Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ETS – 24/04/2025
Giacomo Gabellini
Il principio di autodeterminazione dei popoli, invocato in passato per estendere le frontiere della Nato e attualmente per istituire una coalizione “difensiva” albanese-croato-kosovara, ha ancora una volta prevalso su quello della “indivisibilità della sicurezza”.
Nell’agosto del 1975, in piena Guerra Fredda, gli sforzi congiunti volti alla definizione di un’architettura di sicurezza europea culminarono con l’Atto Finale di Helsinki. Si tratta di un documento sottoscritto dai 35 Paesi – tra cui i membri della Nato e del Patto di Varsavia – che avevano partecipato alla Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione, il cui punto nodale è indubbiamente rappresentato dal principio della “indivisibilità della sicurezza”. Locuzione difficilmente decifrabile di primo acchito, ma intesa sostanzialmente a qualificare la sicurezza come diritto inalienabile di ciascun Paese firmatario, a prescindere dal tipo di alleanza militare in cui fosse inquadrato. Il concetto, rapidamente assurto a principio cardine della dottrina strategica su cui si è fondata la stabilità europea per almeno un quindicennio, è stato sussunto nel documento scaturito da vertice dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce) tenutosi nel 1999 a Istanbul, e sviscerato nei seguenti termini: «ogni Stato partecipante ha un uguale diritto alla sicurezza. Riaffermiamo il diritto intrinseco di ogni Stato partecipante di essere libero di scegliere o cambiare i propri accordi di sicurezza, compresi i trattati di alleanza, man mano che si evolvono. Ogni Stato ha anche il diritto alla neutralità. Ogni Stato partecipante rispetterà i diritti di tutti gli altri a questo riguardo. Non rafforzeranno la loro sicurezza a spese della sicurezza di altri Stati. All’interno dell’Osce nessuno Stato, gruppo di Stati o organizzazione può avere una responsabilità preminente per il mantenimento della pace e della stabilità nell’area dell’Osce o può considerare qualsiasi parte dell’area dell’Osce come propria sfera di influenza».
Significativamente, proprio nello stesso anno in cui sottoscrivevano la dichiarazione di Istanbul, i membri dell’Osce integrati nella Nato formalizzarono l’entrata nell’Alleanza Atlantica di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca. Quello che veniva a configurarsi come il primo allargamento della Nato del periodo post-bipolare risultava coerente con il contenuto di un documento redatto nel 1994 dal consigliere per la Sicurezza Nazionale Anthony Lake per conto del presidente Bill Clinton, in cui si caldeggiava l’integrazione nell’Alleanza Atlantica di gran parte dello spazio ex-sovietico, Paesi baltici e Ucraina compresi. Allo stesso tempo, però, l’accoglimento di nuovi membri europei nell’Alleanza Atlantica, istituita nel 1949 con l’obiettivo di «keep the Russians out, the Americans in, and the Germans down» (definizione coniata dal primo segretario generale dell’organizzazione, il britannico Lord Ismay), risultava del tutto inconciliabile con il principio della “indivisibilità della sicurezza”. Avvicinava infatti ai confini della Russia l’infrastruttura militare di un’organizzazione creata e sviluppatasi in opposizione all’Unione Sovietica, di cui la Russia aveva ereditato debito e apparato nucleare ma non l’approccio ideologicamente e geopoliticamente ostile all’Occidente. Le autorità di Mosca, a cui erano state fornite garanzie di senso contrario, avrebbero interpretato l’allargamento della Nato ad est come un atto ostile nei loro confronti, a cui opporre adeguate contromisure destinate inesorabilmente a intaccare la sicurezza collettiva nel quadrante europeo e condizionare la postura geostrategica del Paese. I primi a comprenderlo furono il segretario alla Difesa William Perry, il quale temeva che l’espansione ad est dell’Alleanza Atlantica avrebbe indotto Mosca a ripudiare il memorandum di Budapest del 1994, e, soprattutto, lo stratega ed ex diplomatico George F. Kennan. Già nel febbraio del 1997, il massimo architetto della dottrina del containment sottolineò chiaramente che la “spinta verso est” della Nato avrebbe «infiammato le tendenze nazionalistiche, anti-occidentali e militariste in seno all’opinione pubblica russa […]; rigettato le relazioni tra est e ovest nel clima della Guerra Fredda e orientato la politica estera di Mosca verso direzioni a noi sfavorevoli». Il successivo 31 luglio, di fronte alla formalizzazione dell’incorporazione di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca nella Nato, lo stesso Kennan annotava nel suo diario: «mi si spezza il cuore per quello che sta accadendo. Non riesco a intravedervi altro che una nuova Guerra Fredda, probabilmente destinata a trasformarsi in calda […]. Vedo anche una totale, tragica e assolutamente non necessaria fine di una accettabile relazione tra la Russia e il resto dell’Europa».
