[Sinistrainrete] Marco Gatto: Always Totalize!

In uno scritto autobiografico del 1977, Cesare Cases ripercorreva le tappe filosofiche che lo avevano condotto alla Perdita della totali- tà, al tracollo della fiducia nei confronti di ricostruzioni sistematiche e di narrazioni universali.

Marco Gatto: Always Totalize!

ospite ingrato

Always Totalize!

Perché abbiamo ancora bisogno della totalità (e della dialettica)

di Marco Gatto

Platon et Aristote par Della Robbia détailI.

In uno scritto autobiografico del 1977, Cesare Cases ripercorreva le tappe filosofiche che lo avevano condotto alla Perdita della totali , al tracollo della fiducia nei confronti di ricostruzioni sistematiche e di narrazioni universali: «crollata questa fede, sono crollate anche le mie presunzioni teoriche»,1 egli confessava. E nello stesso tempo quest’ammissione rappresentava un rilancio, perché, al netto della sconfitta, restava ferma, persino negli scritti più brevi e occasionali, «un’inclinazione al compiuto, al conchiuso, un’inclinazione […] di per sé antiavanguardistica, ma di un antiavanguardismo consapevole dell’impossibilità di fare la cosa chiusa»,2 in larga parte proveniente, si potrebbe aggiungere, dalla lunga frequentazione di Cases con i pensatori novecenteschi dell’Intero, Lukács su tutti.3 La pervasiva e capitalistica «frammentazione della vita», dialetticamente legata alla «nostalgia della totalità»,4 secondo la lezione proveniente dall’autore di Teoria del romanzo (1920),5 rendeva per Cases posticcia, all’altezza degli anni Settanta del secolo scorso, qualsiasi tensione universalizzante, ma poneva forse in rilievo (ancora per poco) la possibilità di tenere avvinti la parte e il tutto, il particolare e il totale, prima che si scivolasse storicamente (e drammaticamente) nella dittatura ideologica del primo polo sul secondo. Cases, quasi da post-lukacsiano, si schierava con Adorno e con la «sua critica allo spirito hegeliano di sistema».6 «Non è che il desiderio di totalità sia in sé malvagio – continuava il grande germanista –, ma è prematuro, poiché in realtà la totalità esiste», ed è quella del capitalismo e delle sue forme sociali, e pertanto «ogni tentativo di tipo hegeliano di irreggimentare il mondo in sistema finisce per consegnarlo all’esistente».7 L’apertura di una breccia nella costrittiva totalità del capitalismo diventava, pertanto, l’obiettivo di una critica che non poteva rischiare di riprodurre, nelle sue movenze totalizzanti, i meccanismi egemonici dell’avversario.

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Massimo De Angelis: Guarda in alto, non solo la cometa

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Guarda in alto, non solo la cometa

di Massimo De Angelis

d88ed56Don’t look up è un film interessante per diversi motivi. Il principale, secondo Massimo De Angelis, ha a che fare con il possibile destino dei nostri sforzi di cambiare il mondo e di comunicare l’urgenza di questo cambiamento, ma anche di fare di questa comunicazione uno strumento di azione comune e collettiva. Non basta cominciare a guardare in alto per vedere la cometa in picchiata sulla Terra (il cambiamento climatico più della pandemia), c’è da riconoscere e sovvertire in basso l’ordine gerarchico della società nella quale il profitto viene prima di tutto.

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Il film Don’t look up è come uno specchio che riflette la coscienza del mondo, uno specchio che ci mostra attraverso quali meccanismi perversi sia possibile che la potenza collettiva accumulata in trecento anni di sviluppo economico si trasformi in impotenza collettiva nella salvaguardia della riproduzione sociale a fronte di una grave minaccia. E questo non per mancanza di conoscenza o tecnologia, ma semplicemente per il modo in cui il nostro mondo è organizzato.

