Rassegna 15/03/2025
Algamica: Il liberismo occidentale, il sionismo e le velleità dell’eurocentrismo storico della sinistra
Il liberismo occidentale, il sionismo e le velleità dell’eurocentrismo storico della sinistra
di Algamica*
«Fuori il terrorismo dall’Università», a invocarlo nei primi giorni di marzo era stata l’Unione dei Giovani Ebrei Italiani, in un appello immediatamente sottoscritto dai Radicali Italiani, da Sinistra per Israele, dalle Comunità Ebraiche in Italia, da giovani socialisti, da Giovani di Forza Italia, da altre associazioni cattoliche e associazioni dell’Hasbara sionista, affinché l’Università la Sapienza di Roma revocasse i permessi concessi al Movimento degli Studenti Palestinesi, di realizzare il 5 marzo, in Italia, presso l’Ateneo di Fisica, la presentazione del libro autobiografico di Yahya Sinwar “Le spine e il garofano” con la partecipazione dell’editore Davide Piccardo della casa editrice Editori della Luce, di ispirazione islamica, che cura la pubblicazione del libro in Italia.
L’appello « Fuori il terrorismo dall’Università » in cui si legge che « La Sapienza, una delle poche università ad aver contrastato i boicottaggi contro Israele e a essersi posta come baluardo della libertà accademica, ha ancora l’opportunità di impedire che si trasformi in una cassa di risonanza per il terrorismo », è divenuto da subito un caso politico nazionale la cui istanza è stata immediatamente sostenuta per giorni dalle principali testate dei quotidiani della liberal democrazia italiana – da la Repubblica, il Corriere della Sera, il Giornale e Il Messaggero – nel sostenerne le ragioni, riportando le richieste di Giovanni Donzelli e di Noemi Di Segni affinché la Facoltà di Fisica tornasse indietro sui propri passi e vietasse l’iniziativa.
Il libro autobiografico di Sinwar, scritto durante i ventidue anni di prigionia nelle carceri israeliane, è attualmente censurato e vietata la sua pubblicazione in moltissimi paesi occidentali e dell’Unione Europea, così non è appunto in Italia grazie a un editore italiano che si è convertito all’islamismo, e in Irlanda, la cui edizione in quarta di copertina riporta « poiché Al-Sinwar è stato martirizzato mentre combatteva coraggiosamente contro il genocidio israeliano a Gaza, il romanzo emerge come un pezzo di letteratura vitale per chi cerca di comprendere le tensioni in corso in Medio Oriente.
Marco Montelisciani: Le due piazze di Repubblica nel radioso marzo d’Europa
Le due piazze di Repubblica nel radioso marzo d’Europa
di Marco Montelisciani
Michele Serra prova a convocare due piazze in una: la prima in favore dell’Europa realizzata, pronta a sacrificare il welfare in nome del militarismo; l’altra in favore dell’Europa idealizzata dalla retorica del centro-sinistra. Questa contraddizione potrebbe presto pervenire a un punto di rottura, aprendo la strada a una ulteriore e più decisa svolta reazionaria. Manifestare in favore dell’UE realizzata fingendo che somigli alla sua versione idealizzata rischia di legittimare la svolta a destra anche presso l’opinione pubblica democratica
La manifestazione del prossimo 15 marzo è divenuta, al di là delle intenzioni degli organizzatori e di chi in buona fede vi ha aderito, terreno di confronto tra due polarità difficilmente conciliabili che convivono nell’ambito del blocco di potere e consenso egemone in Europa, rappresentato plasticamente dalla Große Koalitiontra popolari, socialdemocratici e liberali che regge da decenni sia le istituzioni comunitarie sia i “sistemi dell’alternanza” all’interno dei Paesi membri e a cui, a vario titolo, fa riferimento il mainstream del dibattito pubblico. Tale blocco è oggi scosso dal cambio di strategia avvenuto alla Casa Bianca, che determina il venir meno di certezze che sembravano acquisite. La manifestazione nata dall’appello “Una piazza per l’Europa”, firmato da Michele Serra sulla principale testata del progressismo liberale italiano, figlia delle turbolenze di questa fase, non fa che riprodurne le contraddizioni. Lo stesso vale per il promotore della mobilitazione, che nei giorni scorsi ha sentito l’esigenza di correggere il tiro rispetto all’impostazione che aveva originariamente inteso dare alla sua iniziativa.
