettare che essi insieme diminuiscano. Sappiamo che questo è accaduto dopo la crisi del 1929. Se la situazione economica peggiora e i diritti sociali non possono essere applicati per mancanza di fondi, come potete pretendere che i diritti cosiddetti civili invece lo siano? In effetti non potete, dato che collegandoli li avete legati nel bene e nel male.

Come abbiamo visto il rispetto del diritto alla libertà di religione può e deve essere messo prima di ogni altro diritto economico. Non esiste alcun rapporto e alcun legame fra la situazione economica di un Paese e il rispetto delle libertà fondamentali. I governi devono dare la priorità ai diritti umani non fosse altro perché essi non costano nulla. E’ la loro repressione che costa soldi.

 

 

3.1 BANGKOK

 

La posizione di Amnesty è anche pericolosamente simile a quella della tristemente famosa “Dichiarazione di Bangkok” dove (al punto 10) si riafferma:

 

“l’interdipendenza e l’indivisibilità dei diritti economici, sociali, culturali, civili e politici e la necessità di dare uguale enfasi a tutte le categorie dei diritti umani.” (ivi)

 

In occasione della Conferenza di Bangkok (una delle tre che prepararono la Conferenza di Vienna) la posizione dei paesi asiatici reazionari èstata chiaramente espressa dal governo della Malaysia, che attraverso il suo Ministro degli Esteri ha detto:

 

“il pensiero liberale occidentale post Rinascimentale è lontano dall’essere sensibile ai valori asiatici e ad una cultura fondata sul concetto di obblighi e responsabilità dell’individuo verso la società piuttosto che sulla supremazia dei diritti naturali dell’individuo contro lo Stato” (ivi)

 

Nella stessa dichiarazione possiamo leggere alcuni dei desideri dei Paesi violatori dei diritti umani che non vogliono che qualcuno metta il naso nei loro sporchi affari, o che, peggio, tenti di collegare gli aiuti economici ai progressi nel settore dei diritti umani:

 

– Non interferenza negli affari interni

– No all’imposizione di valori incompatibili

– Il diritto allo sviluppo è un diritto umano fondamentale.

– Il progresso economico non facilita la democrazia ma il solo movimento verso di essa.

– L’assistenza allo sviluppo non può essere collegata al rispetto dei diritti umani.

Sempre in quel testo si legge:

 

“riconoscendo che mentre i diritti umani sono universali in natura essi devono essere considerati nel contesto di una dinamica evoluzione del processo della costruzione di norme internazionali, tenendo in mente il significato delle particolarità nazionali e regionali e dei vari contesti storici, culturali e religiosi” (ivi)

 

E questo è l’esatto contrario di cosa sono i diritti umani. Il pericolo sta quindi nell’accettare una posizione che piace a chi vuole cancellare i diritti umani.

 

La posizione di Amnesty International è quella di collegare cose incollegabili fra di loro, né teoricamente, né praticamente. Amnesty, affermando che “Non c’è gerarchia fra i diritti umani” (CHINA p 102), accetta supinamente la posizione dell’Onu, una posizione che non è il frutto di una meditazione filosofica, ma quello di un compromesso con i paesi che più che violare i diritti umani sono essi stessi una violazione di quei diritti. In pratica Amnesty International accetta che il diritto alle ferie pagate valga e conti esattamente come il diritto alla libertà di parola e di religione.

 

 

3.2 VIENNA

 

Il problema esiste da lungo tempo. Se il rispetto dei diritti umani è un obbligo allora, prima o poi, qualcuno tenterà di farli effettivamente rispettare e l’ ipotesi che si costituisca una Corte Penale Internazionale che vada a mettere il naso nei panni sporchi di ogni paese è una cosa che spaventa molti, perché se è ancora possibile dare del comunista ad Amnesty International o del fascista a Freedom House (c’è chi ci crede!) questo sarà molto più difficile di fronte alle accuse di un organismo internazionale.

I Paesi violatori dei diritti umani sono alla ricerca di scuse e giustificazioni.

Dicendo che tutti i diritti sono umani si attua la prima delle loro strategie Se tutto è un diritto allora nulla è più un diritto. Se il diritto alle ferie retribuite è un diritto umano con lo stesso rango del diritto alla libertà di pensiero e di religione allora tutto si intorbida e non è più chiaro cosa siano le cose importanti. Se non potete avere le ferie pagate come potete chiedere la libertà di religione? A Vienna si è tentato di fare passare questa tesi ma si è fatto anche di peggio, cioè si è tentato di attuare la seconda di queste strategie.

