[Sinistrainrete] Giovanna Cracco: Da grande voglio fare lo Stato

 

 

Giovanna Cracco: Da grande voglio fare lo Stato

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Tra anarco-capitalismo e blockchain, i miliardari della Silicon Valley stanno progettando le loro smart city con sovranità politica

Nel 2018 Jeffrey Berns ha messo sul tavolo 170 milioni di dollari e ha com­prato 67.000 acri (270 km2 di nulla, in Nevada: terra arida, non edificata, disabitata. Berns, comunemente de­finito “il miliardario delle criptovalu­te”, fondatore e amministratore de­legato di Blockchains – azienda spe­cializzata nei sistemi crittografici im­piegati nelle criptovalute – ha dichia­rato nel 2020 che in quell’area sareb­be sorta Painted Rock, una smart city a base blockchain: 36.000 residenti programmati, case, scuole, spazi com­merciali e aziende, una criptovaluta interna e servizi cittadini erogati su struttura blockchain. Perché funzio­ni, ha affermato Berns alla BBC, “è necessario un nuovo modello di go­verno locale”: istituzioni politiche au­tonome da quelle del Nevada (1). Nel febbraio 2021 il governatore De­mocratico dello Stato, Steve Sisolak, ha annunciato la proposta di legge Innovation Zones, destinata alle a­ziende dei settori Internet of Things, robotica, intelligenza artificiale, bloc­kchain, tecnologia wireless e green: le società in possesso di almeno 50.000 acri di terreno non edificato e disabitato – all’interno di un’unica contea e al di fuori da città o paesi – con una disponibilità finanziaria di 250 milioni di dollari e un piano di investimento per un miliardo in dieci anni, avrebbero potuto costruire cit­tà e governarle autonomamente. “Le zone inizialmente opererebbero al­l’interno della contea locale in cui si trovano”, ha dichiarato Sisolak, “ma alla fine sarebbero in grado di assu­merne le funzioni e diventare un en­te governativo indipendente”: avreb­bero un consiglio di sorveglianza di tre membri, scelti dall’azienda, con gli stessi poteri di un consiglio di commissari di contea, e il governo au­tonomo avrebbe l’autorità, “per e­sempio, di imporre tasse, formare di­stretti scolastici e tribunali di giusti­zia, e fornire servizi governativi” (2).

Il piano non è andato in porto: la proposta di legge si è insabbiata nel Parlamento del Nevada e il 30 set­tembre 2021 Berns ha ritirato il pro­gramma, lamentandosi del mancato supporto politico (3). Ma Painted Rock non è l’unico progetto in piedi.

Nel 2017 Bill Gates, tramite la Ca­scade Investment, ha pagato 80 mi­lioni di dollari per quasi 25.000 acri (100 km2) di deserto disabitato, in Arizona. Obiettivo: costruire Belmont, una smart city pianificata per 200.000 abitanti, destinata a “una comunità lungimirante, con una spina dorsale di comunicazione e infrastruttura che abbraccia la tecnologia all’avanguar­dia, progettata attorno a reti digitali ad alta velocità (5G), data center, nuove tecnologie di produzione e modelli di distribuzione, veicoli auto­nomi e hub logistici autonomi”, inte­ramente digitale, dai servizi governa­tivi, ai trasporti urbani alla produzio­ne alimentare; un funzionamento au­tomatico complessivo che solo la bloc- kchain può garantire (4). A ottobre 2020 sono stati comprati altri 2.800 acri (5). Del progetto non si sa altro, perché dopo la fuoriuscita della noti­zia sull’acquisto del terreno le infor­mazioni sono state tenute riservate. Lo stesso coinvolgimento di Gates è stato inizialmente taciuto, finché una ricerca giornalistica su dati societari e registri delle proprietà non l’ha sve­lato.

Peter Thiel – creatore di Paypal, tra i primi investitori di Facebook e fondatore nel 2003 di Palantir, im­portante azienda di big data attiva nell’ambito militare e di sicurezza, ap- paltatrice di Pentagono, Cia e Dipar­timento di Stato USA – ha invece in­vestito quasi 9 milioni di dollari in Pronomos Capital, una società di ven­ture capital che si concentra esclusi­vamente su startup come Bluebook Cities (6): fondata nel 2019, sta lavo­rando al progetto “Praxis”. Il sito (www.praxissociety.com/) dà l’idea della visione generale: con una nar­razione epica si definisce un movi­mento di moderni pionieri che vo­gliono costruire una smart city, all’in­terno della quale una comunità di membri facoltosi – 10.000 nella pri­ma fase, poi a crescere: “10.000 resi­denti con un tenore medio di vita di oltre 2 milioni di dollari rappresenta­no collettivamente oltre 20 miliardi di dollari di valore della città” – vivrà in uno Stato con sovranità politica, con una criptovaluta e una criptoe­conomia a base blockchain. L’ubica­zione è ancora da scegliere, potreb­be essere “da qualche parte nel Me­diterraneo” (7): “collaboreremo con un governo ospitante” si legge sul sito, “per creare una giurisdizione specia­le”.

Anche Elon Musk, a marzo 2021, ha dichiarato di voler costruire Star- base, una smart city che vuole inglo­bare e riprogettare il villaggio di Bo- ca Chica, nel Texas, dove attualmen­te ha sede la base spaziale Space X.

La stampa statunitense la definisce una “città privata con leggi proprie”, ma dalle informazioni a oggi disponi­bili sembra più un allargamento della struttura aziendale di Space X e me­no una città vera e propria, aperta a residenti.

