Rassegna del 10/10/2022
Enrico Tomaselli: L’anti-Clausewitz
L’anti-Clausewitz
di Enrico Tomaselli
Formalizzato da Carl von Clausewitz nel suo Della Guerra, pubblicato negli anni trenta dell’800, il principio della guerra come proseguimento della politica con altri mezzi è in realtà sempre stato considerato da tutti i teorici dell’arte militare – da Machiavelli a Sun Tzu, da Giap a Gerasimov. Si potrebbe in effetti dire che sia un principio talmente vero da risultare ovvio, ma in realtà non è poi così nei fatti. Quel che è certo è che questo principio trova la sua massima applicazione nel corso del 900, quando alle classiche linee di frattura geopolitiche si aggiungono quelle ideologiche, facendo quindi della guerra uno strumento quasi privilegiato della/dalla politica
La guerra rivoluzionaria
È interessante notare come, proprio nel corso del novecento, l’ideologizzazione della guerra produca un fenomeno speculare, le cui ricadute – come vedremo – si presentano ancora oggi in modo per certi versi sorprendente. Il secolo scorso, infatti, vede la nascita della guerra rivoluzionaria, che non è semplicemente lo strumento bellico messo al servizio di una politica – appunto – che si prefigge la rivoluzione, ma è a tutti gli effetti, e prima d’ogni cosa, una rivoluzione della guerra. Per certi versi paragonabile a quella napoleonica.
Anche se tendenzialmente il pensiero va al Mao Tze Dong della lunga marcia, il vero teorico della guerra rivoluzionaria è il vietnamita Võ Nguyên Giáp. È lui che guiderà la lotta di liberazione del popolo vietnamita, dapprima contro la Francia e poi contro gli Stati Uniti. Ed a questi due conflitti sono legati altri due fattori importanti, ai fini della presente riflessione.
Innanzitutto, è nel corso del conflitto indocinese (e poi durante la guerra di liberazione algerina) che l’idea di guerra rivoluzionaria viene assimilata (e rielaborata) da un esercito occidentale; all’interno dell’esercito coloniale francese, infatti, la temperie di questi due conflitti fa maturare la consapevolezza che la guerra non è più semplicemente una questione tra eserciti contrapposti e, pertanto, va affrontata con logiche strategiche e tattiche assai diverse.
Juraima Almeida: Senza mobilitare le masse e abbandonare il culto del passato sarà difficile la vittoria di Lula
Senza mobilitare le masse e abbandonare il culto del passato sarà difficile la vittoria di Lula
di Juraima Almeida*
In questo articolo l’autrice sostiene che in questo mese che ancora manca al secondo turno la candidatura di Lula deve cambiare la strategia seguita finora: mobilitare le masse e abbandonare il culto del passato, che si riassume nel tormentone di Lula ‘durante il mio governo…’
Nelle elezioni brasiliane di domenica scorsa l’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva è stato il candidato più votato per la presidenza, ma gli è mancato l’1,7% dei suffragi per imporsi al primo turno sull’attuale presidente dell’ultradestra Jair Bolsonaro: l’epico duello tra i due si risolverà nel ballottaggio del 30 ottobre.
Il vantaggio di Lula su Bolsonaro è stato di quattro scarsi punti percentuali, nonostante tutti i sondaggi e le indagini prevedessero un vantaggio tra sette e dieci punti: questa è stata la prima vittoria dell’attuale mandatario. Ma la vittoria più pesante è stata riportata sia nella formazione di quello che sarà a partire dal 2023 il Congresso che nei governi provinciali.
Bolsonaro è riuscito a mantenersi in partita e continuare nella competizione per almeno altre quattro settimane: c’è stata la crescita di una base ampia e apparentemente solida che oscilla tra la destra e l’ultradestra.
Per qualsiasi analisi sul futuro bisogna partire dalla realtà, perché come segnala il direttore del Centro Latinoamericano de Análisis Estratégico, Aram Aharonian, la società brasiliana non è la stessa di 19 anni fa, quando quell’ex operaio metallurgico di Sao Bernardo do Campo e dirigente della Central Única de Trabajadores (CUT), cavalcando un’ondata di speranza, arrivò al governo (e al potere?). Il tempo passa…
Ed è assolutamente vero: molto è successo in questi ultimi due decenni e domenica le urne hanno dimostrato che i più poveri dei poveri delle periferie urbane non hanno votato -come si credeva- massicciamente per il PT e il suo candidato. Ora, anche vincendo, sarà difficile governare essendo in minoranza in Parlamento.
Massimo Baldacci: Filosofia della praxis e “apprendimento storico”
Filosofiadellapraxise “apprendimento storico”
Su “La questione comunista” di Domenico Losurdo
di Massimo Baldacci (Università di Urbino)
0. Premessa
Laquestionecomunista, il libro postumo di Losurdo (2021) curato da Grimaldi, mi pare avvicinabile ad altri volumi di questo studioso: MarxeilbilanciostoricodelNovecento(2009); Ilmarxismooccidentale(2017). In queste opere, infatti, la ricostruzione storica appare indirizzata a un ripensamento degli orizzonti odierni e di quelli futuri, secondo un taglio critico che non cade mai nel dottrinarismo.
In questo saggio, intendo avanzare una chiave di lettura particolare (concepita da un’angolatura pedagogica) di questo lavoro postumo di Losurdo; indicare la problematica che autorizza l’uso di tale chiave interpretativa; e, infine, mostrare un esempio paradigmatico reperibile nel testo in questione.
1. Lafilosofia della praxis comepedagogiasociale
In questo volume, Losurdo legge la storia dell’idea di comunismo secondo il metodo del materialismo storico, non come una astratta disputa ideologica, bensì muovendo dall’esperienza storica reale. Questo atteggiamento teorico è espressamente dichiarato nelle conclusioni del volume:
«Marx ed Engels: nell’analisi della Rivoluzione francese o inglese non prendono le mosse dalla coscienza soggettiva dei loro protagonisti o degli ideologi che le hanno invocate e ideologicamente preparate, bensì dalla indagine sulle contraddizioni oggettive che le hanno stimolate e sulle caratteristiche reali del continente politico sociale scoperto o messo in luce dagli sconvolgimenti verificatisi […] Perché dovremmo procedere diversamente nei confronti della Rivoluzione d’ottobre?»1.
Pierluigi Fagan: Punto critico?
Punto critico?
di Pierluigi Fagan
Siamo ad un punto critico della guerra in Ucraina? Proverò a sviluppare una tesi ipotetica, troppe cose non sappiamo per aver certezze e sebbene esplorerò una tesi, si potrebbero interpretare le stesse cose in altro modo. Il punto è: si inizia a pensare a come uscirne?
I fatti, almeno quelli pubblicamente noti. Biden, ad un fundraising a casa del figlio di Murdoch, ha detto: 1) siamo nella più grave crisi di rischio atomico dai tempi dei missili a Cuba; 2) conosco personalmente Putin, non scherza; 3) se in virtù di una sostanziale non vittoria sul campo sente minacciato il suo potere e si mette ad usare l’atomico tattico, da lì in poi è escalation senza via di uscita; 4) sto allora pensando quale potrebbe essere una via d’uscita.