Il punto focale dei diritti umani è la loro universalità. Ci sono sempre stati, indipendentemente dal clima, dall’economia, dalla storia dalla geografia e dalle tradizioni. Si sta così tentando di annacquare anche questo concetto. La scusa si chiama “Valori Asiatici”, “differenti contesti socio-culturali”, “tradizioni e religioni che devono essere rispettate”.

Sfortunatamente i diritti umani sono estremamente rivoluzionari, sono la modernizzazione più estrema e fanno a pezzi tutte le tradizioni per non parlare poi dei contesti culturali costruiti proprio sulla violazione dei diritti umani. Si pensi ai Paesi che fino a ieri avevano la schiavitù ed a quelli islamici dove è vietato cambiare religione.

I ‘valori asiatici’ sono un modo rispettabile per dire una verità scottante: Noi Governo vogliamo violare i diritti umani come e quando ci piace altrimenti perdiamo il potere, ma siccome non abbiamo il coraggio di dirlo, perché ci sarebbero delle reazioni, raccontiamo a chi ci vuole credere la favola che gli asiatici sono diversi dagli occidentali e non possono e non devono godere degli stessi diritti, in particolare di quello di voto.

Il teatro di questi tentativi solo parzialmente riusciti è stata Vienna, dove nel Giugno del 1993 si è tenuta la conferenza Mondiale sui diritti umani.

 

 

3.3 LA DICHIARAZIONE DI VIENNA 25.06.93

 

La Dichiarazione che ha chiuso la Conferenza di Vienna è incredibilmente lunga e sbrodolata. Anche se al Punto 1 afferma che la natura universale dei diritti umani e delle libertà fondamentali è fuori discussione e che essi:

 

“sono la primogenitura di tutti gli esseri umani”

 

al punto 5 pasticcia tutto confondendo quello che è in realtà molto semplice:

 

“Tenendo in mente il significato di particolarità nazionali e regionali ed i vari contesti storici, culturali e religiosi, è compito degli Stati, senza riguardo al loro sistema politico, economico e culturale, di promuovere e proteggere tutti i diritti umani e tutte le libertà fondamentali”

 

 

Questo pasticcio senza capo ne coda è il prodotto di un ignobile compromesso con Paesi che non solo violano i diritti umani ma che vogliono teorizzare la necessità di tali violazioni.

 

 

3.4 I VALORI ASIATICI

 

Fra i dirigenti dei Paesi asiatici vi sono molti assassini ma anche alcune persone colte che sanno benissimo che i “valori asiatici” non esistono, ma che devono trovare una copertura ideologica ad una necessità pratica. Stanno tentando di modernizzare i loro Paesi ma vogliono farlo a metà prendendo la parte tecnologica. Vogliono cioè che i loro operai siano occidentali quando lavorano ma restino asiatici per tutto il resto.

I dirigenti asiatici sono persone intelligenti e sanno che questo si ottiene solo attraverso un ferreo controllo della società ed una repressione selettiva e spietata. Tutto questo si chiama semi-totalitarismo e nessuno di loro è così stupido da ammetterlo. Quindi, con Singapore alla loro testa, hanno inventato uno slogan (Valori Asiatici) ed iniziato una battaglia ideologica nei confronti dell’Occidente. Una battaglia ben più difficile di quella combattuta a suo tempo dai paesi comunisti, che avevano una ideologia di tutto rispetto alle spalle, mentre questi hanno quattro stracci.

 

A peggiorare la loro situazione c’è il fatto che, al contrario dei paesi comunisti, i paesi asiatici vivono in simbiosi con i quelli occidentali che tanto disprezzano. Singapore è una nullità storica: inventato dagli Inglesi nel secolo scorso, esiste politicamente ed economicamente solo grazie agli Americani, ed è terrorizzato dall idea che in Occidente, negli Usa in particolare, a qualcuno venga in mente di far rispettare i diritti umani dei lavoratori anche nei paesi asiatici.

Gli Americani hanno in mano quell’arma potentissima che è il ricatto economico. Essi dalla sera alla mattina possono fare a meno di Singapore e di tutti gli altri, mentre per questi sarebbe la catastrofe.