Infine c’è Telosa. Uscita nel 2021 dall’immaginazione di Marc Eric Lo- re, il miliardario “mago dell’e-com- merce” che ha portato Walmart a di­ventare il secondo sito di shopping online dopo Amazon, questa città del futuro dovrebbe essere costruita in una zona desertica degli Stati Uniti ancora da definire: “La prima fase di costruzione, che ospiterà 50.000 re­sidenti su 1.500 acri, ha un costo sti­mato di 25 miliardi di dollari; l’intero progetto dovrebbe superare i 400 miliardi, con la città che raggiungerà 150.000 acri (600 km2n.d.a. ) e la popolazione target di 5 milioni entro quarantanni”, si legge sul sito (www. cityoftelosa.com/). Interamente eco­sostenibile e con una produzione ali­mentare autosufficiente, non è del tutto chiara la governance. Lore par­la di “equitismo, una nuova e più giusta fase del capitalismo”: rispolve­rando una teoria economica del 1879 proposta da Henry George, propone “la creazione di una fondazione pri­vata fondiaria, proprietaria del terre­no, che utilizzerà il reddito generato dalla rivalutazione della terra stessa (grazie alla costruzione e vendita di case, infrastrutture, edifici ecc., n.d.a. ) per finanziare i servizi sociali della città”. Una sorta di nuovo contratto sociale, la cui cittadinanza dipende quindi dalla capacità economica del­l’individuo di acquistare una casa. Questa condivisione della ricchezza generata dalla fondazione, afferma Lore, “ricalca il modello delle startup digitali, dove i dipendenti vengono pa­gati con stock option”. L’organo di go­verno della città sarà una sorta di “consiglio di amministrazione” eletto direttamente dai residenti tramite voto elettronico e blockchain. “Non stiamo solo costruendo una città, stia­mo creando un nuovo modello per la società”, ha dichiarato Lore.

Folli visionari del Big Tech? Non pro­prio. È più una tendenza, che prova a muovere i primi passi su base locale. Anarco-capitalismo e nuove tecnolo­gie, privatizzazioni ed esternalizzazio- ni di funzioni statali e cambiamento nella percezione collettiva dell’im­magine e del ruolo delle imprese, so­no il terreno su cui l’idea ha messo radici e la visione ha iniziato a con­cretizzarsi.

Anarco-capitalismo

Come tutti i pensieri politici, anche l’anarco-capitalismo ha correnti al proprio interno, che vanno dall’idea di uno Stato minimo fino a visioni più radicali. Se prendiamo queste ul­time, e tralasciando il quadro econo­mico e filosofico sui quali poggia sto­ricamente e culturalmente, l’anarco- capitalismo è la dottrina secondo la quale una società capitalistica del tut­to priva di Stato è economicamente efficiente e moralmente desiderabi­le. La società così strutturata non ha governo, parlamento, magistratura, polizia, forze armate né qualsivoglia istituzione pubblica: interamente ba­sata sulla proprietà privata, vede le imprese competere sul libero merca­to per offrire tutte le merci e tutti i servizi che la società stessa richiede.

Qualche dettaglio pratico.

Ciò che individuiamo come wel- fare pubblico (sanità, previdenza, di­soccupazione, istruzione…) è vendu­to al singolo cittadino da aziende pri­vate, sotto forma di servizio o assicu­razione; non esiste suolo pubblico, sia esso un terreno, un fiume, un lago… le infrastrutture (strade, piaz­ze, ponti, acquedotti, aeroporti, rete digitale…) sono costruite da imprese private, che ne affittano alle singole persone il diritto di utilizzo, passag­gio o sosta, oppure ne vendono la proprietà (anche in regime di com­proprietà, come la strada che porta a un complesso abitativo acquistata dai proprietari degli appartamenti); polizia, tribunali e carceri sono gesti­ti da società private di sicurezza: fer­mo restando il diritto riconosciuto a ciascuno a difendere da solo la pro­pria persona e la propria proprietà con ogni mezzo, il singolo individuo acquista servizi da una compagnia di sicurezza privata per prevenire o re­primere azioni a suo danno (funzio­ne di polizia), e accetta di rimettersi alla stessa compagnia nel caso in cui si rendesse lui stesso colpevole di violenza contro persone o proprietà (funzioni di tribunale e carcere); que­ste stesse compagnie lo difenderan­no anche in caso di attacchi da parte di entità straniere, svolgendo la fun­zione delle forze armate. Alla base di tutto, un ordine sociale strutturato su un diritto naturale oggettivo che postula nulla più del diritto alla pro­prietà privata e alla libertà individua­le, propria e altrui; su tale diritto vie­ne a costruirsi spontaneamente un corpus di leggi, date dal diritto con­suetudinario e dalla giurisprudenza dei tribunali privati.

È evidente che nel pensiero anarco-capitalista l’unità di base è il sin­golo individuo e tutto si compra e si vende, nella convinzione che il com­portamento interessato di soggetti egoisti produca una cooperazione spontanea, efficace e auto-regolatri­ce. È stabilita l’uguaglianza formale degli esseri umani sul piano giuridi­co, ma è altrettanto postulato il dar­winismo sociale: non esistono reti a supporto, chi è privo di denaro, peri­sce. Al punto che pur ammettendo mecenatismo e beneficenza come meccanismi privati volontari di pro­duzione di beni pubblici, si afferma l’illegittimità di ogni politica distribu­tiva – le imposte statali sono consi­derate un furto – in base al diritto alla libertà individuale: l’obbligo di aiutare gli altri è coercitivo rispetto alla libertà individuale, dunque non può esistere.

Jeffrey Berns di Painted Rock, “il miliardario delle criptovalute” sopra citato, colui che apparentemente si è maggiormente avvicinato alla realiz­zazione in Nevada della sua smart city con sovranità politica e a base blockchain, ha dichiarato alla BBC: “Non sono antigovernativo, ma pen­so che il governo abbia ficcato trop­po il naso nei nostri affari”. Aggiun­gendo che la struttura decentralizza­ta della blockchain può finalmente creare “un posto” dove lo Stato non possa avere il potere di “interferire” nella vita delle singole persone.