Salta immediatamente all’occhio, infatti, leggendo l’appello del 27 febbraio, che non vi ricorra mai la parola “pace”. Tale assenza sembra intimamente coerente con l’impostazione dell’appello e con quella di chi, da subito, vi ha aderito con più entusiasmo. L’intima coerenza non è legata tanto alla circostanza – tutto sommato contingente – che Serra e il suo giornale siano apertamente schierati perché l’Europa continui a fare la guerra contro la Russia fino alla vittoria finale sul campo di battaglia. Il punto è che tutto l’impianto dell’appello scaturisce dalla necessità di esorcizzare il timore di una possibile fine dell’Occidente come “concetto politico-strategico”, che sarebbe ovviamente una conseguenza della rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca e della sua spregiudicata politica interna ed estera. Ma cosa può significare, nell’economia del ragionamento di Serra, “concetto politico-strategico”?
Sembra di poter rispondere che il fatto che l’Occidente cessi di essere un concetto politico-strategico (dal greco strategòs: comandante militare) significhi che esso non è più spendibile come concetto oppositivo-polemico (dal greco pòlemos: guerra).
Diego Viarengo: L’uomo che ha insegnato alle macchine il ragionamento analogico
L’uomo che ha insegnato alle macchine il ragionamento analogico
di Diego Viarengo
Una riflessione sull’opera e il pensiero di Geoffrey Hinton, padre spirituale delle reti neurali e dell’apprendimento profondo
Credo che il Nobel del 2024 per la fisica a Geoffrey Hinton, un informatico, abbia due significati. Il primo è scientifico, perché le reti neurali vengono riconosciute come fondamento del successo delle intelligenze artificiali generative. Il secondo, politico, è nell’avvertimento che Hinton ha pronunciato durante il discorso di accettazione del premio: possiamo avere un enorme beneficio dagli assistenti artificiali, ma dobbiamo guardarci dai rischi cruciali a breve (l’inquinamento del dibattito pubblico con contenuti creati per dividere, la sorveglianza delle persone da parte di regimi autoritari, le frodi informatiche) e a lungo termine (le armi letali che decidono autonomamente chi uccidere e il generale pericolo di perdere il controllo dei sistemi autonomi, capaci di assegnarsi da soli obiettivi e strategie).
Due macchine pensanti
Non era scontato che le reti neurali ad apprendimento profondo potessero funzionare, soprattutto non lo era quando Hinton, negli anni Settanta, iniziò il suo dottorato di ricerca. Il campo dell’intelligenza artificiale (IA) era occupato vittoriosamente dalla corrente simbolica che provava a riprodurre artificialmente il pensiero partendo da uno dei suoi prodotti: le frasi, le relazioni significative tra le proposizioni. La corrente connessionista voleva invece ricreare il modello della percezione biologica, proponendo sistemi matematici ispirati alle connessioni tra neuroni, da cui il nome.
Laddove la corrente simbolica provava a riprodurre artificialmente il pensiero partendo da uno dei suoi prodotti, quella connessionista voleva invece ricreare il modello della percezione biologica.
Possiamo scegliere come data di inizio del conflitto tra simbolici e connessionisti il 1958, quando le due parti credevano di aver posto le basi per la costruzione di una macchia pensante.