Nel film, la questione della riproduzione sociale è posta dalla minaccia di una cometa gigantesca destinata a colpire la terra, con conseguenze catastrofiche per tutta la vita sul pianeta. Non credo siano concepibili emergenze più gravi della minaccia imminente dell’estinzione di massa (lontana poco più di sei mesi), e sebbene nelle intenzioni del regista il film voglia evocare altre reali minacce alla riproduzione sociale, a cominciare dal cambio climatico, quest’ultima non si presenta ai nostri occhi con lo stesso grado e intensità di catastrofismo di una gigantesca cometa che colpisce il nostro pianeta.

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Perry Anderson: Il Consiglio europeo

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Il Consiglio europeo

di Perry Anderson

L’intervento che segue, a firma di Perry Anderson (storico accademico e saggista britannico), è stato pubblicato sulla London Review of Books, Volume 43, n. 1, gennaio 2021 (1) e affronta, da un punto di vista storico, le cinque istituzioni principali dell’Unione europea: la Corte di Giustizia, la Commissione, il Parlamento, la Bce e il Consiglio. Dopo aver pubblicato la parte relativa alla Corte di Giustizia (2), alla Commissione (3), al Parlamento e alla Bce (4), chiudiamo con il Consiglio europeo e le conclusioni su economia, euro, diritti, democrazia

39854reIl Consiglio europeo comprende capi di governo che godono di maggioranze in veri e propri parlamenti, frutto di elezioni significative. Come tale, è diventato la massima autorità dell’Unione. The Passage to Euro- pe di Van Middelaar è in gran parte la storia della sua ascesa a questa posizione, ed è giustificata la sua affermazione che il Consiglio è ora il principale motore dell’integrazione europea. Quello che non fa è guardare sotto il cofano. Che tipo di veicolo sta avanzando? È questo il soggetto della più fondamentale di tutte le opere sulla Ue dell’ultimo decennio, European Integration di Christopher Bickerton, il cui titolo anodino, condiviso da decine di altri libri, nasconde la sua distinzione, che si concretizza nel sottotitolo che fornisce la sua argomentazione: “Dagli Stati nazionali agli Stati membri”.

Tutti hanno un’idea di cosa sia uno Stato-nazione, e molti sanno che 27 Paesi (dopo l’uscita del Regno Unito) sono Stati-membri dell’Unione Europea. Qual è la differenza concettuale tra i due? La definizione di Bickerton è succinta. Il concetto di Stato-membro esprime un cambiamento fondamentale nella struttura politica dello Stato, con i legami orizzontali tra i dirigenti nazionali che hanno la precedenza sui legami verticali tra i governi e le loro società. Questo sviluppo lo ha colpito per la prima volta, spiega, al momento del referendum irlandese sul Trattato di Lisbona.

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Salvatore Palidda: Le guerre dei ricchi

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Le guerre dei ricchi

di Salvatore Palidda

Dal 2008 i ricchi sono sempre più ricchi ma è da quarant’anni che sono in guerra contro i poveri. Nuovi dati dimostrano che la pandemia ha ulteriormente accentuato questo processo: anche in Italia il numero di individui con un patrimonio investibile di un milione di dollari è cresciuto rispetto al 2019. Stati e media sono gli strumenti privilegiati di questa feroce aggressione pianificata, alimentata anche razzismo, sessismo e discriminazioni. “La guerra contro i poveri fa parte di un’economia politica che di fatto è più che mai criminale – scrive Salvatore Palidda – perché produce effetti devastanti in tutti i campi e rischia di condurre alla guerra planetaria…”

In un articolo pubblicato su Le Monde del 2022/01/01 l’economista Jeffrey Sachs sostiene che gli Stati Uniti sono diventati un paese di ricchi, per ricchi e da quarant’anni in guerra contro i poveri. In realtà questo vale un po’ sia per i paesi cosiddetti ricchi in Europa, in Nord America, più il Giappone, l’Australia, gli Emirati, l’Arabia Saudita, Israele e Corea del Sud.

