[SinistraInRete] Mauro Casadio: Il crollo dell’illusione euroatlantica

Rassegna 27/03/2025

 

Mauro Casadio: Il crollo dell’illusione euroatlantica

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Il crollo dell’illusione euroatlantica

di Mauro Casadio*

Unione europea nuova bandiera
bruciata.jpgLo scontro fra Trump e Zelensky, e per interposta persona con l’Unione Europea, ha assunto forme inaspettatamente virulente per tutti ed ha fatto emergere la vera questione che nel tempo è stata rimossa nella discussione a sinistra. Ma alla fine ha anche mostrato la natura profonda della contraddizione: quella tra interessi imperialistici divaricanti in Occidente.

Dunque grande è la confusione sotto il cielo e la situazione è eccellente! Ma come interpretare questa improvvisa precipitazione nelle relazioni transatlantiche? Come collocare questa netta discontinuità dentro l’apparente egemonia e dominio mondiale euroatlantico a trazione statunitense, apparentemente irreversibile fino al Novembre scorso?

Le interpretazioni che stanno fiorendo sono molteplici: dalla follia mercantilista di Trump alla influenza della “tech oligarchy” composta dagli uomini più ricchi della terra, dalla subordinazione dei gruppi dominanti dell’UE agli USA al “riscatto militare” che deve sancire l’emancipazione europea da uno Stato non più amico, ma divenuto repentinamente antidemocratico nell’arco di una campagna elettorale.

Insomma la “Fine della Storia” sta ottenebrando le migliori menti occidentali, le quali non riescono e non vogliono risalire alle cause strutturali di questa contraddizione, pure manifestatasi già da molto tempo. Anzi rifiutano proprio di affrontarle, limitandosi a “sezionare” in infiniti e noiosissimi dibattiti televisivi o interviste giornalistiche gli aspetti formali, reversibili spesso nell’arco di 24 ore, di carattere politico-etico, di minaccia da parte delle “pericolosissime autocrazie”, oppure di carattere economico contingente.

Anche “a sinistra” non emergono analisi particolarmente brillanti, ondeggiando tra un pacifismo militarista-europeista, alla PD, ed un pacifismo ipocrita come quello dei 5Stelle che al governo avevano votato il finanziamento per le armi all’Ucraina e l’acquisto degli F35, e oggi lucrano elettoralmente sulle contraddizioni del campo largo. Come diceva Totò, adesso si “buttano a sinistra”.

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Antonio Martone: La controrivoluzione femminista  

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La controrivoluzione femminista  

di Antonio Martone

Pubblichiamo il testo integrale della relazione del Prof. Antonio Martone, redattore de L’Interferenza, al convegno dal titolo “Una lettura alternativa della questione di genere. Per una critica di classe del femminismo” promosso da L’Interferenza e dall’Associazione “Uomini e Donne in Movimento” e svoltosi a Roma sabato 15 marzo

mvsdiytverIl femminismo di Marcuse

Nel 1974, Herbert Marcuse formulava una riflessione ambiziosa quanto al legame tra femminismo e trasformazione sociale:

“Io credo che dobbiamo pagare per i peccati di una civiltà patriarcale e del suo potere tirannico: la donna deve diventare libera di determinare la propria vita, non come moglie, né come madre, né come amante o compagna di qualcuno, ma come un essere umano individuale. Sarà una lotta fatta di scontri aspri, di tormento e di sofferenza (psichica e fisica)”[1].

Perché Marcuse aveva scritto parole tanto forti contro il patriarcato? Presto detto, per il filosofo tedesco il femminismo non rappresentava soltanto un particolare movimento ma costituiva una forza più generale, potenzialmente rivoluzionaria nella sua capacità di contribuire alla liberazione dell’essere umano nella sua totalità. Nel fermento politico degli anni Settanta, egli vedeva dunque nella lotta per l’emancipazione femminile un elemento inscindibile da un più ampio processo di trasformazione sociale.