La blockchain è infatti stata il pun­to di svolta: ha segnato il passaggio dell’anarco-capitalismo dall’utopia (!) alla possibilità concreta.

Blockchain

L’anarco-capitalismo scorre nelle ve­ne della Silicon Valley fin dall’inse­diamento della prima azienda tecno­logica. Non è un caso che il progetto della rete blockchain e del bitcoin na­sca nel 2008 all’interno della comunità hacker californiana, con il mani­festo Bitcoin: A Peer-to-Peer Electro­nic Cash System a firma Satoshi Na- kamoto – uno pseudonimo di cui tut­tora non si sa con certezza a chi cor­risponda, nemmeno se si tratti di un singolo o un collettivo -; il documen­to contiene i principi e il codice di un software open source in grado di creare la prima criptovaluta digitale decentralizzata, che si sottrae al po­tere delle banche e al concetto poli­tico di sovranità monetaria come mo­nopolio statale (8).

Il punto debole dell’anarco-capi- talismo è sempre stato il presuppo­sto di uno stato di natura più vicino a Locke che a Hobbes: non il bellum omnium contra omnes ma uomini predisposti alla giustizia e alla pace, dotati di una Ragione che insegna loro uguaglianza, indipendenza e ri­spetto dell’altrui libertà e proprietà. Certo l’innesto, nella visione politica, dell’egoismo economico di Adam Smi­th, ha dato maggiore solidità alla con­vinzione di un ordine sociale sponta­neo pacificato – più di quanto potes­se fare una lettura idilliaca della na­tura umana – ma non ha risolto il problema della fiducia/garanzia a tu­tela, su cui si basano le relazioni so­ciali: lo ha fatto la tecnologia digita­le.

La blockchain va ben oltre la ca­pacità di creare una criptovaluta: è in grado di eliminare la necessità di qualsivoglia istituzione o organizza­zione, ufficialmente riconosciuta, che si ponga come garante di legittimità e legalità nelle più diverse attività so­ciali, si tratti di una banca centrale per la moneta a corso legale, di un ministero per la certificazione di una votazione, di una università per l’au­tenticazione di titoli accademici, di un pass digitale per accedere a luo­ghi, esercitare diritti ecc. Grazie alla crittografia, alla rete decentralizzata e alla struttura a blocchi, la block­chain elimina la possibilità di truffe, frodi, manomissioni varie: la fiducia creata da bit.

Da Painted Rock a Belmont a Pra- xis a Telosa, tutte le smart city pro­gettate dai miliardari del Big Tech ci­tano la blockchain come struttura portante, a ragion veduta: è l’innova­zione tecnologica che consente loro di implementare un nuovo tipo di governance, orizzontale e non verti­cale. Una società che possa fare a meno di autorità centrali a garanzia, gerarchiche, sia politiche che finan­ziarie ed economiche.

Klaus Schwab, fondatore e diret­tore esecutivo del World Economic Forum di Davos, pubblica nel 2016 La quarta rivoluzione industriale. Nel prevedere “una fusione di tecnologie attraverso il mondo fisico, digitale e biologico”, una “trasformazione del­l’umanità” grazie a blockchain, intel­ligenza artificiale, stampa 3D, roboti­ca, computer quantistici e ingegneria genetica (“Non si tratta solo di cam­biare ‘cosa’ e ‘come’ facciamo le co­se, ma anche ‘chi’ siamo”), Schwab non tralascia l’aspetto politico: “I go­verni ( governments, le amministrazio­ni pubbliche in senso ampio, n.d.a.), nella loro forma attuale, saranno co­stretti a cambiare, poiché il loro ruo­lo centrale nella conduzione della politica diminuirà sempre più, a cau­sa dei crescenti livelli di concorrenza e della redistribuzione e decentraliz­zazione del potere che le nuove tec­nologie rendono possibile”; soprav­viveranno solo se saranno in grado di farlo, afferma Schwab, abbracciando il cambiamento, ma in ogni caso “sa­ranno completamente trasformati in una cellula di potere, molto più snel­la ed efficiente, all’interno di un am­biente di strutture di potere nuove e concorrenti”.

In questa visione, lo Stato è dun­que avviato a perdere centralità. Tut­tavia non si può dire che non abbia collaborato alla propria graduale mar- ginalizzazione.

Meno Stato più mercato

Il pensiero neoliberista ha dominato per trent’anni e ha ridisegnato la so­cietà e il rapporto pubblico-privato. Privatizzazioni ed esternalizzazioni hanno progressivamente svuotato lo Stato del proprio ruolo – soprattutto in Europa, dove avevamo conosciuto i ‘trenta gloriosi’. Oggi il welfare è principalmente di natura privata (in regime di accreditamento o meno) e sta prendendo piede quello azienda­le; le guerre e le ‘missioni di pace’ le combattono i contractor delle Socie­tà Militari e di Sicurezza Private ( Pri­vate Military and Security Compa- nies, PMSC), chiamate sempre più a occuparsi anche di sicurezza interna (9); la corsa alla Luna e allo Spazio, le comunicazioni satellitari e le stazioni spaziali – ambiti sia commerciali che militari, come ci ha recentemente mostrato la guerra in Ucraina – sono sempre più dominate dai privati, da Elon Musk a Jeff Bezos (10); la tecno­logia sta sgretolato monopoli statali – quello della moneta, reso obsoleto da blockchain e criptovalute – o ne sta sottraendo il reale controllo: al­goritmi proprietari, di cui solo l’a­zienda privata fornitrice conosce il funzionamento (big data elaborati e logica di calcolo), sono già entrati nei tribunali, ‘dettano’ le sentenze e af­fiancano i giudici nelle decisioni di­battimentali (11), mentre intelligen­za artificiale, algoritmi predittivi e te­lecamere a riconoscimento facciale disseminate in ogni angolo delle città stanno trasformando il modus ope­randi delle forze dell’ordine: non più la gestione di un evento criminale ma la prevenzione del crimine, attra­verso l’identificazione di modelli, luo­ghi, attività e individui sospetti (12) – il pensiero va inevitabilmente a Mi- nority Report di Philip Dick.

