Medicine dell’India, tra colonialismo e nonviolenza: la visione di Gandhi. Intervista a Gloria Germani

Notizie da Pressenza IPA – 17.05.2023

 

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Medicine dell’India, tra colonialismo e nonviolenza: la visione di Gandhi. Intervista a Gloria Germani – Parte I

Lorenzo Poli

L’India è la culla delle più antiche tradizioni mediche, come l’Ayurveda, la Yunani Tibb, la Siddha. La colonizzazione inglese fece “tabula rasa” delle antiche farmacopee indiane e impose la “scienza maschia” occidentale e quindi anche la medicina allopatica occidentale. Dal XVIII secolo e nei successivi 200 anni di dominazione britannica dell’India, avvenne la soppressione dello studio e della pratica ayurvedica, ritenuta una dottrina ricca di precetti inesatti ed antiquati. Solo nel XX secolo grazie all’avvento del movimento rivoluzionario nonviolento per l’indipendenza guidato dal Mahatma Gandhi, la medicina ayurvedica venne nuovamente portata alla ribalta e il suo sapere riconosciuto fondamentale all’interno del Paese. Di questo ne parliamo con Gloria Germani, ecofilosofa, attivista nonviolenta nei movimenti deep ecology che parteciperà alla prossima edizione di Eirenefest, Festival del Libro per la Pace e la Nonviolenza, grande studiosa di Gandhi e di Tiziano Terzani, praticante dell’Avdaita Vedanta (Via della Non-dualità), la più conosciuta fra tutte le scuole Vedānta dell’induismo.

Come nascono e si diffondono i sistemi di cura tradizionali dell’India?

Il sistema indiano dell’Ayurveda è antichissimo e fa parte dei Veda, il corpo letterario più antico del subcontinente Indiano, che si dice sia stato rivelato ai saggi in stato meditativo. Letteralmente significa scienza della vita, o della lunga vita. Si tratta un vasto sistema terapeutico molto complesso che risale ad un’epoca remota e la sua sistematizzazione almeno al 1500/ 2000 a.C. circa. Tra i grandi testi della Medicina Ayurvedica, i più antichi sono la Caraka Saṃhitā (VI a.C) “raccolta di colui che è in movimento” cioè del medico che, appresa l’arte da un maestro, esercita la propria professione di villaggio in villaggio e la  Suśruta Saṃhitā (II a.C.)  dove si enuncia la suddivisione nelle otto branche della chirurgia. Sicuramente l’imperatore Ashoka nel secolo III a.C. dette un notevole impulso alla medicina creando ospedali per uomini e animali nello spirito buddhista della compassione per tutti gli esseri viventi e aprendo numerose università. Nei successivi imperi dei Gupta e dei Maurya, sembra che esistessero medici sia statali sia privati, molte università famose fiorirono, tra cui Nalanda e Benares che diventarono punti di riferimento per chi voleva studiare l’Āyurveda. Tra il VII ed il VIII sec. d.C. molti medici indiani vennero chiamati in Medio Oriente per offrire il loro insegnamento. Nel XI secolo, quando iniziano le invasioni musul­mane nel nord dell’India, le violenze e le scorrerie causano il disperdersi delle scuole ayurvediche fino alla seconda metà del 1500, quando Akbar Il Grande, terzo imperatore della dinastia Mogul, grande patrono delle arti e dell’architettura, ordinò la compilazione del sapere medico indiano. Nel XVI e XVII secolo, in seguito all’apertura di vie commerciali sicure, ebbero inizio le relazioni commerciali e poi politiche con gli occidentali che furono caratterizzate da alterne vicende. Nel l 1835 Lord Macaulay decretò che in tutte le aree governate dalla Compagnia delle Indie dovesse essere promossa solo la cultura europea. Solo la medicina occidentale fu considerata legittima, fu scoraggiato e duramente perseguito il ricorso alle pratiche tradizionali. Il movimento nonviolento per l’indipendenza guidato da Gandhi, ha ridato finalmente spazio agli ancestrali sistemi di medicina e di cura banditi durante il colonialismo inglese. Oltre all’Āyurveda, in India erano presenti altre forme di medicina, per esempio la Siddha, praticata dalla popolazione Tamil, l’Unani o medicina perso-araba, che si basano sulla dieta vegetariana. Pensiamo infatti che l’India ha ancora 17 lingue ufficiali con altrettanti alfabeti e quindi il pluralismo culturale e medico era diffusissimo. Noi oggi parliamo di Medicina come se ce ne fosse una sola. Ovviamente ci riferiamo alla medicina moderna nata in Occidente nella seconda meta dell’Ottocento, ma ogni civiltà ha avuto i suoi metodi di cura, perché ogni civiltà ha avuto a cuore il benessere delle persone, la cura delle malattie. Ciò che differenzia le altre civiltà dall’occidente e dalla medicina moderna, è che lì la morte era più accettata come naturale nel grande cerchio della vita, mentre oggi la medicina moderna fa della morte un totale tabu, qualcosa che ogni medico e ogni paziente combatte, tanto che il linguaggio militare abbonda e si parla di bombardamenti chemioterapici, di guerra al cancro o ad altre malattie, di battaglia contro la morte. Per la cultura orientale questo sarebbe stato un non senso. Anzi la coscienza della propria imminente morte è considerato come un segno positivo del destino. Nell’antica Cina, molti tenevano in casa una bara per ricordarsi della propria mortalità e ci si mettevano dentro quando dovevano prendere delle decisioni importanti.