Per rinforzare la sua tesi, egli infatti aggiungeva:

Le potenzialità, gli obiettivi del movimento di liberazione delle donne si spingono però molto al di là di esso, in regioni impossibili da raggiungere nel quadro del capitalismo, e di una società di classe. La loro realizzazione richiederebbe un secondo livello, nel quale il movimento trascenderebbe il quadro nel quale si trova ora ad operare. In questo stadio, ‘al di là dell’uguaglianza’, la liberazione implica la costruzione di una società governata da un differente principio di realtà, una società nella quale la dicotomia costituita tra il maschile e il femminile è superata nei rapporti sociali e individuali tra esseri umani[2].

Secondo questa prospettiva, pertanto, per la sua stessa dinamica, il femminismo non si esauriva nelle lotte per l’uguaglianza formale, ma doveva mirare a una ridefinizione radicale della società. Al di là del rapporto fra generi, vi era l’essere umano nella sua essenza, ed era questa la vera posta in gioco della rivoluzione femminista.

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Alessandro Somma: Il Manifesto di Ventotene. Né socialista né sociale: un inno al federalismo neoliberale

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Il Manifesto di Ventotene. Né socialista né sociale: un inno al federalismo neoliberale

di Alessandro Somma

9788898607358 0 0 536 0 75.jpgIl Manifesto di Ventotene è senza dubbio un testo tra i più citati nel discorso pubblico, ma anche tra i meno letti da coloro i quali amano richiamarlo. Questo restituisce la recente lite scomposta tra i dirigenti del Piddì e la Presidente del consiglio: i primi impegnati ad accreditarlo come una celebrazione dell’Europa sociale e democratica, la seconda a stigmatizzarlo come socialista e dunque antidemocratico.

Entrambi sbagliano: il Manifesto di Ventotene è un inno all’Europa neoliberale e il suo estensore più famoso, Altiero Spinelli, un pensatore confuso e opportunista. Tanto che molto probabilmente ci saremmo dimenticati di entrambi, se solo la sinistra storica in crisi di identità dopo l’implosione del blocco socialista non ne avesse abusato per rimpiazzare i punti di riferimenti ideali caduti in disgrazia. È del resto il testo scritto da antifascisti al confino, che qua e là parla di Europa sociale. Non importa dunque se lo fa a sproposito e soprattutto in assenza di riscontri con il complessivo impianto del Manifesto, così come con il percorso politico di Spinelli. È comunque buono a riorganizzare il fondamento ideale della sinistra orfana del socialismo attorno a retoriche vuote e buone per tutte le stagioni, come sono quelle che evocano un non meglio definito europeismo. E buono soprattutto a far dimenticare che esso fa rima con neoliberalismo[1].

 

Federalismo neoliberale

Il primo riscontro della vicinanza tra il Manifesto di Ventotene e il neoliberalismo lo ricaviamo dalle letture che più hanno ispirato i suoi autori: gli interventi di Luigi Einaudi ospitati sul Corriere della sera tra il 1917 e il 1919 con lo pseudonimo di Junius e gli scritti dei federalisti anglosassoni. Spicca tra questi ultimi Lionel Robbins: un autore di formazione liberale, esponente della Scuola austriaca, i cui testi giungono agli autori del Manifesto proprio da Einaudi.

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Davide Malacaria: Levy: i crimini di Gaza e quelli dei media

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Levy: i crimini di Gaza e quelli dei media

di Davide Malacaria

Ai crimini di Gaza fa pendant la censura, altrettanto criminale, dei media israeliani, scrive Levy. Un j’accuse che non può essere limitato a Israele…

 

Gideon Levy verga un j’accuse di fuoco sulle pagine di Haaretz, stavolta non solo contro gli orrori che Israele sparge a piene mani a Gaza, ma anche contro i media israeliani che censurano quanto sta accadendo. Una censura dilagata anche in altre latitudini, anche se declinata diversamente.

 

Censura criminale

I media mainstream occidentali non possono ignorare le notizie. Gli basta evitare approfondimenti non graditi; il servizio o l’articolo, solo la mera cronaca, messo là, tra una notizia e l’altra, raccontare una guerra e non un genocidio, evitando immagini troppo raccapriccianti che Gaza produce in quantità industriale. Dare la conta dei miliziani di Hamas uccisi, fonte Israele, così che le vittime civili appaiano tristi ma inevitabili danni collaterali e altro ancora.