Lo Stato ha ceduto al capitalismo parte della propria sovranità e stori­ca legittimità – il contratto sociale e il monopolio delle forza – ben prima che i visionari anarco-capitalisti della Silicon Valley iniziassero a progetta­re le proprie smart city.

***

L’impresa responsabile

Nell’accettazione di un cambiamento sociale, il passaggio simbolico è fon­damentale: ai cittadini deve essere consegnata una nuova narrazione, che per essere introiettata e divenire do­minate deve essere pervasiva e tota­lizzante, occupare ogni spazio pub­blico.

Fino a non molto tempo fa, un’a­zienda era un’azienda, nulla più, e così era percepita: gli affari sono af­fari . Le persone vi si relazionavano nella consapevolezza che l’unico o­biettivo di un’impresa è il consegui­mento di profitti economici; le pub­blicità rivendicavano la qualità dei prodotti e vendevano promesse di letizia o uno status sociale, entrambi indirizzati al singolo individuo ; il pat­to sottaciuto tra il consumatore e l’a­zienda era: tu acquisti e sei felice, io faccio soldi aumentando fatturato e utili.

Da qualche anno, slogan, dichia­razioni e marketing pubblicitario han­no al centro questioni etiche e socia­li, collettive : il cambiamento climati­co, l’ambientalismo, il bene comune, le diseguaglianze di genere e/o raz­ziali ecc. Producono documenti nei quali affermano che l’azienda deve creare benefici non solo per gli azio­nisti ma per tutti gli stakeholder : di­pendenti, fornitori, clienti e soprat­tutto la comunità circostante. Pro­muovono fondazioni filantropiche che finanziano strutture e servizi sociali, escludendo i circuiti statali – come, abbiamo visto, contempla il pensiero anarco-capitalista. Una rivendicata ef­ficienza delle imprese private contro la lenta ed elefantiaca macchina pub­blica, antagonismo già utilizzato per sostenere le privatizzazioni neolibe- riste, viene ora messa al servizio di una comunicazione aziendale a favo­re di politiche sociali e ambientali. Si tratta certamente, anche, di banale marketing volto ad aumentare l’ap­prezzamento del brand e dunque vendite e profitti; ciò non toglie che la nuova narrazione sia riuscita a mutare l’immagine pubblica dell’im­presa e la percezione del cittadino del suo ruolo: non solo un’entità pro­duttiva e finanziaria, squisitamente economica, anche una realtà porta­trice di valori. In una parola, una realtà politica. Al patto sottaciuto in­dividuale si è dunque affiancato quel­lo collettivo, che consegna all’imma­ginario la visione di un mondo futu­ro, un modello politico di società: più giusto, più equo, più responsabile. L’azienda si fa tutto.

Confini

La fabbrica, la società, la vita: il Capi­tale non può avere confini, il suo ci­clo vitale è segnato dall’espansione. Deve alimentare costantemente l’ac­cumulazione, fagocitare ogni spazio disponibile, mettere a valore ogni cosa. Sussumerà anche lo Stato? For­se non avrà, in realtà, la convenienza a farlo: svuotare progressivamente il potere politico fino a lasciarne solo un vuoto involucro utile a rappresen­tazioni di proscenio, può risultare economicamente e socialmente più proficuo; senza per questo rinuncia­re alla creazione di smart city priva­te, riservate a facoltosi residenti. Per ora, lo Stato – borghese, direbbe Marx – conserva un’importante fun­zione: salvare il capitalismo dalle sue ontologiche crisi. Iniezioni di denaro pubblico e architettura legislativa su misura sono gli atti politici che con­sentono al sistema capitalistico di so­pravvivere alle sue curve discenden­ti, e permettono il rinnovo tecnologi­co necessario alla continuità dei pro­fitti: la crisi pandemica e quella ener­getica, la transizione ecologica e digi­tale, sono solo gli esempi più recenti (13). Tuttavia la visione marxiana struttura/sovrastruttura inizia a ve­der sfumare il confine. Non è un cambiamento di poco conto.

Da Paginauno n. 80, dicembre 2022 – gennaio 2023
Note

1 https://www.bbc.com/news/world-us-canada-56409924

2 https://www.reviewjournal.com/news/politics-and-government/2021-legislature/bill- would-allow-tech-companies-to-create-local-governments-2272887/

3 Cfr. https://thenevadaindependent.com/article/blockchains-withdraws-plan-for-innova-
tion-zone-legislation-citing-lack-of-support-from-state-governor

4) https://www.dezeen.com/2017/11/13/bill-gates-plans-smart-city-arizona-desert-bel- mont-partners/# e https://hwy.co/bill-gates-smart-city-in-arizona/

5) Cfr. https://www.globest.com/2020/03/05/an-update-on-bill-gates-new-smart-city-in-a- rizona/

6) Cfr.https://nypost.com/2021/05/10/tech-bros-next-move-private-cities-without-govern- ment-control/

7) https://www.curbed.com/article/inside-the-peter-thielbacked-praxis.html

8) Il fatto che il bitcoin sia stato strutturato come una criptovaluta speculativa nulla toglie alla potenzialità della blockchain di creare una moneta mezzo di scambio. Per la storia del bitcoin e il funzionamento della blockchain, cfr. Giovanna Cracco, Bitcoin, tra tecnologia e politica, Paginauno n. 56, febbraio-marzo 2018

9) Per un approfondimento sul tema cfr. Giovanna Cracco, Contractor e diritti umani. Dalla guerra alla pace, la privatizzazione della violenza, 20° Rapporto sui Diritti Globali curato da Associazione Società Informazione, Milieu Edizioni, dicembre 2022

