“Astensionisti per caso?”

Alberto Asor Rosa concludeva di recente una analisi della situazione politica italiana deducendo la necessità di un governo di salute pubblica per operare una radicale inversione di tendenza rispetto alla degenerazione presente.

 

Astensionisti per caso?

Alberto Asor Rosa concludeva di recente una analisi della situazione politica italiana [Il Manifesto, 8 agosto] deducendo la necessità di un governo di salute pubblica per operare una radicale inversione di tendenza rispetto alla degenerazione presente. In sostanza il prof. Asor Rosa sollecitava una sorta di unità di tutti coloro che si oppongono alla deriva berlusconiana in uno scatto etico-politico che sia in grado di determinare una condizione di ripresa democratica in Italia.

La proposta non è nuova, anche se circola in versioni diverse. C’è chi la definisce governo di responsabilità e chi la prefigura come fronte antiberlusconiano, anche se limitato a esigenze tattiche.

Il prof. Asor Rosa però, in un eccesso di pessimismo ma con realistica valutazione politica, si rende conto della differenza tra ripresa democratica e giochi politici di sistema per cui ipotizza che, in sostanza, una proposta in tal senso verrà respinta al mittente.

E’ a questo punto che si affaccia, nel ragionamento di Asor-Rosa, un’ipotesi finalmente nuova almeno per chi proviene da un certo ambito politico: l’ipotesi dell’astensionismo, il quale, aggiunge il professore, ha raggiunto livelli molto alti e si presenta come un fatto politico rilevante, anche se coperto da ragionamenti banali con l’uso di termini che vanno dal qualunquismo alla disaffezione elettorale.

Non vogliamo, a questo punto, rivendicare la primogenitura della proposta astensionista nè la rappresentanza di chi non ha votato. Però dobbiamo pur dire che da tempo andiamo conducendo una costante battaglia politica astensionista che sta dando i suoi frutti e, ciò che conta di più, è in sintonia con una pulsione, con una tendenza reale che coinvolge quasi la metà dell’elettorato.

Il fatto che l’astensionismo coinvolga non settori marginali dell’elettorato, ma anche consistenti quote di aree politicizzate dà, dunque, il senso della novità.

A questo punto dobbiamo decidere in che modo rapportarci a questa situazione e capire che cosa significa imboccare la strada dell’astensionismo.

Due cose vanno preliminarmente chiarite rispetto alla scelta dell’astensionismo. A nostro parere questa scelta non ha nulla in comune con un’ipotesi ideologista o di rifiuto etico. In sostanza nulla in comune con posizioni settarie o di ripulsa morale contro la politica. Il nostro astensionismo tende a cogliere l’elemento politico oggettivo che sta oggi dietro al non voto. Chi non vota oggi ha capito a che cosa serve il teatrino della politica e si rende conto che votare i protagonisti di queste sceneggiate vuol dire farsi illusioni sulle prospettive di cambiamento. Quello che è importante è che il 46% degli elettori non si è prestato a questo gioco. L’astensionismo non è dunque la retroguardia, ma esattamente il suo contrario.

Ma. diranno i teorici del meno peggio, chi vota ha coscienza della scelta e chi non vota non esprime nessuna coscienza. No, diciamo noi, chi non vota ha capito l’essenziale, anche se lo esprime solo in negativo, una negatività che produce però una salutare rottura.

Ve la immagine una alternativa a Berlusconi che abbia la faccia di Rutelli, Casini e soci?

E’ possibile trasformare questa negatività in un progetto? Noi riteniamo che sia possibile e necessario.

Possibile, perchè i ragionamenti di Asor-Rosa dimostrano l’allargamento dell’area cosciente del non voto. Necessario, perchè se non si riesce a sottrarre la gente alle illusioni di queste alternanze, i giochi e le delusioni aumenteranno e si prospetteranno nuove e peggiori avventure di quelle berlusconiane.

I nostri critici, non solo quelli del meno peggio, ma anche gli astensionisti per caso che ora si sentono in dovere di dare lezioni di coerenza al prof.Asor- Rosa, ci aspettano al varco della domanda rituale: e dopo l’astensionismo? Intanto diciamo che è necessario raggiungere già dalle prossime elezioni la maggioranza del 51% dei non votanti che un movimento astensionista organizzato deve poi saper utilizzare per dimostrare la non leggittimità di un potere che si riproduce su se stesso e non ha nulla di democratico.

Questo è il ragionamento di partenza per far saltare il banco dell’ipocrisia democraticistica. Ma l’obiettivo non è solo questo. Il rifiuto di votare vuol dire anche che c’è soprattutto sfiducia sui programmi dei partiti che si contendono la scena e che vengono percepiti come vuoti di contenuti reali e non in grado di modificare la situazione reale.

L’astensionismo pone dunque direttamente il problema della realizzazione di obiettivi che sono condivisi da milioni di persone: questioni sociali, questioni ambientali, rifiuto delle guerre, natura criminale e lobbystica del sistema, riorganizzazione dell’economia fuori della logica dello sviluppismo. Su questo il movimento astensionista si organizza, ribadisce il suo NOT IN MY NAME e deve saper trasformare l’astensionismo da fattore passivo a partecipazione attiva alla lotta politica.

Roberto Gabriele e Paolo Pioppi

24 agosto 2010

 

http://www.aginform.org/gabri182.html

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