Questo pericolo veniva avvertito già vent’anni fa dallo Shah di Persia e ora, dopo la guerra del Golfo, la Risoluzione 688 del Consiglio di Sicurezza e l’accordo “No sweat shops” sono sentiti come un pericolo chiaro ed immediato dalla cricca che governa Singapore. Quindi hanno iniziato una campagna ideologica il cui succo è: – Noi siamo asiatici, abbiamo tradizioni diverse, una storia diversa, religioni diverse e siamo quindi diversi dagli occidentali, non possiamo godere degli stessi diritti appunto perché siamo diversi – Tutto questo viene riunito sotto la bandiera dei “Valori Asiatici”.

E’ divertente pensare che questo era il discorso che facevano i colonialisti che negavano i diritti umani agli asiatici proprio in nome della loro diversità. Ma ancora più divertente è pensare che sono proprio gli inventori dei “valori asiatici” che quarant’anni fa si ribellavano a questa concezione in nome di una unica umanità.

Un grosso vantaggio strategico per Singapore è che i Paesi asiatici non vengono ancora percepiti come un nemico dalla maggioranza degli Americani e ad essi si permettono cose che mai si consentirebbero ai residui Paesi comunisti. Pensate cosa sarebbe successo se a frustare un ragazzo americano fossero stati i Cubani o se fosse stato Fidel a citare per danni l’International Herald Tribune. Pensate a quale furibonda reazione si sarebbero esposti.

 

La politica del “frustali e impiccali” trova i suoi alleati naturali nella destra americana ed occidentale cui piace l’ idea che le sottoclassi (bianche, nere o importate) siano tenute al loro posto. I dati sulla pena di morte negli Usa sono illuminanti. Ai tempi del Muro di Berlino era affascinante l’entusiasmo che mostravano per i paesi del “socialismo reale” i nostri borghesucci fascisti ogni volta che i primi si mettevano ad impiccare i ladruncoli, e Singapore unisce alla lotta al comunismo quella ai piccoli criminali ed agli spacciatori di droga.

 

Ma quando si esce dalla retorica razzista con cui ammantano i loro discorsi i vari dittatori del Sud Est Asiatico, si scopre che i “valori asiatici” si riducono ad alcune norme tipiche della buona borghesia ottocentesca e che non sono patrimonio di una inesistente cultura asiatica: la famiglia, l’educazione, il risparmio, il duro lavoro, sono tutte virtù che si trovano anche nella provincia italiana senza che a nessuno sia mai venuto in mente di strombazzarli come il non plus ultra raggiungibile dal genere umano.

In definitiva pare che l’unico diritto che i governanti asiatici sembrano decisi a concedere ai loro sudditi sia quello “di vivere in un ambiente socialmente e politicamente ordinato” (TIME 14.06.93).

Questo è il tipo di cose che fanno sentire “puzza di topo” a noi occidentali, (THE ECONOMIST 28.05.94)

 

La posizione di Singapore è stata ufficiosamente riassunta da Bilahari Kausican su Foreign Policy dell’autunno 1993. Egli ammette l’ esistenza di un chiaro corpo di norme internazionali e che tutti gli Stati hanno accettato la Carta delle Nazioni Unite, mentre nessuno ha rigettato la Dichiarazione, ma afferma che nessun Paese può accettare che i diritti umani mettano in pericolo “la natura fondamentale del suo sistema politico” e che “Il mito dell’universalità dei diritti umani è nocivo se maschera la spaccatura che esiste fra la percezione che ne ha l’Asia e quella Occidentale.” Inoltre afferma che non è possibile applicare concetti astratti senza riguardo alla peculiare situazione politico-culturale, sociale ed economica di un paese.

Quindi, siccome la Dichiarazione Universale non equivale alle Tavole di Mosé, si può benissimo arrivare all’obbiettivo delle dittature asiatiche: rifare la Dichiarazione con la falsa scusa che nella prima stesura non erano presenti i Paesi asiatici e che ora “Paesi che non appartengono alla tradizione giudaico-cristiana” sono fra quelli più importanti del mondo.

Bilahari Kausican ammette, bontà sua, che alcune cose sono in comune sia per gli asiatici che per gli occidentali (la vita, la protezione dalla tortura e dalla schiavitù, il divieto del genocidio), ma non accetta l’idea che i diritti umani siano universali e che essi siano “contro” lo Stato. Per lui “ordine e stabilità sono le precondizioni per la crescita economica e quest’ultima è il fondamento di ogni ordine politico. Ma dimostra di temere la possibile alleanza fra i Media Occidentali, i difensori dei diritti umani e le élites asiatiche all’opposizione.