Fulvio Grimaldi: In Siria i jihadisti democratici tornano carnefici
In Siria i jihadisti democratici tornano carnefici
Cisgiordania, la nuova Nakba
di Fulvio Grimaldi
Occultata dalle intemperanze e improvvisazioni di Trump, comprese le oscenità sul cimitero dei vivi di Gaza e le nequizie deontologiche e morali di un sistema politico-mediatico italiota, sistematicamente depistatore e menzognero, dovremmo passare sopra la nuova Nakba che lo Stato terrorista dei soli ebrei sta infliggendo agli umani veri di Cisgiordania. Nakba che è ormai il quarto fronte aperto dai necrofagi impiantati dall’anglosfera in Medioriente, dopo Gaza, Libano, Siria. Paesi, popoli, che si vorrebbero frammenti di cadaveri per comporre la Grande Israele.
La troupe era composta da Sandra e me e nel documentario “Araba Fenice, il tuo nome è Gaza” potete vedere cosa abbiamo girato in Cisgiordania e, soprattutto a Hebron, oggi nuovo obiettivo della sostituzione etnica che faccia della Cisgiordania la Giudea e Samaria della mistificazione biblica.
Da Hebron che, con la pulizia etnica dilagante dal Nord della Cisgiordania al Sud, era rimasta relativamente fuori dalla furia stragista e devastatrice delle bande di coloni e dell’esercito, mi arrivano famigliari e care voci. Quanto di oppressione nazirazzista avevamo visto e documentato allora, si è duplicato, quadriplicato, esteso e potenziato fino ad assumere i tratti genocidi di Gaza. Dopo Nablus, Jenin, Tulkarem, e decine di centri abitati, dopo lo svuotamento della Valle del Giordano, anche Hebron deve scomparire.
Fabrizio Verde: Rearm Europe: un piano folle e controproducente
Rearm Europe: un piano folle e controproducente
di Fabrizio Verde
Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, sta spingendo per un piano che non solo è irresponsabile, ma anche potenzialmente catastrofico per il futuro dell’Europa: il cosiddetto RearmEurope, un progetto da 800 miliardi di euro per riarmare il continente in nome di una presunta minaccia russa. Tuttavia, questo piano non solo è basato su premesse discutibili, ma rischia di trascinare l’Europa in una spirale di tensioni e conflitti che nessuno vuole, distogliendo risorse preziose da priorità urgenti vista la crisi economica in cui langue il vecchio continente.
Una minaccia inesistente
L’idea che la Russia rappresenti una minaccia imminente per l’Europa è una narrazione che va sfatata. La Russia non ha alcuna intenzione di attaccare i paesi europei. Non ne avrebbe alcuno motivo logico, strategico o geopolitico. Al contrario, Mosca ha ripetutamente espresso il desiderio di dialogare e di normalizzare le relazioni con l’Occidente. La retorica bellicosa che viene alimentata da alcuni leader europei, tra cui von der Leyen, non solo è infondata, ma rischia di creare una profezia che si autoavvera, spingendo verso una nuova guerra che danneggerebbe tutti, soprattutto i cittadini europei. Un conflitto che potrebbe avere dei risvolti catastrofici.
Leo Essen: La bolla educativa esplode negli Stati Uniti
La bolla educativa esplode negli Stati Uniti
di Leo Essen
STOP ai finanziamenti federali per qualsiasi college, scuola o università che consenta proteste illegali, scrive Trump su Truth il 4 marzo scorso. Gli Attivisti saranno imprigionati o rimandati definitivamente nel paese da cui provengono. Gli studenti americani saranno espulsi definitivamente o saranno arrestati. NIENTE MASCHERE! NO MASKS!
Nel mirino ci sono le prestigiose università della Ivy League (Harvard, Yale, Princeton, Columbia, Penn Pennsylvania, Dartmouth, Brown, Cornell – e Chicago, Duke, MIT, Stanford, Johns Hopkins, Caltech, note come Ivy Plus).
I leader come Trump, dice David Brooks su The Atlantic («Come l’Ivy League ha distrutto l’America»), capiscono che la classe operaia ha più risentimento per la classe professionale Nerd, con le sue lauree prestigiose, di quanto non ne abbia per i miliardari o i ricchi imprenditori.