Di tanto in tanto, raramente e più che raramente, infilare un articolo o un servizio che dia conto delle brutalità che si consumano nella Striscia, così da tacitare quanti lamentano l’edulcorazione.

Al di là delle nostre considerazioni, la parola a Levy: “All’elenco dei crimini [commessi da Israele], ora più che mai bisogna aggiungere quelli dei media israeliani. Israele sta violando consapevolmente e maliziosamente un accordo internazionale firmato e sta lanciando un attacco selvaggio e sfrenato contro la Striscia di Gaza […]”.

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Pier Paolo Caserta: Il peggiore di tutti

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Il peggiore di tutti

di Pier Paolo Caserta

In coda alla piazzata guerrafondaia del 15 marzo, forse dovevamo ancora sentire il discorso peggiore di tutti, perché il più mellifluo, il più sinuoso.

Ieri sera ho ascoltato il monologo di Benigni su Raiuno fin dove sono riuscito. Per quanto stomachevole mi sono fatto forza e sono arrivato abbastanza avanti, perché penso che l’organicità di Benigni al potere e alle sue gerarchie di riferimento lo renda sempre rappresentativo. Infatti ho trovato nel suo monologo un vero prontuario del nuovo nazionalismo paneuropeo.

Nessuna sorpresa, Benigni è organico al cento-sinistra imperialista da sempre, ma in questo momento è utile capire come si sta compattando il nuovo nazionalismo paneuropeo dissimulandosi proprio nella narrazione dell’Europa come spazio di democrazia, pace e libertà culminato, niente di meno che, nell’UE, a sentire il soldatino comico di Ursula von der Leyen. Il quale, senza ritegno, e senza quasi prendere fiato, continua a propinare a una platea di benpensanti fuori dalla Storia, assuefatti alle forme dell’indottrinamento salottiero, la musichetta degli Stati Uniti d’Europa, di Altiero Spinelli, del manifesto di Ventotene.

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Francesco Cappello: Il conflitto di Trump con la FED

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Il conflitto di Trump con la FED

ReArm Europe soccorre i grandi fondi agevolando le manovre del presidente

di Francesco Cappello

La bolla europea degli armamenti agevola le manovre di Trump. Essa soccorre i grandi fondi creando un diversivo ai loro investimenti

Tassi alti

Ecco le dichiarazioni del presidente Trump rivolte a Jerome Powell: “Dobbiamo abbassare i tassi di interesse. Nessuno si arricchisce con i tassi alti perché nessuno può prendere in prestito denaro. Il costo dell’energia sta scendendo e vorrei vedere i prezzi scendere ancora di più”.

Il conflitto di Trump è con la Federal Reserve e il potere bancario che proteggono gli interessi dei grandi fondi di investimento i quali si avvantaggiano grandemente di tassi di interesse elevati. Ma un alto costo del denaro (Tassi alti) peggiora i conti pubblici già fuori controllo, perché implicano l’aumento dei costi per interessi (il servizio al debito) pari ad un trilione di dollari (mille miliardi) che devono essere pagati a chi nel mondo ha investito finanziando il debito USA, una cifra che ha superato la spesa statunitense per armamenti. Nove, degli ormai quasi 37 trilioni di dollari del debito federale sono in scadenza nel 2025. Bisognerà trovare nuovi investitori. Tassi alti se da una parte servono per continuare a rendere appetibili con alti rendimenti, sui mercati internazionali, i titoli di debito USA, dall’altra contribuiscono a far lievitare più velocemente la spesa per interessi ed il debito complessivo.

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Fabio Mini: Le carte della pace e il baro Zelensky

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Le carte della pace e il baro Zelensky

di Fabio Mini

“Non è un gioco” ha balbettato Zelensky nel pieno del furore trumpiano mentre lo stava asfaltando con il suo “non hai le carte buone”, “non sei nelle condizioni di dettare alcunché” e “hai parlato fin troppo”.