10) Per maggiori dettagli: Marcello Spagnulo, L’invisibile battaglia spaziale nella guerra d’U­craina, Limes n. 7/2022, volume “La guerra grande”, luglio 2022; e volume “Lo spazio serve a farci la guerra”, Limes, dicembre 2021

11) Cfr. Giovanna Baer, USA: giustizia artificiale. Big data, IA e algoritmi predittivi nei tribu­nali , Paginauno n. 65, dicembre 2019/gennaio 2020

12) Cfr. Kate Crawford, Né intelligente né artificiale. Il lato oscuro delle IA, Il Mulino, 2021

13) Cfr. Giovanna Cracco, Capitalismo e ambientalismo. La transizione (non) ecolo­gica , Paginauno n. 78, giugno/settembre 2022 13)

 


Guido Ortona: Il Meccanismo Europeo di Stabilità e la miopia della sinistra

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Il Meccanismo Europeo di Stabilità e la miopia della sinistra

di Guido Ortona

arton11000Stando alle ultime notizie (scrivo il 23 dicembre) Meloni pensa di firmare il trattato sulla riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità, ma con la ferma intenzione di non farvi ricorso. A mio avviso (ma come vedremo non solo mio – anzi!) questa posizione è profondamente errata, per due motivi. Primo. Una volta che il trattato sia entrato in vigore non spetterà più all’Italia decidere se farvi ricorso. Obbedire alle sue clausole sarà una precondizione per eventuali interventi a sostegno delle banche italiane e del debito pubblico italiano; e sarà il direttorio del MES a stabilire se e quando tali interventi saranno necessari, e le condizioni cui l’Italia dovrà sottostare. Queste condizioni saranno facilmente vessatorie, come vedremo. E dal momento che la politica europea è egemonizzata dalla Germania, e che la Germania ha forti conflitti di interesse con l’Italia, è bene che il MES non entri in vigore anche per evitare il rischio di pesanti interventi a danno delle banche italiane e della gestione del nostro debito pubblico. Grecia docet. Secondo. Ma soprattutto questa è forse l’ultima occasione per arrivare a ciò che è necessario: rimettere totalmente in discussione il MES puntando alla sua abolizione. Come è noto, infatti, l’approvazione di un trattato europeo richiede l’unanimità.

Le motivazioni di quanto sopra sono esposte in modo sintetico ma chiaro e convincente nel testo dell’appello che un blog di economisti (più qualcun altro), quasi tutti accademici, ha messo in circolazione in questi giorni (https://www.micromega.net/lunica-riforma-necessaria-per-il-mes/). Ne riporto qui il testo.

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Saverio Catalano: Scuola, lavoro e Costituzione

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Scuola, lavoro e Costituzione

di Saverio Catalano

1440px Online class Kerala 2021 1200x600Perché investire nella scuola (nel modo appropriato) significa investire in maggior democrazia

Senza la scuola, intesa come «comunità fatta di partecipazione, di reciprocità, di consapevolezza condivisa, semplicemente non esiste la società e non può esistere la democrazia». La scuola, come disse Piero Calamandrei, è un organo vitale della democrazia, in quanto è il complemento necessario del suffragio universale(1).

La democrazia, infatti, non si esaurisce nel riconoscere semplicemente il diritto di voto a tutti; se fosse così dovremmo riconoscere che tale sistema rischia di essere una democrazia apparente, in cui la strumentalizzazione dell’élite di un paese è altamente probabile; non sarebbe una democrazia effettiva ma «un caso di autocrazia e oligarchia in cui i protagonisti possono muovere la folla come un’arma»(2), in cui la mediocrità della gran parte è la strada per l’interesse e il potere di pochi, una democrazia dogmatica.

In una democrazia non apparente ma progressiva e critica «il computo dei voti non è l’espressione del dominio della mediocrità, ma la manifestazione terminale di un lungo processo di formazione delle opinioni collettive in cui tutti hanno la possibilità di esercitare la loro influenza, massimamente coloro che hanno maggiori e migliori energie da destinare alla cura delle cose pubbliche»(3).

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Luca Cangianti: La Giacarta della sanità pubblica

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La Giacarta della sanità pubblica

di Luca Cangianti

C’era una volta in Italia è un film documentario sulla distruzione della sanità pubblica, ma si apre con le immagini del colpo di stato in Cile. La seconda parte del titolo, inoltre, contiene una minaccia: Giacarta sta arrivando. Si riferisce all’assassinio, da parte dell’esercito indonesiano sostenuto dal governo Usa, di circa un milione di civili nell’ambito della politica di contrasto al locale partito comunista. Il motivo di tale abbinamento bizzarro è che quei crimini servirono a imporre una svolta neoliberista al capitalismo mondiale. Questa stessa politica economica oggi è responsabile di nuove stragi di civili, per esempio nella sanità.

Federico Greco e Mirko Melchiorre sono due dei tre registi che nel 2017 hanno diretto PIIGS – un fortunato documentario in cui il cinema veniva messo al servizio della divulgazione economica per svelare i meccanismi perversi dell’austerità europea.

Nella nuova pellicola, in sala in questi giorni, raccontano la storia della chiusura nel 2010 dell’ospedale di Cariati, un comune della provincia cosentina, per rispettare uno dei tanti piani di rientro dal debito sanitario.

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Francesco Dall’Aglio: Russia/Ucraina, Corea e Kosovo. Il mosaico della crisi…

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Russia/Ucraina, Corea e Kosovo. Il mosaico della crisi…

di Francesco Dall’Aglio*

Dopo la pausa natalizia ricominciamo a tutta forza.

Quest’ultima è stata davvero la notte dei droni – e no, non mi riferisco a quelli che 24 ore su 24 impazzano su tutta la linea del fronte da entrambi i lati.