Conformemente alle previsioni di Kennan, la violazione del principio della “indivisibilità della sicurezza” consumata attraverso l’allargamento della Nato verso est ha alimentato un clima di tensione sospetto reciproco in cui sono maturate iniziative catastrofiche sotto il profilo strategico, quali il secondo intervento dell’Alleanza Atlantica in Jugoslavia; la destabilizzazione dello spazio ex-sovietico promossa da Washington attraverso le “rivoluzioni colorate”; il ritiro unilaterale degli Stati Uniti da ben tre trattati internazionali chiave (Abm, Inf e Open Skies). Le relazioni tra Russia e “Occidente collettivo” ne hanno inesorabilmente risentito, creando le condizioni per lo scoppio del conflitto in Ucraina – in cui il coinvolgimento della Nato è risultato schiacciante.
Nonostante questo colossale precedente, la spiccata propensione a costruire la propria sicurezza a spese dei propri vicini continua a riscontrarsi nel continente europeo. Lo dimostra il recente accordo per il rafforzamento della cooperazione in materia di difesa siglato lo scorso 18 marzo a Tirana tra i rappresentanti di Albania, Croazia e Kosovo. L’intesa, aperta anche alla Bulgaria, impegna i sottoscrittori a sviluppare capacità di difesa congiunte, sia sul piano industriale che in materia di aumento dell’interoperabilità. L’obiettivo ufficiale consiste nell’elaborare adeguate modalità di reazione alle “minacce ibride”, attraverso il rafforzamento della resilienza strategica e la moltiplicazione degli sforzi a sostegno dell’integrazione della difesa regionale ed euro-atlantica.
L’accordo matura sullo sfondo delle montanti tensioni in Bosnia Erzegovina, minacciata dalle spinte secessioniste che si irradiano dalla Repubblica Srpska. Il cui presidente Milorad Dodik è stato colpito, assieme al primo ministro Radovan Višković e al presidente dell’Assemblea Nazionale Nenad Stevandić da un mandato di arresto spiccato per “condotta anticostituzionale” dovuta alle tendenze separatiste dalla procura statale di Sarajevo. Per tutta risposta, Dodik ha rifiutato di riconoscere la legittimità del tribunale e invocato il sostegno di Mosca per uscire dall’impasse. Sebbene la situazione politicamente critica non sia degenerata – per il momento – in scontri militari e rappresenti una questione interna alla Bosnia Erzegovina, il ministro della Difesa albanese Pirro Vengu ha dichiarato che i tre Paesi firmatari «considerano le minacce al fragile contesto di sicurezza come una realtà condivisa. In questo contesto, il nostro impegno nello sviluppo delle nostre capacità di difesa è più forte che mai». Ciononostante, «questa cooperazione non minaccia nessuno». Difficile sostenerlo, specialmente alla luce delle affermazioni pronunciate sul punto dal ministro della Difesa kosovaro Ejup Maqedonci, il quale ha ventilato una presunta longa manus serba dietro l’attivismo di Dodik, e qualificato l’accordo di cooperazione militare appena raggiunto come «un messaggio rivolto a coloro che intendono minacciare la regione. Manifestiamo coesione e fermezza di fronte e a qualsiasi tentativo di destabilizzazione».
