“Un invito a discutere sul futuro del sindacalismo di base”

Il progetto Cobas è fallito, non volerlo riconoscere è un grave errore. E’ fallita l’autorganizzazione perché ogni vertenza sociale, sindacale e politica ha bisogno non solo di spontaneismo ma di progettualità e di percorsi organizzativi.

 

Un invito a discutere sul futuro del sindacalismo di base

Lettera aperta di Federico Giusti, Rsu Comune di Pisa


Il progetto Cobas è fallito, non volerlo riconoscere è un grave errore. E’ fallita l’autorganizzazione perché ogni vertenza sociale, sindacale e politica ha bisogno non solo di spontaneismo ma di progettualità e di percorsi organizzativi. E’ fallita anche la logica di rinchiudersi in ambito territoriale disconoscendo le scelte della organizzazione nazionale con una classe dirigente inamovibile, supponente e incapace di dialogare con altre realtà, rivolta ai fasti, veri o presunti che siano, del passato ma incapace di guardare al presente e al futuro.

La logica territoriale per vivere ha bisogno di autonomia organizzativa e di una strategia che non puo’ essere solo sindacale ma svilupparsi all’interno del territorio su problematiche sociali, culturali e con una visione politica più complessiva. Demandare ad altri soggetti, di movimento o presunti tali, il compito di costruire l’opposizione politica al Governo del territorio e al Governo nazionale è il risultato di una desolante resa politica che non vogliamo accettare o subire come accaduto nelle giornate che hanno preceduto e seguito il 29 aprile a Pisa.

Del resto, cosa potrebbe fare una organizzazione come i Cobas da anni assente dalle piazze dove si contesta il Governo e attiva per lo piu’ nella raccolta delle firme refendarie?

Noi rivendichiamo invece autonomia sindacale, politica e culturale, una autonomia che metta al centro della nostra riflessione e del nostro operato gli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici a partire da una analisi aggiornata di cosa sia oggi il mondo del lavoro, la contraddizione tra capitale e lavoro, il processo di ristrutturazione della pubblica amministrazione che mette in discussione servizi fino ad oggi garantiti e teoricamente inalienabili come quello alla istruzione e alla sanità

Autonomia che necessita anche di percorsi organizzativi e di una indipendenza di pensiero da settori di movimento che oggi semplificano l’analisi della realtà per piegarla ad alcune istanze parziali o per legittimare quella demenziale dicotomia esistenzialista che vedrebbe contrapposti i nuovi partigiani che lottano ad una massa passiva per la quale non vale piu’ la pena spendere energie. Queste logiche sono antitetiche a percorsi inclusivi e conflittuali e per quanto si dicano innovative hanno origini culturali vecchie e da sempre perdenti.

All’ordine del giorno vogliamo mettere una analisi aggiornata della realtà ma anche un approccio complessivo che non sia solo quello di limitare la nostra azione al ruolo di consulente sindacale; oggi bisogna sapere guardare al territorio e alle sue contraddizioni, alle vertenze aziendali e alle contraddizioni sociali. Lo strumento cobas è ormai inadatto a svolgere questo compito, è stata una esperienza importante nella quale molti di noi hanno creduto spendendosi attivamente nella costruzione di strutture con un lavoro quotidiano faticoso, spesso portato avanti nel disinteresse di parti significative della stessa organizzazione, che ben poco si è spesa per la costruzione di un sito, per la propaganda sui social network, per la costruzione di un’area di riferimento, per un dibattito culturale portato avanti con numerose iniziative editoriali e aperto alla città, non ad uso e consumo di singole aree politiche.

All’ordine del giorno va inserita anche la prospettiva del sindacato di classe all’interno di una dialettica che veda il sindacato non in contrapposizione a percorsi politici e sociali, la costruzione e la guida dei quali non vogliamo demandare a chicchessia.

Il modello Marchionne è ormai giunto alla sua realizzazione, evidenti sono i reali rapporti di forza fra le classi. Non sono piu’ necessari i sindacati che rivendicano concertazione, che stanno sempre col braccio teso e il cappello in mano a chiedere tavoli, partecipazione e elemosine; il solo sindacato compatibile con il Governo e il padronato è quello dei gendarmi che obbediscono e assecondano senza discutere i disegni di sfruttamento e di comando del Capitale. Vogliono dei sindacati che reprimano e combattano chiunque crei ostacolo ai loro progetti; la loro paura cresce verso i conflitti, gli scioperi, verso la costruzione di un pensiero non omologato con azioni concrete e conseguenti.

In Cgil si è passati alla repressione dei delegati combattivi che nelle fabbriche organizzano scioperi, alla repressione contro la minoranza conflittuale interna, ha vinto cosi’ quella cislinizzazione culturale e pratica richiesta dal padronato.

Tutto cio’ è stato possibile anche grazie ai crescenti superprofitti realizzati dallo sfruttamento sempre più intensivo degli operai, di cui poi i padroni hanno utilizzato una piccola parte per corrompere e comprare ampi strati di di aristocrazia operaia che col tempo è diventata la vera base sociale dei partiti della finta sinistra e dei sindacati collaborazionisti. Chi ha lavorato e vive in fabbrica sa e ben conosce il peso esercitato sugli operai da questo strato di aristocrazia operaia fatta di capi e capetti, terminali e i controllori del potere padronale in fabbrica.

La trasparenza e l’onestà da sole non bastano, tuttavia è innegabile che nel corso degli anni il padronato si sia comprato parte degli apparati sindacali con il loro esercito di funzionari che vivono con buoni stipendi e fanno di tutto pur di non tornare al proprio lavoro, incluso accettare accordi al massimo ribasso che distruggono il potere di acquisto e di contrattazione. Da parte nostra non possiamo neppure trascurare il ruolo svolto dai patronati, un diffuso sistema di potere che il Governo Renzi ha provato a mettere in discussione salvo poi rinunciare ad un attacco frontale per avere in cambio un silenzio assenso sulle politiche previdenziali, contrattuali, sullo smantellamento dei contratti nazionali.