Andiamo con ordine. In primo luogo, nuovo attacco alla base aerea russa di Engels con almeno un drone che è stato intercettato ed abbattuto dalla contraerea della base. Stavolta nessun danno agli aerei ma tre vittime tra il personale di terra.

Ancora una volta potrebbe essersi trattato di un attacco “preventivo”, volto cioè a ostacolare o ritardare le attività dell’aviazione russa, ma ovviamente non è noto se per la notte scorsa erano previsti lanci. Mentre scrivo si segnalano esplosioni a Kharkiv, Cherson e nelle rispettive oblast’, ma non ci è dato sapere se siano missili o artiglieria.

Ben più interessante (nel senso dell’interesse che una potenziale guerra mondiale porta sempre con sé) è invece quello che quasi nelle stesse ore è successo sul confine tra le due Coree. Cinque droni nordcoreani (presumibilmente da ricognizione e non armati) sono entrati nello spazio aereo della Corea del Sud da tre direzioni: l’isola di Gangwha, Gimpo, e Paju, e hanno proseguito in direzione di Seul che, come è evidente, è molto vicina al confine.

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Antonio Mazzeo e Luigi Sturniolo: Il Ponte sullo Stretto come il Muos di Niscemi e Sigonella

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Il Ponte sullo Stretto come il Muos di Niscemi e Sigonella

di Antonio Mazzeo e Luigi Sturniolo

Non prova neanche a mimetizzarlo il suo punto vista, Lucio Caracciolo, sul ponte sullo Stretto. Ne ha parlato in un pezzo scritto per La Stampa il 7 dicembre scorso. Per lui sono secondari gli argomenti, e gli scontri, sugli aspetti ingegneristici, economici, ambientali dell’infrastruttura d’attraversamento. Ciò che conta è la sua valenza strategica, geopolitica, militare. Per questa ragione assimila il ponte sullo Stretto al Muos di Niscemi, il nuovo sistema di telecomunicazione satellitare della Marina militare USA per governare i conflitti globali del XXI secolo, “senza dimenticare le strutture di Sigonella e Pantelleria”. Perché ciò che conta è il valore strategico della Sicilia, il suo collocarsi in un’area che Limes chiama Caoslandia, nel Mediterraneo “allargato” che è tornato ad essere centrale per i flussi commerciali provenienti da Oriente e per l’intervento politico, militare, economico di Cina, Russia e Turchia.

Limes aveva già insistito in altre occasioni su questo tema. Proprio un anno fa la rivista di geopolitica, i cui redattori, dallo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina, sono stabilmente sui canali tv nazionali, aveva pubblicato un numero speciale sulla Sicilia.

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Riina Bhatia: Ridefinire il concetto di benessere con Epicuro e Gramsci

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Ridefinire il concetto di benessere con Epicuro e Gramsci

di Riina Bhatia

Con la pubblicazione del 6° rapporto di valutazione dell’IPCC, è chiaro che lo stile di vita consumistico ha causato gravi danni ai sistemi di supporto alla vita della Terra. Il rapporto riconosce la decrescita e la post-crescita come traiettorie alternative allo sviluppismo egemonico, cioè l’idea del progresso capitalistico occidentale come sinonimo di sviluppo. Il rapporto sottolinea inoltre che il benessere e la buona vita non dipendono esclusivamente dalla crescita economica e dal benessere materiale. Tuttavia, mentre la definizione occidentale contemporanea di “buona vita” si è a lungo basata sul consumo e su una ricchezza materiale in costante aumento, non dobbiamo guardare lontano dal nostro patrimonio storico per trovare principi e filosofie per uno stile di vita più sano e sostenibile.

Epicuro, un antico filosofo greco, sostiene che la felicità nella vita può essere trovata dalla semplicità e dalla sufficienza, proprio come sostengono molti sostenitori della decrescita. Il suo concetto di gerarchia dei desideri sostiene che la felicità e il benessere derivano dal soddisfacimento dei nostri bisogni primari e dall’avere relazioni sociali mirate.

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L’unica riforma necessaria per il Mes

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L’unica riforma necessaria per il Mes

L’Italia è rimasto il solo paese a non aver sottoscritto la riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) e si moltiplicano le pressioni, interne ed esterne, perché provveda a farlo.

Il principale argomento di chi è a favore della ratifica è che il Mes è necessario al completamento dell’unione bancaria, perché tra i suoi nuovi compiti c’è quello di intervenire qualora il fondo comune di tutela dei depositi – alimentato da versamenti delle banche aderenti – non sia sufficiente a coprire i costi di una eventuale emergenza.

Come è noto l’unione bancaria non è mai stata completata, ma il motivo non è perché manchi un organismo tecnico. Il motivo è che un gruppo di paesi ritiene che prima si debba provvedere a una riduzione del rischio, intendendo in particolare che le banche che detengono in quantità rilevante titoli sovrani dei paesi ad alto debito debbano ridurre in modo sostanziale quella parte del portafoglio titoli. Che venga nominata esplicitamente o meno, è l’Italia con le sue banche il principale obiettivo di questa richiesta. Solo una volta che essa sia stata soddisfatta ci sarebbe la disponibilità ad assumersi la condivisione del rischio.

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Roberto Fineschi: Concetti hegeliani e materialismo storico. Il contributo di Alessandro Mazzone

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Concetti hegeliani e materialismo storico. Il contributo di Alessandro Mazzone

di Roberto Fineschi

Introduzione a Alessandro Mazzone, Per una teoria del conflitto. Concetti hegeliani e materialismo storico, La Città del Sole, 2022

Copertina MazzoneIn occasione del decennale della morte di Alessandro Mazzone, tra alcuni ex-studenti (i “mazzoniani” di un tempo) è nata l’idea di ricordarne la figura e l’importante contributo teorico. Con l’adesione delle figlie è stata fondata un’associazione culturale dal nome “Laboratorio critico” con sede a Siena, città in cui Mazzone ha insegnato per molti anni concludendovi la propria carriera accademica; essa ha tra i suoi obiettivi la valorizzazione del suo lascito teorico e librario.