Cercava di dire che la guerra è una cosa seria, come se il “gioco” della guerra non lo fosse. La guerra è un gioco in tutti i sensi meno in quello che Zelensky credeva: che sia una stupidaggine per divertire i bambini. Trump glielo ha spiegato meglio con il suo “stai giocando d’azzardo (gambling) con la Terza guerra mondiale”. Il gioco non è la metafora o l’allegoria della guerra, è la sua struttura fondante. La differenza fra i trastulli, i passatempi, i solitari e il gioco sta nei giocatori, negli strumenti e nella posta. Nel gioco della guerra gli attori sono gli Stati, gli strumenti sono le risorse (umane e materiali) la posta è la vita o la morte dello Stato e delle popolazioni. Se Zelensky dimostra di non sapere a che gioco sta giocando, chi siano i giocatori e che cosa comporti la vittoria o la sconfitta non può lagnarsi del fatto che Trump glielo spieghi. Ogni gioco ha le sue regole e la stessa teoria scientifica “dei giochi” è valida solo a certe condizioni. La prima e più importante è quella della Razionalità dei contendenti. Poi i giochi possono essere a somma zero oppure diversa da zero, e i giocatori più o meno cooperativi, ma il criterio della razionalità è fondamentale.

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Giuseppe Raciti: Una nota su Marx e la rivoluzione

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Una nota su Marx e la rivoluzione

di Giuseppe Raciti (Università di Catania)

marx with workers1. Al posto di una premessa

Robert Musil si è posto questo problema: perché il moderno scienziato, poniamo il fisico relativista oppure il quantistico, non vive all’altezza delle sue teorie? Perché invece di sperimentare la vita come sperimenta le teorie, conduce perlopiù la più sciatta delle esistenze terrene? Per Musil si tratta di una questione etica: nella scienza moderna manca il riflesso etico. Va però osservato che appoggiarsi a una “concezione”, una qualsiasi, e tanto più una concezione etica, è un rimedio peggiore del male. «Avere una concezione, avverte Kierkegaard, […] presuppone una sicurezza e un benessere nell’esistenza pari all’avere su questa terra moglie e figli […]»1.

Di che colore è la vita quotidiana mentre penso alla fissione dell’atomo? Che cosa cambia, nelle mie bige giornate, se mi persuado della efficacia del paradosso di Schrödinger? Beh, credo che dovrebbero cambiare parecchie cose. Del resto, una teoria che non investe la vita e la lascia da parte, la chiude tra parentesi, che specie di teoria è? Ecco un problema che Musil, scienziato e matematico, si pone da filosofo. È la ragione (sia detto di passata) per cui scrive l’Uomo senza qualità.

Ma la questione si pone a maggior ragione con il tema in parola: Marx e la rivoluzione. Se da marxista ritengo che tutta la teoria di Marx ruota attorno all’asse della rivoluzione, perché allora mi limito a discuterne nelle riviste e nei convegni anziché scivolare, certo molto problematicamente, anzi disperatamente, verso la soglia della lotta armata? Questo aut-aut, di primo tratto assai rozzo, riguarda più o meno tutte le teorie, ma in modo particolare quelle filosofiche. Althusser lo ha precisato bene: la filosofia è l’aspetto politico di una teoria2. Musil direbbe che la filosofia, e più ancora la narrativa filosofica, è l’aspetto etico di una teoria. In quel che segue non tratterò del conflitto tra etica e politica, tanto meno del madornale equivoco di una politica sottoposta al controllo dell’etica. Etica e politica sono realtà incomponibili. Ma il senso di questa opposizione fondamentale è immanente alla serie delle polarità messe qui in discussione.

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Jacques Bonhomme: Città-merce e lotta di classe in Walter Benjamin

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Città-merce e lotta di classe in Walter Benjamin

di Jacques Bonhomme

marcbertrandofficetourismeparis.pngElles ont pâli, merveglieuses,
Au grand soleil d’amour chargé,
Sur le bronze des mitrailleuses
Ā travers Paris insurgé!

Sono impallidite, meravigliose,
nel gran sole carico d’amore,
sul bronzo delle mitragliatrici
attraverso Parigi insorta!