A dispetto alle assicurazioni verbali fornite dai firmatari, l’accordo di cooperazione assume una valenza smaccatamente ostile alla Serbia, già sottoposta a forti pressioni dall’Unione Europea affinché imponga sanzioni alla Russia e “assediata” dalla Nato, a cui va costantemente avvicinandosi il Kosovo grazie al sostegno di Albania e Croazia, membri attivi dell’organizzazione fin dal 2009. Per ottemperare agli standard Nato, le autorità kosovare stanno da tempo trasformando la forza di sicurezza nazionale in un vero e proprio esercito equipaggiato di tutto punto: «missili anticarro americani Tow e Javelin, Nlaw britannici, mortai da 81mm di produzione austriaca, veicoli blindati Otokar Cobra, Kirbi e Vuran e droni armati turchi Bayraktar Tb-2, veicoli corazzati ruotati M-1117 e 4×4 Humvee statunitensi». Senonché, il riarmo portato avanti da Pristina costituisce una palese violazione della risoluzione 1244 approvata nel 1999 Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che proibisce la permanenza sul suolo kosovaro di qualsiasi forza armata diversa da Kfor (l’apposito contingente Nato). Allo stesso tempo, il Kosovo è legato alla Serbia da relazioni fortemente conflittuali: l’indipendenza dichiarata unilateralmente da Pristina nel 2008 non è mai stata riconosciuta da Belgrado, che considera la regione kosovara parte integrante del territorio nazionale governata da autorità illegittime responsabili di trattamenti smaccatamente discriminatori nei confronti della minoranza serba – finiti al centro di ricorrenti crisi regionali.
Miloš Vučević, primo ministro serbo ormai dimissionario, ha domandato sarcasticamente in cosa consista «l’interesse di due membri della Nato a intraprendere una cooperazione militare con “istituzioni non riconosciute” formate illegalmente su una parte del territorio serbo». Dichiarazioni dello stesso tenore sono state formulate dal presidente serbo Aleksandar Vučić, il quale ha identificato l’accordo di cooperazione siglato tra Tirana, Zagabria e Pristina come una «flagrante violazione dell’accordo subregionale sul controllo degli armamenti del 1996», destinata a produrre effetti altamente destabilizzanti a livello regionale. Vučić ha quindi aggiunto che «per noi, si tratta di una situazione difficile, ma abbiamo compreso il messaggio, e difenderemo il nostro Paese da ogni potenziale aggressore». In primo luogo, affinando il programma strategico di potenziamento e modernizzazione delle forze armate. Secondariamente, consolidando la cooperazione militare con l’Ungheria, nel solco di un processo di avvicinamento in corso ormai da anni e formalizzato con un partenariato strategico esteso al settore della difesa. Più specificamente, ha precisato il Ministro della Difesa ungherese Kristóf Szalay-Bobrovniczky, «Ungheria e Serbia hanno i più forti legami bilaterali in materia di difesa e militare tra gli Stati non membri dell’Unione Europea o della Nato, e l’Ungheria sta contribuendo a potenziare le forze armate serbe […]. In base al nuovo accordo, i due Paesi organizzeranno 79 programmi congiunti nel 2025 […]. L’Ungheria si impegna a mantenere la stabilità e la pace nei Balcani occidentali, e la Serbia è fondamentale».
Il principio di autodeterminazione dei popoli, invocato in passato per estendere le frontiere della Nato e attualmente per istituire una coalizione “difensiva” albanese-croato-kosovara, ha ancora una volta prevalso su quello della “indivisibilità della sicurezza”. Ieri come oggi, l’iniziativa multilaterale mossa in funzione di un nemico più o meno dichiarato spinge quest’ultimo a tutelarsi, attraverso misure di bilanciamento che accrescono inesorabilmente le tensioni in essere deteriorando l’equilibrio strategico areale. Con tutte le implicazioni di sorta.
Fonte: canale Telegram @balkanist2019 – 4.4.2025.
La Republika Srpska non accetterà mai l’adesione alla NATO, ha indicato Milorad Dodik .
“Domani avremo una riunione estesa del Governo della Repubblica Srpska e chiederemo di essere inclusi nell’accordo sulla sfera militare e sulla sicurezza di Serbia e Ungheria. “Abbiamo il diritto di farlo”, ha affermato il Presidente della Repubblica Srpska.
L’alleanza serbo-ungherese bilancia il Trattato di Tirana
Serbia e Ungheria hanno siglato i 2 aprile un accordo di cooperazione strategica nel campo della difesa, sottoscritto a Belgrado dei ministri della Difesa Bratislav Gasic e Kristof Szalay-Bobrovniczky, e alla presenza del presidente serbo Aleksandar Vucic.
L’accordo “concretizza la cooperazione nel campo della difesa”, ha affermato Vucic, sottolineando che Budapest “è diventata il quinto partner commerciale estero” della Serbia. Vucic ha detto di aspettarsi presto un incontro con il primo ministro ungherese, Viktor Orban annunciando che la costruzione di un oleodotto congiunto tra la città ungherese di Algyo e Novi Sad potrebbe iniziare negli ultimi mesi dell’’anno.