Le conseguenze della gestione della crisi del 2007-2008 hanno costantemente fatto aumentare la ricchezza dei più ricchi del mondo e la povertà di almeno 150 milioni le persone che, inoltre, nel 2021 vivono in condizioni di estrema indigenza (secondo le stime della Banca Mondiale).

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Alda Teodorani: Dottor Psycho

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Dottor Psycho

di Alda Teodorani

Avevo sedici anni quando il mio medico, in seguito a una serie di analisi riguardanti la funzionalità renale e che poi si rivelarono errate, mi inviò a fare una visita da un primario ospedaliero.

L’uomo mi fece entrare nel suo studio, chiuse la porta a chiave e mi fece spogliare completamente; quindi, mi si avvicinò e senza dire una parola si chinò e mi baciò il seno. Fu un gesto talmente veloce, decontestualizzante e assurdo da lasciarmi allibita al punto che non ebbi nemmeno la forza di parlare. Poi fui ricoverata, non vidi più quel “professore”, raccontai la cosa al mio medico il quale disse che mi stavo inventando tutto. Stop. Ero troppo piccola per dirlo a qualcun altro ed ero sicura che se lo avessi riferito ai miei avrebbero sostenuto che era colpa mia.

Da allora – e prima di allora, poiché io credo che mia mamma soffrisse di una leggera forma di sindrome di  Münchhausen per procura – ho avuto a che fare con molti medici.

Alcuni furono sprezzanti, come se la malattia fosse una colpa. Altri saccenti e taciturni, quasi che la malattia non mi riguardasse e solo da loro potesse provenire la Verità assoluta.

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Agata Iacono: Istituto Koch: il 96% positivi Omicron in Germania sono vaccinati

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Istituto Koch: il 96% positivi Omicron in Germania sono vaccinati

Game over Super GreenPass

di Agata Iacono

Il rapporto proviene dall’Istituto più prestigioso europeo – l’Istituto Koch di Berlino – redatto con la prestigiosa collaborazione dell’istituto epidemiologico Pasteur di Parigi ed è stato pubblicato oggi 30 dicembre. E’ presto diventato “virale” in tutto il mondo, ma non nella stampa mainstream sempre grazie a quella rete che subisce un attacco liberticida senza precedenti in questo periodo.

Il rapporto, in estrema sintesi, rileva come il 95,58% dei casi di Omicron in Germania abbia completato il ciclo sperimentale vaccinale – e il 28% abbia addirittura la “terza dose”. Solo il 4,42% con positività da variante omicron non è vaccinato. In Germania è stato vaccinato ben il 73,9% della popolazione con prima dose, il 70,9 % con seconda dose e il 37,3 % ha già ricevuto la terza dose.

In pratica tutte le misure come il Super Green Pass dei “migliori” che voleva contenere i casi obbligando la vaccinazione in modo surrettizio crollano in modo miserrimo.

La narrazione a supporto della folle gestione del Draghistan implode con i numeri del più prestigioso istituto di epidemiologia d’Europa.

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Guido Cappelli: Piccola archeologia della catastrofe

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Piccola archeologia della catastrofe

Postille a Di Remigio e Di Biase

di Guido Cappelli

Ho letto con una certa intima soddisfazione l’articolo Il sapere, ugualitarismo, differenza, uscito su questo sito lo scorso 15 dicembre, a firma di Di Remigio e Di Biase e come replica a un mio precedente intervento, in cui criticavo in modo piuttosto acceso la soppressione della prova scritta dall’esame di maturità. L’ho letto con piacere non solo per i toni civili di un franco dibattito (la qual cosa, checché se ne dica, resta rara avis, in tempi di social rabbiosi e decibel fuori controllo), ma anche perché, lungi dal percepirlo come una critica, mi è parso un’integrazione, un arricchimento, un approfondimento di quanto proponevo nel mio contributo: si tratta infatti di una densa, documentata “archeologia del disastro” della scuola italiana, che chiama in causa gli errori della sinistra e in particolare del Pci a partire dagli anni settanta, una vera e propria resa ideologica che gli autori sintetizzano graficamente: “Proprio nel momento in cui lasciavano i lavoratori esposti alla pressione neoliberale, gli ex-comunisti lenivano i propri sensi di colpa restando fedeli a sé stessi nell’unico campo in cui era loro consentito.

