Mobilitiamoci contro la guerra della NATO in Libia!

“Sotto il pretesto di salvare le popolazioni civili, e con la pezza d’appoggio di una risoluzione del consiglio di sicurezza dell’Onu si riscaldano i motori dei Tornado”.

Libia. Mobilitiamoci contro la guerra della NATO!

 

 

A 12 anni dalla “guerra umanitaria” della NATO che dal 24 marzo 1999 bombardò la Serbia per tutta la primavera per riportarla, come dichiarò il generale Wesley Clark, indietro di mezzo secolo, le potenze imperialiste fanno altrettanto con la Libia, cento anni dopo l’invasione italiana. È questione di qualche giorno, se non di ore.

Sotto il pretesto di salvare le popolazioni civili, e con la pezza d’appoggio di una risoluzione del consiglio di sicurezza dell’Onu (10 a favore, 5 astenuti: Brasile, Cina, Russia, India, Germania) riscaldano i motori dei Tornado. In prima fila questa volta ci sono Francia, Inghilterra e gli USA, con la Clinton, pronta ad eguagliare e superare le imprese del coniuge che bombardò la Serbia, sostenuto dalla dama di ferro Madeleine Albright.

Come allora, nel 1999, anche ora si è messa in moto la macchina infernale delle menzogne mediatiche e della demonizzazione del “dittatore” di turno per giustificare l’aggressione militare a un paese ricco di petrolio e porta per l’Africa centrale (il continente dove già da tempo si è scatenata la contesa tra potenze per una sua ripartizione neocoloniale). Gli stessi che perorano l’urgenza improcrastinabile della guerra umanitaria contro la Libia, non hanno mai levato la voce neppure per deplorare la violenza di Israele che si è abbattuta nel dicembre 2008-gennaio 2009 sulla popolazione di Gaza, prigione a cielo aperto per i palestinesi, e che haa provocato migliaia di vittime; né si preoccupano per la violenza omicida dei governi del Bahrein o dello Yemen, dove l’Arabia Saudita (uno stato che porta il nome di una dinastia!) interviene con le sue truppe contro i manifestanti. Sono le stesse petromonarchie – dagli Emirati all’Arabia – legate a filo doppio con gli USA, che inviano armi e truppe agli insorti contro Gheddafi. I quali – quale che sia la loro coscienza soggettiva (tra essi troviamo ex ministri e alti funzionari della Jamahiriya) – sono lo strumento di cui si servono le forze imperialiste per mettere le mani sul paese, non solo per le sue importanti risorse energetiche, ma per la sua collocazione geografica strategica per il Mediterraneo e per l’Africa.

Nelle condizioni concrete della Libia l’imposizione di una “No fly zone” implica un bombardamento militare ad ampio raggio. Come concordano molti esperti, l’attuazione di una no fly zone sulla Libia dovrebbe cominciare con un attacco, “nel senso – spiega l’ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica Leonardo Tricarico – che occorre neutralizzare i mezzi antiaerei nemici, cioè distruggere radar e postazioni missilistiche. Noi questa capacità, cosiddetta SEAD, cioè ‘soppressione delle difese aeree nemiche’, ce l’abbiamo ed e’ costituita dai caccia Tornado: l’abbiamo fatto in Kosovo insieme ai tedeschi e dopo tre giorni non volava più un aereo serbo”.

L’Italia potrà mettere a disposizione questi assetti aerei, eventualmente insieme ai caccia F-16 ed Eurofighter, idonei per il pattugliamento e la sorveglianza, oltre agli aeroplani Av8, di cui e’ equipaggiata la portaerei Cavour. Viene data per scontata la messa a disposizione delle basi aeree, specie quelle del centro-sud, sia per il rischieramento degli aerei di altri Paesi, sia per l’assistenza logistica. Gli aerei-radar Awacs, ad esempio, potrebbero essere dislocati a Trapani, che e’ specificatamente attrezzata per questo tipo di velivoli, ma basi idonee ad ospitare caccia sono tutte: da Grazzanise a Gioia del Colle. Si potrebbe ricorrere, in caso di necessità, perfino a Lampedusa o Pantelleria. Vi e’ poi un’altra capacità fondamentale, ricorda ancora il generale Tricarico, “che ha a che fare con l’intelligence e di cui e’ dotata l’Italia: si tratta della costellazione di satelliti Cosmo-Skymed che e’ completamente operativa e che ha una performance superiore a qualsiasi altro sistema esistente. Grazie a questi satelliti si può avere una rappresentazione fotografica ricorrente con definizione molto alta, quanto di meglio ci sia oggi in circolazione”. Agli stessi fini possono essere impiegati anche gli aerei senza pilota (droni) ‘Predator’, che sono dotati di grande autonomia e che potrebbero essere pilotati dalla loro base di Amendola, in Puglia.

L’Italia –  le regioni meridionali in particolare – è direttamente coinvolta. Il governo mette a disposizione uomini e mezzi, sistemi radar e basi militari. Il ministro della guerra Larussa, memore di “Tripoli bel suol d’amore … Tripoli sarà italiana, sarà italiana al rombo del cannon!” offre la disponibilità di sette basi militari, “senza nessun limite restrittivo all’intervento”  Si tratta di Amendola, Gioia del Colle, Sigonella, Aviano, Trapani, Decimomannu e Pantelleria: alcune, dice ancora La Russa, sono già state chieste da inglesi e americani. “Abbiamo forte capacità di neutralizzare radar di ipotetici avversari, e su questo potrebbe esserci una nostra iniziativa: possiamo intervenire in ogni modo” [“La repubblica”].

Salvo qualche defezione da una parte e dall’altra (Lega e IDV), tutto il parlamento, governo e opposizione “democratica”, indossa l’elmetto di guerra.

Bersani, segretario del PD, rincara la dose: dopo aver quasi bacchettato l’ONU per aver ritardato di qualche giorno la decisione, dichiara che lui e il suo partito sono “pronti a sostenere il ruolo attivo dell’Italia. Il governo conosce la nostra disponibilità, noi chiediamo soltanto che in queste ore non ci siano dichiarazioni estemporanee e contraddittorie. Bisogna parlare con gli altri Paesi disponibili e con la Nato. Nessuno faccia lo stratega, questa è una cosa seria” [ADN Kronos].