Blinken ha rilanciato “noi siamo pronti a trovare una soluzione diplomatica, ma i russi vanno in direzione opposta”. I russi, nei giorni scorsi, hanno detto più o meno lo stesso, dal loro punto di vista. Alcuni sostengono che da tempo i due si parlano dietro le quinte e quindi quello che noi vediamo è schiuma quantistica sopra fatti ignoti.
Alessandro Scassellati: Il sabotaggio del gasdotto Nord Stream: sabotare la Germania e dare la colpa alla Russia
Il sabotaggio del gasdotto Nord Stream: sabotare la Germania e dare la colpa alla Russia
di Alessandro Scassellati
Martedì 27 settembre sono state scoperte tre importanti perdite (poi, anche una quarta) causate da esplosioni sottomarine nei gasdotti Nord Stream che collegano Russia e Germania. Il briefing serale via e-mail del New York Times, che viene inviato a nove milioni di lettori, titolava “sospetto sabotaggio russo“. L’edizione europea di mercoledì ha pubblicato un titolo simile accompagnato da commenti sugli attacchi che dimostravano l’aggressione russa contro l’Europa.
La stessa tesi è stata espressa dai media del Regno Unito. Il quotidiano conservatore Telegraph ha pubblicato un titolo “Mappa del sabotaggio del Nord Stream: come Putin avrebbe potuto effettuare l’attacco” insieme a una foto di Vladimir Putin a bordo di un sommergibile in immersione. Nel frattempo, il progressista Guardian ha pubblicato un titolo su una “nuova fase di guerra ibrida” contro l’Europa con il sottotitolo che accusa la Russia di sospetto sabotaggio.
Il gasdotto Nord Stream è una risorsa fondamentale per Russia e Germania
Piccole Note: Ucraina: una guerra di confine, come altre della storia, ma…
Ucraina: una guerra di confine, come altre della storia, ma…
di Piccole Note
Nel dedicare pagine intere alle magnifiche sorti e progressive della controffensiva ucraina, la stampa occidentale dimentica sia la parola pace, ormai sinonimo di filo-putinismo, sia la realtà. E la realtà vuole che una guerra si sa quando inizia e non si sa quando finisce. Anzi, nel caso specifico, se ingoierà il mondo in un Armageddon nucleare.
Ucraina, Iran, Taiwan… il programma delle guerre infinite
Gli analisti occidentali, i tanti pseudo-esperti, derubricano quest’ultima possibilità a un evento impossibile, come se un conflitto del genere possa essere tenuto sotto controllo alla stregua di uno dei tanti interventi militari di questi anni di guerre infinite.
Una distrazione di massa necessaria per evitare che i cittadini dei Paesi occidentali si pongano domande vere su questa guerra: se cioè sia il caso di continuare ad armare l’Ucraina rischiando una guerra atomica e se sia il caso di preoccuparsi per quest’ultima eventualità, preoccupazione che farebbe apparire la retorica bellicista – mascherata da alti ideali – per quel che è, cioè una follia. E urgerebbe l’apertura di un negoziato.
Miguel Martinez: Tempi interessanti
Tempi interessanti
di Miguel Martinez
È veramente interessante vivere questi tempi straordinari.
E’ in corso una guerra, in cui saremo inevitabilmente coinvolti, visto che siamo in mezzo al continente e in mezzo al mare.
Certo, iniziano a scarseggiare benzina e gas, e c’è già chi si lamenta perché dovrà abbassare il riscaldamento…
Per fortuna, siamo alleati d’una grande, potentissima nazione militare, alla guida dell’Occidente.
E possiamo essere certi che il nostro governo interverrà solo nel momento in cui avrà l’assoluta certezza di vittoria.
Ma anche i media di ogni sorta devono fare la loro parte, contrastando il diffondersi delle fake news diffuse dagli agenti del Nemico, e incitando i cittadini a comportamenti virtuosi.
9 aprile, 1940.
L’allora Presidente del Consiglio, un romagnolo predecessore di Renzi, Conte, Draghi e della Meloni, riunisce ventiquattro direttori di giornali di provincia, per prepararli alle prossime novità.
Giovanni Iozzoli: Il cuore frenetico della globalizzazione
Il cuore frenetico della globalizzazione
di Giovanni Iozzoli
Andrea Bottalico, Le frontiere del mondo. Viaggio nella filiera dei container, Edizioni dell’asino, Milano 2022, pp. 151, € 18,00
Andrea Bottalico, saggista e ricercatore universitario, ha dato alle stampe un libro prezioso e utile, al cui centro si colloca la logistica della globalizzazione – e in particolare la rivoluzione dei container marittimi che sta ridisegnando i flussi commerciali e la tecnologia dei porti. Un argomento solo apparentemente per specialisti: Porto e Merce sono ormai categorie inscindibili nella catena del valore; mentre il vecchio concetto di “retroporto” ha lasciato il posto a strutture profondamente ramificate della logistica, che innervano per centinaia di chilometri i territori, ridefinendoli e organizzando filiere produttive che stanno facendo registrare tassi altissimi di conflittualità sociale. Bottalico, pur essendo un ricercatore di ambito accademico, evita la logica e il linguaggio della saggistica: alternando registri narrativi e da giornalismo d’inchiesta, costruisce un affresco convincente, documentato e adatto a qualsiasi genere di lettore.
Andrew Korybko: L’attacco terroristico al ponte di Crimea potrebbe cambiare le carte in tavola nel conflitto ucraino
L’attacco terroristico al ponte di Crimea potrebbe cambiare le carte in tavola nel conflitto ucraino
di Andrew Korybko
Il Comitato nazionale antiterrorismo russo ha riferito sabato mattina che “un camion è stato fatto esplodere sulla sezione autostradale del ponte di Crimea dalla penisola di Taman, causando l’incendio di sette serbatoi di carburante di un treno che viaggiava verso la penisola di Crimea”, a seguito del quale “Due sezioni autostradali del ponte sono parzialmente crollate”. Il capo del Parlamento della Crimea, Vladimir Konstantinov, ha accusato i “vandali ucraini”, in concomitanza con il consigliere senior di Zelensky, Mikhail Podolyak, e con il famigerato teorico della cospirazione del Russiagate, Adam Kinzinger, che ha elogiato su Twitter questo attentato suicida.
Il segretario del Consiglio Nazionale di Sicurezza e Difesa ucraino Alexei Danilov ha minacciato a fine aprile che “se ci sarà l’opportunità di [distruggere il ponte di Crimea], lo faremo sicuramente”, motivo per cui la conclusione iniziale dell’indagine sulla complicità di Kiev è oggettivamente credibile, date le motivazioni di quella parte. Questa iconica infrastruttura civile è un obiettivo morbido, impossibile da difendere completamente, quindi era solo questione di tempo, col senno di poi, prima che venisse danneggiata con successo. L’attacco terroristico al ponte di Crimea, che Kiev ha chiaramente appena compiuto, potrebbe cambiare le carte in tavola nel conflitto ucraino per i seguenti motivi:
Fa. Po.: L’attacco al ponte in Crimea
L’attacco al ponte in Crimea
di Fa. Po.