La puzza di topo di cui parlavamo prima è sempre più forte.

 

 

 

 

 

3.5 HUMAN RIGHTS IMPERIALISM

 

Chi viola i diritti umani è sempre alla ricerca di una valida giustificazione che serva da alibi. Essi non negano che stanno violando i diritti, si sforzano di dimostrare che questo è un male necessario. Accusano i difensori dei diritti umani di essere degli imperialisti che vogliono schiacciare i popoli asiatici sotto una nuova dominazione coloniale. Lo strumento sarebbero appunto i diritti umani. Il punto più sensibile di questa polemica è quello che riguarda i diritti dei lavoratori, il lavoro forzato, quello minorile, i bassi salari ecc.

Violazioni rese possibili dalla violazione dei diritti umani. Il lavoro minorile è spesso una necessità indotta dai bassi salari che vengono pagati ai genitori. Questi bassi salari sono causati dall’impossibilità di questi genitori di utilizzare il loro diritto umano alla libertà di associazione politica e sindacale e quindi di sciopero. Chi da tutto questo trae immensi vantaggi politici ed economici non è entusiasta che gruppi occidentali facciano arrivare queste violazioni sulle pagine dei giornali e quando questo succede devono trovare qualche scusa.

E’ ovvio che non possono dire la verità: “violare i diritti umani ci fa comodo perché così manteniamo il nostro potere e facciamo anche un sacco di soldi.” Questo creerebbe qualche imbarazzo perfino in Svizzera. Meglio dire che i diritti umani sono una invenzione dei ricchi che vogliono togliere il lavoro ai poveri, che il lavoro minorile è stato inventato dagli inglesi nell’800 e che quindi gli occidentali non hanno titolo per intervenire sull’argomento, che togliere i bambini dalle fabbriche vuol dire avviarli alla prostituzione.

Ovviamente se passasse l’idea che i diritti umani non sono universali e non valgono in tutti i Paesi lo sfruttamento degli operai sarebbe ancora più facile.

 

 

3.6 CONCLUSIONE

 

Le nere nubi che oscurano i cieli del Sud Est Asiatico non sono causate solo dai boschi che inceneriscono: a bruciare sono anche i “valori asiatici” che vanno in fumo come i miliardi investiti in Borsa. Vediamo così crollare l’ultimo tentativo di creare una alternativa al concetto occidentale di diritti umani e di democrazia.

Singapore, ha tentato di dare il rango di ideologia alla sua abitudine di calpestare i diritti dei suoi cittadini. Anni fa non se ne sarebbe curato. Anni fa non si sarebbe preoccupato di dare giustificazione teorica alle sue malefatte. Che ora lo faccia è un chiaro segno dei tempi.

A un anno dal cinquantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo sappiamo come questa non sia più considerata una mera lista di belle speranze, ma sia l’ elenco di quei diritti umani e di quelle libertà fondamentali che tutti gli Stati hanno l’obbligo di rispettare e fare rispettare. E’ questo che spaventa i governanti di tanti Paesi.

Il cammino è stato lungo, ma la Dichiarazione, pur non essendo nata come trattato, è diventata un chiaro punto di riferimento legale sia per precisa volontà delle Nazioni Unite, sia perché è entrata a fare parte dei principi generalmente accettati dalla comunità dei paesi civilizzati. Oggi non è più possibile avere dubbi: ogni Stato, ogni organizzazione ed ogni individuo ha l’obbligo di rispettare i diritti umani, e questi si trovano all’interno della Dichiarazione.

Che non tutti i diritti in essa elencati siano da considerarsi umani è di facile dimostrazione. A nessuno infatti verrebbe in mente di considerare il diritto alle ferie retribuite (art 24) alla pari del diritto alla libertà di religione (art 18).

Per essere considerato “umano” un diritto deve rispondere alle caratteristiche di universalità, individualità, importanza, attuabilità e applicabilità. I diritti che corrispondono a questi canoni sono quelli indicati agli articoli dal 2 al 21.

Purtroppo la commistione fra i veri diritti umani e i diritti economico-sociali fa comodo a molti, come a suo tempo faceva comodo all’URSS. Ci troviamo quindi di fronte alla pretesa che tutti i diritti siano umani e siano anche interdipendenti, interconnessi e indivisibili. Spiace vedere Amnesty International (che pure dovrebbe avere ben chiaro cosa siano i veri diritti umani) accettare supinamente questa affermazione falsa e pericolosa.