Non è da meno il presidente Napolitano, quello che dovrebbe difendere la Costituzione (art. 11: L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo). Nel suo intervento al Teatro Regio di Torino nell’ambito delle celebrazioni per il 150° dell’Unita’ d’Italia – occasione solenne – ha detto: ”Nelle prossime ore l’Italia dovrà prendere decisioni difficili, impegnative sulla situazione che si e’ venuta a creare in Libia. Ma se pensiamo a quello che e’ stato il Risorgimento come grande movimento liberale e liberatore, non possiamo rimanere indifferenti alla sistematica repressione di fondamentali libertà e diritti umani in qualsiasi Paese. Non possiamo lasciare che vengano distrutte, calpestate, le speranze che si sono accese di un risorgimento anche nel mondo arabo, cosa decisiva per il futuro del mondo. … Mi auguro che le decisioni da prendere, siano dunque circondate dal massimo consenso e dalla consapevolezza dei valori che l’Italia unita incarna e che dobbiamo salvaguardare ovunque” [ANSA]. Anche nel 1911 era passato solo mezzo secolo…) il Risorgimento fu tirato in ballo per la guerra di Libia, insieme con la retorica pascoliana della “grande proletaria si è mossa”. Oggi si fa l’interventismo – o meglio, l’imperialismo – democratico e la “guerra umanitaria”…  

Nessuno accenna all’unica proposta internazionale seria, quella del presidente venezuelano Chavez e dei paesi progressisti latino americani, per una mediazione tra le parti in conflitto. La pace non va bene alle potenze che in  concorrenza tra loro vogliono riprendersi “il posto al sole”. Questa guerra interna alla Libia è stata alimentata dalle potenze che ora dicono di voler portare pace e democrazia: agli insorti di Bengasi arrivano armi ed equipaggiamento, e consiglieri militari delle potenze occidentali. Si alimenta la guerra interna per giustificare l’aggressione esterna. Vecchia storia…

Contro la partecipazione dell’Italia alla guerra di Libia si è espresso il presidente della Federazione della Sinistra Oliviero Diliberto, segretario del Pdci e Paolo Ferrero del PRC.

Cominciano a mobilitarsi in diverse città le reti militanti contro la guerra.

Occorre farlo anche in Puglia, dove potrebbero essere usate le basi di Gioia del Colle e di Amendola, sapendo che, come 12 anni fa per la Jugoslavia, anche oggi ci si dovrà battere contro il partito mediatico della guerra, per smascherare gli inganni e le ideologie di giustificazione di questa guerra neocolonialista.

Allego alcuni articoli tratti dal sito dell’ernesto, che chiariscono le ragioni molto poco umanitarie della guerra alle porte (Chossudovsky),  alcuni meccanismi dell’inganno mediatico (Diana Johnstone (è’ anche utile “Mondo di guerra”, numero monotematico di “Athanor” a cura di Andrea Catone e Augusto Ponzio) e l’articolo di Manlio Dinucci sul manifesto di oggi 19 marzo (è molto utile il suo libro “Geostoria dell’Africa”, Zanichelli 2005, che chiarisce il ruolo vecchio e nuovo delle potenze coloniali.

 

Andrea Catone. Lisbona, 19 3 2011

http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=20729

http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=20721

http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=20730

 

Dall’Iraq alla Libia, la guerra dei vent’anni

Manlio Dinucci

La risoluzione del Consiglio di sicurezza che, il 17 marzo 2011, autorizza a prendere «tutte le misure necessarie» contro la Libia ricorda quella che, il 29 novembre 1990, autorizzava l’uso di «tutti i mezzi necessari» contro l’Iraq. Vent’anni fa, approfittando della disgregazione dell’Urss e del suo blocco di alleanze, gli Stati uniti e le maggiori potenze europee della Nato spostavano il centro focale della loro strategia nel Golfo, attaccando nel 1991 l’Iraq, uno dei principali produttori petroliferi con riserve stimate tra le maggiori del mondo. Oggi nel mirino c’è la Libia, le cui riserve petrolifere sono le maggiori dell’Africa, il doppio di quelle statunitensi.

Vent’anni fa il nemico numero uno era Saddam Hussein, già alleato degli Usa nella guerra contro l’Iran (altro grosso produttore petrolifero) quando al potere c’era Khomeini, allora al primo posto nella lista dei nemici: quel Saddam Hussein caduto poi nella trappola, quando l’ambasciatrice Usa a Baghdad gli aveva fatto credere che Washington sarebbe rimasta neutrale nel conflitto Iraq-Kuwait. Oggi il nemico numero uno è il capo della Libia Muammar Gheddafi, con il quale la segretaria di stato Hillary Clinton dichiarava poco tempo fa di voler «approfondire e allargare la cooperazione».

 Vent’anni fa, al momento in cui il Consiglio di sicurezza autorizzava la guerra contro l’Iraq, gli Stati uniti e i loro alleati avevano già schierata nel Golfo una imponente forza aeronavale (1.700 aerei e 114 navi da guerra), che sarebbe stata comunque usata anche senza il nullaosta dell’Onu. Lo stesso oggi: prima dell’autorizzazione del Consiglio di sicurezza a prendere «tutte le misure necessarie» contro la Libia, era già pronta una potente forza aeronavale Usa-Nato ed erano state attivate per l’attacco le basi in Italia. Il metodo è lo stesso: gettare prima la spada sul piatto della bilancia politica e usare quindi tutti i mezzi (compresi scambi di «favori») per impedire che un membro permanente del Consiglio di sicurezza usi il «diritto di veto»: nel 1990 l’Urss di Gorbaciov votò a favore e la Cina si astenne; oggi la Russia si è astenuta insieme alla Cina, ma il risultato è lo stesso.

 Oggi, come nel 1990, l’intervento armato viene motivato con la «difesa dei diritti umani» e la «protezione dei civili». E si lodano nella risoluzione i governi arabi che partecipano a  questo nobile sforzo: come la monarchia assoluta del Bahrain, che ha chiamato le truppe saudite per reprimere nel sangue la lotta del suo popolo per i più elementari diritti umani, e il regime  yemenita che sta facendo strage dei civili che manifestano per la democrazia.

Oggi, come nella prima guerra del Golfo e nelle successive – quella contro la Jugoslavia nel 1999, l’Afghanistan nel 2001, l’Iraq nel 2003 – l’Italia continua a svolgere il suo ruolo di gregario agli ordini di Washington. Con la differenza che, mentre vent’anni fa c’era una sinistra ancora impegnata contro la guerra, oggi c’è un Bersani che, alla vigilia di un intervento armato con le stesse finalità, esclama «alla buon’ora».

 

(il manifesto, 19 marzo 2011)

 

 

Le potenze imperialiste e la Libia

di Michel Chossudovsky*

su L’ERNESTO 6/2010 del 18/03/2011

Il caso Libia è fondamentalmente diverso da quello di Egitto e Tunisia. Non è un movimento di protesta non violento, l’insurrezione armata, è direttamente supportata da potenze straniere che intendono mettere le mani sul petrolio libico.

Prima e seconda parte di un’analisi sul “caso Libia”, che documenta, anche sulla scorta dei fondamentali articoli di Manlio Dinucci, le manovre USA-NATO per invadere la Libia, nonché le contraddizioni interimperialistiche nella lotta per la spartizione dell’Africa.