Non sembrano sussistere dubbi sulla paternità dell’attentato esplosivo al ponte sullo stretto di Kerč’, che unisce la Crimea alla terraferma, anche se qualcuno ipotizza altre direzioni di indagine. Pare proprio una fotocopia dell’attacco al gasdotto Nord Stream 1 e 2: in entrambi i casi, una linea è comunque rimasta non danneggiata. A parte questo, non ci sono dubbi sul fatto che il livello di provocazioni da parte dei golpisti neonazisti di Kiev si stia innalzando pericolosamente.
Vladimir Putin ha incaricato di creare una commissione governativa d’indagine, composta dal premier Mikhail Mishustin, dal Vicepremier Marat Khusnullin, dai capi del Ministero delle situazioni di emergenza Alexandr Kurenkov e del Ministero dei Trasporti Gennadij Savelëv; ne fanno parte anche i governatori del territorio di Krasnodar e della Crimea, rappresentanti di Guardia nazionale, FSB e Ministero degli interni.
Un camion carico di esplosivo è stato fatto saltare in aria intorno alle 5 (ora italiana) provocando l’incendio di sette cisterne di carburante di un convoglio della linea ferroviaria che affianca quella stradale, col conseguente crollo parziale di due campate automobilistiche del ponte.
Domenico Moro: Le tendenze del capitale nel XXI secolo, tra “stagnazione secolare” e guerra
Le tendenze del capitale nel XXI secolo, tra “stagnazione secolare” e guerra
di Domenico Moro
La realtà geopolitica dell’inizio del XXI secolo va studiata a partire dalla categoria di modo di produzione. Tale categoria definisce i meccanismi di funzionamento del capitale in generale, astraendo dalle singole economie e dai singoli Stati. Per questa ragione, dobbiamo far interloquire la categoria di modo di produzione con quella di formazione economico-sociale storicamente determinata, che ci restituisce il quadro dei singoli Stati e delle relazioni tra di loro in un dato momento.
Inoltre, il nostro approccio dovrebbe essere dialettico, basato cioè sull’analisti delle tendenze della realtà economica e politica. Tali tendenze non sono lineari, ma spesso in contraddizione con altre tendenze. Solo lo studio delle varie tendenze contrastanti può permetterci di delineare i possibili scenari futuri.
- La “stagnazione secolare”
L’economia capitalistica mondiale è entrata in una fase di “stagnazione secolare”. A formulare tale definizione è stato nel 2014 Laurence H. Summers, uno dei principali economisti statunitensi, ministro del Tesoro sotto l’amministrazione Clinton e rettore dell’Università di Harvard. Summers ha mutuato il termine di “stagnazione secolare” dall’economista Alvin Hansen, che lo coniò durante la Grande depressione degli anni ’30, che iniziò con la crisi borsistica del 1929. L’attuale “stagnazione secolare” inizia, invece, con la crisi del 2007-2009, seguente allo scoppio della bolla dei mutui subprime.
Andrea Sartori: Non so più a chi appartengo. Autodafé dell’antropologia culturale
Non so più a chi appartengo. Autodafé dell’antropologia culturale
di Andrea Sartori
Nel 1892, il medico e sociologo ungherese Max Nordau pubblicava un libro che avrebbe avuto immediatamente una grande eco in tutta Europa, Degenerazione. In piena fin de siècle, Nordau se la prendeva non solo con l’arte che considerava corrotta – a partire da quella decadente, incluso Oscar Wilde – ma dava soprattutto voce a un disagio innescato dalla turbolenza politica, sociale ed economica di quegli anni, per altro verso ricchi di speranze nel progresso e pertanto di promesse tutte da mantenere. In sintesi, scriveva Nordau, “le sensazioni dell’epoca sono straordinariamente confuse, constano di instancabilità febbrile e di scoraggiamento represso, di presentiti timori e di umorismo forzato. Il sentimento che prevale è quello d’una fine, di uno spegnimento” (Degenerazione, Bocca, 1913, p. 5). Un iper-attivismo che girava a vuoto – ma a cui i media dell’epoca davano grande risalto – faceva velo a una disillusione di fondo; i sorrisi comandati e falsi dell’ipocrisia sociale, e della sua insopportabile retorica – più tardi messa sulla graticola da Luigi Pirandello – a stento nascondevano paure profonde circa la direzione che l’Europa stava prendendo, e che in poco più di vent’anni l’avrebbe condotta sul baratro della Grande Guerra.
Se v’era una Stimmung, essa aveva a che fare con un graduale rallentamento del ritmo della vita, anzi, con un “sentimento” di “spegnimento”. Quest’ultimo contrastava la baldanza, la frenesia e lo slancio cinetico con cui da una nazione all’altra s’idolatravano i passi in avanti della scienza, dell’organizzazione sociale, riflessi tra l’altro nel sogno colonialista.
Jacques Baud: Kharkov e la mobilitazione
Kharkov e la mobilitazione
di Jacques Baud – thepostil.com
La riconquista della regione di Kharkov all’inizio di settembre sembrerebbe essere un successo per le forze ucraine. I nostri media hanno esultato e trasmesso la propaganda ucraina allo scopo darci un quadro non del tutto accurato. Uno sguardo più attento alle operazioni avrebbe potuto indurre l’Ucraina ad essere più cauta.
Da un punto di vista militare, questa operazione è una vittoria tattica per gli Ucraini e una vittoria operativa/strategica per la coalizione russa.
Da parte ucraina, Kiev era sotto pressione per ottenere qualche successo sul campo di battaglia. Volodymyr Zelensky temeva che l’Occidente si sarebbe stancato, riducendo quindi gli aiuti militari all’Ucraina. Per questo motivo, gli Americani e gli Inglesi avevano fatto pressioni affinché portasse a termine alcune offensive nel settore di Kherson. Queste offensive, intraprese in modo disorganizzato, con perdite sproporzionate e senza successo, hanno creato tensioni tra Zelensky e il suo staff militare.
Per diverse settimane gli esperti occidentali hanno messo in dubbio la presenza dei Russi nell’area di Kharkov, dato che chiaramente non avevano intenzione di combattere per la città. In realtà, la loro presenza in quest’area aveva solo lo scopo di bloccare le truppe ucraine e impedire il loro trasferimento nel Donbass, che è il vero obiettivo operativo dei Russi.
Ad agosto, alcuni indizi avevano suggerito che i Russi avevano pianificato di lasciare l’area ben prima dell’inizio dell’offensiva ucraina. Si erano quindi ritirati in buon ordine, insieme ad alcuni civili che avrebbero potuto essere oggetto di rappresaglie.