I Liberal (“La Sinistra”) di oggi, scrisse qualche anno fa l’anarchico Graeber, ha come stelle polari quegli studenti che negli anni Sessanta frequentavano i college e che si battevano per una società senza egoismo. La loro battaglia radicale non ha portato a una società migliore. Non ha funzionato, dice Graeber, ma è stata offerta loro una sorta di compensazione: il privilegio di usufruire del sistema universitario per diventare persone che, nel loro piccolo, hanno avuto modo di guadagnarsi da vivere e allo stesso tempo ricercare la virtù, la verità, la bellezza, e soprattutto la possibilità di tramandare lo stesso diritto ai propri figli.
Michele Paris: Trump, Israele e il caso Epstein
Trump, Israele e il caso Epstein
di Michele Paris
Tra le iniziative che la nuova amministrazione repubblicana aveva promesso per ripulire l’apparato di potere burocratico dentro il governo americano, altrimenti noto come “Deep State”, c’era e sembra esserci ancora l’impegno a rendere pubblici tutti i documenti ancora riservati del caso Jeffrey Epstein. Il primo tentativo, annunciato dal ministro della Giustizia (“Attorney General”), Pam Bondi, si è risolto però nei giorni scorsi in un completo fallimento. Il materiale pubblicato non ha aggiunto nulla di nuovo a quanto già si sapeva sui contatti ad altissimo livello del defunto finanziere di New York. Da allora, ci sono stati ulteriori sviluppi che, secondo il dipartimento di Giustizia, dovrebbero finalmente avvicinare la rivelazione dei “segreti” di Epstein.
Ci sono tuttavia solidissime ragioni per dubitare di questa promessa e ciò, tra l’altro, per via degli stretti rapporti di quest’ultimo con gli ambienti dell’intelligence di Israele e non solo. Quella pianificata dalla Bondi potrebbe essere quindi un’operazione di depistaggio da propagandare come una vittoria per la Casa Bianca, regolando al contempo una serie di conti con i settori anti-trumpiani del “Deep State” ma garantendo che i particolari relativi a ricatti, influenza politica e intrighi di intelligence che caratterizzano l’intera vicenda continuino a rimanere segreti.
Il ministro della Giustizia di Trump, meno di due settimane fa, aveva dunque anticipato rivelazioni esplosive sul caso Epstein, per poi cambiare tono subito dopo la diffusione dei documenti e la comprensibile delusione generata nel pubblico americano.
Anonima Maltese: Possono raccontarci qualsiasi cosa. E ce lo meritiamo
Possono raccontarci qualsiasi cosa. E ce lo meritiamo
di Anonima Maltese*
800 Miliardi di Euro. Ursula von der Leyen ci dice che dobbiamo spendere 800 miliardi di Euro in armamenti per difenderci dalla Russia. E pazienza se non ci saranno poi soldi per pensioni, sanità, scuole, università e altre quisquilie inutili.
Noi dobbiamo prepararci a fermare l’Orda d’Oro che scalpita alle nostre porte, alla testa un Tschingis Putin al quale manca solo l’elmetto con le corna per completare l’immagine di condottiero assatanato e voglioso di nuovi territori che i media dell’Europa Continental-Occidentale hanno divulgato (gli USA e UK-media sono magari di parte, ma non così spudorati).
Effettivamente, dopo averci raccontato che questo Putin un giorno si è svegliato e ha deciso di invadere l’Ucraina per soddisfare le sue voglie imperialiste e ci abbiamo creduto, ormai possono raccontarci qualsiasi cosa e ce la beviamo. Ci contano.
Ovviamente ci contano. D’altra parte il copione è sempre lo stesso: Metti paura alle masse con uno spauracchio qualsiasi, e queste sono disposte a seguirti in qualsiasi impresa, anche nel suicidio collettivo. E magari non si accorgono nemmeno che chi sventola lo spauracchio è gente che annulla elezioni, se vinte da chi non le piace, e rifiuta di sottoporre a un voto parlamentare la decisione di prepararsi alla guerra. E vabbè, pazienza. Per difendere la democrazia si fa questo e altro, no?