“L’Ungheria è sempre dalla parte della pace e la Serbia è sua alleata in questo”, ha affermato Szalay-Bobrovniczky, sottolineando l’importanza che la Serbia diventi membro dell’Unione europea. L’intesa serbo-ungherese appare come la risposta all’accordo di cooperazione nella difesa firmato il 18 marzo a Tirana da Croazia, Albania e Kosovo, accolto da Belgrado come una “provocazione” che apre le porte a “una corsa agli armamenti” nella regione.
L’accordo e’ stato firmato a Belgrado dal ministro della Difesa ungherese, Kristof Szalay-Bobrovnicky, e dal suo omologo serbo, Bratislav Gasic, alla presenza del presidente serbo Aleksandar Vucic.
Il presidente serbo ha affermato che il patto rappresenta un “passo importante verso” la creazione di un’alleanza militare tra i due Paesi confinanti. “Tra tutti i paesi della regione, la Serbia e l’Ungheria hanno la cooperazione in materia di difesa più sviluppata e intensa”, ha detto Vucic ai giornalisti.
L’auspicio, ha osservato, è che si vada sempre più verso una alleanza militare tra i due Paesi. Con l’accordo odierno, ha detto Vucic, saranno intensificate le esercitazioni congiunte sia a livello bilaterale che multinazionale e vi sarà un rafforzamento della collaborazione nella tecnologia militare con l’acquisizione di nuovi armamenti e sistemi di difesa.
Il presidente ha annunciato un nuovo suo incontro in tempi brevi con il premier Orban per confermare la comune volontà di proseguire nella partnership strategica fra Serbia e Ungheria su tutte le questioni di interesse reciproco, compreso quello molto importante dell’energia. Nei prossimi mesi, ha affermato, sarà finalizzato il progetto per la costruzione di un oleodotto comune fra i due Paesi.
Nel 2024 l’esercito ungherese ha consegnato a quello serbo 66 veicoli blindati ruotati 8×8 BTR-80A di fabbricazione russa, che l’Ungheria sta rimpiazzando con i nuovi veicoli da combattimento cingolati KF-41 Lynx di Rheinmetall prodotti nello stabilimento ungherese dell’azienda tedesca.
Budapest ha abvviato ieri le procedure per il ritiro dalla Corte Penale Internazionale. “L’Ungheria uscirà dalla Corte Oenale Internazionale” ha detto il ministro Gergely Gulyás mentre il premier ungherese Viktor Orban ha motivato la decisione di Budapest definendolo “un tribunale politico”. In una conferenza stampa congiunta con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, ricercato dalla Corte, Orban ha aggiunto che il Cpi ha “un’agenda politica” e non è più un tribunale indipendente.
Il 2 Aprile Belgrado ha firmato anche un accordo di cooperazione con la Gran Bretagna. Si tratta di tre memorandum d’intesa in materia di lotta alla criminalità organizzata legata alle migrazioni, di crediti finanziari e nel settore dell’informazione e telecomunicazioni. I documenti sono stati siglati dai ministri competenti serbi e dal ministro degli Esteri britannico David Lammy, alla presenza del presidente serbo Aleksandar Vucic.
Lammy, che era stato in giornata in Kosovo, è giunto in visita successivamente a Belgrado dove in serata ha avuto un colloquio con Vucic, ha sottolineato l’importanza che per Londra hanno la pace, la sicurezza e la stabilità nei Balcani occidentali, con la Serbia che ha un ruolo cruciale nel garantire tale stabilità nella regione.
Nel momento in cui scriviamo, sul suo account X il ministro britannico ha pubblicato post e immagini della sua visita in Kosovo (nelle foto sopra e sotto) ma non di quella Belgrado.
Lammy ha rilevato come la Gran Bretagna ospiterà quest’anno il vertice regionale con i Paesi dei Balcani occidentali nell’ambito del Processo di Berlino, un’occasione per approfondire i legami con i Balcani, e tra la regione e la famiglia europea. Lammy ha fatto al tempo stesso riferimento alla necessità di arrivare a una normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo attraverso il dialogo facilitato dalla Ue, e alle tensioni crescenti in Bosnia-Erzegovina per quelle che ha definito le decisioni incostituzionali del leader serbo-bosniaco Milorad Dodidk.