L’articolo è pubblicato nel numero in distribuzione di l’Ernesto rivista

I
Insurrezione e intervento militare:
accordo USA-NATO sul tentato colpo di Stato in Libia?1

Gli Stati Uniti e la NATO stanno sostenendo un’insurrezione armata in Libia orientale, al fine di giustificare un “intervento umanitario“. Questo non è un movimento di protesta non violento, come in Egitto e Tunisia. Le condizioni in Libia sono fondamentalmente diverse. L’insurrezione armata, in Libia orientale è direttamente supportata da potenze straniere. Gli insorti a Bengasi hanno subito issato la bandiera rossa, nera e verde con la mezzaluna e la stella: la bandiera della monarchia di re Idris, che simboleggiava il dominio delle ex potenze coloniali2.
I consiglieri militari e le forze speciali USA e NATO sono già sul terreno. L’operazione è stata pianificata per farla coincidere con il movimento di protesta nei paesi arabi vicini. L’opinione pubblica è stata indotta a credere che il movimento di protesta si sia diffuso spontaneamente dalla Tunisia e dall’Egitto verso la Libia. L’amministrazione Obama, in consultazione con i suoi alleati, supporta una ribellione armata, cioè un tentativo di colpo di Stato: “L’amministrazione Obama è pronta ad offrire qualsiasi tipo di assistenza a cittadini libici che cercano di cacciare Muammar Gheddafi”, ha detto la segretaria di Stato Hillary Clinton il 27 Febbraio. “Abbiamo raggiunto diversi libici che stanno tentando di organizzarsi in Oriente mentre la rivoluzione si sposta verso ovest […] Penso che sia troppo presto per dire come andrà a finire, ma abbiamo intenzione di essere pronti e preparati ad offrire qualsiasi tipo di assistenza a chiunque la voglia dagli Stati Uniti”. Attualmente si sta formando un governo provvisorio nella parte orientale del paese, dove la ribellione è iniziata a metà febbraio.
Gli Stati Uniti, ha detto la Clinton, stanno per minacciare ulteriori misure contro il governo di Gheddafi, ma non ha detto dove o quando potrebbero essere annunciate. Gli USA dovrebbero “riconoscere un governo provvisorio, che stanno cercando di impostare…” [McCain].
Lieberman ha parlato in termini analoghi, sollecitando “un appoggio tangibile, una no-fly zone, il riconoscimento del governo rivoluzionario, del governo dei cittadini, da sostenere sia con l’assistenza umanitaria, sia – come io vorrei – fornendo loro le armi”3.

L’invasione pianificata
Un intervento militare è oggi preso in considerazione dalle forze USA e della NATO, nel quadro di un “mandato umanitario”.
Il portavoce del Pentagono, colonnello dei Marines Dave Lapan ha detto il 1° marzo che “gli Stati uniti stanno muovendo forze navali e aeree nella regione” per “preparare l’intera gamma di opzioni” nei confronti della Libia, aggiungendo poi che “è stato il presidente Obama a chiedere ai militari di preparare tali opzioni”, perché “la situazione in Libia sta peggiorando”4.
Il vero obiettivo dell’“Operazione Libia” non è quello di stabilire la democrazia, ma di prendere possesso delle riserve di petrolio della Libia, destabilizzare la National Oil Corporation (NOC) e, infine, privatizzare l’industria petrolifera del paese, vale a dire trasferire il controllo e la proprietà delle ricchezze petrolifere della Libia in mani straniere. La National Oil Corporation (NOC) è classificata tra le prime 25 compagnie petrolifere del mondo5.
La Libia è tra le più grandi economie petrolifere del mondo, con circa il 3,5% delle riserve mondiali di petrolio, più del doppio di quelle degli Stati Uniti. L’invasione pianificata della Libia è già in corso nell’ambito della più ampia “battaglia per il petrolio”. Quasi l’80% delle riserve di petrolio della Libia si trova nel bacino del Golfo della Sirte, nella Libia orientale.
Le ipotesi strategiche dietro l’“Operazione Libia” ricordano i precedenti impegni militari USA-NATO in Jugoslavia e in Iraq.
In Jugoslavia, le forze USA-NATO innescarono una guerra civile. L’obiettivo era quello di creare divisioni politiche ed etniche, che alla fine hanno portato alla dissoluzione di un intero paese. Questo obiettivo è stato raggiunto attraverso il finanziamento occulto e la formazione di eserciti armati paramilitari, prima in Bosnia (l’esercito bosniaco musulmano, 1991-95) e poi in Kosovo (Kosovo Liberation Army: UCK, 1998-1999). Sia in Kosovo che in Bosnia la disinformazione dei media (comprese menzogne e invenzioni) è stata utilizzata a sostegno delle affermazioni di Stati Uniti ed Unione Europea, secondo cui il governo di Belgrado avrebbe commesso atrocità, ragion per cui era giustificato un intervento militare per motivi umanitari.
Ironia della sorte, l’“Operazione Jugoslavia” è ora sulla bocca dei responsabili della politica estera USA: il senatore Lieberman ha “paragonato la situazione in Libia agli eventi nei Balcani negli anni ‘90, affermando che gli USA “intervennero per fermare un genocidio contro i bosniaci. E la prima cosa che abbiamo fatto è stata quella di fornire loro le armi per difendersi. Questo è ciò che penso si debba fare in Libia”6.
Lo scenario strategico sarebbe quello di sostenere la formazione e il riconoscimento di un governo ad interim nella provincia secessionista, al fine di spaccare il paese. Questa opzione è già in corso. L’invasione della Libia è già cominciata.
“Centinaia di consiglieri militari statunitensi, francesi e britannici sono arrivati in Cirenaica, la provincia orientale separatista della Libia […]. I consiglieri, tra cui ufficiali dei servizi segreti, sono sbarcati da navi da guerra e da motovedette lanciamissili, nelle città costiere di Bengasi e Tobruk”7.
Le forze speciali statunitensi e alleate sono sul terreno, in Libia orientale, fornendo sostegno segreto ai ribelli. Ciò è stato riconosciuto quando dei commando inglesi delle forze speciali (SAS) sono stati arrestati nella regione di Bengasi. Agivano come consiglieri militari delle forze di opposizione: “La missione segreta di otto commando delle forze speciali britanniche per mettere dei diplomatici britannici in contatto con i capi dell’opposizione al Colonnello Muammar Gheddafi in Libia si è conclusa con un’umiliazione, dopo che sono stati detenuti dalle forze ribelli nella parte orientale della Libia, scrive oggi il Sunday Times. Gli uomini, armati, ma in abiti civili, hanno sostenuto che erano lì per vedere se gli oppositori avessero bisogno di aiuto, e per offrirlo loro”8.
Le forze SAS sono state arrestate mentre scortavano una “rappresentanza diplomatica” britannica, che era entrata illegalmente nel paese (senza dubbio da una nave da guerra britannica) per discussioni con i leader della ribellione. Il Foreign Office britannico ha riconosciuto che “una piccola squadra di diplomatici britannici era stata inviata nella Libia orientale per avviare contatti con l’opposizione in rivolta”9.
Ironia della sorte, non solo i rapporti confermano l’intervento militare occidentale (tra cui vi sono alcune centinaia di forze speciali), ma riconoscono anche che i ribelli erano fermamente contrari alla presenza illegale di truppe straniere sul suolo libico: “L’intervento delle SAS ha fatto arrabbiare degli esponenti dell’opposizione libica, che hanno ordinato ai soldati di rinchiuderli in una base militare. Gli oppositori di Gheddafi temono che egli possa usare le prove dell’interferenza militare occidentale per avere il sostegno patriottico al suo regime”10.
Il “diplomatico” britannico catturato insieme con sette soldati delle forze speciali, era un membro dell’intelligence inglese, un agente dell’MI6 in “missione segreta”11.
Come confermano le dichiarazioni della NATO e degli Stati Uniti, sono state fornite armi alle forze di opposizione. Ci sono indicazioni, anche se finora nessuna prova evidente, che sono state consegnate armi agli insorti prima del furioso assalto dei ribelli. Con ogni probabilità, i consiglieri militari e dell’intelligence USA-NATO erano presenti sul terreno anche prima dell’insurrezione. Questo è stato il modello applicato in Kosovo: le forze speciali sostennero e addestrarono l’Esercito di liberazione del Kosovo (UCK) nei mesi precedenti la campagna di bombardamenti e l’invasione della Jugoslavia del 1999.
Mentre si svolgono gli eventi, tuttavia, le forze del governo libiche hanno ripreso il controllo delle posizioni dei ribelli: “La grande forza offensiva pro-Gheddafi lanciata [il 4 Marzo] per strappare ai ribelli il controllo delle più importanti città e dei centri petroliferi della Libia, ha portato [il 5 marzo] alla riconquista della città chiave di Zawiya e della maggior parte delle città petrolifere del Golfo della Sirte. A Washington e a Londra, i discorsi per un intervento militare a fianco dell’opposizione libica, sono stati tacitati dalla consapevolezza che l’intelligence su entrambi i lati del conflitto libico è troppo imprecisa per servire come base del processo decisionale”12.
Il movimento di opposizione è fortemente diviso sulla questione di un intervento straniero. La divisione è tra il movimento popolare, da un lato, e i “leader” della insurrezione armata supportati dagli Stati Uniti, che sono favorevoli a un intervento militare straniero su “basi umanitarie“. La maggioranza della popolazione libica, sia i sostenitori che gli oppositori del regime, sono fermamente contrari a qualsiasi forma di intervento esterno.