Io sono però convinta che sarebbe il caso di cominciare a difendere la nostra sopravvivenza come popolazione mondiale prima di una “democrazia” ormai fittizia.
Rossella Latempa e Davide Borrelli: Leggere “La Nuova Scuola Capitalista” oggi
Leggere “La Nuova Scuola Capitalista” oggi
di Rossella Latempa e Davide Borrelli
Con il titolo La nuova scuola capitalista arriva in Italia un testo che Christian Laval, Francis Vergne, Pierre Clement e Guy Dreux scrivevano nel 2011, dedicato ai processi di trasformazione neoliberale della conoscenza e dell’istruzione, dalla scuola all’università, di cui gli autori, con sorprendente capacità di anticipazione e lettura politica, intravedevano la coerenza e gli sviluppi. A questo libro, nel 2022, seguiva una riflessione che ne rappresenta il seguito ideale: Educazione democratica, che teorizza la costruzione di un modello di scuola e università alternative e auto-governate.
Perché rileggere e diffondere oggi la nuova scuola capitalista? Cosa può dirci un lavoro in fondo piuttosto lontano nel tempo, proprio quando sembra che tutto acceleri e sfugga costantemente alla nostra capacità di “unire i puntini”? Proveremo a spiegarne le ragioni e il senso.
1) Le trasformazioni di oggi, le responsabilità politiche e le false argomentazioni
A partire dalla sua prima pubblicazione, la nuova scuola capitalista segnava in Francia una generazione di studiosi, di ricercatori e attivisti, a cui forniva strumenti di interpretazione sistematica di un complesso frammentato e contraddittorio di riforme, portate avanti con linguaggio e argomentazioni di tipo progressista, politicamente trasversale. Parallelamente, in Italia, scuola e università vivevano una analoga stagione di cambiamenti, con percorsi, referenti politici e tempi propri, sovrapponibile a quella tratteggiata dagli autori. Le diagnosi e le analisi politiche, tuttavia, tardavano a prendere forma e il dibattito nazionale restava (e in parte resta tuttora) ancorato a categorie e dicotomie (tradizione/innovazione; nozioni/competenze; baronaggio accademico/meritocrazia, autoreferenzialità/accountability…) del tutto incapaci di tradurre la ridefinizione dei rapporti di forza nel campo delle politiche educative, specie a livello internazionale, con organismi sovranazionali divenuti via via più ingombranti.
Gianandrea Gaiani: ReArm Europe: più debiti per gli stati, più potere alla nomenklatura Ue
ReArm Europe: più debiti per gli stati, più potere alla nomenklatura Ue
di Gianandrea Gaiani
“L’Europa è pronta ad assumersi le proprie responsabilità Rearm Europe può mobilitare quasi 800 miliardi di euro per le spese per la difesa per un’Europa sicura e resiliente” ha dichiarato nei giorni scorsi il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen presentando un piano in cinque punti per il riarmo dell’Europa e il sostegno militare all’Ucraina esposto in una lettera inviata ai leader europei e poi approvata dal Consiglio d’Europa.
L’annuncio dell’ambizioso programma di riarmo della Ue, che si aggiunge al maxi fondo tedesco da 500 miliardi di euro che il leader della CDU tedesca (e probabile nuovo cancelliere) ha annunciato nei giorni scorsi, può essere abbinato all’annuncio giunto da Kiev che Volodymyr Zelensky non porgerà le scuse al presidente degli Stati Uniti Donald Trump dopo la rissa del 28 febbraio alla Casa Bianca. La ragione è che il presidente ucraino “ha avuto assolutamente ragione nella forma e nel contenuto” durante il colloquio, ha dichiarato il consigliere presidenziale ucraino Mykhailo Podolyak.