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Rsu Fiom-Cgil Contact Center GSE: Sosteniamo la resistenza delle lavoratrici e dei lavoratori del GSE in sciopero

lavoroesalute

Sosteniamo la resistenza delle lavoratrici e dei lavoratori del GSE in sciopero

di Rsu Fiom-Cgil Contact Center GSE

“La nostra è una storia di appalti e subappalti che per anni ci hanno sballottato da un’azienda a un’altra, passando da concordati, fallimenti e affitti di ramo di azienda… Un’incredibile storia di matrioske e scatole cinesi in cui le aziende private intascavano soldi pubblici, senza di fatto metterci nulla, mentre intanto i lavoratori venivano mantenuti in uno stato di costante precarietà che gli impediva anche di vedersi riconoscere il corretto inquadramento contrattuale, in quanto le aziende fallivano di continuo” (Collettivo GSE)

Pubblichiamo le dichiarazioni del Collettivo lavoratori del GSE –gestore servizi energetici in Italia- allo scopo di sostenerli nella loro lotta, diffondendo i motivi dello sciopero in corso.. I lavoratori sono il core business del GSE, quarto ente in Italia e destinatario di un’ingente quantità di fondi del Pnrr. I lavoratori della GSE da 14 giorni sono in sciopero per gli ammortizzatori sociali e chiedono che vengano rilanciate le assunzioni, mentre da oltre 10 anni passano di appalto in appalto, perdendo ogni volta buona parte dei diritti e salario. La loro lotta dura da troppo tempo e non si ferma qui.

Di seguito la loro voce e la vicenda.

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Assemblea militante: Per un’opposizione di classe alla gestione autoritaria della pandemia

sinistra

Per un’opposizione di classe alla gestione autoritaria della pandemia

di Assemblea militante

dhl set2Quello che segue è un testo frutto dell’elaborazione collettiva e condivisa di un gruppo di compagni, provenienti da diverse realtà territoriali e da diverse esperienze politiche pregresse, sebbene tutte riconducibili alla sinistra classista. Nel corso di questi mesi siamo stati attivi nelle mobilitazioni contro la gestione autoritaria della pandemia e abbiamo promosso proprie iniziative per estendere e qualificare in senso classista il movimento in corso.

Dallo scambio iniziale di materiali e di esperienze si è creato un circuito di confronto che ha cercato di mettere a fattor comune le pratiche e le riflessioni maturate nel corso di quest’attività. Il testo vuole essere un contributo per estendere ancora di più questo confronto ad altri compagni che in questi mesi hanno maturato un giudizio simile al nostro sulla vicenda della pandemia e un invito a unirsi a noi (nel caso si riconoscano in esso) in questo circuito che abbiamo chiamato Assemblea Militante, per sottolineare che il nostro non vuole essere un consesso di pura discussione ma di impegno attivo e possibilmente coordinato e condiviso.

Siamo convinti che, anche se il movimento dei mesi scorsi vive una fase di difficoltà, esso sia un interessante banco di prova per le caratteristiche con cui si ripresenterà lo scontro tra le classi e la lotta anticapitalistica nel prossimo futuro. Inoltre riteniamo che il movimento stesso non abbia esaurito tutte le sue potenzialità e che nei prossimi mesi, anche per la pervicacia e la manifesta irrazionalità delle misure imposte dal governo, esso sarà costretto a ritornare in campo.

Siamo altresì convinti che la vicenda della pandemia abbia rappresentato uno spartiacque per tanti compagni che hanno dovuto assistere al fallimento delle varie sigle della cosiddetta sinistra antagonista sindacale e politica che nella stragrande maggioranza si sono adeguate alla narrazione dominante sul tema della pandemia diffusa dalle istituzioni e dai mass media, assumendo posizioni politiche di piena subalternità alla suddetta narrazione.