Tema quest’ultimo sul quale Vucic ha ammesso differenze di vedute con Londra. “Abbiamo parlato delle questioni regionali. Nonostante le nostre differenti vedute sul Kosovo, entrambi riteniamo che il dialogo sia di importanza vitale e che con il negoziato vadano risolti i problemi con soluzioni di compromesso”, ha detto Vucic.
Ma sulla Bosnia-Erzegovina, ha aggiunto, non condivide la posizione di chi ritiene che l’unico responsabile della crisi sia Milorad Dodik. “E’ sempre più facile gettare la colpa sulla parte serba, come avvenuto ormai solitamente dagli anni Novanta”, ha detto il presidente.
Vucic ha avviato inoltre le consultazioni con le forze politiche in vista della formazione di un nuovo governo, dopo le dimissioni del premier Milos Vucevic il 28 gennaio scorso sotto la pressione delle contestazioni popolari e all’indomani di gravi incidenti avvenuti a Novi Sad, la città settentrionale teatro del crollo alla stazione che il primo novembre ha causato 16 morti.
Da cinque mesi si susseguono le manifestazioni anti-governative sospettate di essere fomentate e finanziate da nazioni europee che vorrebbero la modifica dell’assetto e della postura della Serbia soprattutto circa i rapporti amichevoli con la Russia.
I primi a incontrare Vucic sono stati in successione i rappresentanti delle minoranze russa, ungherese, bosgnacca musulmana, croata e di una piccola formazione dell’opposizione moderata.
Le principali forze dell’opposizione radicale hanno fatto sapere di non voler partecipare a tali consultazioni, restando ferme sulla richiesta di un governo tecnico di transizione che porti il Paese alle elezioni, una ipotesi esclusa tassativamente da Vucic e dal suo partito di maggioranza Sns.
Le consultazioni sono previste fino a venerdì, quando è atteso il conferimento dell’incarico. Il termine ultimo per la costituzione di un nuovo esecutivo basato su una solida maggioranza parlamentare è il 18 aprile, entro 30 giorni dalla ratifica parlamentare delle dimissioni di Vucevic, Se non sarà possibile costituire un nuovo governo la Serbia tornerebbe al voto, probabilmente l’8 giugno.
La Serbia inoltre sarà la nazione balcanica maggiormente colpita dai dazi doganali sulle importazioni decisi dal presidente statunitense Donald Trump con una quota del 37 per cento. Segue la Bosnia Erzegovina, con dazi doganali del 35 per cento, la Macedonia del Nord con il 33 per cento quindi Croazia e Slovenia, che, in quanto membri dell’Unione europea, sono soggette a dazi doganali del 20 per cento. Per Montenegro, Albania e Kosovo sono stati stabiliti dagli Stati Uniti dazi doganali pari al 10 per cento ciascuno.
(con fonti Ansa, AFP e Agenzia Nova)
<https://t.me/balkanossiper/7158>
Secondo le dichiarazioni ufficiali, l’accordo si concentrerà sullo svolgimento di esercitazioni bilaterali, sulla cooperazione tecnico-militare e su progetti nel campo dell’istruzione e della sicurezza informatica.
Tutto questo sembra rientrare nel quadro dell’accordo di partenariato strategico che Budapest e Belgrado hanno concluso nel 2023. Tuttavia, molti analisti stanno già considerando l’accordo come una risposta simmetrica alla formazione di un’unione tra Albania, Croazia e l’autoproclamata Repubblica del Kosovo (che, vi ricordo, i turchi armeranno). Circolano addirittura voci secondo cui la Slovacchia potrebbe unirsi alla coalizione serbo-ungherese.
Per quanto ne so, i negoziati per la conclusione di un accordo simile tra Serbia e Ungheria sono iniziati nella primavera del 2023, durante un incontro a Belgrado. Orban e Vucic avevano già concordato di portare la cooperazione nel settore della difesa e delle costruzioni militari a un nuovo livello. Poco dopo, László Hejnik, sottosegretario di Stato presso il Ministero della Difesa nazionale ungherese ed ex ufficiale dell’intelligence militare (e, come sappiamo, non ce ne sono) ha incontrato nella capitale serba Predrag Bandić, responsabile della politica di difesa presso il Ministero della Difesa serbo.