L’associazione, come suo primo atto concreto, ha deciso di promuovere la pubblicazione di una raccolta di scritti che abbracciano l’ultimo periodo del suo impegno teorico (1999-2012). È stata questa sicuramente una fase delicata della sua vita, segnata da problemi di salute, dalla fine dell’attività universitaria, quindi potenzialmente complessa anche intellettualmente.

Pur tra varie difficoltà egli è riuscito a delineare una serie di nodi problematici che, in qualche modo, davano una dimensione teorico-politica più accessibile alla sua sofisticata teoresi degli anni precedenti. Questa dimensione più “popolare” – nel senso più nobile del termine – rimane ancora di grande attualità e offre importanti strumenti per comprendere la realtà contemporanea.

Un contatto importante di questa fase fu quello instaurato con la Rete dei Comunisti, alla quale Mazzone non ha mai aderito formalmente ma con la quale ha a lungo dialogato partecipando a conferenze e pubblicazioni da essa promosse; è dunque sembrato giusto coinvolgere questa organizzazione nel progetto editoriale. L’auspicio è che questi scritti possano contribuire alla ripresa di un dibattito teorico-politico di più alto livello, con possibili ricadute pratiche.

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Redazione Contropiano – Carmelo Ferlito: “Diamo a Marx quel che è di Marx”, ma davvero

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“Diamo a Marx quel che è di Marx”, ma davvero

di Redazione Contropiano – Carmelo Ferlito

marx davvero 600x300Una recensione “ultraliberista” di un testo dichiaratamente marxista consente, non paradossalmente, di chiarire meglio il concetto di “legge scientifica” e perché, pur essendoci chiare differenza tra la fisica e la critica dell’economia politica, si possa parlare di “legge” in entrambi i casi.

Scrive infatti Carmelo Ferlito – in riferimento a La guerra capitalista di Brancaccio, Giammeti e Lucarelli – “La parte sul conflitto imperialista appare come la più debole all’interno di un volume altrimenti molto interessante e sorgente di numerosi spunti per un dibattito serio sulla dinamica del capitalismo contemporaneo. Infatti, gli autori non riescono ad ingabbiare il legame tra concentrazione e guerra nella stessa logica convincente che invece caratterizza la prima parte sul legame tra concorrenza e concentrazione.”

In estrema sintesi, mentre il legame scientifico tra concorrenza e concentrazione del capitale appare logicamente e scientificamente comprovato, nel libro dei tre studiosi, quello tra crisi e guerra sarebbe ai suoi occhi una “forzatura ideologica”, un tributo quasi fideistico ad una concezione del mondo non scientifica.

A noi, e a tutta l’umanità, crediamo, risulta abbastanza chiaro che molte crisi economiche, specie se di dimensione sistemica, si sono “risolte” con la guerra e la relativa distruzione del “capitale in eccesso” (industrie, infrastrutture, esseri umani, ecc). Dunque un legame tra i due processi (crisi e guerra) ci deve essere. La dimostrazione scientifica non è altrettanto semplice, se la si vuole svolta alla maniera della fisica o della biologia.

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Tomasz Konicz: Al capezzale del Capitale

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Al capezzale del Capitale

di Tomasz Konicz

koniczParte prima. La politica monetaria è sull’orlo della bancarotta?

**Una sintesi delle contraddizioni della politica di crisi borghese, vista nell’attuale fase di stagflazione (Prima parte di una serie sull’attuale scoppio della crisi)

Possiamo dire di avere ancora dei soldi? Ovvero, detto in altri termini: Riuscirà finalmente la politica a tenere sotto controllo l’inflazione? All’inizio di novembre, dopo molti mesi di inflazione in costante aumento, il New York Times aveva percepito un barlume di speranza per la politica monetaria [*1]. Secondo gli ultimi dati, l’inflazione negli Stati Uniti si è ora leggermente moderata, il che è «una notizia gradita tanto alla Federal Reserve quanto alla Casa Bianca». Secondo i dati, l’inflazione ha rallentato, dall’8,2% di settembre al 7,7% dello scorso ottobre; le previsioni parlavano del 7,9%. Anche l’«inflazione di base», che esclude gli aumenti dei prezzi dell’energia e dei generi alimentari, ha subito un rallentamento, passando in quello stesso periodo dal 6,6 al 6,3%. Aumentare i tassi di interesse da parte della Federal Reserve statunitense, che quest’anno ha portato il tasso di riferimento dallo 0,25% al 4%, sembra perciò avere avuto un effetto [*2]. E in termini monetari, il punto finale non è stato ovviamente ancora raggiunto. I banchieri centrali della Fed, hanno dichiarato che i tassi di riferimento dovranno essere portati a un livello compreso tra il 4,75 e il 5,25%, per poter riportare finalmente l’inflazione sotto controllo [*3] Nel rapido aumento dei tassi – il più rapido dalla lotta contro la stagflazione nei primi anni ’80 [*4] – non è prevista alcuna «pausa», hanno dichiarato i funzionari della Fed ai media statunitensi [*5].

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Valerio Romitelli: Una maggioranza silenziosa contraria a quella governante

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Una maggioranza silenziosa contraria a quella governante*

di Valerio Romitelli

Passato il momento elettorale, il fenomeno dell’astensionismo, per quanto abbia raggiunto livelli inediti, sembra scemare d’importanza. Ma evidentemente all’opinione dominante interessa poco o nulla il fatto che il “partito” realmente maggioritario sia proprio quello del non voto. Per quanto rimosso il problema torna però a proposito dell’invio di armi in Ucraina: tema che conferma l’esistenza quanto meno statistica di una “maggioranza” per lo più silenziosa contraria a questo invio e quindi contraria anche ad una delle scelte più rilevanti dell’attuale maggioranza ufficiale, come della precedente. I “Fratelli d’Italia” si trovano insomma a governare (assieme ai loro alleati di coalizione) una popolazione che per tre quarti non se ne sente neanche lontanamente parente.

