Alle Fiji si coltiva il cambiamento

Alle Fiji si coltiva il cambiamento

Ci sono luoghi che sempre evocano idilliaci scenari di paesaggi incontaminati e spiagge dorate, acque cristalline e … orti. Siamo alle Fiji, per l’immaginario collettivo una sorta di paradiso accessibile a pochi, da qualche parte nel Pacifico del Sud… e l’aver nominato la parola “orto” non è un gioco a “trova l’intruso”.

 

Alle Fiji si coltiva il cambiamento

Alle Fiji si coltiva il cambiamento
(Foto di Flickr)

“Vento d’estate, io vado al mare voi che fate?” canta Max Gazzè. In effetti, che sia tempo di vacanze o di evasioni, ci sono luoghi che sempre evocano idilliaci scenari di paesaggi incontaminati e spiagge dorate, acque cristalline e … orti. Siamo alle Fiji, per l’immaginario collettivo una sorta di paradiso accessibile a pochi, da qualche parte nel Pacifico del Sud… e l’aver nominato la parola “orto” non è un gioco a “trova l’intruso”.

In molte delle notizie degli ultimi anni, anche tra quelle di cui vi racconta Unimondo, il riferimento al “cambiamento climatico” impera: è inflazionato? Purtroppo, no. Trascurando la minoranza che li nega, millantando complotti internazionali per ostacolare lo sviluppo economico di una minoranza peraltro indubbiamente avida e antropocentrica, i cambiamenti climatici ci parlano troppo spesso, dati alla mano, di un mondo in pericolo. E alle isole Fiji gli effetti sono innegabili, oltre che evidenti: gli insediamenti costieri sono minacciati dell’innalzamento del livello del mare. A questo si aggiungono altri ordini di problematiche, come ad esempio un mercato dominato da cibo che sempre meno ha a che fare con la dieta tradizionale e un livello di salute della popolazione locale che tende al ribasso. Fra le principali cause di questi peggioramenti l’adozione di pratiche alimentari scorrette, che rinunciano all’utilizzo di prodotti freschi e locali a favore di fast food e cibi preconfezionati, diffusi anche nelle zone rurali. Le soluzioni proposte dalla politica sollevano più d’una perplessità: lo spostamento dei nuclei abitati dalle coste all’entroterra, per esempio, è evidentemente un’azione riparatoria di un’ingenuità quasi comica per temporaneità degli effetti e per poca lungimiranza.

L’impotenza è un sentimento che sguscia tra le crepe della fiducia e può farsi strada diffondendo apatia, disinteresse e uno sconforto gravido di pericolose conseguenze. L’Oceano sta molto rapidamente inghiottendo i villaggi, erodendo velocemente le coste. Sono anticipazioni di un futuro assolutamente non desiderabile, che chiamano a un rigore di proposte e azioni volte invece a contenere, quando non si possano ostacolare, gli effetti dei mutamenti in atto, partendo da quelle cause spesso in carico alla responsabilità dell’uomo: dalle politiche minerarie irresponsabili alle agricolture intensive annaffiate di pesticidi.

Data la situazione, quali alternative sostenibili sono immaginabili e quindi anche praticabili? È la domanda che si sono posti gli abitanti di queste isole, motivati dalla difesa di uno spazio di vita e di prospettive, consapevoli di abitare in un luogo che assomiglia molto a un paradiso e convinti di voler evitare a ogni costo che diventi un inferno. Buone pratiche dal basso le chiamano, motivate e coordinate da Leo Nainoka, un leader la cui storia ce la racconta qui Carlo Petrini: “Stiamo lavorando per educare la gente ad alternative sostenibili”, dice Leo a Petrini. “La buona notizia è che stiamo collaborando con il Dipartimento per la Nutrizione per insegnare nei villaggi l’importanza di mangiare la frutta locale, le verdure e le radici e per enfatizzare i valori nutrizionali di questi cibi salutari”. Certo, non si tratta solo di mangiare sano e locale: si tratta anche di arginare le deforestazioni richieste dall’industria del legno, che negli ultimi anni ha aumentato il livello di preoccupazione nei confronti della tutela del territorio e degli equilibri di queste isole. Questo lo si fa, appunto, promuovendo la nascita e la diffusione di orti locali biologici e comunitari, che attivano reti a difesa del territorio e della cultura locale, includendo anche le tradizioni alimentari, ma non solo: Seep (Social empowerment and education program) è un progetto educativo che racconta di conoscenze condivise, di consapevolezza e responsabilità, per non arrendersi e cercare soluzioni fuori dagli schemi di decisioni globalizzate ed effetti che asfaltano l’identità di territori e comunità. E se, come dice Leo, “il tempo ci darà risposte”, qui si stanno dando da fare in fretta, sapendo che di tempo non ne resta molto e sapendo anche che quello che rimane va investito al meglio per difendere non le ricchezze di ciascuno, ma quelle di tutti.

Qui l’articolo originale sul sito del nostro partner

02.08.2018 – Unimondo

 


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Redazione Italia

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