Disinformazione dei Media
I grandi obiettivi strategici che sono alla base della proposta di invadere la Libia non sono menzionati dai media. A seguito della campagna ingannevole dei media, in cui le notizie sono state letteralmente fabbricate senza riferire su quanto stava realmente accadendo sul terreno, un vasto settore dell’opinione pubblica internazionale ha sostenuto inflessibilmente un intervento straniero per motivi umanitari.
L’invasione è sul tavolo del Pentagono. È previsto che verrà effettuata indipendentemente dalle richieste del popolo della Libia, tra cui gli oppositori del regime che hanno espresso la loro avversione all’intervento militare straniero in deroga alla sovranità della nazione.

Schieramento delle forze aeronavali
Se questo intervento militare fosse realizzato, sfocerebbe in una guerra totale, una guerra lampo, che implicherebbe il bombardamento di obiettivi militari e civili. A questo proposito, il generale James Mattis, comandante del Comando Centrale Usa, (USCENTCOM), ha lasciato intendere che la creazione di una “no fly zone” includerebbe de facto una campagna di bombardamento, puntando tra l’altro al sistema di difesa aereo della Libia: “Sarebbe un’operazione militare – non sarebbe giusto dire alla gente che si tratta di non far volare degli aeroplani […] Si dovrebbe eliminare la difesa aerea per istituire una no-fly zone, quindi non facciamoci illusioni”13.
Un massiccio schieramento navale di USA e alleati è stato dispiegato lungo le coste libiche. Il Pentagono sta muovendo le sue navi da guerra nel Mediterraneo. La portaerei USS Enterprise aveva attraversato il Canale di Suez pochi giorni dopo l’insurrezione14.
Le navi da assalto anfibie statunitensi, USS Ponce e USS Kearsarge, sono state schierate nel Mediterraneo. 400 marine statunitensi sono stati inviati sull’isola greca di Creta “prima del loro impiego sulle navi da guerra al largo della Libia”15.
Nel frattempo, Germania, Francia, Gran Bretagna, Canada e Italia sono in procinto di schierare navi da guerra lungo la coste libiche. La Germania ha dispiegato tre navi da guerra con il pretesto di assistere l’evacuazione dei profughi al confine tra Libia e Tunisia. “La Francia ha deciso di inviare la Mistral, la sua portaelicotteri che, secondo il Ministero della Difesa, contribuirà alla evacuazione di migliaia di egiziani”16.
Il Canada ha inviato (2 marzo) la Fregata HMCS Charlottetown. Nel frattempo, la 17.ma US Air Force, denominata US Air Force Africa, dalla base Air Force di Ramstein in Germania assiste l’evacuazione dei rifugiati. Le strutture dell’aviazione USA-NATO in Gran Bretagna, Italia, Francia e Medio Oriente sono in standby.

II
L’“Operazione Libia” e la battaglia per il petrolio. Ridisegnare la mappa dell’Africa17

Le implicazioni geopolitiche ed economiche di un intervento militare USA-NATO contro la Libia sono di vasta portata. La Libia è tra le più grandi economie petrolifere del mondo, con circa il 3,5% delle riserve mondiali di petrolio, più del doppio di quelle degli Stati Uniti.
L’“Operazione Libia” fa parte della più ampia agenda militare in Medio Oriente e Asia centrale, che consiste nel mettere sotto il controllo e la proprietà delle corporation oltre il sessanta per cento delle riserve mondiali di petrolio e gas naturale, compresi gli oleodotti e gasdotti. “I paesi musulmani tra cui Arabia Saudita, Iraq, Iran, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Yemen, Libia, Egitto, Nigeria, Algeria, Kazakhstan, Azerbaijan, Malaysia, Indonesia, Brunei, possiedono tra il 66,2 e 75,9% delle riserve petrolifere totali, a seconda della fonte e della metodologia della stima”18.
Con 46,5 miliardi di barili di riserve accertate (10 volte quelle dell’Egitto), la Libia è la più grande economia petrolifera del continente africano, seguita da Nigeria e Algeria, mentre le riserve accertate di petrolio degli Stati Uniti sono dell’ordine dei 20,6 miliardi di barili (dicembre 2008) secondo la Energy Information Administration19.

Il petrolio è il “trofeo” delle guerre USA-NATO
Un’invasione della Libia servirebbe gli interessi delle imprese stesse, come l’invasione e l’occupazione dell’Iraq del 2003. L’obiettivo di fondo è quello di prendere possesso delle riserve di petrolio della Libia, destabilizzare la National Oil Corporation (NOC) e, infine, privatizzare l’industria petrolifera del paese, vale a dire trasferire il controllo e la proprietà delle ricchezze petrolifere della Libia in mani straniere. La National Oil Corporation (NOC) è classificata tra le prime 25 compagnie petrolifere del mondo20.
L’invasione pianificata della Libia che è d’altronde già in corso, è parte della più ampia “battaglia per il petrolio”. Quasi l’80% delle riserve di petrolio della Libia si trovano nel bacino del Golfo dalla Sirte, nella Libia orientale. La Libia è una leva dell’economia: “La guerra fa bene agli affari“. Il petrolio è il trofeo delle guerre USA-NATO.
Wall Street, i giganti petroliferi anglo-statunitensi, i produttori di armi USA-UE, sarebbero i beneficiari occulti di una campagna militare condotta da USA e NATO contro la Libia. Il petrolio libico è una manna per i giganti petroliferi anglo-statunitensi. Mentre il valore di mercato del petrolio greggio è attualmente ben al di sopra dei 100 dollari al barile, il costo del petrolio libico è estremamente basso, un dollaro al barile (secondo una stima). Un esperto del mercato petrolifero ha commentato, un po’ cripticamente: “A 110 dollari sul mercato mondiale, la semplice matematica dà alla Libia un margine di profitto di 109 dollari”21.