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Fosco Giannini: Il Partito che vogliamo

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Il Partito che vogliamo

di Fosco Giannini

Immagine Secondo Editoriale Giannini 1

 

“Nessun modo migliore può esistere di commemorare il quinto anniversario della Internazionale comunista, della grande associazione mondiale di cui ci sentiamo, noi rivoluzionari italiani, più che mai parte attiva e integrante, che quello di fare un esame di coscienza, un esame del pochissimo che abbiamo fatto e dell’immenso lavoro che ancora dobbiamo svolgere, contribuendo così a chiarire la nostra situazione, contribuendo specialmente a dissipare questa oscura e greve nuvolaglia di pessimismo che opprime i militanti più qualificati e responsabili e che rappresenta un grande pericolo, il più grande forse del momento attuale, per le sue conseguenze di passività politica, di torpore intellettuale, di scetticismo verso l’avvenire.

Questo pessimismo è strettamente legato alla situazione generale del nostro paese; la situazione lo spiega, ma non lo giustifica, naturalmente. Che differenza esisterebbe tra noi e il Partito socialista, tra la nostra volontà e la tradizione del Partito socialista, se anche noi sapessimo lavorare e fossimo attivamente ottimisti solo nei periodi di vacche grasse, quando la situazione è propizia, quando le masse lavoratrici si muovono spontaneamente per impulso irresistibile e i partiti proletari possono accomodarsi nella brillante posizione della mosca cocchiera?

Così scriveva Antonio Gramsci all’inizio di un suo articolo (“Contro il pessimismo”) su “L’Ordine Nuovo” del 15 marzo 1924.

Nuvolaglia di pessimismo, passività politica, torpore intellettuale, scetticismo verso l’avvenire: non si addicono perfettamente, queste denunce di Gramsci del ’24, alla condizione politica, esistenziale, psicologica di una parte sicuramente non irrilevante dei comunisti italiani di questa nostra fase, siano essi iscritti ai loro partiti che comunisti senza tessera e organizzazione, cellule comuniste dormienti?

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Fabio Ciabatti: La dialectica interrupta del Censis, la verità dell’irrazionalismo e l’immaginario

carmilla

La dialectica interrupta del Censis, la verità dell’irrazionalismo e l’immaginario

di Fabio Ciabatti

follia 1024x1024 768x768“La fuga nell’irrazionale è l’esito di aspettative soggettive insoddisfatte, pur essendo legittime in quanto alimentate dalle stesse promesse razionali”. Questa affermazione contenuta nell’ultimo rapporto del Censis sembra catapultarci direttamente nella dialettica dell’illuminismo di Horkheimer e Adorno. E non è tutto. “L’irrazionale ha infiltrato il tessuto sociale”, denuncia l’istituto di ricerca, utilizzando un’argomentazione dal vago profumo di materialismo storico per spiegare questo sinistro fenomeno: il rifiuto di scienza, medicina, innovazioni tecnologiche, che in passato hanno costruito il nostro benessere, “dipende dal fatto che siamo entrati nel ciclo dei rendimenti decrescenti degli investimenti sociali. Questo determina un circolo vizioso: bassa crescita economica, quindi ridotti ritorni in termini di gettito fiscale, conseguentemente l’innesco della spirale del debito pubblico, una diffusa insoddisfazione sociale e la ricusazione del paradigma razionale”.1

Gli estimatori della scuola di Francoforte non devono però eccitarsi troppo. Se quella del Censis è dialettica è senz’altro una dialectica interrupta perché, semplificando al massimo, l’antitesi tra razionale e irrazionale non prospetta alcun tipo di sintesi, di superamento dei due termini della contraddizione. L’irrazionalismo viene evocato solo come momento fallace per confermare la bontà del suo opposto, la razionalità dominante. Che le cose stiano effettivamente così lo possiamo intuire quando leggiamo che a fare da contraltare all’onda di irrazionalità c’è “una maggioranza ragionevole e saggia”. Un’ulteriore conferma viene dal fatto che l’irrazionalismo si esprimerebbe nell’opposizione alle politiche governative: “Le proposte razionali che indicano la strada per migliorare la situazione vengono delegittimate a priori per i loro supposti intendimenti, con l’accusa di favorire interessi segreti e inconfessabili.