Con la colonizzazione inglese le antiche medicine indiane vengono bandite e considerate “antiquate” e solo negli anni Trenta, con il movimento rivoluzionario nonviolento di Gandhi, l’India riscopre i suoi ancestrali sistemi di medicina e di cura. Secondo te si può parlare di “medicina coloniale”?

Certamente sì. Tiziano Terzani parla della medicina moderna occidentale in Asia come della «grande testa di ponte dello sbarco della modernità». È veloce, è ripetibile, porta subito a facili successi, per questo è servita per lo sbarco della mentalità occidentale in uno scenario estraneo e poco accessibile. Gandhi non si preoccupava solo della libertà della sua nazione, dell’indipendenza economica e della nonviolenza, ma anche della salute della sua gente. E proprio per questo scrisse un compendio di medicina ayurvedica dal titolo “Una guida alla salute”, in cui ha riassunto e reso disponibili diverse indicazioni su alimentazione, equilibrio fisico, meditazione e sessualità per avere una vita piena di salute, facendo delle critiche alla medicina allopatica occidentale. A differenza di quanto si possa pensare, non esiste “la Medicina” come sapere rigido unico ed assoluto, ma bensì “le medicine” come diversi sistemi di cura nati all’interno di diverse culture e società. In pochi secoli, come nel resto del mondo, la medicina occidentale ha sferzato un attacco sistematico ai sistemi di conoscenza tradizionali indigeni, imponendo il suo sistema di cura a discapito di quelli tradizionali, compiendo un atto di “culturicidio” ed “epistemicidio”. Gandhi ha espresso infatti un giudizio molto negativo sulla medica moderna portata dagli inglesi. Per il Mahatma la medicina moderna, figlia legittima di una cultura dualista, induce a non prendere su di sé le proprie responsabilità. Gandhi sosteneva la “cura della natura”, il cui principio fondamentale è che “la malattia nasce da un’infrazione, intenzionale oppure inconsapevole, delle leggi della Natura”.1 Era convinto che per avere una buona salute bastasse vivere seguendo le leggi della natura nella dieta, nell’esercizio fisico, nell’aria che si respira, nell’ambiente pulito e nella purezza del cuore, cioè dei pensieri. Invece l’uomo tecnologico si lascia guidare dai vizi (gola, lussuria, cupidigia, ira, superbia) dall’infrazione di tutte le leggi della salute, per poi cercare una cura nella medicina scientifica e tecnologica nei farmaci industriali in commercio ai fini di profitto. Gandhi cercava un modo per prevenire e vincere le malattie senza usare i farmaci. Il cibo ha innegabili effetti sulla salute, che non vanno sottovalutati. Gandhi insegnava la frugalità nel mangiare che aiuta a mantenere il corpo in buona salute. La Cura della natura consiglia di digiunare un giorno alla settimana, per consentire all’organismo di riposare e destinare le energie accumulate alla disintossicazione del corpo. Il digiuno fortifica il sistema immunitario e favorisce anche i processi di auto guarigione.
Gandhi ripeteva spesso: “Se io mangio troppo: soffro di indigestione, vado da un medico, lui mi dà delle medicine, sono guarito. Mangio troppo di nuovo, di nuovo prendo le pillole. Se non le avessi prese, in primo luogo, avrei sofferto la punizione che meritavo, e non avrei mangiato troppo una seconda volta. Il medico è intervenuto e mi ha aiutato ad essere indulgente con me stesso”.2