Pierluigi Fagan: La comunità internazionale
La comunità internazionale
di Pierluigi Fagan
I 24 Paesi OPEC+, hanno l’altro giorno deciso di dare un sostanzioso taglio alla produzione petrolifera, pare lo abbiano deciso in una riunione di mezzora; quindi, la decisione era comune e preparata in anticipo. La decisione è stata motivata come sostegno al prezzo dal momento che la recessione globale diminuisce la domanda. Ma si tratta di una preventiva poiché, all’altro giorno, il prezzo era sceso a livelli di gennaio stante che allora era in tendenza ascensionale dall’inverno del 2020. Cioè, campavano due anni fa senza tagli alla produzione col prezzo sotto i 25 dollari, sembra strano ora si fascino la testa perché è “solo” a 91 US$.
C’è l’interpretazione politica o meglio geopolitica. L’ha data Biden il quale ha strepitato dicendo che è una manovra ispirata dalla Russia. Colpiscono due cose di questa dichiarazione, la prima è che l’ha data quando avrebbe fatto meglio a tacere, la seconda è la ragione data che è stupida. L’ha data e con quella ragione, probabilmente per il pubblico interno, gli americani vanno ad elezioni a novembre ed il prezzo della benzina che notoriamente è il primo drive dell’inflazione è già un problema e viepiù lo sarà quando si voterà. Ma quando il presidente degli US parla, non ascolta solo il pubblico interno. I sauditi hanno risposto che è ora di dismettere questa “arroganza della ricchezza” (!).
Ferdinando Pastore: Il razzismo e la partita di pallone
Il razzismo e la partita di pallone
di Ferdinando Pastore
Una domenica mattina qualsiasi, nella routine cadenzata dal tempo dilatato tipico dei giorni di riposo, un apparente shock interrompe il fluire dei pensieri confusi, ancora poco centrati, che accompagnano il primo risveglio. Indonesia. Una partita di calcio, incidenti, più di 170 morti. Il titolo sui siti d’informazione c’è. In prima pagina. Ma nello scorrere della giornata, pian piano, si manifesta un sentimento sinistro. Nel cercare affannosamente resoconti, particolari, ci si aspetterebbe un’ondata di indignazione, di commozione generalizzata. Forum sulla violenza negli stadi. Dirette concitate per individuare la dinamica degli eventi. Il consueto proliferare di esperti mediatici. Profili social con bandiere piangenti da esibire. La dinamica ormai consolidata del giorno lacrimevole di riflessione. E Invece. Invece il fatto si perde nell’accavallarsi delle notizie sportive, delle dirette dai campi, dagli autodromi, dai palazzetti dello sport. Sì il mondo vive un giorno buio. Afferma Infantino. Ma è una dichiarazione che si perde nell’eco delle notizie. Che ha una sua puntualità di prammatica.
Marcello Rossi: Non tutti i mali vengono per nuocere
Non tutti i mali vengono per nuocere
di Marcello Rossi
Alcuni giorni prima delle elezioni mi chiedevo: e se vince la destra? Domanda retorica perché, chiunque avesse vinto, avrebbe sempre vinto la destra. Dico questo perché in Italia, ormai da molti decenni, la sinistra non esiste più. È, questa mia, la conclusione amara di un percorso che dalla Bolognina arriva ai giorni nostri. Un percorso che inizialmente è tutto quanto all’interno della storia del Pci i cui dirigenti, pur cambiando più volte il nome al partito (prima Pds, poi Ds e poi ancora Pd), non sono riusciti a elaborare una strategia socialista. Intendo dire che con il crollo del Muro di Berlino l’intellighenzia pci spaventata, forse, dal dissolversi dei partiti tradizionali e stressata dagli avvenimenti internazionali che annunciavano la fine dell’Unione Sovietica – quell’Unione Sovietica che tanta parte aveva avuto nell’immaginario popolare – si lasciò irretire dagli eventi e acriticamente accettò l’idea che la stagione del socialismo volgesse alla fine.
Un chiaro difetto di cultura politica perché con l’Ottantanove tramontava non il socialismo ma un certo socialismo: il socialismo statalista. Il che fa pensare che l’Unione Sovietica, almeno nel subconscio pciista, era ancora ritenuta il paese guida, tanto che, implodendo, poneva fine all’idea sia di comunismo sia di socialismo.
Thierry Meyssan: Gli Stati Uniti dichiarano guerra a Russia, Germania, Olanda e Francia
Gli Stati Uniti dichiarano guerra a Russia, Germania, Olanda e Francia
di Thierry Meyssan
La stampa internazionale affronta il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream come fatto di cronaca, noi invece lo analizziamo come atto di guerra contro Germania, Olanda, e Francia. Le tre vie di approvvigionamento di gas dell’Europa Occidentale sono state interrotte simultaneamente ed è stato contemporaneamente inaugurato un nuovo gasdotto con terminali in Polonia.
Come già Mikhail Gorbaciov vide nella catastrofe di Cernobyl l’inevitabile smembramento dell’Unione Sovietica, noi riteniamo che il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream segni l’inizio della rovina economica dell’Unione Europea.
La lotta degli Stati Uniti per conservare l’egemonia mondiale è entrata nella terza fase.
– L’allargamento della Nato a est, in violazione degli impegni occidentali di non installazione di armi statunitensi in Europa centrale, è una minaccia diretta alla Russia, che non può difendere i suoi immensi confini.
– Violando gli impegni assunti dopo la seconda guerra mondiale, Washington ha portato al potere a Kiev i nazionalisti integralisti («nazisti» secondo la terminologia del Cremlino), che hanno vietato ai compatrioti russofoni di parlare la loro lingua madre, li hanno privati di servizi pubblici e infine hanno bombardato i compatrioti del Donbass.
Marcello Musto: Quando Marx tradusse “Il Capitale” per i francesi
Quando Marx tradusse “Il Capitale” per i francesi
di Marcello Musto
Nel febbraio del 1867, dopo oltre vent’anni di un lavoro erculeo, Marx poté finalmente dare all’amico Friedrich Engels la notizia così tanto attesa che la prima parte della sua Critica dell’economia politica era stata portata a termine. Subito dopo, Marx si recò da Londra ad Amburgo per consegnare il manoscritto del primo volume (“Il processo di produzione del Capitale“) della sua opera fondamentale e, d’accordo con il suo editore Otto Meissner, venne deciso che il Capitale sarebbe stato pubblicato in tre parti. Pieno di soddisfazione, Marx scrisse che la pubblicazione del suo libro era «senza dubbio il più terribile missile che era mai stato sparato contro i dirigenti della borghesia». Nonostante il lungo lavoro di stesura, cominciato prima del 1867, negli anni successivi la struttura del Capitale sarebbe stata notevolmente ampliata, e anche il primo volume continuò a richiedere e assorbire un notevole impegno da parte di Marx, anche dopo la sua pubblicazione. Uno dei più evidenti esempi di tale impegno è stata la traduzione francese de Il Capitale, pubblicata in 44 fascicoli tra il 1872 e il 1875.
Mauro Boarelli: Fuga o protesta?
Fuga o protesta?
di Mauro Boarelli
Cosa dicono i numeri (e cosa non dicono)
La previsione si è avverata. Il partito (post)fascista è stato quello più votato alle ultime elezioni politiche. Per la prima volta nella storia del dopoguerra il governo sarà guidato da una personalità proveniente da una cultura politica antitetica a quella che ha dato origine all’Italia repubblicana, una cultura avversata nella lotta politica, nelle carceri e al confino, nella guerra partigiana da tutte le correnti di pensiero che hanno cooperato nella scrittura della Costituzione. Un mutamento di paradigma sintomo e causa al tempo stesso della lunga crisi del sistema politico e rappresentativo che giunge ora a un punto di svolta.
