Nell’UE armi in quantità a Paesi sotto il tacco dei dittatori

Un’Europa dall’espressione cattiva, davvero truce. Lontana anni luce da quella che prescrive misure per ridurre la diffusione di armi agli Stati membri. Il tutto in nome della sicurezza. E del business che arricchisce i giganti nazionali delle armi.

 

La faccia spietata dell’Ue: armi in quantità a Paesi sotto il tacco dei dittatori. E le aziende europee brindano

 

 

Un’Europa dall’espressione cattiva, davvero truce. Lontana anni luce da quella che prescrive misure per ridurre la diffusione di armi agli Stati membri. Il tutto in nome della sicurezza. E del business che arricchisce i giganti nazionali delle armi. Il rapporto “Expanding the Fortress – Espandendo la Fortezza” di Mark Akkerman fa il ritratto di un’Unione europea pronta a tutto pur di tener lontani i migranti dai propri confini: compreso l’accordo, e l’implicito riconoscimento, di governi autoritari e di conseguenza non rispettosi dei diritti umani. La ricerca analizza vari aspetti relativi alla gestione dei flussi migratori, partendo dal principio dell’esternalizzazione del controllo. Seguendo sia le politiche attuate che la dotazione di armamenti come navi, elicotteri e sistemi di controllo biometrico. Insomma, ogni strumento utile per favorire controllo e sorveglianza.

Dittatori a mano armata

Molti dittatori, perché di questo si parla, vengono quindi in possesso di armi cedute, a suon di ricche commesse, proprio da produttori europei. Lo scopo? Sulla carta è quello nobile di “garantire” i confini. Un “aiutiamoli a casa loro” con le tecnologie più avanzate concesse a presidenti tutt’altro che attenti ai diritti. E la sicurezza si trasforma in questo modo in un business miliardario.  “L’industria delle armi e della sicurezza ha contribuito a definire le politiche di sicurezza delle frontiere europee e ha raccolto i frutti di ulteriori misure e contratti di sicurezza alle frontiere”, si legge infatti nel documento di sintesi che illustra il contenuto del dossier. Una cassaforte per le aziende del settore, e un incubo per le popolazioni costrette a vivere sotto il tacco dei dittatori. Con l’effetto controproducente di alimentare il desiderio di fuggire dai Paesi di origine, come sottolinea lo stesso Akkerman commentando il suo lavoro.

Affare sconfinato

Lo studio mette in evidenza proprio l’elemento legato al giro economico che si crea intorno alla sicurezza. La Rete italiana per il disarmo sintetizza così:

L’aumento dei finanziamenti per il controllo delle frontiere d’altro canto ha configurato un forte vantaggio per le imprese di armi e sicurezza che stanno investendo sempre più nelle tecnologie di sicurezza e di sorveglianza delle frontiere.

Il beneficio economico, in questo caso, non conosce confini: dalla Regno Unito all’Italia, passando per la Germania e la Francia, l’elenco delle società è piuttosto lungo e significativo.

Tra i principali vincitori dei contratti per la sicurezza delle frontiere figurano il gigante francese delle armi Thales e l’azienda europea Airbus, entrambi importanti esportatori di armi nella regione, i fornitori biometrici Veridos, OT Morpho e Gemalto, le imprese tedesche Hensoldt e Rheinmetall, le imprese italiane Leonardo e Intermarine e le società turche di difesa Aselsan e Otokar.

Il meccanismo è articolato su più livelli: il business è ghiotto anche per la società semi-pubblica francese Civipol, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (IOM) e il Centro Internazionale per lo Sviluppo delle Politiche Migratorie (ICMPD). Con coinvolgimenti multipli: Civipol è per esempio anche azionista di società come Thales, Airbus e Safran.

Vendita sotto embargo

Non basta nemmeno l’embargo, da parte delle Nazioni Unite o dell’Unione europea, a fermare la vendita di armi, come emerge dai casi di Egitto e Libia. I rifornimenti continuano ad affluire nei 35 Paesi presi in esame dal dossier, indipendentemente dal fatto che non siano (eufemismo) proprio un esempio di democrazia e di rispetto dei diritti umani. Tanto per rendere l’idea: il valore delle licenze, rilasciate dagli Stati membri dell’UE per la esportazione delle armi a quei 35 Paesi nel decennio 2007-2016, supera i 122 miliardi di euro.

 

La tabella che analizza vari fattori (vedi legenda sotto), compresi il commercio di armi
La legenda tabella qui sopra

 

Akkerman, nel commento al corposto studio, ha sottolineato la necessità di cambiare radicalmente le politiche:

Si tratta di un concetto di sicurezza limitato e fondamentalmente controproducente perché non affronta le cause profonde che spingono le persone a migrare e, rafforzando direttamente o indirettamente le forze militari e di sicurezza nella regione, rischia di esacerbare la repressione e alimentare i conflitti che porteranno ad ancora più rifugiati. È ora di cambiare rotta.

Un buon punto di partenza sarebbe quello di recidere il principio dell’esportazione di armi. Quella tragica forma di “aiutiamoli a casa loro” che significa “l’importante è che restiate lontani”. Ma che è una “bomba” che esplode in mano.

 

 

 

 

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