L’Italia non è comunque sola nel soffrire di simili paradossi di basso consenso ai riti elettorali o a scelte governative cruciali. Tutta l’Ue ne soffre, ma soprattutto a soffrirne è la patria stessa della democrazia occidentale; sarebbe a dire quegli Stati Uniti, notoriamente avvezzi a copiosi fenomeni di renitenza degli aventi diritto al voto.

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Davide Sali: Tenere a bada le masse

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Tenere a bada le masse

di Davide Sali

Quella che – con intuito geniale – Adorno e Horkheimer hanno chiamato l’«industria culturale» ha subito oggi, a quasi ottant’anni dalla Dialettica dell’illuminismo, un’inflazione spaventosa su tutti i fronti: diffusione, investimenti, promozione… Sembra davvero che per una considerazione attenta di cosa siano diventate le società occidentali non ci si possa esimere dal confrontarsi con questo fenomeno. Lo vediamo nella nostra quotidianità: alla diffusione dei media tradizionali di intrattenimento (radio, cinema e televisione), si è fatta avanti un’ancora più decisa diffusione pervasiva di nuovi mezzi: dai social networks alle piattaforme streaming, da Spotify al Metaverso. Eppure, già ai tempi dei due francofortesi sembrava che non ci fossero più spazi in cui potesse insinuarsi l’intrattenimento divertito, ma per qualche motivo la direzione è stata quella di investire sempre di più in questo settore e innovarlo al massimo grado, tanto che siamo ormai arrivati alla situazione che si può tranquillamente passare tutta la giornata in perenne compagnia di questi mezzi e stordirsi tramite i loro contenuti.

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Guido Vetere: Posso chiamarti Prosdocimo?

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Posso chiamarti Prosdocimo?

Perché è bene non fidarsi troppo delle risposte di ChatGPT

di Guido Vetere

Volevo provocarlo sul piano personale. Chi? Lui, naturalmente: ChatGPT, il grande interlocutore automatico di OpenAI, il chatbot al quale, in questo istante, milioni di persone stanno rivolgendo domande, chiedendo consigli, scambiando motti di spirito, rimanendo impressionate dalle sapide e spesso verosimili risposte.

Volevo provocarlo, dicevo, fargli perdere il suo meccanico aplomb, il suo anglosassone understatement. Allora gli ho chiesto: “Posso chiamarti Prosdocimo?”. Speravo che reagisse a un nome così inusuale, che mi rispondesse qualcosa come: “Beh, non ti viene in mente nulla di più normale?”. Invece lui non ha fatto una piega: “Certamente! Se preferisci chiamami Prosdocimo, puoi farlo senza problemi” (sottotesto: “Ti ho già spiegato che sono un automa e non ho gusti o sentimenti, stupido umano!”).

Allora l’ho incalzato: “Sai che Prosdocimo è il personaggio di un’opera di Rossini?”. Qui mi aspettavo che mi parlasse del poeta in cerca di ispirazione che Rossini ha voluto mettere sulla scena del Turco in Italia, il quale assiste alla vicenda tra il principe Selim e Fiorilla ricavandone la trama per la sua commedia.

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Guido Silvestri: Domande che non avranno risposta (sensata)

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Domande che non avranno risposta (sensata)

di Guido Silvestri*

Dodici domande sui lockdown

Ogni giorno che passa la valutazione dei lockdown diventa più negativa. La loro efficacia si è rivelata limitata a fronte di una assoluta insostenibilità, al punto che l’idea di ZERO-Covid è naufragata ovunque. Questo mentre i danni da lockdown si sono palesati in tutta la loro gravità, soprattutto a carico di giovani e poveri (locali e globali).

Tutti sappiamo che un breve lockdown nel caos sanitario della fase iniziale della pandemia ci stava, ed io stesso ne proposi l’adozione. Ma quello che si è verificato dopo, cioè la costruzione di un vero e proprio “culto dei lockdown”, deve essere approfondito rispondendo a domande specifiche, che valgono in linea generale e per l’Italia:

1. Perché i politici di area governativa hanno fatto scelte basate quasi esclusivamente sul criterio della “prudenza a tutti costi” nei confronti del virus senza manifestare simile prudenza verso i rischi dei lockdown?

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Elisabetta Frezza: Il digitale minaccia l’intelligenza. Ce lo fa sapere il Ministero dell’Istruzione

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Il digitale minaccia l’intelligenza. Ce lo fa sapere il Ministero dell’Istruzione

E allora che ne facciamo della “Scuola 4.0”?

di Elisabetta Frezza

Questa settimana, riguardo la scuola, sono successe cose bizzarre (questioni legate a quelle che abbiamo già affrontato in un articolo del 14 dicembre e in un articolo del 16 dicembre). Per esempio, il 20 dicembre scorso è stata protocollata una circolare del Ministero dell’istruzione e del merito avente ad oggetto: “Indicazioni sull’uso dei telefoni cellulari e analoghi dispositivi elettronici in classe”: indicazioni volte a contrastare, di questi, gli utilizzi impropri e non consentiti.

La circolare merita una breve disamina e una sommaria scomposizione, perché il suo contenuto, peraltro piuttosto contraddittorio, verosimilmente non ne esaurisce il senso: il senso emerge dalla lettura del suo testo in combinato disposto con il testo di un interessante allegato. Il tutto costituisce, almeno in parte, una sorpresa.

Il contenuto espresso della circolare si delinea soprattutto per relationem: il ministro Valditara ha recuperato infatti una circolare risalente al 2007 a firma del suo predecessore Fioroni e ne ha confermata la vigenza, evincendo da essa la permanenza, in via generale, del divieto di utilizzo in classe di telefoni cellulari.

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