“Abbandonare le illusioni”

“Nel corso di questa crisi, che ha avuto l’esito che conosciamo, cioè la formazione di un governo Lega-5stelle, molti hanno pensato che i processi di trasformazione del quadro politico potessero essere riportati al punto di partenza”.

 

Abbandonare le illusioni

 

(foto: Torino: il PD si aggrappa al diktat di Mattarella del 27 maggio)

Nel corso di questa crisi, che ha avuto l’esito che conosciamo, cioè la formazione di un governo Lega-5stelle, molti hanno pensato che i processi di trasformazione del quadro politico potessero essere riportati al punto di partenza. A questo si sono dedicati in modo vergognoso i sacerdoti della stampa di regime e le forze politiche che hanno sentito crollare le loro certezze. Sembrava quasi che costoro, dopo il diktat di Mattarella, stessero per raggiungere l’obiettivo, ma il precipitare della situazione ha rimesso tutto in discussione e si è verificato quello che qualcuno di noi aveva sottolineato fin dal principio e cioè che si era messa in moto una situazione di fatto irreversibile.

Questo è il dato di fondo che è emerso, ben aldilà delle caratteristiche delle forze politiche che stanno rubando la scena. Invece nei giorni scorsi abbiamo visto riproporsi la solita storia di chi vede l’albero e non la foresta. In questo caso la foresta è rappresentata dalla messa in discussione del principio su cui sono fondati i rapporti tra componenti della UE e sulla politica da questa portata avanti. Una cosa che avrebbe dovuto suscitare l’interesse di quanti da anni stavano strillando contro Bruxelles e la sua politica. Ma invece di capire che leghisti e 5stelle sono l’espressione di questo capovolgimento, è scattato – in malafede e non solo per cretinismo politico – il richiamo dell’appartenenza ideologica per coprire responsabilità e incapacità.

Il PD, a corto di argomenti, si è stretto attorno alla difesa, assai problematica, delle prerogative presidenziali, proponendo l’unione sacra contro i nuovi barbari.

La sinistra autistica, invece di capire il ruolo che in questo contesto avrebbe dovuto svolgere, si è attaccata per lo più a logiche identitarie. Le questioni principali in ballo erano due: il golpe Mattarella del 27 maggio e l’apertura di una fase di governo non allineata alla politica UE, contro cui il golpe era diretto. Ma la sinistra autistica non l’ha capito, e nessuno è sceso in piazza contro il golpe pro UE di Mattarella né si è soffermato a riflettere su ciò che stava accadendo. Questo ha permesso al presidente della Repubblica di uscire fuori dalla crisi da lui stesso provocata.

Dunque, se è vero – come è vero – che la questione del governo, di questo governo, è legata al destino di questa Europa e se è vero che la situazione sta smottando anche in rapporto a ciò che sta avvenendo nel rapporto tra Europa e USA, con l’accumularsi dei contrasti, come si vede tra l’altro dalla guerra dei dazi, qual’è la prospettiva che ci aspetta e come sarebbe opportuno che i (pochi) comunisti rimasti si muovessero?

In primo luogo dovrebbero spingere perchè il processo reale contro questa Europa vada avanti senza attardarsi in pratiche eurostoppistiche che lasciano il tempo che trovano. Dovrebbero quindi smettere di gridare al lupo, quando il vero lupo ce l’hanno in casa ed è rappresentato dagli ‘antifascisti’ di facciata e dai difensori di una Costituzione negata nei fatti.

In secondo luogo dovrebbero sforzarsi di capire quali sono i meccanismi reali che mettono in crisi, in Europa e nel mondo, gli equilibri del vecchio sistema imperiale di cui l’Europa fa parte e che cosa questo comporta in termini geopolitici, militari, economici. E a partire da questo dovrebbero far derivare una concreta prospettiva politica.

In terzo luogo dovrebbero pensare, prima che sia troppo tardi, a come va tessuto un rapporto organizzativo che sia adeguato a questa fase, evitando ogni logica del tipo di quella degli arancioni della ‘sinistra alternativa’.

Soprattutto si deve considerare che il nostro futuro è legato a una prospettiva di guerre e a una dinamica economica del tipo degli anni ’30 del secolo scorso, che può essere affrontata solo agganciandosi a dinamiche reali e livelli organizzativi adeguati.

Tenendo conto di questo, che è il minimo comune denominatore, si può ipotizzare di aprire una discussione tra comunisti.

Aginform
1 giugno 2018

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