Gli interessi petroliferi stranieri in Libia
Le compagnie petrolifere straniere che operavano prima dell’insurrezione in Libia erano la francese Total, l’italiana ENI, la China National Petroleum Corp. (CNPC), la British Petroleum, il consorzio petrolifero spagnolo REPSOL, ExxonMobil, Chevron, Occidental Petroleum, Hess, Conoco Phillips.
Va osservato che la Cina gioca un ruolo centrale nel settore petrolifero libico. La CNPC impiegava in Libia, prima del loro rimpatrio, 30.000 lavoratori cinesi. La British Petroleum (BP), invece, aveva 40 dipendenti britannici che sono stati rimpatriati. L’11% delle esportazioni di petrolio libico viene incanalato verso la Cina. Non ci sono dati sulla dimensione e l’importanza della produzione e delle attività di esplorazione della CNPC, ma vi sono elementi che indicano la loro rilevanza. Più in generale, la presenza della Cina nel Nord Africa è considerata da Washington un’intrusione. Dal punto di vista geopolitico, quella della Cina è un’usurpazione. La campagna militare contro la Libia è tesa ad escludere la Cina dal Nord Africa.
Altrettanto importante è il ruolo dell’Italia. L’ENI, il consorzio petrolifero italiano, estrae 244 mila barili di gas e petrolio, che rappresentano quasi il 25% delle esportazioni totali della Libia22.
Tra le aziende statunitensi in Libia, Chevron e Occidental Petroleum (Oxy) hanno deciso, appena 6 mesi fa (ottobre 2010), di non rinnovare le loro licenze di esplorazione di petrolio e gas in Libia23. Al contrario, nel novembre del 2010, la compagnia petrolifera della Germania, RW DIA E aveva firmato un accordo pluriennale di vasta portata con la libica National Oil Corporation (NOC), che implicava la condivisione delle esplorazioni e della produzione24.
La posta finanziaria in gioco e il “bottino di guerra”, sono estremamente alti. L’operazione militare intende smantellare le istituzioni finanziarie della Libia, nonché confiscare i miliardi di dollari di attività finanziarie libiche depositati nelle banche occidentali.
Va sottolineato che le capacità militari della Libia, compreso il sistema di difesa aerea, sono deboli.

Ridisegnare la mappa dell’Africa
La Libia ha le maggiori riserve di petrolio in Africa. L’obiettivo dell’ingerenza USA-NATO è strategico: consiste nel vero e proprio furto, rubare la ricchezza petrolifera della nazione, sotto le mentite spoglie di un intervento umanitario.
Questa operazione militare tende a stabilire l’egemonia statunitense nel Nord Africa, una regione storicamente dominata dalla Francia e, in misura minore, dall’Italia e dalla Spagna.
Per quanto riguarda la Tunisia, il Marocco e l’Algeria, il disegno di Washington è quello di indebolire i legami politici di questi paesi con la Francia e spingere all’instaurazione di nuovi regimi politici che abbiano un rapporto stretto con gli Stati Uniti. Questo indebolimento della Francia è parte di un disegno imperiale degli Stati Uniti. È un processo storico che risale alle guerre in Indocina.
L’intervento USA-NATO, diretto alla creazione di un regime fantoccio filoUSA, mira anche ad escludere la Cina dalla regione e a mettere fuori gioco la cinese National Petroleum Corp (CNPC). I giganti del petrolio anglo-statunitensi, tra cui British Petroleum, che hanno firmato un contratto di esplorazione nel 2007 con il governo di Gheddafi, sono tra i potenziali “beneficiari” dell’operazione militare che USA e NATO si propongono di effettuare.
Più in generale, la posta in gioco è ridisegnare la mappa dell’Africa, un processo di rispartizione neo-coloniale, la demolizione delle demarcazioni della Conferenza di Berlino del 1884, la conquista dell’Africa da parte degli Stati Uniti in alleanza con la Gran Bretagna, in un’operazione condotta da USA e NATO.

Libia: porta strategica sahariana sull’Africa centrale
La Libia confina con molti paesi che sono nella sfera di influenza francese, tra cui Algeria, Tunisia, Niger e Ciad.
Il Ciad è potenzialmente una ricca economia petrolifera. ExxonMobil e Chevron hanno interessi nel sud del Ciad, tra cui un progetto di gasdotto. Il Ciad meridionale è una porta sulla regione sudanese del Darfur.
La Cina ha interessi petroliferi in Ciad e Sudan. La China National Petroleum Corp (CNPC) ha firmato un accordo pluriennale con il governo del Ciad nel 2007.
Il Niger è strategico per gli Stati Uniti a causa delle sue ingenti riserve di uranio. Attualmente, la Francia domina il settore dell’uranio in Niger attraverso il gruppo francese nucleare Areva, precedentemente conosciuto come Cogema. La Cina ha anche una partecipazione nel settore industriale dell’uranio del Niger.
Più in generale, il confine meridionale della Libia è strategico per gli Stati Uniti, nel loro tentativo di estendere la propria sfera di influenza nell’Africa francofona, un vasto territorio che si estende dal Nord Africa all’Africa centrale e occidentale. Storicamente questa regione era parte della Francia e dell’impero coloniale del Belgio, i cui confini sono stati stabiliti alla Conferenza di Berlino del 1884.
Gli Stati Uniti svolsero un ruolo passivo nella Conferenza di Berlino del 1884. Questa nuova spartizione del continente africano nel XXI secolo, basata sul controllo di petrolio, gas naturale e minerali strategici (cobalto, uranio, cromo, manganese, platino e uranio) è ampiamente favorevole agli interessi dominanti delle corporation anglo-statunitensi.
L’interferenza degli Stati Uniti in Nord Africa ridefinisce la geopolitica di un’intera regione. Ciò mina la presenza della Cina e mette in ombra l’influenza dell’Unione europea.
Questa nuova spartizione dell’Africa non solo indebolisce il ruolo delle ex potenze coloniali (tra cui Francia e Italia) nel Nord Africa, ma è anche parte di un più ampio processo di emarginazione e indebolimento della Francia (e del Belgio) su gran parte del continente africano.
Regimi fantoccio filoUSA sono stati installati in diversi paesi africani che storicamente erano nella sfera d’influenza della Francia (e del Belgio), compresa le Repubbliche del Congo e del Ruanda. Diversi paesi dell’Africa occidentale (tra cui la Costa d’Avorio) sono candidati a diventare stati filostatunitensi.
L’Unione europea è fortemente dipendente dal flusso di petrolio libico, l’85% del quale viene venduto ai paesi europei. Nel caso di una guerra con la Libia, le forniture di petrolio all’Europa occidentale potrebbero essere interrotte, interessando in gran parte Italia, Francia e Germania, che sono fortemente dipendenti dal petrolio libico. Il 30% del petrolio italiano e il 10% del suo gas sono importati dalla Libia. Il gas libico passa attraverso la pipeline Greenstream nel Mediterraneo.
Le implicazioni di queste interruzioni sono di vasta portata. Hanno anche un’influenza diretta sul rapporto tra Stati Uniti e Unione europea.