Certo, il dato elettorale va contestualizzato. L’affermazione della destra non è così netta come emerge dalla distribuzione dei seggi. La coalizione, infatti, ha ottenuto circa 150.000 voti in più rispetto alle elezioni precedenti, un incremento molto modesto. L’effetto valanga è dovuto unicamente a una legge elettorale che distribuisce un numero rilevante di seggi in modo del tutto abnorme rispetto al reale peso elettorale, una legge targata Pd e concepita da un ceto politico incapace e irresponsabile. La maggioranza parlamentare (e di conseguenza la composizione del governo) sarebbe stata diversa se gli strumenti della democrazia rappresentativa fossero stati usati tenendo fermi i principi costituzionali, ma in ogni caso l’espansione impressionante di Fratelli d’Italia (che aumenta del 410% i propri voti) è un segno inequivocabile del mutamento culturale in atto.
L’altro aspetto centrale del mutamento è l’astensionismo.
Michael Hudson: L’euro senza l’industria tedesca
L’euro senza l’industria tedesca
di Michael Hudson*
La reazione al sabotaggio di lunedì 26 settembre di tre dei quattro gasdotti Nord Stream 1 e 2 si è concentrata sulle speculazioni su chi sia stato e se la NATO farà un serio tentativo di scoprire il colpevole. Tuttavia, invece del panico, si è tirato un grande sospiro di sollievo diplomatico, persino di tranquillità. La disattivazione di questi gasdotti pone fine all’incertezza e alle preoccupazioni dei diplomatici USA/NATO, che, la settimana precedente, avevano quasi raggiunto l’apice di una crisi, quando in Germania si no svolte grandi manifestazioni per chiedere la fine delle sanzioni e la messa in funzione del Nord Stream 2 per risolvere la carenza di energia.
L’opinione pubblica tedesca stava capendo il vero significato della chiusura delle aziende siderurgiche, di fertilizzanti, di vetro e di carta igienica. Queste aziende prevedevano di dover cessare completamente l’attività – o di trasferirla negli Stati Uniti – se la Germania non si fosse ritirata dalle sanzioni commerciali e valutarie contro la Russia e non avesse permesso la ripresa delle importazioni di gas e petrolio russi e, presumibilmente, la riduzione da otto a dieci volte del loro astronomico aumento dei prezzi.
Eppure, la guerrafondaia Victoria Nuland del Dipartimento di Stato aveva già dichiarato a gennaio che “in un modo o nell’altro il Nord Stream 2 non sarebbe andato avanti” se la Russia avesse risposto all’incremento degli attacchi militari ucraini contro gli oblast orientali russofoni. Il 7 febbraio, il presidente Biden aveva ribadito l’intenzione degli Stati Uniti, promettendo che “il Nord Stream 2 non ci sarà più. Vi porremo fine. Vi prometto che saremo in grado di farlo.”
Ascanio Bernardeschi: Sraffa, Il rapporto con Marx
Sraffa, Il rapporto con Marx
La parabola dell’economia politica – Parte XXIV
di Ascanio Bernardeschi
Il modello di Sraffa rappresenta un’economia in equilibrio statico e ha finalità completamente diverse da quelle di Marx che intendeva indagare le leggi di movimento del modo di produzione capitalistico. Pertanto non è opportuno giudicare la coerenza del sistema di analisi marxiano con il metro di Sraffa.
Abbiamo visto che Sraffa utilizza la merce tipo, come metro che consente di valutare le merci senza fare alcun riferimento al tempo di lavoro e al contempo senza subire l’influsso delle variazioni nella distribuzione del reddito. Siamo di fronte a un modo completamente nuovo di determinare i prezzi e la distribuzione del reddito attraverso i parametri della tecnica, tutti ugualmente influenti a tale scopo, e non a partire dal solo tempo di lavoro diretto e indiretto, una volta conosciuta una variabile distributiva. Pertanto non si parla più di plusvalore, ma di sovrappiù, di una quantità di merci eccedente quella impiegata nella produzione.
Il sistema tipo, che ci consente di ragionare in termini di quantità fisiche a prescindere dai prezzi, rende visibile la relazione inversa tra salario e saggio del profitto. Viene designato con R il rapporto incrementale tra l’intero neovalore, o prodotto netto, e l’input di lavoro e mezzi di produzione, rapporto che è possibile determinare in termini di quantità fisiche. È chiaro che se il salario fosse pari a zero R sarebbe anche il corrispondente saggio del profitto, il limite massimo che può assumere tale saggio. Ponendo ω come la quota del prodotto netto che va ai salari, otteniamo che il saggio del profitto effettivo è dato da
r=R(1-ω) (1)
cioè sono evidenti gli interessi contrapposti di lavoratori e capitalisti.
Claudio Conti – Guido Salerno Aletta: La forza del biglietto verde è veleno per l’economia americana
La forza del biglietto verde è veleno per l’economia americana
di Claudio Conti – Guido Salerno Aletta
La guerra sottostante a quella in Ucraina, che apparentemente oppone solo Russia e Nato (con Kiev felice di fare il campo di battaglia…) è in realtà una guerra economico-monetaria-finanziaria tra aree capitalistiche con ambizioni globali.
E se gli Stati Uniti sono dagli anni ‘40 la potenza imperialistica egemone, l’Unione Europea stava da alcuni decenni cercando di costruirsi come “soggetto relativamente indipendente”, per quanto alleato.
Due i problemi principali da risolvere; a) la dipendenza dell’Europa dalle importazioni di materia prime (energetiche e non), in quanto economia di trasformazione, dotata di know how di alto livello ma povera di risorse proprie; b) il potere del dollaro (e il monopolio nel sistema di pagamenti internazionali), che facilita da decenni lo scarico delle crisi economiche Usa sul resto del mondo.
Le forniture russe e la crescita di ruolo globale dell’euro non sono mai state viste di buon occhio da un alleato potente quanto egoista come Washington. Ma solo la guerra in Ucraina ha creato le condizioni perfette per gli Usa, che possono ora manovrare tutte le loro leve per demolire la potenza industriale e finanziaria europea, nel disperato (quanto inutile) tentativo di uscire dalla propria crisi.
Marco Cattaneo: Tassi sui titoli di Stato e politica monetaria
Tassi sui titoli di Stato e politica monetaria
di Marco Cattaneo
Uno dei post precedenti aveva per oggetto il (presunto) nesso tra rendimenti offerti sui titoli di Stato (da un lato) e valore della moneta dello Stato emittente sul mercato dei cambi (dall’altro).
E faceva notare che il Giappone (il solito rompiscatole…) smentisce la tesi che tassi bassissimi producano un cronico deprezzamento del cambio.