“Non si può fare nulla senza mettere sotto pressione la Russia. È impossibile ottenere risultati positivi aspettandosi che Mosca faccia deliberatamente delle concessioni… Ecco perché non ci scuseremo per un errore che non è mai esistito”, ha detto Podolyak, riaprendo le tensioni con Washington dopo che Zelensky aveva espresso “rammarico” per il pessimo esito del vertice alla Casa Bianca.
Le dichiarazioni di Podolyak lasciano intendere che Kiev stia puntando sull’Europa che annuncia un massiccio riarmo per ottenere forniture militari e garanzie di sicurezza dopo lo stop degli USA alle consegne di armi, munizioni, informazioni d’intelligence e supporto satellitare.
L’Ucraina ha chiesto chiarimenti al Pentagono circa lo stop agli aiuti militari e l’inviato statunitense per l’Ucraina, Keith Kellogg, parlando al Council on Foreign Relations di Washington ha difeso la decisione di Trump di sospendere gli aiuti e la condivisione di intelligence con Kiev, sottolineando che si tratta di “una pausa, non di uno stop definitivo. Il motivo per cui Zelensky è venuto alla Casa Bianca era per firmare un documento che stabilisse il percorso da seguire. Ma quel documento non è stato firmato“, ha detto Kellogg.
Carlo Formenti: Ancora sul marxismo nero. Angela Davis
Ancora sul marxismo nero. Angela Davis
di Carlo Formenti
Stimolato dal lavoro di traduzione del libro di K. Ochieng Okoth, RedAfrica (1), negli ultimi mesi ho accompagnato i lettori in una esplorazione del pensiero radicale nero discutendo i lavori di otto autori: Bouamama, Du Bois, Cabral, Rodney, Williams, James, Padmore, Césaire. Quest’ultimo lo avevo già incontrato, avendolo letto in parallelo agli scritti di Franz Fanon; di Bouamama avevo avuto occasione di ascoltare una videoconferenza nel corso di un recente convegno organizzato dalla Rete dei Comunisti; Cabral lo avevo letto diversi anni fa, ma a quel tempo ne avevo sottovalutato l’importanza, tutti gli altri sono stati invece straordinarie novità, e ringrazio Okoth per avermele fatte conoscere.
Da marxista occidentale – ancorché eretico – ho cercato di entrare “in punta di piedi” in questo ambito ideale di cui ignoro molte cose, adottando lo stesso atteggiamento di rispettoso ascolto che che in passato ho assunto avvicinandomi al pensiero rivoluzionario asiatico e latinoamericano (nell’ultimo caso aiutato da alcuni viaggi in Sud America). Il confronto con gli autori rivoluzionari del Sud del Mondo implica affrontare una sfida fondamentale che consiste nel cercare di capire come sia avvenuto l’incontro fra una teoria come il marxismo – che accampa pretese universaliste ed eredita una serie di principi e valori razionalisti/progressisti/illuministi che lo connotano in senso eurocentrico – e tradizioni storiche, culturali, civili e religiose non meno antiche ma profondamente diverse dalle nostre.
Laddove questo incontro si è rivelato possibile e fecondo (per esempio in Cina, nel Vietnam, a Cuba) ha forgiato armi formidabili per la lotta antimperialista e anticapitalista, e ha contribuito a innovare una teoria irrigidita da schematismi e dogmatismi che l’hanno resa incapace di interpretare e contrastare l’offensiva neoliberista nei centri metropolitani. Il caso africano è più complesso, sia perché una serie di esperienze che avrebbero potuto imboccare nuove vie di fuga dalla “normalità” del dominio occidentale sono state stroncate sul nascere (2), sia perché i contributi teorici più ricchi e interessanti (spesso frutto del pensiero nero diasporico, antillano e nordamericano) sono stati rimossi e neutralizzati dall’accademismo postcoloniale: vedi in proposito il già citato libro di Okoth (3).