Sono molti gli Stati che spacciano la teoria secondo la quale un paese prima diventerebbe ricco e sviluppato industrialmente e solo dopo libero e rispettoso dei diritti umani. Quindi i governanti devono avere la mano libera per sviluppare l’economia, senza che vi siano impicci da parte di partiti d’opposizione, sindacati, associazioni, chiese e stampa libera.

 

Bene, non è così! è falso!

Secoli di storia e l’esperienza di dozzine di paesi dimostrano come sia vero l’esatto contrario. Solo dal rispetto dei diritti umani nascono sviluppo economico e benessere. Gli Stati non diventano più liberi perché sono più ricchi, ma diventano più ricchi perché prima sono diventati più liberi.

Dal 1989 stiamo assistendo all’ “universalizzazione della democrazia liberale occidentale come forma finale di governo umano.” (FUKUYAMA 4) ed i tentativi di annacquare il concetto di diritti umani o addirittura di riscrivere la Dichiarazione Universale, in modo da renderla più adatta alle esigenze degli spietati assassini che governano tanti paesi, non avranno fortuna, anche se trovano appoggi in Occidente (ANTONIO GAMBINO, L’ESPRESSO 14.08.97).

Concludo facendo mie le parole della Signora Aung San Suu Kyi Premio Nobel per la Pace nel 1991:

 

“Chi crede nella sacralità dei diritti umani non respinge il concetto di legge e ordine come tale, ma vorrebbe che la legge non rappresenti solamente e che l’ordine non sia ” (AUNG SAN SUU KYI 218)

 

 

 

Forlì, 29 Settembre 1997

 

 

 

 

 

4 APPENDICE

 

 

4.1 CHI VOTO’ LA DICHIARAZIONE

 

I 58 paesi che facevano parte delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 erano:

15 occidentali:

Australia, Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Grecia, Islanda, Lussemburgo, Norvegia, Nuova Zelanda, Olanda, Stati Uniti, Sud Africa, Svezia.

6 comunisti:

Bielorussia, Cecoslovacchia, Iugoslavia, Polonia, Ucraina, Urss.

20 Latino americani:

Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Repubblica Dominicana, Ecuador, El Salvador, Guatemala, Haiti, Honduras, Messico, Nicaragua, Panama, Paraguay, Perù, Uruguay, Venezuela.

17 Afroasiatici:

Afganistan, Arabia Saudita, Birmania, Cina, Egitto, Etiopia, Filippine, India, Iran, Iraq, Libano, Liberia, Pakistan, Siria, Tailandia, Turchia, Yemen,

Al momento della votazione i paesi comunisti si astennero mentre Arabia Saudita e Sud Africa non parteciparono.

E’ importante ricordare che i delegati cinese Chiang e libanese Malik furono fra i principali artefici della Dichiarazione.

 

(FONTE Basic Facts about the United Nations, Department of Public Information, United Nations, New York 1992

 

 

 

4.2 LA REGOLA “AS IF”

 

La regola “As if” (come se) è presa dalla filosofia pragmatica anglosassone ed è di facile applicazione. Quando siete di fronte ad un problema che riguarda i diritti umani pensate: “Cosa farei se succedesse a me o ad un mio parente?”

Quando sentite chiedere pene irrevocabili o crudeli o violazioni dei diritti umani per certe categorie di persone fatevi la domanda “sono disposto a che questo succeda a me o a mio figlio?”

Se siete a favore della pena di morte siete anche disponibile ad essere impiccati in un caso di errore giudiziario?

Siete disposti ad essere condannati al taglio delle mani? o ad essere processati senza avvocato difensore?

 

 

 

 

4.3 QUALCHE POLEMICA

 

DOMANDA

Perché parlare di diritti umani quando in certe parti del mondo non c’è l’acqua potabile?

RISPOSTA

Cosa mette in relazione l’acqua potabile con il diritto alla libertà di religione? I Parigini il 14 luglio 1789 bevevano ancora l’acqua della Senna, mentre i Londinesi del 1689 (Bill of Rigths) vivevano in condizioni igieniche precarie e a Londra la peste era stata endemica fino al grande incendio di vent’anni prima.

DOMANDA

Perchè parlare di diritti umani quando i profughi della regione africana dei Grandi Laghi sono alla disperazione?

RISPOSTA

Possiamo forse venderli come schiavi? o fucilarli se vanno ad ascoltare la Messa? No di certo, quindi mantengono i loro diritti umani anche in condizioni disperate!