Arthur Rimbaud, Le mani di Jeanne Marie

Nel XIX secolo, le città occidentali divengono lo spazio di amplificazione e di espressione della grande industria capitalistica, il contesto sociale in cui essa raduna e distribuisce i proletari e in cui forgia, attraverso le merci e il consumo, un mondo sociale per i diversi strati della borghesia, modellandone costumi, gusti e ambizioni, e spartendo le tipologie di questi, nonché i mezzi di accesso alle loro condizioni, secondo le gerarchie, più o meno fluide, delle ricchezze e del prestigio. La cosiddetta agglomerazione fece grandi balzi, accrescendo una migrazione rurale che già nel secolo precedente aveva mutato l’aspetto delle città attraverso l’ingrossamento dei sobborghi. Nel XIX secolo la fabbrica segnò il cupo avvenire delle città che, per concomitanti circostanze ambientali e legislative, erano precocemente divenute centri industriali, ma l’irruzione delle fabbriche nelle aree urbane non si limitò ai luoghi che avevano già subito le sconvolgenti alterazioni della contiguità tra miniera e opificio, passato dall’energia idrica al carbone. Tutto il secolo è risucchiato da questa tendenza, e la moltiplicazione degli slums ne è una manifestazione ricorrente e massiccia. Infatti, la fabbrica riduce l’ambiente urbano a un materiale da produzione, facendo ruotare uomini e cose intorno ai suoi scambi con la società che la circonda e che, nei giochi prospettici del panoptismo, si fonde con essa. Fabbriche, ferrovie e slums si avvolgono, allora, in un’unica trama.

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Collettivo Le Gauche: Andrea Fumagalli e lo studio della bioeconomia e del capitalismo cognitivo

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Andrea Fumagalli e lo studio della bioeconomia e del capitalismo cognitivo

di Collettivo Le Gauche

1. Introduzione

Nel suo libro Bioeconomia e capitalismo cognitivo. Verso un nuovo paradigma di ac71AIgFaPiLL. AC UF10001000 QL80 .jpgcumulazione Andrea Fumagalli caratterizza l’economia capitalista come un sistema monetario di produzione e non come di semplice scambio. Questo approccio sottolinea la preminenza della produzione e dell’accumulazione rispetto allo scambio e alla realizzazione del valore. Il motore della produzione è l’investimento che rappresenta l’accumulazione privata di capitale e dipende dalle decisioni imprenditoriali capaci di influenzare dinamicamente il progresso tecnologico e l’uso dei fattori produttivi determinando il successo del processo di accumulazione e la distribuzione della ricchezza, sia in termini quantitativi che qualitativi. L’investimento per Fumagalli non si limita a determinare il livello di consumo e risparmio. Esso assume la forma di un biopotere che condiziona il lavoro e, di conseguenza, il controllo sui corpi e sulle menti degli individui. Non si tratta però di un potere assoluto per via del vincolo prodotto da fattori come le modalità di finanziamento e le aspettative sulla domanda finale dei beni. Mentre il finanziamento è un fattore noto a priori, le aspettative sono formulate in condizioni di incertezza e non sono completamente quantificabili, nonostante i tentativi di teorizzarle matematicamente. Queste aspettative, influenzate da variabili psicologiche, sono cruciali per le decisioni imprenditoriali. L’obiettivo dell’accumulazione capitalistica è la generazione di plusvalore monetario, ciò rende l’economia capitalista intrinsecamente monetaria. La moneta, in particolare come moneta-credito, svolge un ruolo centrale in questo processo. Lo studio del capitalismo, quindi, deve considerare i meccanismi di finanziamento, i modi di produzione e la fase di realizzazione, riflettendo il ciclo del capitale monetario descritto da Marx e ripreso da interpretazioni eterodosse keynesiane.

 

2. Il biopotere della finanza

Nel 1975 gli Stati Uniti avviarono un processo di liberalizzazione delle commissioni finanziarie con l’obiettivo di potenziare il finanziamento dell’economia attraverso i mercati azionari.