Leo Essen: Schifosi acculturati! La bolla educativa negli Stati Uniti
Schifosi acculturati! La bolla educativa negli Stati Uniti
di Leo Essen
“L’intera meritocrazia è un sistema di segregazione sociale ed economica al contrario”
STOP ai finanziamenti federali per qualsiasi college, scuola o università che consenta proteste illegali, scrive Trump su Truth il 4 marzo scorso. Gli Attivisti saranno imprigionati o rimandati definitivamente nel paese da cui provengono. Gli studenti americani saranno espulsi definitivamente o saranno arrestati. NIENTE MASCHERE! NO MASKS!
Nel mirino ci sono le prestigiose università della Ivy League (Harvard, Yale, Princeton, Columbia, Penn Pennsylvania, Dartmouth, Brown, Cornell – e Chicago, Duke, MIT, Stanford, Johns Hopkins, Caltech, note come Ivy Plus).
I leader come Trump, dice David Brooks su The Atlantic («Come l’Ivy League ha distrutto l’America»), capiscono che la classe operaia ha più risentimento per la classe professionale Nerd, con le sue lauree prestigiose, di quanto non ne abbia per i miliardari o i ricchi imprenditori.
I Liberal (La Sinistra) di oggi, scrisse qualche anno fa l’anarchico Graeber, ha come stelle polari quegli studenti che negli anni Sessanta frequentava i college e che si battevano per una società senza egoismo. La loro battaglia radicale non ha portato a una società migliore. Non ha funzionato, dice Graeber, ma è stata offerta loro una sorta di compensazione: il privilegio di usufruire del sistema universitario per diventare persone che, nel loro piccolo, hanno avuto modo di guadagnarsi da vivere e allo stesso tempo ricercare la virtù, la verità, la bellezza, e soprattutto la possibilità di tramandare lo stesso diritto ai propri figli.
Dante Barontini: “Ri-Armare l’Europa”. Un gioco pericoloso, quasi suicida
“Ri-Armare l’Europa”. Un gioco pericoloso, quasi suicida
di Dante Barontini
Niente come la guerra taglia via il chiacchiericcio e costringe a essere chiari. Sei favorevole o contrario? Voti i “crediti di guerra” – come fecero nel 1914 i partiti socialdemocratici della Seconda Internazionale – oppure no? Vai in piazza per chiedere di prolungare la guerra o per dire basta subito?
Come ormai sanno tutti, Ursula von der Leyen ha varato il suo piano “ReArm Europe” da 800 miliardi perché «qualcosa di fondamentale è cambiato. I nostri valori europei, la democrazia, la libertà, lo stato di diritto sono minacciati. Vediamo che la sovranità, ma anche gli impegni ferrei, sono messi in discussione. Tutto è diventato transazionale. Il ritmo del cambiamento è accelerato e l’azione necessaria deve essere audace e determinata».
Una matassa di falsi e menzogne di cui si occupa magistralmente “Anonima Maltese”, mentre qui proviamo a dar conto di quel che sta succedendo.
Sorvoliamo momentaneamente anche sulla curiosa contraddizione per cui ci si vorrebbe riarmare per “difendere la democrazia” ma, per farlo, si aggirano le istituzioni democratiche e si procede “autocraticamente” (il “piano” non verrà votato né dall’inutile Parlamento europeo e neanche dai 27 Parlamenti nazionali). Tradotto: ci riarmiamo a nome di chi?
Gianandrea Gaiani: F-35: la rivincita dei “talebani”
F-35: la rivincita dei “talebani”
di Gianandrea Gaiani
La crisi nei rapporti tra Stati Uniti ed Europa determinata dalle prime iniziative della presidenza di Donald Trump sta portando molti osservatori a mettere in dubbio l’alleanza transatlantica, fino a ieri intoccabile.
Guai a mettere in dubbio che gli interessi di noi italiani ed europei non coincidessero e anzi, fossero compromessi, da quelli statunitensi.