Vorrei qui approfondire un tema collegato. La politica monetaria è, in buona misura, basata sulle variazioni del tasso d’interesse offerto dalla banca centrale alle banche commerciali. A questo tasso tende anche ad allinearsi il rendimento dei titoli di Stato a breve termine.
Se, infatti, una banca può depositare presso l’istituto di emissione (la banca centrale, appunto) ottenendo il 3%, perché mai dovrebbe comprare un titolo di Stato a breve che non offra lo stesso rendimento ?
Ho scritto “una banca” perché solo alle istituzioni finanziarie è consentito depositare presso l’istituto di emissione (“detenere riserve presso la banca centrale”). Ai singoli individui no. Ma il meccanismo funziona, perché una parte molto rilevante delle transazioni è comunque effettuato dalle banche.
Paolo Pioppi: Donbass: la sinistra europea che copre l’imperialismo
Donbass: la sinistra europea che copre l’imperialismo
di Paolo Pioppi*
Nel corso della campagna elettorale è avvenuto un fatto che ha poco di elettorale e induce invece una riflessione più generale che riguarda la sinistra europea sulla questione della guerra in Ucraina. A Roma, a sostegno della lista di Luigi De Magistris organizzata in fretta e furia e chiamata Unione popolare, sono arrivati esponenti di rilievo della sinistra europea, come Mélenchon e Iglesias.
Abbiamo già rilevato nel corso della campagna elettorale[1] come alcune liste di sinistra si premurassero di mettere in evidenza la loro condanna dell’intervento russo in Ucraina, come Rifondazione con Paolo Ferrero alla festa di Padova “contro Putin, contro la NATO, contro la guerra” o l’ Unione popolare che apriva le danze con un appello in cui si mette subito in chiaro “condanniamo l’aggressione russa all’Ucraina”; per non parlare di Sinistra Italiana e Verdi che manifestavano all’ambasciata russa a Roma contro il bombardamento della centrale nucleare di Zaporijjia, disinvoltamente attribuito ai russi che la presidiavano.
Augusto Illuminati: Che fare? Pagine geniali di Althusser in un documento fallito
Che fare? Pagine geniali di Althusser in un documento fallito
di Augusto Illuminati
È uscito per Mimesis l’edizione italiana di “Che fare?”, un inedito del 1978 di Louis Althusser. Un testo contraddittorio, in cui si uniscono una lodevole battaglia contro l’eurocomunismo, argomentazioni anti-gramsciane fallaci e aperture illuminanti su Machiavelli e l’ideologia
Viene ora tradotta in italiano, a cura di Fabrizio Carlino e Andrea Cavazzini (Mimesis/Althusseriana, Milano-Udine 2022) la restituzione francese, curata da G.M. Goshgarian nel 2017, di un manoscritto redatto da Louis Althusser nel 1978, mai completato e lasciato inedito. Il testo fa parte di una serie di interventi in polemica con la direzione del Pcf e che culminano con la rottura definitiva prefigurata dal suo intervento al convegno veneziano del “Manifesto” del 1977 e sancita con l’intervista alla Rai del 1980. Non solo ha il taglio di un documento interno, volto per l’essenziale contro la svolta “eurocomunista” del Pcf, ma se ne trascina dietro tutte le contraddizioni, con la doppia configurazione di un richiamo all’ortodossia leninista (fin dal titolo) e di una latente liquidazione del ruolo dirigente del partito in nome della “linea di massa” e con l’inverosimile strumentalizzazione del pensiero di Gramsci in funzione anti-eurocomunista e anti-compromesso storico.
Paolo Ferrero: Ucraina, finalmente una manifestazione per la pace
Ucraina, finalmente una manifestazione per la pace
Chi parla di vittoria prolunga la guerra
di Paolo Ferrero
Finalmente l’esigenza di una mobilitazione pacifista sta prendendo piede nel dibattito politico. In questa situazione molto opportunamente Luigi De Magistris ha avanzato direttamente la proposta di organizzare una manifestazione nazionale. Credo che si tratti di un punto decisivo su cui operare con spirito unitario per far sentire finalmente la voce di chi vuole la pace. Nella diversificazione delle posizioni che attraversano lo stesso fronte pacifista, a me pare evidente che vi sia una linea di discrimine ben riconoscibile tra chi vuole la pace e chi no.
Il punto di discrimine è l’obiettivo: i pacifisti vogliono fermare la guerra, i guerrafondai vogliono vincere la guerra come precondizione per fermarla. Su questo crinale corre la demarcazione tra chi opera per la pace e chi parla di pace e concretamente alimenta la guerra. Attorno a questo nodo credo sia possibile organizzare una manifestazione nazionale che dia finalmente voce a quella maggioranza del popolo italiano che non si riconosce nelle pratiche belliciste che hanno caratterizzato il governo Draghi e la sua maggioranza e che caratterizzeranno il futuro governo di destra. Fermare la guerra, fermare l’invio di armi, ridurre le spese militari: poche e semplici parole d’ordine.
Sono molte le voci – dal Papa alla sinistra – che parlano questo linguaggio e io credo che dovremmo puntare ad una manifestazione che raccolga il complesso delle persone che condividono questa impostazione. Anche perché l’alternativa all’interruzione della guerra, non esiste. Chi dice che la guerra si può vincere e motiva l’invio di armi sempre più potenti e tecnologiche per vincere la guerra non sta facendo in realtà altro che prolungare la guerra e porre le basi per l’olocausto nucleare.
L’idea che si possa vincere una guerra contro una potenza nucleare è una pura follia per la semplice ragione che nessuna nazione che disponga di armi nucleari è disponibile ad essere sconfitta su un terreno che ritiene vitale per la propria sicurezza: il ricorso all’arsenale nucleare è destinato ad essere il tragico epilogo dell’idea folle che questa guerra si possa vincere. Chi fornisce armi all’Ucraina sbandierando l’obiettivo di vincere la guerra, in realtà sa benissimo che sta operando unicamente per proseguire la guerra, il più a lungo possibile.
Questa è la vera follia che abbiamo dinnanzi e che il decreto di Zelensky di vietare le trattative con la Russia codifica definitivamente: il disegno di “proseguire” la guerra. Proseguire la guerra per trasformare l’Ucraina in un Afghanistan europeo finalizzato a inghiottire l’economia Russa. Proseguire la guerra per innalzare una nuova cortina di ferro tra Europa e Russia. Proseguire la guerra per stremare l’economia europea attraverso le sanzioni “boomerang”. Proseguire la guerra per foraggiare quel complesso militare industriale che costituisce la spina dorsale dell’apparato di potere statunitense. Proseguire la guerra perché la distruzione e la crisi aprono la strada a nuovi profitti. Il tutto, lo ripetiamo, rischiano quotidianamente il conflitto atomico.
In questa situazione è del tutto evidente che l’obiettivo di fermare la guerra e di imporre una trattativa, un compromesso, è l’unico obiettivo realistico. Fuori dal delirio di potenza di chi gioca con i destini dell’umanità, il compromesso è il primo passo da fare per costruire una cooperazione invece della guerra. Per questo è utile far sentire la voce del popolo che non vuole la guerra e non vuole pagarne le conseguenze economiche e sociali. Perché la guerra è morte e distruzione ma la guerra è fame e disoccupazione.