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comidad: L’Europa perde anche la guerra delle pubbliche relazioni

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L’Europa perde anche la guerra delle pubbliche relazioni

di comidad

Trump non ci ha messo tanto a smentire la sua narrativa di “pacificatore” e di uomo d’affari, infatti si è già invischiato in una politica di aggressioni contro lo Yemen e di provocazioni contro l’Iran, rischiando disastrosi effetti sul piano commerciale. Di conseguenza non ha molto senso la storiella su un’Europa che non si rassegnerebbe alla pace incombente. I nonsensi dell’Unione Europea ci sono ma vanno individuati altrove. Molti commentatori hanno giustamente contestato al piano “Rearm Europe” presentato dalla Commissione Europea di mettere il carro davanti ai buoi, cioè di parlare di soldi senza preventivamente stabilire cosa farci; si tratterebbe quindi di un’operazione puramente finanziaria, priva del sottostante di una strategia militare e di un modello di forze armate. Il dibattito “culturale” a riguardo non va oltre le banalità sui giovani smidollati e inadatti alla guerra; anche se l’esperienza dell’ascolto rovescia il luogo comune, infatti più sono smidollati e più manifestano propositi bellicisti.

La vaghezza del piano di riarmo europeo, lanciato con tanto tambureggiamento mediatico dalla von der Leyen, però sta soprattutto nell’aspetto finanziario. Si tratterebbe di un generico permesso ai vari Stati di derogare dal Patto di Stabilità per complessivi seicentocinquanta miliardi. In più ci sarebbero centocinquanta miliardi di debito comune, in stile Recovery Fund (alias “Next Generation EU”). La differenza abissale col Recovery Fund sta però nel fatto che quel piano si sviluppò in un periodo di inondazione di liquidità da parte della Banca Centrale Europea, la quale aveva avviato vari programmi di acquisto di titoli pubblici e privati con la motivazione, o col pretesto, della pandemia.

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Enrico Tomaselli: Il ruggito dei topi

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Il ruggito dei topi

di Enrico Tomaselli

Frustrazione e debolezza, essenzialmente c’è questo dietro la ripresa della guerra in Medio Oriente. L’attacco statunitense contro lo Yemen, totalmente a freddo (anche se era stato preannunciato il blocco delle navi collegate a Israele, non c’era stato ancora nulla di fatto), è chiaramente un messaggio diretto all’Iran, che nella sua logica semplicistica Trump considera il mandante di Ansarullah.

Tutto nasce da un doppio errore di valutazione da parte statunitense. Quello di poter imporre a Teheran un accordo non solo sul nucleare ma anche sugli armamenti strategici (missili ipersonici), e quello di poter ottenere questo risultato attraverso una diplomazia discreta e una serie di minacce nerborute. A tal fine, Washington ha chiesto a Mosca di fare da mediatrice con la Repubblica Islamica, ed ha inviato una lettera attraverso canali diplomatici terzi. Ma ha anche accompagnato questi passi con la solita minaccia (pubblica) di inasprimento delle sanzioni e quant’altro. Il risultato è stato che l’Iran non solo ha respinto la lettera al mittente, ma lo ha fatto con un aperto tono di sfida, sostanzialmente dichiarandosi pronto ad affrontare le minacciate conseguenze, quali che fossero, e a rispondere adeguatamente.

Ovviamente questo è suonato come uno schiaffo, agli occhi di Trump, che insiste nel portare avanti la sua politica internazionale facendo continuamente ricorso alle minacce, cosa che può andar bene forse con Panama, ma di certo non con una media potenza regionale, che tiene testa da 40 anni agli Stati Uniti.

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Ascanio Bernardeschi: L’Europa va alla guerra

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L’Europa va alla guerra

di Ascanio Bernardeschi

 

La crisi del capitalismo viene affrontata con la guerra. L’Unione europea se ne fa strumento ai danni degli interessi dei propri popoli. Di fronte agli evidenti nessi fra la guerra e l’attacco senza precedenti alle condizioni dei lavoratori occorre lavorare per una loro presa di coscienza e promuovere lotte con parole d’ordine adeguate alla fase.

 

La crisi del capitalismo

Da molti decenni il capitalismo sta attraversando una profonda crisi da cui non riesce a venirne fuori.

La risposta pare essere quella del riarmo e della guerra.