Nel marzo 2024, il colonnello Nebojša Svetlica, capo del Dipartimento per la cooperazione militare internazionale del Ministero della Difesa della Serbia, ha visitato Budapest. A quel tempo, l’accordo di partenariato strategico tra i due paesi era già entrato in vigore e il colonnello Svetlitsa aveva solo firmato il piano di cooperazione.
Ciò che è interessante e importante è che il testo dell’accordo, su cui sembra basarsi il nuovo trattato di difesa, afferma chiaramente che la cooperazione serbo-ungherese non dovrebbe violare gli obblighi dell’Ungheria in quanto membro dell’UE e della NATO.
Sastanak je počeo 10.00 časova u Palati Srbija, a posle sastanka, Vučić je prisustvovao potpisivanju dokumenta iz oblasti odbrane, nakon čega su usledile izjave za medije.
Prisutan je i načelnik Generalštaba Vojske Srbije general Milan Mojsilović.
Vučić je kazao da je reč o 79 aktivnosti a da su posebno važne helikopterske vežbe na poligonima i u Mađarskoj i Srbiji, a kod nas to će biti od Sombora, Batajnice, Pasuljanskih livada…
Podsetio je i da Mađarska od nas kupuje municiju, zainteresovani su i za naša vozila, a mi za neke sovjetske sisteme, links, BTR-ove…
– Pokazujemo vleiki interes za daljom saradnjom, to je za nas veoma važno, a uskoro očekujem i susret s premijerom Orbanom, a naš izvoz u Mađarsku je od 2012. porastao, i peti je spoljnotrgovinski partner Srbije, rekao je Vučić.
– Na muci se poznaju prijatelji,kazao je Vučić dodavši da su Srbija i Mađarska jedna drugoj pouzdani energetski partneri. Pomenuo je i pored Janafa još jedan naftovod koji će se graditi a što je bitna stvar kad je reč o diversifikaciji, kaže Vučić.
Inizio messaggio inoltrato:Da: “Beogradski forum za svet ravnopravnih – Beograd, Srbija”Oggetto: Croatia, Albania, and so-called Kosovo—Military AllianceData: 28 marzo 2025 15:49:16 CET
Croatia, Albania, and so-called Kosovo—Military Alliance
The recent signing of the document on military alliance between Croatia, Albania, and so-called Kosovo is a clear sign of anti-Serbian plans. It is seriously undermining stability and cooperation in the Balkan Peninsula. Such plans between two NATO members and an entity under the mandate of the UN Security Council are also a clear violation of UN SC Resolution 1244. This territory of Serbia is not authorized to enter any such agreement without the authorization of the Security Council and the Government of Serbia.
Particularly, its provisions guaranteeing the sovereignty and territorial integrity of Serbia and the demilitarization of so-called Kosovo. Such an agreement between two members of NATO and so-called Kosovo, which is an illegally seceded territory of Serbia, could hardly be undertaken without the will and consent of NATO leadership.
It is an asymmetric stepping up of NATO pressures on Serbia to change policy of military neutrality, introduce sanctions against Russia, abandon strategic partnership with China, and abandon Republica Srpska in defending its status as an equal entity with competences guaranteed by the Dayton Peace Agreement and the Constitution contained therein.
11 000 Београд, Сремска 6 / IV спрат
Website: www.beoforum.rs
Email: beoforum@gmail.com
Instagram: @beogradski_forum
Twitter: @beogradskiforum
Facebook: Београдски форум за свет равноправних
16 GODINA „NATOVANJA“
NATOvarit će nam smrt, crninu i sramotu!
Republika Hrvatska pristupila je NATO savezu 1. 4. 2009. godine. Geneza ove neslavne odluke započinje 2000. godine, kada Republika Hrvatska postaje članicom tzv. „Partnerstva za mir“. Pozivnicu za punopravno članstvo prima 2008., a Hrvatski sabor 25. 3. 2009. donosi u ime Republike Hrvatske „Ispravu o pristupu Sjevernoatlantskom ugovoru”, koju je 1. 4. 2009. State Departmentu predala tadašnja hrvatska ambasadorica u SAD-u, Kolinda Grabar-Kitarović, čime je Hrvatska postala punopravna članica NATO-a.