Fermare la guerra non è solo un imperativo morale ma è una necessità sociale. Per questo noi siamo contro l’invio di armi, siamo contro l’aumento delle spese militari, siamo contro le sanzioni economiche alla Russia, siamo per l’uscita dell’Italia dalla Nato e per la chiusura della basi Nato e statunitensi presenti in Italia, siamo per la riconversione dell’industria bellica in industria di pace. Siamo per costruire un mondo multipolare e non un mondo unipolare.
Lottiamo per tutte queste cose e altre ancora ma oggi il punto fondamentale attorno a cui operare è la costruzione di un movimento di massa che chieda il cessate il fuoco e la fine del conflitto. Questo è il passaggio necessario attorno a cui costruire una mobilitazione in cui ognuno porti l’articolazione delle sue proposte. Troviamo le forme e i modi nei prossimi giorni per costruire questa manifestazione nazionale che apra le porte ad un movimento di massa contro la guerra.
Tendenza internazionalista rivoluzionaria: Sull’attacco terroristico al reddito di cittadinanza
Sull’attacco terroristico al reddito di cittadinanza
di Tendenza internazionalista rivoluzionaria
Grigia è ogni teoria, caro amico. Verde è l’albero aureo della vita.” (Goethe – Faust)
Chi ci conosce, sa bene che abbiamo sempre ritenuto il reddito di cittadinanza come poco più che un’elemosina di stato, e ciò da molto prima che il governo Conte 1 lo rendesse realtà.
Per decenni la “fu” sinistra di classe si è fronteggiata duramente e si è divisa attorno al tema delle rivendicazioni immediate per il contrasto alla disoccupazione di massa, fattore fisiologico e “necessario” al normale funzionamento del modo di produzione capitalistico ad ogni latitudine.
Tale confronto si è articolato nel tempo essenzialmente attorno a 3 posizioni:
A) i sostenitori del “lavorismo a tutti i costi”, in larga parte eredi delle concezioni staliniste e togliattiane, secondo i quali “solo il lavoro nobilita l’uomo” e solo attraverso la (s)vendita della propria forza-lavoro, a qualsiasi condizione imposta dai padroni, un proletario può acquisire la “patente” di soggetto antagonista al capitale: per costoro il disoccupato, in sostanza, non è altro che un proletario di “serie B”, o peggio un “sottoproletario“, in quanto tale non meritevole di particolare attenzione politica né tanto meno portatore di interessi che vadano al di là di quello a trovare un impiego, qualsiasi esso sia.
B) la vulgata “post-operaista”, secondo la quale le trasformazioni del capitalismo contemporaneo prodotte dalla cosiddetta “globalizzazione”, e in primis dall’automazione su larga scala, avrebbero portato al definitivo superamento della centralità del conflitto capitale-lavoro e all’emergere di una “moltitudine” di esclusi dal ciclo di produzione, quindi di un “nuovo soggetto” sociale la cui ricomposizione dovrebbe avvenire principalmente attraverso la rivendicazione di un “reddito di base universale“.
Fabio Frosini: ‘Spazio-tempo’ e potere alla luce della teoria dell’egemonia
‘Spazio-tempo’ e potere alla luce della teoria dell’egemonia
di Fabio Frosini
Da L. BASSO , S. BRACALETTI , M. FARNESI CAMELLONE , F. FROSINI , A. ILLUMINATI , N. MARCUCCI , V. MORFINO, L. PINZOLO , P.D. THOMAS , M. TOMBA: Tempora multa. Il governo del tempo, Mimesis, 2013
1. Temporalità plurale e/o contingenza?
Esiste nei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci1 una teoria delle temporalità plurali? La risposta è all’apparenza semplicissima: alla luce della nozione di egemonia, ogni identità è il prodotto di un’unificazione politica di elementi eterogenei. Pertanto, se per ‘tempo’ s’intende il ritmo unitario di un’esperienza storica, l’unitarietà di tale ritmo è l’esito contingente di una serie di pratiche egemoniche, e non ha altra esistenza, che quella conferitale dall’intreccio di tali pratiche. L’unità sorge sullo sfondo della pluralità senza annullarla mai del tutto, l’universalità è condizionata dalla parzialità.
Questa tesi, sostenuta con intelligenza da Ernesto Laclau2, finisce per fare dell’egemonia un equivalente dell’esercizio del potere e un sinonimo di ‘oggettività’. La ‘verità’, che all’oggettività dei significati istituiti dal potere sfugge come un suo scarto ineliminabile (secondo una modalità di tipo post-strutturalistico), si dà ai margini del funzionamento ‘a regime’ dell’egemonia. Per pensare il nesso di co-implicazione e, al contempo, di mutua esclusione di oggettività e verità, di egemonia e politica, Laclau fa appello alla dicotomia spazio/tempo, laddove il tempo va pensato non nella forma spazializzata della diacronia, ma come «l’esatto opposto dello spazio»3, e pertanto, se lo spazio è struttura, organizzazione chiusa di significati, il tempo sarà necessariamente una «dislocazione della struttura», cioè un suo «malfunzionamento irrappresentabile in termini spaziali», in una parola: un «evento»4. In questo modo, la pluralità dei tempi può essere ritrovata solo dal lato delle diacronie spazializzate nei vari discorsi (o racconti, o miti5) dell’ordine; mentre l’innovazione, lo scarto, la politica come accadere della verità, in quanto estranea allo spazio, è irrappresentabile e dileguante, del tutto vuota, puntuale e sempre identica: in una parola, la temporalità non è pluralizzabile perché indeterminabile; o si dà, o non si dà, senza altre possibilità.
Giovanna Visco: Nord Stream: il sabotaggio della follia
Nord Stream: il sabotaggio della follia
di Giovanna Visco*
Il sabotaggio delle linee offshore Nord Stream è un fatto che segnala un salto preoccupante dello scontro Usa/Nato-Russia, spostando il confronto bellico in atto, su oleodotti e cavi sottomarini. Colpire le infrastrutture critiche di beneficio comune transazionale sbatte in faccia il bisogno urgente di pace del sistema degli approvvigionamenti vitali.
Volendo circoscrivere gli effetti politici di questo sabotaggio nel contesto in cui è stato attuato, al di là della propaganda e della sua retorica, si potrebbe prospettare un allentamento della pressione interna dal basso che chiede sempre più diffusamente l’abolizione delle sanzioni contro la Russia e trattative di pace, pochi giorni fa in Ungheria si è svolta una ennesima grande manifestazione di piazza.
Una pace che, peraltro, lo scorso aprile sembrava vicina, naufragata per i venti contrari soffiati dal blocco militare Nato/Stati Uniti.
Allo stesso tempo, il sabotaggio indebolisce la forza negoziale russa e divarica ulteriormente i suoi rapporti con l’Europa, avversati da lungo tempo dalla alleanza anglo-statunitense, tutta protesa a conservare l’egemonia unipolare, sempre più insostenibile, sul mondo.