Da alcune settimane invece gli stessi fans dei destini comuni con gli USA (ma solo quelli di Biden e Obama?) sono i primi a mettere in dubbio non solo la solidità della NATO e dei rapporti con Washington, ma pure il rischio che i più moderni sistemi d’arma acquisiti negli Stati Uniti, F-35 in testa, si rivelino in realtà un punto di grande vulnerabilità della difesa europea.
Gli F-35 come cavalli di Troia
Molti esperti e osservatori hanno scoperto oggi che degli F-35 che quasi tutte le nazioni europee hanno acquisito, molti aspetti restano sotto stretto controllo statunitense, riducendo quindi la capacità operativa di impiegarli in contesti non condivisi con Washington.
Massimo Zucchetti: Grazie, Volodymir Zelensky!
Grazie, Volodymir Zelensky!
di Massimo Zucchetti
Dopo la criminale uscita di Macron, uno in cui il complesso di Edipo si mescola con la Grandeur, che aveva detto – traduco per i peggior sordi che non vogliono sentire – di offrire agli Europei il suo “ombrello nucleare”, cioè con le sue maledette 290 bombe atomiche, scatenare un conflitto nucleare per “far vincere” la guerra al suo Zelensky, debbo confessare che non sapevo più a che Santo votarmi.
Pochi giorni prima, infatti, la autocrate a capo dell’Unione Europea – la VonDerQuarchecosa che ho condannato alla damnatio memoriae e quindi non nomino – aveva colto la palla al balzo e lanciato uno stupendo programmone che soddisfaceva appieno i suoi clientes, dal titolo “REARM Europe” o qualcosa di simile: 800 diconsi 800 miliardi di euro di nostri soldi spesi in armi, per provare a fare lei la Trump e “sostenere” Zelly, confermato “campione della democrazia“.
Perché Autocrate? Perché ha fatto in modo che questo suo bel piano-rapina non passasse dal Parlamento per l’approvazione. V
a beh: è il Parlamento Europeo, infestato da pseudopolitici giubilati in patria e strapagati per occuparsi di inutilitilia, ma dentro il quale sopravvivono persone dotate di un minimo di mancanza d’ignoranza, e che avevano detto che “costava troppo“.
Non che fosse una pazzia criminale, no: “costava troppo”.
Gianfranco Apuzzo: Dalla penna al missile green: Bruxelles cambia stile
Dalla penna al missile green: Bruxelles cambia stile
di Gianfranco Apuzzo
L’Europa del 2023 sembra intrappolata in un paradosso storico. Mentre annuncia piani di riarmo da 800 miliardi di euro – una cifra superiore al Pil annuo di Paesi come Paesi bassi o Svizzera – ripete meccanicamente gli errori che portarono al collasso del 1914 e del 1939. Prima della Prima Guerra Mondiale, il continente viveva la Belle Époque: un’epoca di fiducia nel progresso, con investimenti in scienza, infrastrutture e cultura. La spesa militare rappresentava appena il 3-4% del Pil delle maggiori potenze (The Economics of World War I, Cambridge University Press), ma bastò un decennio di tensioni (1904-1914) per portarla al 10-15%, accompagnata da una rete di alleanze segrete e nazionalismi esplosivi. L’Europa della Belle Époque era un continente in bilico tra splendore e illusione, un mondo raffinato che sembrava destinato a non finire mai. Dall’ultimo ventennio dell’Ottocento fino al 1914, il Vecchio Continente conobbe un periodo di straordinaria crescita economica, progresso tecnologico e fermento culturale. Le città si trasformavano in metropoli moderne, illuminate dalla luce elettrica e percorse dai primi tram, mentre le classi borghesi godevano di un benessere senza precedenti. Parigi, Londra, Vienna, Berlino erano il cuore pulsante di un’epoca che celebrava l’arte, la moda, il divertimento e l’innovazione. Era il tempo del cancan al Moulin Rouge, delle operette di Offenbach, delle Esposizioni Universali che mostravano al mondo le meraviglie della modernità.