Considerazioni conclusive
I media principali, attraverso la disinformazione di massa, sono complici nel giustificare un programma militare che, se attuato, avrebbe conseguenze devastanti non solo per il popolo libico: l’impatto sociale ed economico sarebbe sentito in tutto il mondo.
Ci sono attualmente tre distinti teatri di guerra nella più ampia regione del Medio Oriente e dell’Asia Centrale: Palestina, Afghanistan, Iraq. Nel caso di un attacco contro la Libia, un quarto teatro di guerra si aprirebbe in Nord Africa, con il rischio di una escalation militare.
L’opinione pubblica deve tener conto del programma nascosto dietro questo presunto impegno umanitario, annunciato dai capi di Stato e di governo dei paesi della NATO, come una “guerra giusta”. La teoria della guerra giusta, in entrambe le sue versioni, classica e contemporanea, sostiene la guerra come “operazione umanitaria“. Chiede un intervento militare per motivi etici e morali contro gli “stati canaglia” e i “terroristi islamici“. La demonizzazione del regime di Gheddafi serve da supporto alla teoria della guerra giusta.
I capi di Stato e di governo dei paesi della NATO sono gli architetti della guerra distruttiva in Iraq e in Afghanistan. In una logica totalmente distorta, si spacciano come voce della ragione, come rappresentanti della “comunità internazionale”.
La realtà è capovolta. Un intervento umanitario è lanciato da criminali di guerra in alta uniforme, che sono i guardiani della Teoria della Guerra Giusta. Abu Ghraib, Guantanamo,… Le vittime civili in Pakistan, in seguito agli attacchi dei droni USA su città e villaggi, ordinati dal presidente Obama, non sono notizie da prima pagina, né lo sono i due milioni di morti civili in Iraq. Non esiste la “Guerra Giusta”.
Bisognerebbe comprendere bene la storia dell’imperialismo degli Stati Uniti. La relazione del 2000 del Progetto del Nuovo Secolo Americano (Project of the New American Century: PNAC) intitolato “Rebuilding America’s Defense”, chiama all’attuazione di una lunga guerra, una guerra di conquista. Uno dei componenti principali di questa agenda militare è “combattere e vincere in modo decisivo in diversi teatri di guerra contemporaneamente”. L’Operazione Libia è parte di questo processo. Si tratta di un altro teatro nella logica del Pentagono dei “teatri di guerre simultanei”.
Il documento del PNAC rispecchia fedelmente l’evoluzione della dottrina militare degli Stati Uniti dal 2001. Gli Stati Uniti pianificano di essere coinvolti contemporaneamente in diversi teatri di guerra in diverse regioni del mondo. Mentre proteggere gli USA, vale a dire la “sicurezza nazionale” degli Stati Uniti d’America, è accolto come un obiettivo, il rapporto PNAC spiega perché questi diversi teatri di guerra sono necessari. La motivazione umanitaria non è menzionata.

Qual è lo scopo della roadmap militare degli USA?
La Libia è presa di mira in quanto è uno dei paesi al di fuori della sfera d’influenza degli USA, che non si conformano alle pretese degli Stati Uniti. La Libia è un paese che è stato selezionato come parte di una “road map” militare, fatta di “teatri multipli di guerre simultanei”. Nelle parole dell’ex comandante della NATO, Wesley Clark: “Nel Pentagono, nel novembre 2001, uno dei più alti ufficiali ebbe il tempo per una chiacchierata. Sì, eravamo ancora in pista per andare contro l’Iraq, ha detto. Ma c’era di più. Questo è stato oggetto di discussione nell’ambito della pianificazione di una campagna quinquennale, e vi rientra un totale di sette paesi, a partire dall’Iraq, poi Siria, Libano, Libia, Iran, Somalia e Sudan…”25.

______________

* Insegna economia nell’Università di Ottawa, in Canada, è Direttore del Centre for Research on Globalization (CRG), attivo nel movimento canadese contro la guerra. Tra i suoi lavori: Globalizzazione della povertà e Nuovo Ordine Mondiale. EGA Edizioni Gruppo Abele, 2003.

NOTE

1 Pubblicato il 7 3 2011 su http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=23548 .
2 Cfr. Manlio Dinucci, “Libia. Quando la memoria storica è azzerata. Se sventolano in piazza le bandiere di re Idris”, il manifesto, 26.2.2011.
3 Bradley Klapper, “Clinton: US ready to aid to Libyan opposition”, Associated Press, 27.2.2011, http://news.yahoo.com/s/ap/20110228/ap_on_re_us/us_us_libya.
4 Manlio Dinucci, “Il Pentagono riposiziona tutte le forze navali”, il manifesto, 2.3.2011.
5 “The Energy Intelligence ranks NOC 25 among the world’s Top 100 companies”, Libyaonline.com, http://www.libyaonline.com/business/details.php?
6 Bradley Klapper, op. cit., corsivo di MC.
7 “US military advisers in Cyrenaica”, DEBKAfile, 25.2.2011,http://www.debka.com/article/20708/.
8 “Top UK commandos captured by rebel forces in Libya: Report”, Indian Express, 6.3.2011, http://www.indianexpress.com/news/top-uk-commandos-captured-by-rebel-forces-in-libya-report/758631, corsivo di M.C.
9 “UK diplomatic team leaves Libya”, in World – CBC News, 6.3.2011, http://www.cbc.ca/news/world/story/2011/03/06/libya-britain.html?
10 Reuters, 6.3.2011.
11 “Brit held with SAS in Libya was spy “, The Sun, 7.3.2011, http://www.thesun.co.uk/sol/homepage/news/3450244/Brit-held-with-SAS-in-Libya-was-spy.html
12 Debkafile, “Qaddafi pushes rebels back. Obama names Libya intel panel”, 5.3.2011, http://www.debka.com/article/20731/.
13 “US general warns no-fly zone could lead to all-out war in Libya”, Mail Online, 5.3.2011, http://globalresearch.ca/index.php?
14 Cfr. http://www.enterprise.navy.mil.
15 «“Operation Libya”: US Marines on Crete for Libyan deployment», Times of Malta, 3.3.2011, http://www.timesofmalta.com/.
16 “Towards the Coasts of Libya: US, French and British Warships Enter the Mediterranean”, Agenzia Giornalistica Italia, 3.3.2011.
17 http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=23605.
18 Cfr. M. Chossudovsky, «The “Demonization” of Muslims and the Battle for Oil», in Global Research, 4.1.2007, . http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=4347

19 Cfr.

www.eia.doe.gov/oil_gas/natural_gas/data_publications/crude_oil_natural_gas_reserves/cr.html

Le più recenti stime pongono le riserve di petrolio della Libia a 60 miliardi di barili. Le sue riserve di gas a 1.500 miliardi di mc. La sua produzione è tra 1,3 e 1,7 milioni di barili al giorno, ben al di sotto della propria capacità produttiva. Il suo obiettivo a più lungo termine è di tre milioni di barili al giorno ed una produzione di gas di 2.600 milioni di piedi cubi al giorno, secondo i dati della National Oil Corporation (NOC). La (alternativa) BP Statistical Energy Survey (2008) poneva le riserve accertate di petrolio della Libia a 41,464 milioni di barili alla fine del 2007, che rappresenta il 3,34% delle riserve mondiali accertate (Mbendi, “Oil and Gas in Libya – Overview”, http://www.mbendi.com/indy/oilg/af/lb/p0005.htm).