Tra le ipotesi possibili di risposta nulla ne vieterebbe una uguale e contraria, o semplicemente l’innesco di reazioni a catena, tanto che la Norvegia, paese Nato, il più grande fornitore di gas d’Europa e uno dei principali di petrolio a livello globale, con oltre 90 giacimenti in gran parte collegati a una rete di gasdotti estesa quasi 9.000 km, all’indomani dei sabotaggi del Nord Stream, ha deciso di schierare le sue forze armate per proteggere le installazioni offshore e inshore.
Fabio Mini: Razzolare male e predicare bene
Razzolare male e predicare bene
di Fabio Mini
Signori dell’interventismo – Joe Biden sostiene che i referendum di annessione russa nel Donbass sono una farsa. Ma dimentica centinaia di operazioni militari Usa che hanno calpestato il diritto internazionale
Il coro intonato dal presidente Biden unisce tutti gli alleati, o quasi, e si amplifica mediante la solita propaganda: il referendum russo nei territori occupati in Ucraina è una farsa, l’annessione è illegale e viola il diritto internazionale.
Gli Stati Uniti non ne riconosceranno la validità e perciò nessun paese alleato o amico può obiettare, altrimenti guai. Con l’annessione, Putin ha sancito l’esclusione di qualsiasi negoziato futuro. Quindi la guerra continua.
Sommessamente: ma sanno di cosa stanno parlando? Certo e anche bene. Noi cosiddetti “occidentali” siamo i paladini del diritto internazionale, che non definisce farsa nessuno strumento di consultazione popolare e noi italiani siamo specialisti di referendum anche se poi se ne ignorano i risultati. L’annessione russa non è uscita dal cilindro del mago: è il primo risultato di un processo bellico che tende a sottrarre tutto o parte del territorio alla sovranità di uno stato avversario.
Andrea Zhok: La situazione della società civile italiana in 7 punti
La situazione della società civile italiana in 7 punti
di Andrea Zhok
La situazione della società civile occidentale, e italiana in particolare, credo sia riassumibile in questi punti.
1) Da mezzo secolo il lavoro di demolizione della democrazia reale è all’opera, consapevolmente e costantemente. Vi hanno partecipato le riforme scolastiche e i monopoli mediatici, l’ideologia dell’antipolitica e l’incentivazione alla competizione individuale illimitata. È stato un lavoro che ha coinvolto due generazioni e ora è completo, perfetto.
2) La gente non è necessariamente né più stupida, né più ignorante di mezzo secolo fa, ma ha perduto nella maniera più completa la capacità primaria di organizzarsi, di dialogare, di costruire insieme qualcosa. Manca la formazione, manca l’atteggiamento, manca la base materiale ed istituzionale per fare alcunché: l’azione collettiva è morta.
3) Tutti coloro i quali si appellano a qualche “situazionismo”, a qualche flash mob, a qualche chiassata estemporanea per “ottenere la visibilità dei media” come forma di azione collettiva non ha capito niente. Sta chiedendo al sistema di prendere sul serio la sua voce laddove il sistema è nato per silenziare o strumentalizzare le voci sgradite.
Diana Johnstone: Omertà nella guerra di gangster
Omertà nella guerra di gangster
di Diana Johnstone*
Le guerre imperialiste si combattono per conquistare paesi, popoli, territori. Le guerre di gangster si combattono per sbarazzarsi dei concorrenti. Nelle guerre di gangster si lancia un avvertimento oscuro, poi si spaccano le finestre o si brucia tutto.
La guerra di gangster è quella che combatti se sei già il boss e non vuoi lasciare che nessun altro mostri i muscoli nel tuo territorio. Per i “don” di Washington il loro territorio può essere quasi dovunque, ma il suo cuore è l’Europa occupata.
Per una inquietante coincidenza, succede ora che Joe Biden sembri un boss della mafia, parli come un boss della mafia, esibisca quel mezzo sorriso sghembo dei boss della mafia. Basta guardare il video su Twitter ora famoso :
Presidente Biden : “Se la Russia invade … allora non ci sarà più alcun Nord Stream 2. Vi metteremo fine.”
Reporter : “Ma come lo farete, esattamente, dal momento … che il progetto è sotto il controllo tedesco ?”
Sandokan: Deutschland über alles
Deutschland über alles
di Sandokan
«Per chiunque si senta cittadino d’Europa è stato triste vedersi sbattere in faccia la prova provata che il nostro compatriota di lingua tedesca Olaf Scholz pensa essenzialmente ai comodi suoi. (…)
La pandemia e le sanzioni alla Russia ci avevano illuso che l’Europa stesse diventando una cosa seria. Invece restiamo sempre a metà del guado: fieri europeisti quando si tratta di dare una patente di sovranismo agli altri, ma fierissimi sovranisti quando entrano in ballo gli interessi di bottega. Senza renderci conto che sono proprio «scholzate» come questa ad alimentare la diffidenza di vasti strati della popolazione verso un’Europa che non sarà mai di nessuno finché non si deciderà a mettere insieme i soldi di tutti».
Massimo Gramellini [Corriere della Sera di sabato 1 ottobre] ha scoperto l’acqua calda: i tedeschi fanno i sovranisti. Il governo di Berlino devolverà ben 200 miliardi per attutire il colpo della “crisi energetica”. Anche Draghi è incazzato: in barba ai regolamenti della Ue il più grosso e sfrontato aiuto di stato nella storia dell’Unione. La stampa italiana gli fa il verso e grida allo scandalo: “decisione unilaterale e antisolidale”; “pericolosa e ingiustificata distorsione del mercato interno”; “mercato drogato”; “le aziende italiane non possono competere con quelle tedesche dovendo pagare l’energia a costi nettamente superiori”.
Marco Pondrelli: Krisis di Giacomo Gabellini
Krisis di Giacomo Gabellini
di Marco Pondrelli
Giacomo Gabellini: Krisis. Genesi, formazione e sgretolamento dell’ordine economico statunitense, Mimesis/Eterotopie, 2021
Il libro di Gabellini, uscito nel 2021, va letto con attenzione perché frutto di un grande rigore analitico ed ogni affermazione è supportata da solidi ragionamenti. La crisi degli Stati Uniti viene raccontata partendo da lontano, ovverosia dalla loro affermazione come potenza mondiale. La prima guerra mondiale, come sottolinea anche Qiao Liang, trasformò gli USA ‘nel soggetto maggiormente attivo nel settore dei prestiti’ [pag. 19], fu questa la vera vittoria di Washington non quella sul campo di battaglia. Già nel 1902 ricorda l’Autore si denunciava ‘l’invasione americana’ dell’Europa, successivamente la scelta di ripristinare la base aurea fu il suicidio politico del Regno Unito, come scrisse il Daily Mail ‘ripristinando la base aurea, il gabinetto Baldwin sta offrendo alla Federal Reserve la possibilità di provocare una crisi monetaria in Gran Bretagna in qualsiasi momento lo desideri. Il governo costringe tutta la politica finanziaria del Regno Unito a una condizione di dipendenza rispetto a un Paese straniero’ [pag. 40]. Oramai, dopo la Grande Guerra, il passaggio egemonico fra le due sponde dell’Atlantico era avviato.