I capitalisti hanno sempre preferito che si spenda per il riarmo piuttosto che con il Welfare per diversi motivi: a) Le commesse pubbliche sono rivolte direttamente alle imprese e non al settore pubblico; b) il Welfare assicura alcune certezze ai lavoratori e con ciò rende meno pressante il ricatto occupazionale, inoltre il clima di guerra favorisce il disciplinamento sociale e le politiche repressive; c) infine gli armamenti sono funzionali a supportare politiche imperialiste.

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Francesca Fornario – Igiaba Scego: O-Scurati dall’abbaglio dell’Occidente

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O-Scurati dall’abbaglio dell’Occidente

di Francesca Fornario – Igiaba Scego*

Vorrei ringraziare Enrico Mentana per aver postato “L’Intervento perfetto di Antonio Scurati alla manifestazione di Roma” con la bandiera dell’Unione Europea che ci aveva detto che non c’erano soldi per le pensioni, la sanità e la scuola, ma li ha trovati per “riarmare” gli eserciti dei singoli paesi pure se non hanno mai smesso di armarsi.

Leggendo, a ogni riga ho fatto un salto così alto che ho sbattuto la testa contro un satellite di Elon Musk. Vorrei proporre un’analisi del testo perché Scurati parla di “Noi” chiamandoci tutti in causa.

«Noi non siamo gente che invade paesi confinanti!»

Non li invadiamo perché quei paesi sono già comodamente in Europa quando li bombardiamo senza autorizzazione dell’Onu. Così è stato per Belgrado, definita dalle guide turistiche “tra le più antiche città d’Europa”, bombardata dagli aerei italiani e quelli partiti dalle basi italiane nel 1999 con l’ok del governo D’Alema, vicepresidente del consiglio con delega ai servizi e ministro della Difesa tal Sergio Mattarella, ministri del calibro di Amato, Fassino, Ciampi, Dini, Letta (Enrico, ma poteva essere Gianni che era uguale).

Morirono almeno 2.500 persone, 89 bambini. Quanto agli altri paesi che abbiamo invaso, come correttamente rivendicato da Scurati, non sono confinanti. Se li invadiamo è per difendere dall’assalto dei barbari le nostre radici e tradizioni e valori fin dai tempi de “L’Impero Romano distrutto dagli immigrati”, come ci ricorda il titolo del saggio del Ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara.

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Djarah Kan: A Piazza del Popolo, ho sentito lo stesso linguaggio del colonialismo

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A Piazza del Popolo, ho sentito lo stesso linguaggio del colonialismo*

di Djarah Kan, scrittrice

Alcuni degli interventi che si sono susseguiti dal palco della manifestazione per l’Europa a Piazza del Popolo, mi hanno fatto davvero male. Ne parlo da giorni con tutte le persone nere che conosco e condividono il mio stato d’animo. Stiamo male. Malissimo. Perché non riusciamo a credere che quella sinistra italiana lì riunita stia parlando di Europa, negli stessi toni, con lo stesso linguaggio e addirittura con le stesse visioni culturali che i colonizzatori hanno sempre sfruttato per giustificare quella barbarie che è stata e che è ancora oggi il Colonialismo.

Lo giuro, provo un dolore enorme.

Da donna africana, da figlia di indigeni africani che hanno dovuto lasciare una terra ricchissima, resa sterile dal colonialismo e dal capitalismo estremo, questa retorica mi uccide.

Quella piazza mi ha sconvolta. Tra il revisionismo storico di Scurati e le parole di Vecchioni, quello spettacolo di persone bianche, intelligenti, istruite incapaci di cogliere la violenza storica di quell’idea di Europa, mi ha spezzata in due. Non posso credere che l’unico modo per opporsi a due dittatori, sia questo ritorno alla Vecchia Europa eurocentrica, culla della civiltà e di tutto ciò che può essere giusto e buono. Con una leggerezza allucinante c’era gente che dichiarava apertamente che l’Europa ha insegnato al mondo la filosofia, la storia, l’arte. L’Europa è superiore. L’Europa è il faro del Mondo. NOI siamo il CENTRO e vogliamo essere di nuovo la bussola che detta la direzione da prendere.

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