DOMANDA

Cosa importa dei diritti umani ad un disoccupato?

RISPOSTA

Visto che ci sono i disoccupati possiamo chiudere i partiti e le chiese e disperdere i sindacati come faceva Hitler?

DOMANDA

I diritti umani sono un lusso che solo i paesi ricchi si possono permettere.

RISPOSTA

Cosa vuol dire Paese ricco? Quanto costa la libertà di religione? Siete disponibili ad essere processati sommariamente perché accusati di un reato in un paese povero? Cosa direste se qualcuno decidesse che l’ Italia è un paese troppo povero per potersi permettere i diritti umani?

 

 

 

5 BIBLIOGRAFIA

 

La quantità di testi dedicati ai diritti umani è tale da rendere futile ogni tentativo di elencarli sia pure in modo incompleto. Quelli qui indicati sono piccola parte di quelli utilizzati.

Un ringraziamento particolare va alla Biblioteca della Johns Hopkins University di Bologna ed alla Biblioteca Ruffilli della Facoltà di Scienze Politiche di Forlì, senza le quali questa ricerca non sarebbe stata possibile.

 

 

AUNG SAN SUU KYI

Libera dalla paura, Milano, Sperling e Kupfer, 1996

 

BEDAU HUGO ADAM

a “Recensione a: J.J. THOMSON The Realm of Rights” in: Human Rights Quarterly 14-1992 (a)

 

b “Recensione a: J. DONNELLY Universal Human Rights in Theory and Practice” in: Human Rights Quarterly 14-1992 (b)

 

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“Are Human Rights Universal?” in: Commentary September 1977

 

BOBBIO NORBERTO

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“The Road to San Francisco: the Revival of the Human Rights Idea in the Twentieth Century”. in: Human Rights Quarterly 14-1992

 

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Il disincanto tradito Torino, Bollati Boringhieri 1994

 

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a “The UN Charter and the Universal Declaration of Human Rights” in: LUARD EVAN ed. The International Protection of Human Rights London, Thames and Hudson, 1967

B “The Universal Declaration of Human Rights: It’s History, Impact and Juridical Character” in: RAMCHARAM B.G. ed. Human Rights: Thirty Years After the Huniversal Declaration. L’Aia, Nijhoff, 1979

 

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IOR 03/03/87 Protecting Human Rights, 1C General Comments of the Humans Rights Committee

IOR 41/17/93 World Conference on Human Rights. Bangkok 1993 Oral Intervention of AI

ORG 20/02/92 Amnesty International Handbook.

ORG 20/03/92 Amnesty International Policy Manual 1992,

 

I documenti citati sono stati pubblicati in forma di libro o di ciclostilato da Amnesty International Publications, 1 Easton Street, London WC1X 8DJ.

 

 

 

NOTE

 

1 Il Comitato dei Diritti Umani ha deplorato che, con le riserve poste alla ratifica dell’ICCPR, gli USA “abbiano accettato quanto era già legge in quel Paese” (IJC p227)

 

2 Che un paese ratifichi un Patto non significa che poi lo rispetterà: la Cecoslovacchia fu il 35o paese a ratificare l’ ICCPR, facendolo così entrare in vigore, ma chi tentò, di controllarne l’ effettiva applicazione fu imprigionato.

 

3 Altro principio sancito fu quello che ubbidire agli ordini di un superiore non costituisce né immunità né attenuante.

 

4 Il rappresentante del Sud Africa fece profeticamente notare, nel suo vano tentativo di combattere la Dichiarazione, che essa sarebbe certamente diventata quell’elenco di diritti.

 

5 Anche se uno dei principali artefici dei diritti umani come noi li conosciamo è lo scrittore di fantascienza H.G. Welles.

 

6 Nell’Articolo 53 dello Statuto si parla ancora di “Stati nemici”

 

7 Collettivizzazione in Urss, Grande Balzo in Avanti in Cina, Etiopia ed ora Corea del Nord.

 

8 alla Convention 1995 di Publitalia, che si teneva ovviamente a Montecarlo, ha detto: “Per avere libertà, per non essere arrestati nel bel mezzo della notte, si deve avere un mercato libero” Supplemento a Ideazione Nov/Dic 1995

 

* membro del Comitato Scientifico dell’Osservatorio sulla legalita’ e sui Diritti Onlus

 

NB: per il copyright e le altre info vedi l’Avviso Legale

 

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