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Salvatore Palidda: Il nucleare “verde” e l’energia di transizione

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Il nucleare “verde” e l’energia di transizione

di Salvatore Palidda

La Commissione europea si appresta a classificare il nucleare come energia verde. Parallelamente definirà il gas “energia di transizione”, a seguito dei negoziati con la Francia e la Germania.

Nel consiglio europeo del 21 e 22 ottobre, i capi di Stato e dei governi europei avevano fatto pressione sulla Commissione per decidere, a fine novembre, della sorte che si sarebbe riservata al nucleare e al gas nella tassonomia, cioè nella classificazione delle attività economiche in funzione delle loro emissioni di CO2 e delle loro conseguenze sull’ambiente. Ursula von der Leyen, la presidente dell’esecutivo comunitario, aveva promesso che sarebbe stata cosa fatta prima del successivo incontro del 16 dicembre. Invece non è stato così; Angela Merkel, che aveva gestito il dossier dopo che i Ventisette l’hanno criticata non ha smesso di rimandare il suo arbitraggio, e ormai si deve aspettare gennaio. Se tutto va come previsto, la Commissione presenterà il suo progetto il 18 gennaio.

Ricordiamo che i paesi europei hanno deciso il raggiungimento dalla neutralità carbone nel 2050, mentre la dipendenza dal gas russo inquieta e i prezzi dell’energia esplodono; si tratta di una posta in gioco cruciale.

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cedric durand and Cecilia Rikap: Il capitalismo dei monopoli intellettuali: la sfida del nostro tempo

eticaeconomia

Il capitalismo dei monopoli intellettuali: la sfida del nostro tempo

di cedric durand and Cecilia Rikap

Scientia potentia est – sapere è potere. Il vecchio adagio ha acquisito una connotazione sinistra con l’allarmante dominio delle Big Tech nell’economia e nella società nel suo complesso. Il Corporate Europe Observatory ha recentemente rivelato che tale settore rappresenta oggigiorno di gran lunga il principale lobbista delle istituzioni dell’Unione Europea.

Ma questa è solo la punta dell’iceberg di quello che Ugo Pagano chiama “il capitalismo dei monopoli intellettuali” e sul quale ha scritto anche sull’ultimo numero del Menabò. La conoscenza, che dovrebbe essere un bene pubblico (ossia non rivale e non escludibile), è stata appropriata privatamente dalle grandi imprese come capitale: la quota di beni intangibili (intangible assets) tra le società incluse nell’indice S&P 500 è passata dal 17% nel 1975 al 90% nel 2020.

Per Pagano, la drammatica espansione dei diritti di proprietà intellettuale “comporta la creazione di un monopolio legale che può essere potenzialmente esteso all’intera economia globale”. La sua presa di posizione contro un modello che tutela con forza la proprietà intellettuale riecheggia la posizione tradizionale di quegli economisti che trattano la conoscenza come un bene gratuito. Friedrich Hayek, per esempio, sosteneva:

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Carlo Clericetti: Piano Draghi-Macron, una conversione a metà

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Piano Draghi-Macron, una conversione a metà

di Carlo Clericetti

Un link nell’articolo sul Financial Times firmato dai due leader rimanda a una proposta più particolareggiata su come riformare le regole europee. Che contiene novità importanti rispetto a quelle ora sospese, e sicuramente le migliora. Ma ignora questioni non meno rilevanti

Tutti i media hanno parlato dell’articolo sul Financial Times firmato da Mario Draghi e dal presidente francese Emmanuel Macon. Una mossa importante, certo per i contenuti: il debito va ridotto, ma non aumentando le tasse o tagliando la spesa; la politica fiscale è fondamentale “per proteggere le nostre persone e trasformare le nostre economie”; il Next Generation EU “è stato un successo” e “offre un utile modello per il futuro”; soprattutto, le regole europee vanno cambiate.