20 “The Energy Intelligence ranks NOC 25 among the world’s Top 100 companies”, in Libyaonline.com, http://www.libyaonline.com/business/details.php?id=17260.
21 “Libya Oil, Libya Oil One Country’s $109 Profit on $110 Oil”, EnergyandCapital.com, 12.3.2008, http://www.energyandcapital.com/articles/libya-oil-price/640.
22 Sky News, “Foreign oil firms halt Libyan operations”, 23.2.2011, http://www.skynews.com.au/businessnews/article.aspx?id=580994.
23 Voice of Russia, “Why are Chevron and Oxy leaving Libya?”, 610.2010, http://english.ruvr.ru/2010/10/06/24417765.html.
24 AfricaNews “Libya: German oil firm signs prospecting deal”, 26.11.2010, http://www.africanews.com/site/list_message/32024.
25 Wesley Clark, Winning Modern Wars, PublicAffairs; 1 edition, October 2003, p.130

 

 

 

Un altro intervento della NATO? Rifanno il colpo del Kosovo?*

di Diana Johnstone**

su www.globalresearch.ca del 16/03/2011

I cani della guerra stanno annusando qua e là, per ottenere maggiore spargimento di sangue. Gli USA portarono all’escalation il conflitto in Kosovo, al fine di “dover intervenire”, ed è ciò che potrebbe accadere oggi con la Libia.

Somiglianze inquietanti tra la “guerra umanitaria” per il Kosovo e l’attuale situazione libica: martellante campagna di menzogne mediatiche, demonizzazione del leader, ricorso al Tribunale Penale Internazionale, strumentalizzazione dei profughi, rifiuto dei negoziati…

Meno di 12 anni dopo che la NATO ha bombardato una Jugoslavia a pezzi e distaccato la provincia del Kosovo dalla Serbia, ci sono segni che l’alleanza militare si prepara ad un’altra piccola vittoriosa “guerra umanitaria”, questa volta contro la Libia. Le differenze sono, ovviamente, enormi. Ma diamo un’occhiata ad alcune somiglianze inquietanti.

Un leader demonizzato
Come “nuovo Hitler”, l’uomo che amate odiare e avete necessità di distruggere, Slobodan Milosevic, era un neofita nel 1999 rispetto a Muammar Gheddafi oggi. I media ebbero meno di un decennio per trasformare Milosevic in un mostro, mentre con Gheddafi, hanno avuto diversi decenni. E Gheddafi è più esotico, parla poco l’inglese e compare davanti al pubblico in abiti che potrebbero essere stati creati da John Galliano (recentemente smascherato come un altro mostro). Questo aspetto esotico suscita derisione e disprezzo verso le culture native su cui l’Occidente ha ottenuto le sue vittorie, con cui ha colonizzato l’Africa, con cui il Palazzo d’Estate a Pechino è stato devastato dai soldati occidentali, che combattevano per rendere il mondo sicuro per la dipendenza da oppio.

Il coro del “dobbiamo fare qualcosa”
Come con il Kosovo, la crisi in Libia è vista dai falchi come un’opportunità per affermare la propria potenza. L’ineffabile John Yoo, il consulente legale che ha allenato l’amministrazione Bush II sui benefici della tortura dei prigionieri, ha usato il Wall Street Journal per consigliare l’amministrazione Obama ad ignorare la Carta dell’ONU e a saltare nella mischia libica. “Mettendo da parte le regole arcaiche delle Nazioni Unite, gli Stati Uniti possono salvare vite umane, migliorare il benessere generale e al tempo stesso servire i propri interessi nazionali”, ha dichiarato J. Yoo. E un altro teorico dell’imperialismo umanitario, Geoffrey Robertson, ha detto a The Independent che, nonostante le apparenze, violare il diritto internazionale è legale.

Lo spettro dei “crimini contro l’umanità” e del “genocidio” è invocato per giustificare la guerra.
Come con il Kosovo, un conflitto interno tra governo e ribelli armati è presentato come una “crisi umanitaria” in cui solo una parte, il governo, viene considerata “criminale”. Questa criminalizzazione a priori è espressa, facendo appello a un organo giudiziario internazionale per indagare su presunti crimini che avrebbe commesso o starebbe sul punto di commettere. Nel suo editoriale, Geoffrey Robertson chiarisce cristallinamente come il Tribunale penale internazionale sia utilizzata per preparare il terreno a un possibile intervento militare. Ha spiegato come il TPI possa essere utilizzata dall’Occidente per aggirare il rischio di un veto da parte del Consiglio di Sicurezza sull’azione militare. “Nel caso della Libia, il Consiglio ha almeno un precedente importante, approvando all’unanimità un riferimento al Tribunale penale internazionale. […] Allora, che cosa succede se gli accusati libici non-arrestati aggravano i loro crimini – ad esempio con l’impiccagione o la fucilazione a sangue freddo di loro avversari, potenziali testimoni, civili, giornalisti e prigionieri di guerra?” [Notare che finora non ci sono “imputati” né vi è evidenza alcuna di “crimini” che questi supposti imputati potrebbero “aggravare” in diversi modi immaginari. Ma Robertson è desideroso di trovare un modo affinché la NATO “accetti la sfida”, se il Consiglio di Sicurezza decidesse di non fare nulla]. “Le imperfezioni del Consiglio di sicurezza richiedono il riconoscimento ad una alleanza come la NATO di un diritto limitato, senza mandato, ad usare la forza per prevenire la commissione di crimini contro l’umanità. Tale diritto sorge quando il Consiglio ha individuato una situazione come minaccia alla pace nel mondo (e quindi individua la Libia, deferendola, all’unanimità, al procuratore del Tribunale penale internazionale)”.
Quindi, deferire un paese davanti a un procuratore del TPI può essere un pretesto per fare la guerra contro questo paese! Per inciso, la giurisdizione del Tribunale penale internazionale è destinata ad applicarsi a stati che hanno ratificato il trattato che la istituisce, il che, a mio avviso, non è il caso della Libia – o degli Stati Uniti Stati. Una grande differenza, tuttavia, è che gli Stati Uniti sono stati in grado di convincere, intimidire o corrompere molti degli Stati firmatari ad accettare degli accordi nei quali mai, in nessuna circostanza, si deferiscono per un qualsiasi reato degli statunitensi davanti al Tribunale penale internazionale. È un privilegio negato a Gheddafi.
Robertson, membro del consiglio di giustizia delle Nazioni Unite, conclude che: «il dovere di fermare un massacro di innocenti, come meglio possiamo fare, se chiedono il nostro aiuto, ha “cristallizzato” il fatto che per la NATO utilizzare la forza non è solo “legittimo”, ma “legale”».