Negli ultimi 20 anni il sindacalismo di base ha rappresentato una pratica e una voce di resistenza al padronato; a macchia di leopardo è riuscito anche ad ottenere dei buoni risultati; se non altro ha radicalizzato lo scontro in alcuni settori organizzando quanti erano stati marginalizzati dai sindacati ufficiali per essersi opposti alle privatizzazioni. Al di là della resistenza, il sindacato di base non è riuscito seriamente a radicarsi nei luoghi di lavoro e diventare un soggetto di massa. A seguito delle tendenze corporative che si andavano affermando nella società, il sindacato di base si è diviso in mille sigle riproponendo logiche e pratiche analoghe a quelle dei gruppi politici degli anni settanta; la storia evidentemente non sembra avere insegnato a evitare gli stessi errori.

Bisogna porre alla attenzione dei lavoratori e delle lavoratrici una diversa concezione/pratica sindacale, consci delle difficoltà che troveremo sul nostro cammino: se 20 anni fa alla concertazione si ribellarono i sindacati di base e settori pur minoritari della stessa Cgil, oggi al sindacato asservito e complice dei padroni e del Governo pare non esista un’alternativa, a meno di non accontentarsi dell’esistente, di realtà sindacali di base incapaci di costruire percorsi comuni se non in qualche settore/comparto.

L’esperienza dentro i cobas pubblico impiego nazionale è stata particolarmente deludente, basti pensare alla gestione della federazione con la esclusione dei dissidenti dalle decisioni che contano, un deficit di democrazia che si aggiunge alla assenza di lettura dei processi in atto nella Pubblica amministrazione con il riprodurre un modello organizzativo vecchio e appiattito sulle Rsu o su una linea nazionale inesistente

Ancora piu’ drammatica la situazione nel lavoro privato con un’unica federazione che comprende decine di categorie, senza alcun coordinamento di settore se non rare eccezioni sulle spalle di singoli compagni. Il modello organizzativo dei Cobas è ancorato ad una visione ideologica del mondo del lavoro che già 30 anni fa non funzionava, immaginiamoci oggi…

Qualunque tentativo di mettere in discussione processi organizzativi e decisionali si è scontrato con un muro di gomma.

La critica mossa ai Cobas, andrebbe in parte fatta anche ad altre realtà, fatto sta che tante sigle divise, e spesso in concorrenza tra loro, non hanno consentito al sindacalismo di base di costituire un polo alternativo ai sindacati ormai asserviti al Governo e ai padroni. Tra i segnali positivi da riprendere e valorizzare sono i coordinamenti di settore, dagli autoferrotranvieri a Pubblico impiego in movimento, che hanno messo da parte le logiche di sigla per costruire ambiti unitari di iniziativa e di lotta; la stessa attenzione va posta a tutti quei coordinamenti e comitati di operai che non intendono accettare di essere resi compatibili con le esigenze padronali.

     Che fare allora?

Intanto non disperdiamo le energie e rifuggiamo un atteggiamento strumentale verso il sindacato tipico anche di alcune aree di movimento. Noi pensiamo che ci sia bisogno di un sindacato di classe e conflittuale, lavoriamo nell’ottica di unire i lavoratori e le loro istanze; le esperienze sopra menzionate lo dimostrano e rappresentano un approccio concreto che contraddistinguerà il nostro lavoro. Dare una sponda locale, ma inserirsi dentro il dibattito in corso a livello nazionale per non ripetere l’errore dell’autoreferenzialità locale che ha prodotto solo illusioni.

Il ruolo delle Rsu va messo in seria discussione perchè l’elezione di delegati rappresenta spesso un limite alla azione sindacale riproponendo logiche e dinamiche analoghe a quelle dei sindacati concertativi. Da troppi anni l’azione del sindacato di base si limita alla presenza in Rsu senza alcuna prospettiva di comparto, senza costruire percorsi conflittuali nei luoghi di lavoro; un ruolo spesso residuale e marginale.

Vogliamo costruire dei collegamenti con parte del sindacalismo di base italiano e una solidarietà attiva con i sindacati di classe che resistono alla barbarie neoliberista (per esempio il Pame in Grecia, altre realtà tra Spagna, Francia e Portogallo).

Lo strumento con cui pensiamo di andare avanti è la costruzione di un’associazione che raccolga quanti hanno condiviso l’esperienza nei Cobas e altri lavoratori ancora, un’associazione che inizi a costruire iniziative dentro e fuori i luoghi di lavoro, che si faccia promotrice di dibattiti e confronti su tematiche di carattere nazionale.

Allo stato attuale, vista la presenza di numerosi rsu/rsa al nostro interno, pensiamo che la scelta piu’ ragionevole sia quella di conservare una agibilità sindacale guardando concretamente alla costruzione di altri percorsi, per esempio la presentazione di una lista unitaria del sindacalismo di base all’interno della Rsu nel pubblico impiego, o favorire percorsi di organizzazione dal basso laddove sia possibile e necessario.

Di sicuro questo distacco dai Cobas nazionali e pisano è una scelta sofferta, ma inevitabile per recuperare autonomia progettuale e una iniziativa di classe coerente, per non dover piu’ mediare con settori di movimento che si prefiggono la distruzione tout court della iniziativa sindacale o intendono renderla subalterna a interessi di piccole aree.

I prossimi mesi ci diranno se saremo capaci di raccogliere questa sfida.

 

Aginform  20 maggio 2016

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