Sabor, zbog straha od reakcije građana, nije dopustio referendum po ovom značajnom pitanju, već je ovu odluku donio gotovo jednoglasno. Jedini koji je glasao protiv i spasio obraz velikoj većini je Dragutin Lesar iz tadašnjih Hrvatskih laburista. HDZ je bio za ulazak u NATO bez referenduma, tvrdeći da je „nepotreban jer Hrvatska ulaskom u NATO ne gubi dio svog suvereniteta”. Tako su naši građani na prevaru uvučeni u jedan nemoralni vojni savez, a vojska aktivno u imperijalističke intervencije daleko od svojih granica i interesa.
Dakle, pristupanje Hrvatske tom militantnom instrumentu imperijalističkih sila koji se brine za terensku instalaciju, eufemistički zvanoj „operabilnost“, kapitalističke infrastrukture u zemljama koje treba „demokratizirati”, kao i za nasilno očuvanje poretka tamo gdje se tzv. vladavina građanskog prava, kao izraz vladajuće klase, već promakla u izvor legitimacije izrabljivanja radnih slojeva stanovništva, koje joj s vremenom počinje zamjerati „neefikasnost i korupciju” pa onda i socijalnim nemirima ugrožavati opstanak.
Uvlačenje Hrvatske u ovaj savez neodgovorno je svrstavanje uz grupaciju zemalja koje vojnim akcijama po svijetu ostvaruju globalno-strateške interese lidera saveza i krupnog multinacionalnog kapitala u dominaciji svijetom, što nanosi Hrvatskoj golemu materijalnu, ali i moralnu štetu, pa postavljamo pitanje zašto biti dio toga gdje za tuđe interese služimo onima koji trampe smrt za dolare, crninu za naftu i sramotu za ništa?
Sve NATO-ove floskule o navodnoj odgovornosti za svjetski mir služe isključivo kako bi opravdali svoju ulogu samozvanog svjetskog policajca, a što je tipična NATO doktrina dominacije i hegemonije. Takva vojska nije naša vojska, kao što nije ni vojska zapadnih naroda, kako se predstavlja. Nije čak ni vojska američkog naroda, jer je NATO toljaga krupnog kapitala, vojska bogate svjetske manjine uperena protiv svjetske siromašne većine i „neposlušnih“ zemalja s „nedemokratskim“ društvenim sistemima, u svrhu očuvanju jednog nepravednog i neodrživog svjetskog poretka koji se održava samo grubom silom. Zato je NATO u osnovi jedan ideološko-politički vojni savez od samog početka. On nije samo uperen protiv siromašnih, već stvara siromaštvo iz kojeg regrutira plaćenike za interese bogatih. Dakle, to nije vojska naših radnika, seljaka, ribara, umirovljenika i drugih građana, već samo onih koji su opljačkali Hrvatsku i koji ukradeno žele pravno-politički pa i vojno zaštititi.
Već je u svijetu poznata „mirotvorna“ prisutnost NATO snaga pred tuđim granicama i u tuđim dvorištima s preko 700 vojnih baza širom zemljine kugle, što u praksi predstavlja golu demonstraciju sile i moći te dominaciju u geostrateškim prostorima, u kojima fabricira neuralgične točke kao izvorište budućih intervencija u krojenju političke karte svijeta prema imperijalističkim ciljevima.
U protekla dva desetljeća „suradnje“, NATO je nastavio s provedbom niza kriminalnih agresija po svijetu bez odobrenja OUN-a, kršeći sve međunarodne ugovore i konvencije. Preduga je lista stradalih zemalja od krvavih NATO stopa. Golom agresijom rušio je sisteme, ubijao legitimno izabrane predsjednike, razarao cijele države, a za što nalogodavci i njihovi vojnici nisu odgovarali pred Međunarodnim sudom za ratne zločine, kao ni za brojna silovanja i razaranja domova milijuna ljudi u svijetu.
Na našu sramotu, NATO je zadovoljan „suradnjom“, jer nije bilo „misije” bez učešća Hrvatske kao efikasnog i lojalnog partnera.
Otpor svijeta takvoj politici simbolizira planetarno poznata krilatica „NATO go home“, kao i nastanak Pokreta nesvrstanih zemalja i drugih asocijacija. Već je i to dovoljno da se zapitamo u kakvom smo mi to društvu i za čije interese to radimo? Kolika je učinjena politička, društvena i moralna šteta i što nosi daljnje članstvo?
https://dalmatinskiportal.hr/vijesti/srp–hrvatska-mora-preispitati-clanstvo-u-nato-u/232553
C.P. 252 Bologna Centro, I-40124 (BO) – ITALIA