L’idiozia della sinistra
Dodici anni fa, la maggior parte della sinistra europea ha sostenuto “la guerra in Kosovo”, che ha messo la NATO sulla strada senza fine che segue ancora oggi in Afghanistan. Non avendo imparato nulla, molti sembrano pronti a ripetersi. Una coalizione di partiti che si autodefinisce Sinistra europea, ha pubblicato una dichiarazione che “condanna fermamente la repressione perpetrata dal regime criminale del colonnello Gheddafi” e invitano la UE a condannare “l’uso della forza e ad agire rapidamente per proteggere coloro che dimostrano pacificamente e combattono per la loro libertà”. Nella misura in cui l’opposizione a Gheddafi non è esattamente una “protesta pacifica”, ma ha in parte preso le armi, ciò significa condannare l’uso della forza da parte di alcuni e non di altri – ma è improbabile che i politici che hanno redatto questa dichiarazione si rendano conto di ciò che dicono.
I paraocchi della sinistra sono illustrati dalla dichiarazione di un documento trotskista secondo cui: “Di tutti i crimini di Gheddafi, senza dubbio il più grave e meno conosciuto è la sua complicità nella politica migratoria della UE…”. Per l’estrema sinistra, il più grande peccato di Gheddafi è quello di cooperare con l’Occidente, e anche l’Occidente deve essere condannato per aver cooperato con Gheddafi. Questa è una sinistra che finisce nella pura confusione; è come fare il tifo per la guerra.

I rifugiati
La massa di profughi in fuga dal Kosovo, quando la NATO ha iniziato la sua campagna di bombardamenti, è stata utilizzata per giustificare i bombardamenti, senza un’indagine indipendente sulle diverse cause di questo esodo temporaneo – una delle cause principali fu probabilmente il bombardamento stesso. Oggi, dai report dei media sul numero di profughi che lasciano la Libia da quando sono iniziate le agitazioni, il pubblico potrebbe avere l’impressione che essi stiano fuggendo dalla persecuzione di Gheddafi. Come spesso accade, i media si concentrano solo sull’immagine superficiale, senza cercare una spiegazione. Un po’ di riflessione può colmare il vuoto informativo. È molto improbabile che Gheddafi abbia respinto i lavoratori stranieri che il suo governo ha fatto giungere in Libia per lavorare ai grandi progetti infrastrutturali. Invece, è chiaro che alcuni dei ribelli ‘democratici’ hanno attaccato i lavoratori stranieri per pura xenofobia. L’apertura di Gheddafi agli africani neri in particolare, ha sconvolto un certo numero di Arabi. Ma non bisogna dire troppo su ciò, poiché ora sono i nostri “bravi ragazzi”. È un po’ il modo in cui le aggressioni albanesi ai Rom in Kosovo, furono trascurate o giustificate dagli occupanti della NATO, con la motivazione che “i Rom avevano collaborato con i serbi”.

Osama bin Laden
Un’altra somiglianza tra l’ex Jugoslavia e la Libia, è che gli Stati Uniti (e i loro alleati della NATO) si ritrovano dalla stessa parte del loro vecchio amico dai tempi dei Mujahidin afghani, Osama bin Laden. Osama bin Laden è stato un discreto alleato del partito islamista di Alija Izetbegovic, durante la guerra civile in Bosnia, un fatto che è stato completamente trascurato dalle potenze della NATO. Naturalmente, i media occidentali hanno in gran parte respinto come il delirio di un pazzo la tesi corrente di Gheddafi, secondo cui egli sta combattendo contro bin Laden. Tuttavia, la lotta tra Gheddafi e bin Laden è molto reale ed è precedente agli attacchi dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle e al Pentagono.
In effetti, Gheddafi è stato il primo a cercare di segnalare all’Interpol bin Laden, ma non ha ottenuto la collaborazione da parte degli Stati Uniti. Nel novembre 2007, l’agenzia di stampa francese AFP ha riferito che i leader del “Gruppo islamico combattente” in Libia avevano annunciato che aderivano ad al-Qaeda. Come i mujahidin che hanno combattuto in Bosnia, il gruppo islamista libico è stato creato nel 1995 da veterani della lotta – sponsorizzata dagli USA – contro i sovietici in Afghanistan, negli anni ‘80. Il loro obiettivo dichiarato era quello di rovesciare Gheddafi e di creare uno stato islamico radicale. La base dell’Islam radicale è sempre stata la parte orientale della Libia, dove è scoppiata la rivolta in corso. Poiché questa ribellione non ha niente delle manifestazioni di massa pacifiche che hanno rovesciato i dittatori in Tunisia ed Egitto, ma ha visibilmente una componente di militanti armati, si può ragionevolmente presumere che gli islamisti stiano prendendo parte alla ribellione.

Il rifiuto dei negoziati
Nel 1999, gli Stati Uniti erano disposti ad utilizzare la crisi in Kosovo per dare al nuovo ruolo “fuori area” della NATO il battesimo del fuoco. La farsa dei colloqui di pace di Rambouillet fu affondata dal segretario di Stato USA Madeleine Albright, che mise da parte i dirigenti albanesi del Kosovo più moderati a favore di Hashim Thaci, il giovane leader dell’”Esercito di Liberazione Kosovo” [UCK], una rete notoriamente legata ad attività criminali. C’era un po’ di tutto tra i ribelli albanesi del Kosovo, ma come spesso accade, gli Stati Uniti arrivarono e scelsero il peggio.
In Libia, la situazione potrebbe essere peggiore.
La mia impressione, anche in seguito alla mia visita a Tripoli quattro anni fa, è che nella ribellione attuale vi sia una ben maggiore varietà di componenti, con gravi potenziali contraddizioni interne. A differenza dell’Egitto, la Libia non è uno stato molto popoloso, con migliaia di anni di storia alle spalle, un forte senso dell’identità nazionale e una cultura politica consolidata. Mezzo secolo fa, era uno dei paesi più poveri del mondo, e non è ancora completamente uscita dalla struttura clanica. Gheddafi, con i suoi modi di fare eccentrici, è stato un fattore di modernizzazione, utilizzando i proventi del petrolio per elevare il tenore di vita a un livello tra i più alti del continente africano. L’opposizione viene, paradossalmente, sia da tradizionalisti islamici reazionari da un lato, che lo considerano un eretico per le sue vedute relativamente progressiste, sia, dall’altro, dai beneficiari della modernizzazione occidentalizzati, che sono ostacolati dall’immagine di Gheddafi e desiderano ancora più modernizzazione. E ci sono altre tensioni che possono portare alla guerra civile e, addirittura, alla frattura del paese lungo linee geografiche.
Fino ad ora, i cani della guerra stanno annusando qua e là, per ottenere maggiore spargimento di sangue di quello che si è attualmente verificato. Gli Stati Uniti hanno portato all’escalation il conflitto in Kosovo, al fine di “dover intervenire”, ed è ciò che potrebbe accadere oggi con la Libia, dove è ancor più grande l’ignoranza dell’Occidente su ciò che essi starebbero facendo.
La proposta di Chavez di una mediazione neutrale per evitare il disastro, è la via della saggezza. Ma in NATOland la nozione stessa di risoluzione dei problemi attraverso la mediazione pacifica, piuttosto che con la forza, sembra essersi volatilizzata.

8 marzo 2011

* Tratto dal sito http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=23590
** Diana Johnstone è autrice del libro Fools Crusade: Yugoslavia, NATO and Western Delusions, Monthly Review Press; 2003.


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