Più recentemente anche Ivan Illich nel suo libro “Nemesi medica” ha sottolineato il rischio di una gestione della medicina delegata ai soli specialisti, che espropria i cittadini del diritto di curarsi da soli. Come abbiamo potuto verificare oggi, anche con la pandemia, il solo ruolo rimasto oggi al malato è quello di essere un “docile cliente”.

Oltre ad occuparsi di politica, spiritualità, economia, società e cultura, Gandhi si è occupato anche del diritto integrale alla salute dei suoi cittadini. Perchè Gandhi criticava la medicina occidentale e la reputava “violenta”? 

Come ho cercato di evidenziare soprattutto nelle altre interviste, politica- spiritualità, economia, salute sono un tutt’uno nella visione di Gandhi e della filosofia della non dualità che è patrimonio dell’India e dell’Oriente. Insisto sul tema della non dualità perché da li procede tutto. Se afferriamo che non c’è separazione tra psiche e materia, tra mente e fatti, tra interno e esterno e soprattutto tra l’io e il mondo, se capiamo che tutto è essenziato dall’energia in varie modulazioni, come oggi ci conferma la fisica quantistica, si capisce come il benessere dipenda dal mantenere in armonia il tutto o l’ecosfera di cui facciamo parte. L’Io deve essere addestrato ad avere il controllo di sé (swaraj) per non alimentare la superbia, l’ingordigia, la smania di possesso. In questo senso politica e salute hanno le medesime basi. Gandhi racconta che da giovane la medicina lo aveva interessato profondamente avrebbe potuto diventare un buon medico. “Ma quando appresi che avrei dovuto praticare la vivisezione, indietreggiai inorridito”.3 La pratica della vivisezione sugli animali è una forma estrema di violenza e quindi inconciliabile con il “retto comportamento”. Già in Hind Swaraj, Gandhi attacca duramente le professioni mediche e legali moderne in quanto fondate sull’assenza di disciplina interiore e sull’adozione di espedienti esterni. “Il continuo ricorso alla medicina porta, quindi, come risultato ad una perdita di controllo della mente […].Per un errato modi di curare il corpo umano, i medici europei uccidono ogni anni migliaia di animali. Praticano la vivisezione. Nessuna religione lo permette. Tutte affermano che non è necessario sopprimere tante vite per la salvezza del nostro.” 4 I mezzi che la medicina moderna utilizza per raggiungere il fine della salute e del benessere, non rispettano certo il principio nonviolento del riconoscimento dell’altro, del diverso, quindi il rifiuto della sua sopraffazione e del suo utilizzo come “mezzo”. La concezione cartesiana, rappresentata dalla medicina allopatica, vede gli animali e gli uomini come macchine divisibili in organi, tessuti, molecole, atomi sui quali agire o tentare di agire secondo le loro modificazioni. Capiamo così che la filosofia non-dualista e Gandhi sono molti vicini a quella che oggi chiamiamo ecologia profonda: non possiamo separare la vita umana da quella degli altri animali con cui formiamo un continuum indisgiungibile. Oggi l’estinzione del 60% degli esseri senzienti è sintomatico della degradazione dell’essere umano e della crisi ecologica che sta vivendo a livello sociale, esistenziale, economico e climatico. Gandhi conclude la sua argomentazione più volte ripetuta, affermando “Studiare la medicina europea significa rafforzare la nostra schiavitù”5. Gandhi inoltre criticava la medicina occidentale in quanto diretta discendente dell’industria chimica, alla base della società industriale, della “chimicizzazione della vita” e dell’esposizione a sostanze tossiche e con forti controindicazioni per la salute.

1 M.Gandhi, La cura della natura, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1984, p. 40.

2 M.Gandhi, Vi spiego i mali della società moderna, Centro Gandhi, 2009, p. 74.

3 Gandhi, The Hindu, 19 marzo 1925 ( ora in M.Gandhi; la forza dela Verità, Sonda, 1991, p. 288)

4 M.Gandi, Vi spiego, cit. p. 74.

5 Ibidem.

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