Ma è altrettanto importante il fatto che i due leader abbiano voluto far sapere in modo così evidente che la vedono nello stesso modo. Scrive l’agenzia Ansa: “Fonti dell’Eliseo spiegano che il testo di Draghi e Macron è stato condiviso con altri capi di stato e di governo Ue” e che “hanno consultato diversi leader, in particolare il cancelliere tedesco Olaf Scholz”. Solo loro due, però, hanno firmato. Forse un modo per rimarcare che quella è la posizione del secondo e terzo paese più importanti dell’Ue e dunque nella discussione non se ne potrà prescindere, e forse perché non coincide esattamente con quello che pensa il leader del Paese più importante, la Germania.

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Gian Marco Martignoni: «L’ultimo miglio»

labottegadelbarbieri

«L’ultimo miglio»

di Gian Marco Martignoni

Gian Marco Martignoni sul viaggio di Angelo Mastrandrea nel mondo della logistica e dell’e-commerce in Italia fra Amazon, riders, portaconteiner, magazzinieri e criminalità organizzata

Vengono i brividi nel leggere le inchieste di Angelo Mastrandrea in L’ultimo miglio (Manni pagine; pagine 170, euro 14). Tanto che l’economista marxista Joseph Halevi, studioso a Sidney dei processi legati alla globalizzazione, ha parlato senza peli sulla lingua di ritorno a un “Medioevo capitalista”. I cinque capitoli che compongono questo libro disvelano perfettamente le brutali condizioni di lavoro e di vita di coloro che permettono l’indispensabile movimentazione (non solo ai colossi del settore) di merci di ogni tipo.

Il viaggio di Mastrandrea nella penisola non poteva che iniziare con Amazon, la multinazionale che nel nostro Paese dalla fine del 2010 ha aperto 27 magazzini ben suddivisi sul territorio, arrivando in breve tempo a occupare 9500 dipendenti, mentre ne annovera 560.000 in tutto il mondo. In particolare sono stati posti sotto osservazione il magazzino di Passo Corese, ubicato nell’alto Lazio (che nei picchi di ordinazione sfiora i 3000 occupati) e quello di Castel San Giovanni in provincia di Piacenza.

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Salvatore Bravo: Democrazia e giudizio qualitativo

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Democrazia e giudizio qualitativo

di Salvatore Bravo

La democrazia sociale è integrazione delle diversità sulla comune natura del logos. Vi sono tra gli esseri umani indubitabili differenze individuali ed etniche, ma le differenze non sono confini invalicabili, il logos è la comune natura che consente di calcolare soluzioni di compromesso, in quanto al di là delle differenze vi è una comune natura umana concreta con i suoi autentici bisogni: cibarsi, avere un tetto, vestirsi, curarsi, essere riconosciuti al di là dei ruoli sociali, comunicare la processualità della propria identità e il bisogno di essere parte di una comunità che convergono verso la possibilità del compromesso. Si tratta di riconoscersi “umani” nella concretezza dell’immanenza in cui l’esperienza individuale si materializza. Le distanze possono restare, ma accanto ad esse vi sono innumerevoli punto di contatto. L’integrazione non può avvenire in modo automatico, la tolleranza, termine non felice per esprimere l’integrazione comunitaria, non si realizza senza sviluppo della sovrastruttura. Senza educazione non è possibile il percorso che porta alla comunità democratica. L’educazione non è una scienza sperimentale, per cui i risultati non sono assicurati, poiché agisce e si configura all’interno di innumerevoli variabili tra cui il sostrato storico e comunitario e l’indole personale.

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